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Guerra civile e assassini di preti nel reggiano

maseroli la chiesa reggiana

In occasione del 70esimo anniversario della Liberazione, il mensile di apologetica cattolica Il Timone propone ai suoi lettori, un dossier accurato e coraggioso dove si affronta la storia dei tanti preti uccisi dai partigiani comunisti in odio alla fede sul finire della seconda guerra mondiale. Partendo dalla storia del beato Rolando Rivi, il giovane seminarista ucciso dai partigiani, il mensile racconta la storia degli oltre 80 preti uccisi in odio politico e religioso. Il Timone propone già nel titolo la beatificazione collettiva, “saranno i nostri martiri del triangolo della morte”.

Nel dossier di 12 pagine, l'operazione è trasparente: «Dei 150 preti uccisi dalla violenza rossa, nel clima di vendette e ritorsioni, un buon numero trovò la morte perché apertamente simpatizzante del Regime fascista e dunque compromesso, anche se un prete ucciso, da una parte o dall'altra, porta sempre dietro di sé un aberrante sacrilegio. Pochi cadono vittime di errori e vendette personali per questioni banali: eredità, prestiti etc...». «Ma c'è un numero – fa notare la rivista – che una ricerca storica degna di tal nome deve incaricarsi di definire in maniera scientifica e che attualmente si aggira sulle 70-80 unità che trova la morte in un contesto ideologico-politico».Tuttavia secondo la rivista, questi preti“furono uccisi perché tenacemente anticomunisti. Avevano capito che mentre si combatteva la guerra di Liberazione le formazioni marxiste stavano utilizzando quel vasto movimento insurrezionale in vista di un'imminente rivoluzione comunista. Si tratta per lo più di preti emiliani e friulani, uccisi perché dal pulpito condannavano non solo le aberrazioni della guerra, ma anche l'ideologia marxista che ispirava i princìpi di molte brigate partigiane”.

Il dossier si avvale di testimonianze di preti scampati ad agguati che erano finiti nella lista nera, come quella di don Raimondo Zanelli, oggi 85enne. Ma anche di documenti, tra cui lettere e diari, in cui viene mostrata la pianificazione strategica della caccia al prete da parte dei partigiani comunisti che non accettavano un disimpegno nella causa della Resistenza da parte di quei preti che non condividevano le impostazioni ideologiche delle Brigate Garibaldi.

A margine della proposta del Timone, credo che sia interessante leggere lo studio che ho trovato durante le mie escursioni” nella solita outlet milanese dei libri, si tratta del volume di 271 pagine, ben documentato di Rossana Maseroli Bertolotti, La Chiesa Reggiana. Tra Fascismo e Comunismo”, Edizioni “Il Girasole d’Oro” (Pavia 2001).

L’opera raccoglie la testimonianza di 28 preti, che hanno visto personalmente o che hanno raccolto le testimonianze di altri confratelli sui fatti tragici di guerra, in particolare dellaguerra civile intorno alla provincia di Reggio. Un’ampia documentazione accurata di preti superpartes, che sono stati all’altezza della situazione e della loro missione. A questo proposito don Raimondo Zanelli, scrive:“in un primo tempo hanno difeso i deboli e gli oppressi dal nazifascismo, ospitando nelle loro canoniche ebrei, inglesi, fuggiaschi (…)Poi negli ultimi mesi, di guerra, hanno aiutato coloro che sono stati perseguitati dalla violenza comunista”, don Zanelli, riporta le gesta del mite don Venerio Fontana, figura evangelicache accoglieva tutti nella sua canonica e trovava il cibo per tutti. Alla sorella che viveva nel terrore per le rappresaglie, ripeteva: “Facciamo il nostro dovere davanti a Dio…E’ inutile che tu sappia a memoria le opere di misericordia, se non dai da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, e se non alloggi i pellegrini…La Provvidenza ci aiuterà…”. Un po’ quello che sta predicando Papa Francesco. Il momento difficile lo descrive bene don Trento Bonini:“Si era in guerra, e la situazione era ovviamente difficile; l’ambiente in cui vivevo era fortemente politicizzato, e noi sacerdoti dovevamo barcamenarci come potevamo. Dovevamo, cioè, ascoltare molto e parlare poco, limitando la nostra opera a sostegno delle miserie fisiche e morali (…) Ho visto, purtroppo, violenze commesse da entrambe le parti belligeranti(…)”. Il peggio della guerra civile per don Trento è “il seguito della guerra civile”. Leggendo le schede del libro di Maseroli Bertolotti, si racconta dipreti, schierati con la resistenza, che erano a tutti gli effetti dei partigiani, ma che poi si son dovuti pentire, come don Battista Guidetti, che ha raccolto il cadavere ancora caldo del suo confratello, don Luigi Ilariucci, trucidato dai suoi amici partigiani. Scrive don Giudetti: “da quel momento ho capito che alcuni partigiani, più che liberare l’Italia dalla occupazione tedesca, pensavano ad instaurare un regime comunista nel quale i sacerdoti erano uno scomodo, inutile ‘optional”.

