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Nella giornata della memoria ogni anno si assiste al solito profluvio di interventi in tutte le salse, addirittura mi è capitato di vedere su Rai 3 un apposito programma di giochi a quiz, sull'olocausto. Sicuramente tra i tanti interventi quello che ha sollevato qualche clamore, sono le dichiarazioni del presidente Mattarella sul male assoluto del fascismo italiano, a cominciare dalle leggi razziali contro gli ebrei. Certo qui nessuno vuole giustificare gli errori storici del fascismo, in particolare, l'orrore delle leggi razziali, ma“E’ triste dover constatare che ancora oggi, dopo ben 42 anni e nonostante molto altro lavoro di storici seri e importanti, la lezione di Renzo de Felice non sia stata compresa [...]Ancora una volta l’invettiva di carattere politico prevale sull’analisi e sul giudizio storico confondendo tutto in un’unica sentenza confusa ed integralista””.(Massimo Weilbacher, “Guerre contro il tempo/ Gli anatemi di Mattarella e la lezione di Renzo De Felice”, 27.1.18, Destra.it)

Per avere qualche risposta storica in più che non sia quella suggerita dai talk show,  ho dato un'occhiata a un volumetto,“catturato” da poco nel solito outlet librario milanese, scritto da uno storico Romano Canosa, “A Caccia di ebrei”, Le Scie-Mondadori,  (2006). Sottotitolo: “Mussolini, Preziosi e l'antisemitismo fascista”.

In particolare ho posto la mia attenzione su alcuni capitoli che potrebbero arricchire un vero dibattito storico sull'argomento.

Il testo di Canosa a margine della questione ebraica italiana, ruota intorno alla vita politica di una figura alquanto misteriosa e poco conosciuta, un certo Giovanni Preziosi, un campano, ex religioso, uomo di pensiero, che per tutta la sua vita si è concentrato sul problema dell'”Internazionale ebraica” operante in Italia. Attraverso la sua rivista “La vita Italiana”, divenne l'uomo politico più antisemita in Italia. Anche se guardando la sua carriera di antisemita,“sembra possa dirsi che egli fu sempre assai lontano dai 'deliri' tipici di altre persone e di altri luoghi. Gli furono infatti estranee le fantasie mitico-razziali alle quali si abbandonarono ad esempio un Chamberlain o lo stesso Rosemberg”. Per quanto riguarda il “delirio”, si trattò sempre e comunque di un “delirio 'a bassa intensità'”. Anche se basava le sue teorie sull'antisemitismo sui “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, rivelatesi poi un falso storico.

Successivamente Preziosi si legò al gerarca fascista Roberto Farinacci, diventando il nume tutelare dell'antisemitismo, per molto tempo fu ignorato dal duce, soltanto durante la guerra ha ottenuto la sua attenzione con la nomina a Ispettore Generale per la razza. Piuttosto il nostro aveva rapporti diretti con i gerarchi nazisti, da Goebbels a Rosemberg fino allo stesso Hitler.

Nel testo di Canosa emerge chiaramente come la questione dell'ebraismo, era molto sentita in quegli anni, non tanto in Italia, ma nel resto dell'Europa. Sono interessanti a questo riguardo alcuni articoli pubblicati sulla rivista dei gesuiti,“La Civiltà Cattolica”. E comunque per restare all'Italia, secondo Canosa,“le tracce di antisemitismo, pure presenti in misura trascurabile nel pensiero liberale di fine secolo e in misura maggiore in quello cattolico, non furono mai tali che sulla loro base potessero sorgere e affermarsi teorie razzistiche antiebraiche di una qualche presa e pericolosità”.

Pertanto secondo Canosa,“sembrava un'impresa impossibile da realizzare quella di costruire un antisemitismo italiano degno di considerazione”.

