Aperta la mostra “The Outsiders” di Dunia Mauro

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Ha aperto i battenti nella serata di venerdì 25 luglio, presso il MACK, Museo d’Arte Contemporanea della Provincia di Crotone, la mostra “The Outsiders” di Dunia Mauro, curata da Alessandra Migani. L’iniziativa, promossa dall’Amministrazione provinciale presieduta da Stano Zurlo, dalla Fondazione Odyssea e patrocinata dal Comune di Crotone, rappresenta un evento culturale di particolare importanza. In mostra un’installazione dalle grandi dimensioni pensata appositamente per il Mack, una serie di fotografia dalla particolare bellezza e due video dal forte impatto. Il progetto The Outsiders nasce in seguito a una serie di riflessioni che accomuna chi, come l'artista Dunia Mauro, ha vissuto per anni lontano da casa e dalle proprie origini e sperimenta una condizione da outsider, un senso di estraneità di cui difficilmente ci si riesce a liberare, neanche dopo il ritorno a casa, the homecoming. Gli animali, veri o di plastica, protagonisti di questi lavori di esopiana memoria, sono metafora di una condizione umana in bilico perenne fra il senso di appartenenza e quello di estraneità. Artista che si esprime egualmente con scultura, fotografia, video ed installazione, Dunia Mauro ha un legame profondo con la città di Crotone, dove ha vissuto con la famiglia in tenera età per lasciarla appena adolescente. L’idea di un confronto con la città che l’ha formata e la donna che lei è oggi - dopo aver vissuto a Roma, Londra e Berlino - lo riconosce come un passaggio fondamentale della sua persona e della sua carriera. Dunia ha voluto abbracciare interamente questa opportunità, sviluppando un tema a lei caro, attraverso un percorso che va da un’installazione, alla fotografia e al video. Nel corso della cerimonia di inaugurazione a Dunia Mauro ed Alessandra Migani sono state consegnate due targhe in cristallo ed argento realizzate appositamente dal noto orafo crotonese Michele Affidato. La targa a Dunia Mauro è stata consegnata dall’assessore provinciale alla Cultura Giovanni Capocasale con la seguente motivazione “Esponente di punta dell’arte contemporanea in Italia ed all’estero per la sua personale a Crotone, città dove ha trascorso infanzia ed adolescenza”. La targa ad Alessandra Migani per “l’impegno, le capacità, la professionalità nel suo lavoro di curatrice di eventi e mostre d’arte e per avere fortemente voluto la personale di Dunia Mauro a Crotone” è stata consegnata da Giovanni Lentini presidente della Fondazione Odyssea. Capocasale, a nome del presidente della Provincia Zurlo, e l’assessore alla Cultura del Comune di Crotone Antonella Giungata, si sono complimentati sia con l’artista che con la curatrice per il livello dei lavori in mostra che “certamente saranno apprezzati da quanti, residenti e turisti, faranno un giro al Mack in questo periodo estivo”. “Il Mack –ha ricordato Il presidente della Fondazione Odyssea Giovanni Lentini- è uno spazio aperto per quanti sono impegnati nel panorama artistico”. La mostra, che rimane aperta sino al 30 agosto si realizza anche grazie alla collaborazione dell’associazione culturale Losingate ed alla generosità dei seguenti sponsors: Istituto Sant’Anna diretto dal dr. Giovanni Pugliese sempre disponibile alle iniziative culturali, a Milon Tours giovane e dinamica azienda crotonese, all’affermato orafo crotonese Michele, ed dallo studio legale dell’avv. Daniela Longo. Media Partner sono Radio Studio 97, “Print Seriart” e “Sansalone Immagine e Comunicazione”. Per la serata inaugurale della mostra è stato possibile assaporare le prelibatezze preparate dal noto locale “Zen Zero” (Sushi) di Crotone, e degustare alcune importanti etichette dei vini della prestigiosa e storica azienda “Caparra & Siciliani” di Cirò Marina.

 

