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Come trasmettere la fede in una società che è cambiata

Un anno dopo l’elezione Giovanni Paolo II promulgava un’esortazione apostolica, “Catechesi tradendae”, dedicata alla catechesi. In quei tempi la catechesi era molto trascurata,“vittima di un generale atteggiamento antidottrinale - scrive Marco Invernizzi - che era penetrato nella cultura dominante, particolarmente dopo il 1968, e poi anche nella Chiesa, sulla scia di uno stile che voleva privilegiare tutto ciò che è esistenziale contrapponendolo all’aspetto dottrinale della fede. Se è vero che il cristianesimo non è una dottrina, come Giovanni paolo II ma in generale il Magistero sottolineano con frequenza, è vero che ha una dottrina e che quest’ultima viene trasmessa attraverso la catechesi, cioè l’insegnamento del contenuto della fede”. (M. Invernizzi, San Giovanni Paolo II. Introduzione al suo Magistero, Sugarcoedizioni, Milano 2014)

Per Invernizzi c’era il problema di dottrina della fede che non cambia, quindi bisognava trovare la strategia di come trasmettere questa fede in una società che era cambiata profondamente da quando il Catechismo di san Pio X, imparato a memoria da tante generazioni, veniva insegnato e ascoltato in una società ancora cristiana. “Si profilava il problema, dunque, che le persone non andavano più ‘a dottrina’, come si diceva allora, ancora fino agli anni 1960, e che dunque bisognava trovare il modo di avvicinare gli adulti che non frequentavano alcun tipo di catechesi e adattare il catechismo rivolto ai bambini in modo che la loro fede non fosse legata soltanto a un certo numero di formule imparate a memoria, ma cercasse di andare più in profondità e coinvolgesse tutta la loro esistenza”.

Pertanto secondo Invernizzi questo “adattamento, o aggiornamento”, non fu facile anche perché ci fu chi cercò di negare che ci fosse una dottrina da insegnare, al di là del metodo con cui trasmetterla. In quel periodo vengono fuori tre posizioni sulla questione catechesi: da un lato quelli che insistevano sul catechismo di san Pio X, altri che addossavano ogni responsabilità proprio a quella “forma troppo dottrinale irrigidita da formulette e rinsecchita in domande e risposte”, e propongono rimedi basati sull’esistenza e l’esperienza. Infine ci sono quelli che “perseguono un consistente ma equilibrato rinnovamento della catechesi e dei catechismi, convinti che dal passato ci sia molto da imparare, ma molto poco da ripetere”.

Comunque sia nel documento sottoscritto da Papa Wojtyla, “la catechesi è un’educazione della fede dei fanciulli, dei giovani e degli adulti, la quale comprende in special modo un insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo organico e sistematico, al fine di iniziarli alla pienezza della vita cristiana”(n. 18)Pertanto per essere efficace la catechesi dev’essere integrale, “non mutilata, non falsificata, non diminuita, ma completa e integrale, in tutto il suo rigore e in tutto il suo vigore” (n.30) Anche se dovrà favorire il movimento verso l’unità fra i cristiani.

L’esortazione del papa affronta il rapporto tre il Vangelo e le culture e quindi la catechesi deve tenere conto delle caratteristiche delle persone cui si rivolge, se giovani o adulti, ma anche della loro cultura originaria.

Papa Wojtyla affronta anche la questione della memorizzazione contro la quale si sono scagliati tante voci negli anni successivi al 1968 “in preda a una sudditanza ideologica verso gli aspetti anti-intellettuali e spontaneistici del clima sessantottino”.

Giovanni Paolo II sottolinea gli aspetti positivi della memorizzazione: “Bisogna essere realisti. I fiori della fede e della pietà – se così si può dire – non spuntano nelle zone desertiche di una catechesi senza memoria. La cosa essenziale è che questi testi memorizzati siano al tempo stesso interiorizzati, compresi a poco a poco nella loro profondità, per diventare sorgente di vita cristiana personale e comunitaria”(n.55)

Tuttavia Giovanni Paolo II secondo Invernizzi certamente non nega l’insufficienza della memorizzazione e raccomanda di favorire qualsiasi approfondimento, ma pone la domanda più giusta a tutti questi strani detrattori del Catechismo di san Pio X, appunto perché troppo mnemonico: “non sarà che si stia sbagliando obiettivo, sembra chiedersi il Pontefice, pensando che il problema della crisi della catechesi risiede nella ripetitività di formule estranee, quando invece proprio la memoria può aiutare in modo singolare a recuperare quanto abbiamo perduto o non abbiamo neppure ricevuto?”

La questione sarà definitivamente risolta nel 1992 con la promulgazione del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, il dono più grande, un catechismo universale, è ciò che poteva regalarci la Chiesa e quindi il pontefice polacco. Anche se per Invernizzi il dono più grande di Papa Giovanni Paolo II “è lui stesso, la sua santità, la sua azione nella storia che, nella misura in cui è stato docile allo Spirito santo, ha potuto operare contro il male e creare condizioni sociali e culturali favorevoli alla salvezza e alla santificazione di tante anime”. Il Papa era consapevole della lotta “dentro” la storia tra il bene e il male, ce lo ricorda nell’esortazione apostolica “Reconciliatio et paenitentiae” e nell’enciclica “Evangelium vitae”. In quest’ultimo documento del 1995,il Papa sa che “dopo lo scontro epocale con l’impero socialcomunista, l’azione divina incontra sempre nuovi ostacoli e nemici che cercano di impedirne l’azione salvifica a vantaggio delle anime e delle nazioni”.

Tuttavia per Invernizzi di Papa Wojtyla, “ciò che va soprattutto valorizzato, dopo la santità, è il suo Magistero e fra questo indubbiamente il Catechismo della Chiesa Cattolica ha un ruolo di assoluta importanza. Di santi ve ne sono molti anche nell’epoca moderna, grazie a Dio, ma il suo Magistero rimarrà unico e irripetibile”.

Il Catechismo riprende la struttura del Catechismo tridentino, (voglio sottolineare che la Chiesa in duemila anni di storia ha promulgato soltanto due Catechismi) diviso in quattro parti, che rispondono alle domande: in che cosa si crede, come si celebra, come ci si deve comportare e come ci si deve rivolgere a Dio nella preghiera. Poi nel 2005 è stato pubblicato il Compendio, la sintesi, 200 pagine dei quasi 800 del testo del 1992.

E’ un catechismo nel segno del Vaticano II, cioè volto a presentare la bellezza della fede cattolica più che a contestare gli errori dell’epoca. Infatti San Giovanni XXIII al Concilio “aveva assegnato il compito di custodire e presentare il prezioso deposito della dottrina cristiana, per renderlo più accessibile ai fedeli di Cristo e a tutti gli uomini di buona volontà. Pertanto il concilio non doveva per prima cosa condannare gli errori dell’epoca, ma innanzitutto impegnarsi a mostrare serenamente la forza e la bellezza della dottrina della fede”. La stessa cosa vale per il Catechismo, che deve ancora dare i suoi frutti, per questo è necessario che prima sia studiato. “L’attualità del Catechsimo – diceva il cardinale Ratzinger, dieci anni dopo la sua pubblicazione – è l’attualità della verità nuovamente detta e nuovamente pensata. Questa attualità resterà tale ben al di là dei mormorii dei suoi critici”.

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