Trovo di notevoleimportanza la scheda proposta nel libro su don Flaminio Longagnani, classe 1906, il sacerdote, deceduto nel 1991, ha prodotto un vero e proprio Diario,“Cronache della Parrocchia di Melotele”, preziose e documentate fonti che si trovano nella Curia Vescovile di Reggio Emilia. Qui si tratteggiano episodi caratterizzati da violenze dall’una e dall’altra parte, esecuzioni sommarie, epurazioni, commessi dai fascisti e dai comunisti, racconti ben dettagliati, “la popolazione viveva tra due fuochi…occorreva favorire gli uni e far piacere agli altri…la vita era diventata impossibile…”.

Stimolante la descrizione che fa il sacerdote dell’opera di scristianizzazione dei comunisti anticlericali nell’anno 1946. “I comunisti, pure dichiarandosi cristiani e cattolici per meglio accalappiare il povero popolo che ancora sente la sua Fede, vanno svolgendo una spaventosa opera di scristianizzazione con ogni mezzo, soprattutto gettando la loro bava contro il Clero, i Vescovi e il Papa, memori che ‘percosso il Pastore, viene disperso il gregge’”.

Le schede che presenta il libro sono tutte interessanti, termino facendo riferimento alla fierezza del novello arcivescovo di Reggio Emilia, monsignor Beniamino Socche, l’alfiere della lotta al comunismo. Il prelato era consapevole dopo l’uccisone di don Pessina, che “l’atteggiamento di violenza dei comunisti era più intenso di quello esercitato dai fascisti (…)il fascismo reggiano non ha ucciso preti in tempi di pace, il comunismo sì”. Monsignor Socche era stanco di vedersi ammazzare i Sacerdoti. “I nazifascisti avevano ucciso don Borghi, don Donadelli e don Pigozzi, nell’arco dei venti anni; i comunisti, in pochi mesi, avevano ‘fatto fuori’ don Iemmi, don Ilariucci, don Terenziani, don Corsi, don Mattioli, don Manfredi, don Pessina…”

Secondo uno studio eseguito dall’Azione Cattolica nel 1963, dovrebbero essere ben trecento i sacerdoti assassinati dal 1940 al 1946, l’ultimo fu don Umberto Pessina, ucciso da ex partigiani comunisti a Reggio Emilia, in località San Martino di Correggio, il 18 giugno 1946.

Luca Taldini nell’introduzione al testo di Maseroli Bertolotti dopo aver fatto l’elenco dei 12 religiosi uccisi nella provincia di Reggio Emilia: “Otto sacerdoti ed un seminarista dai partigiani comunisti, due sacerdoti dalle forze armate tedesche, ed un altro dai soldati della RSI”.Denuncia il silenzio omertoso delle istituzioni che ancora oggi sono incapaci “ad affrontare la vicenda dei sacerdoti uccisi dai partigiani, anche solo dal punto strettamente oggettivo di citare il fatto storico, permane fra i più giovani storici della Resistenza reggiana”. Mentre si festeggia con tanta enfasi il 70esimo della Liberazione non possiamo dimenticare queste uccisioni di sacerdoti. Infatti non è un caso che questi drammatici fatti storici ancora oggi trovano spazio soltanto in piccole case editrici e non in quelle più grandi. Peraltro,rimangono isolati gli sforzi di qualche studioso della Resistenza dei cattolici, che hanno avuto l’onestà di chiedere il riconoscimento storico dell’esistenza di questi crimini. Al contrario, è consuetudine ricordare solo i sacerdoti vittime della violenza fascista e tedesca. Nel dopoguerra, tranne monsignor Socche e due giornalisti, un partigiano delle Fiamme verdi, Giorgio Morelli, e monsignor Wilson Pignagnoli hanno osato sfidare il silenzio imposto dall’egemonia comunista. Morelli per questo suo impegno venne fatto oggetto di un agguato e morì per le conseguenze dello sparo poco tempo dopo. Anche lui un martire del Triangolo rosso.

 

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