L’artista

Dunia Mauro (Roma, 1979) si diploma all'Academia di Bella Arti di Roma nel 2002. Selezionata con il lavoro Le Dunie, rappresenta Roma alla Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo, a Sarajevo, 2001. Consegue un Master in Arti Visive presso il Central Saint Martins College nel 2003 a Londra, dove vive e lavora per otto anni. Dopo avere concluso un PGCE in Arte e Design presso l'istituto IOE, dal 2006 al 2008, insegna Scultura presso il dipartimento del Hackney Community College a Londra. Trasferitasi per un anno a Berlino, partecipa con il lavoro Ophelias a Building Up, evento di apertura di 91mQ, raum fur kunstprojekte, 2008. Nel 2009 Dunia è co-fondatore e manager di Havelock 13, uno spazio di studi di artisti nell'area sud di Londra. Tra il 2011 e il 2012 progetta e cura le due mostre ash hush hash presso lo spazio Havelock 13 e to be or not to be: a false dichotomy, nello Shoreditch Town Hall, a Londra. Dunia lavora con l'installazione, la scultura, la fotografia e il video, spesso introducendo elementi autobiografici o performativi. Vive ora a Roma dove sta completando la serie video animal speech di cui i primi due capitoli sono stati selezionati e menzionati all'interno di Festarte, Festival di video arte, presso il museo MACRO, a Roma nel 2013. Nel dicembre del 2013, il video Noah's Ark viene presentato per la prima volta nel museo MUMI di Montevideo, Uruguay, all'interno del progetto itinerante Exodus a cura di Emanuela Termine, iniziato a Roma e approdato di recente anche a Buenos Aires nell'ambito del 'Verano Italiano', in collaborazionecon il Centro Cultural Recoleta, L'istituto Italiano di Cultura e l'Ambasciata Italiana. Nel 2014 Dunia è finalista nella sezione scultura del Premio Bugatti-Segantini, nella sezione video del Combat Prize a Livorno e nella sezione fotografia del Up 40, presso il LACDA, Centre for digital Art, Los Angeles.

 

 

Nota critica della curatrice Alessandra Migani

Si lascia la propria casa per tante ragioni; la vita ci porta spesso a fare scelte radicali, per inseguire un sogno, un lavoro, un amore oppure per questioni politiche, sociali, familiari, a volte climatiche. Alla base della scelta di un qualsiasi emigrante, c’è sicuramente la ricerca di condizioni di vita migliori, forse l’inseguimento di un miraggio di felicità. Nel caso di Dunia Mauro, giovane artista che si esprime allo stesso modo con scultura, fotografia, video e installazione, l’abbandono del luogo di nascita avviene in tenera età, al seguito di un trasferimento lavorativo dei propri genitori. È la città di Crotone a farle da casa per i successivi quattordici anni. Anni importanti, formativi. Il primo sradicamento vero avviene nell’adolescenza, quando la famiglia si trasferisce di nuovo a Roma. In questa città Dunia incontra la magia dell’arte e decide di perseguire studi professionali in tal senso. In un’età di maggiore consapevolezza personale, l’artista emigra a Londra. Una città che la ospita per ben otto anni. Londra, col suo continuo fermento creativo, le sue scuole d’arte, le gallerie, i musei, gli studi artistici, ispira il mondo dell’arte mondiale. Sembra il posto giusto per gettare le radici artistiche, sperimentarsi e definire meglio la propria ricerca. Ed è proprio durante gli anni londinesi – e dopo un’esperienza di un anno a Berlino – che Dunia comincia le sue considerazioni su sentimenti contrastanti che si porta dentro da parecchio tempo: un senso di estraneità in una terra lontana da casa, misto alla nostalgia per il mondo d’origine. Lo straniero, il migrante, risultano spesso degli emarginati, sradicati dal mondo che li circonda. Sono persone che finiscono inevitabilmente per occupare uno spazio liminale. Inoltre oggi sono frequenti dei flussi migratori al contrario: i ritorni a casa degli emigranti, the homecoming. Dunia stessa, sentendo la sua esperienza londinese conclusa, prende la difficile decisione di tornare a vivere a Roma. Sembrerebbe un paradosso, ma anche Roma la fa sentire straniera, fuori luogo. Perfino qui sperimenta una condizione da outsider. Il suo bagaglio emotivo e artistico, dopo gli anni passati lontano da casa, è indubbiamente ricco, ma sembra non bastare. Al disagio vero si aggiunge spesso un disagio esistenziale, sentimento descritto molto bene dallo scrittore Albert Camus, ne Lo Straniero (1942). La vita sembra priva di senso e l’uomo affronta delle prove del destino che sembrano assurde ma ineluttabili. Consultando il dizionario per scoprire il significato della parola outsider, parola inglese, che appunto tradurremo estraneo, apprenderemo che si usa per definire chi non è accettato o di chi si isola dalla società, una persona che non appartiene a nessuna organizzazione o professione, qualcuno che viene ritenuto avere poche possibilità di successo. Sembra quest’ultimo punto toccare sensibilmente le corde emotive dell’artista. Riflettendo sulla sua stessa condizione, si accorge con grande rammarico che invece di diventare un punto di forza dell’individuo, il fatto invece di separarsi dal proprio gruppo di origine e appartenenza, risulti piuttosto quasi una condanna al fallimento. Ma in realtà chi lascia la propria casa innesta un lento processo di cambiamento interiore per cui l’emigrante, anche ritornando, non sarà più la stessa persona. Si finisce per non appartenere più a una sola casa, ma a tante. L’orizzonte si allarga e questo mi sembra un arricchimento piuttosto che una mancanza. Il titolo scelto dall’artista non poteva che essere The Outsiders. La mostra, che si sviluppa in due sale del MACK, presenta un percorso preciso, dove ogni opera si accorda alla successiva, seguendo una ben definita logica narrativo-esistenziale. Gli animali, veri o di plastica, protagonisti di questi lavori di esopiana memoria, sono metafora di una condizione umana in bilico perenne fra il senso di appartenenza e quello di estraneità. L’installazione dal titolo The Isolated occupa quasi l’intera superficie del pavimento in una stanza del museo. Cinquanta palloni colorati, sembrano isolotti dove gli animaletti di plastica, si ergono isolati, appunto, dal resto delle altre isole-mondo. Sono lì gli stranieri/estranei, i piccoli outsiders, che hanno intrapreso un percorso lontani da casa ed hanno tentato in ogni modo di crearsi uno spazio esistenziale, in accordo con il resto. Intenzioni purtroppo deluse e tradotte in isolamento. Solo tre animaletti, in mezzo alla distesa di palloni, sono riusciti a lasciare il segno. L’isolotto su cui prendono casa, ha assunto lo stesso colore del manto dell’animale. Tutti questi luoghi-casa rappresentano piccole isole di approdo. Non esiste un luogo ideale, ma nella sua ricerca l’uomo attraversa i mari e le terre, forse alla ricerca più di luoghi mentali, che fisici, che finiscono per essere luoghi utopici, dei non-luoghi. L’installazione contiene in sé reminiscenze de L’Utopia di Tommaso Moro, dove il protagonista approda in un’isola ideale, che in quanto tale, risulta infine essere impossibile, utopica. Nella sala accanto, comunicano in maniera incrociata, due serie di fotografie e due video. Le fotografie, una serie da tre e una da cinque, presentano animali africani, ritratti dall’artista in diversi zoo italiani. Colti isolati dal gruppo e in momenti malinconici o folli, la zebra, la giraffa e l’elefante ispirano un sentimento di forte solitudine e disagio. La serie, da cui prende il titolo la mostra, è The Outsiders. La zebra, digrigna i denti nell’atto di avventarsi contro un pezzo di legno, l’elefante sbatte più volte la testa contro il muro, la giraffa, sola ed elegante si pone verso l’unico spiraglio di luce proveniente dall’esterno. Alle foto si affianca Noah’s Ark, un video di circa tre minuti che coglie il momento biblico dell’ingresso degli animali sull’arca di Noé, mentre si preannuncia il diluvio. Gli animaletti di plastica sono posizionati lungo una passerella in legno che permette di varcare la soglia dell’arca che però non è visibile. Inizia un dialogo fra i protagonisti in prima fila, un panda e una volpe. Nessuno sembra consapevole del viaggio che sta per intraprendere. Si sa solo che sarà l’evento del millennio. “Oh my God, oh my God, oh my God”, grida fra lo spaventato e l’emozionato il giovane catta (simpatico animaletto del Madagascar), all’aprirsi della porta dell’arca. Potremmo pensare quasi di assistere alla rappresentazione di una favola di Esopo, letta in chiave contemporanea. Gli animali dialogano come gli umani, ma seguendo tempi quasi teatrali, con pause ben scandite. Noah’s Ark, realizzato nel 2013, ha già riscosso una grande attenzione, presentato all’interno di mostre itineranti e finalista nel premio italiano “Combat Prize”. Sul lato opposto della sala del MACK si trova l’altra serie di fotografie, The Catcher; cinque foto in sequenza, che ritraggono un gruppo di catta nell’atto di contendersi un bastoncino caramellato arancione. L’elemento esterno attira subito l’attenzione degli animaletti, ma anche quella dello spettatore. Il movimento è colto con leggerezza dall’artista e sembra quasi di assistere a una danza. In contrasto dal senso di isolamento delle foto di fronte, qui abbiamo una scena di gruppo giocosa. Fa da eco alle fotografie, il video, The Pitch, realizzato appositamente per questa mostra al MACK. Il video, mandato in loop, è una brevissima sequenza che sorprende un braccio nell’atto di lanciare un bastoncino arancione (lo stesso che si vede nella foto dei catta). All’azione iniziale, segue nella scena successiva, un paesaggio naturale con sagome di alberi da tundra africana, che si stagliano su un cielo che sembra dipinto. Unico suono, il cantare delle cicale. Improvvisamente, rapidissimo, l’elemento esterno, il bastoncino, attraversa la scena roteando da una parte all’altra; scena che richiama per certi versi il lancio dell’osso da parte del gorilla in 2001 Odissea nello Spazio di Stanley Kubrik. The Outsiders non è altro che la naturale evoluzione del processo creativo che ha occupato l’artista negli anni del rientro in patria. Dunia crea, con l’ausilio degli animaletti, fra l’altro compagni di giochi d’infanzia, un dialogo con il mondo esterno. Loro stessi rappresentano per lei la lontana isola di felicità. Il viaggio non è mai privo di ostacoli, ma mi piace ricordare insieme a Robert Louis Stevenson: It is better to travel hopefully than to arrive”. È meglio viaggiare pieni di speranza che arrivare.

 

 

 

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