Tuttavia se si vuole fare un po' di storia dell'antisemitismo italiano, nel IV capitolo, Canosa dà conto di quello che era successo in Italia, tra l'Ottocento e il Novecento e pare che la sola forma di antisemitismo, anche se lontano dalle forme estreme presenti in altre parti dell'Europa, fosse quello cattolico, almeno da quello che ha notato Renzo De Felice. Non si sa se questo sia dovuto allo scarso peso demografico degli ebrei in Italia (tra le 35 mila e le 40 mila persone) o perché non avessero mai occupato un posto di primo piano nella vita economico-politica del paese.

Fu durante il pontificato di Leone XIII che si intensificò un certo attacco della stampa cattolica contro gli ebrei, associandoli ai massoni. In primo piano c'era La Civiltà Cattolica che ha riservato almeno per un decennio una particolare attenzione agli ebrei europei e italiani. E lo stesso Preziosi, molti anni dopo, al tempo delle leggi razziali fasciste, ripubblica sulla sua rivista gli articoli pubblicati dalla rivista dei gesuiti, in particolare un articolo,“Della questione giudaica in Europa”del padre Raffaele Ballerini, apparso nel 1890. In particolare si fa riferimento alla polemica parallela su come considerare gli ebrei, tra due padri Oreglia e Guidetti.

Ritornando a Ballerini,“il padre gesuita iniziava con il notare quanto fosse viva in Europa, ancora alla fine del secolo XIX, la questione ebraica, quanto essa perturbasse le maggiori nazioni, preoccupate per 'l'invasione degli israeliti in ogni appartenenza della vita pubblica e sociale' e come in Francia, in Austria, in Germania, in Inghilterra, in Russia, in Romania e in altri luoghi fossero sorte delle leghe per arrestarla”. Ballerini era convinto però che la “questione giudaica”non nascesse per odio di religione o di stirpe, “In realtà essa nasceva dall'abbandono da parte degli ebrei della legge mosaica e dalla sua surrogazione con il Talmud”. Il cardine del talmudismo prevedeva “l'oppressione e la spogliazione dei popoli che ai suoi seguaci avessero concesso ospitale soggiorno”. Non solo ma secondo il talmud, gli israeliti sono la razza superiore del genero umano e che solo a loro compete il diritto di conseguire il pieno “possesso dell'universo”.

Interessante a questo proposito le considerazioni di padre Ballerini in riguardo alle rivoluzioni dell'Ottocento che hanno portato alla scomparsa di numerose monarchie e ordinamenti cristiani, senza che i popoli beneficiassero di nulla. Il tutto unicamente a pro del giudaismo. Fanno impressione le riflessioni del padre gesuita sulle condizioni dell'impero asburgico, qui come in nessun altro luogo, in trent'anni dalla loro  emancipazione, hanno conquistato il potere in ogni ambiente.“Nella capitale austriaca essi avevano occupato le banche e con questo il giro del pubblico denaro […] Tutti i primari giornali erano in mano loro ed erano diretti e scritti da 'centodieci loro confratelli'. Loro monopolio era anche l'università, della quale occupavano pressoché tutte le cattedre[...]”. Ulteriori riflessioni si trovano in merito alla rivoluzione bolscevica russa, organizzata perlopiù da elementi molto vicini al giudaismo. Soltanto due, Lenin e Cicerin, erano russi, “gli altri diciassette erano tutti figli di Israele”.

Il libro di Canosa ripercorre le varie vicende su come si è giunti alle leggi razziali, alle posizioni dei giornali e in particolare alle spinte di Preziosi e Farinacci. Il testo fa riferimento ai vari provvedimenti, ai vari criteri su chi doveva essere discriminato, su chi poteva essere espulso e chi no.

Infatti dando uno sguardo ai decreti legislativi riguardanti le leggi razziali, c'erano almeno sette categorie esentate dalle discriminazioni, almeno nella prima fase delle leggi. Probabilmente poi con la degenerazione della guerra ai nazisti non importava più nulla delle varie discriminanti delle leggi razziali fasciste. Infatti “la guerra portò con sé una nuova grave vessazione nei confronti degli ebrei, costituita dall'internamento”. Canosa riporta due circolari telegrafiche, inviate alle prefetture con elenchi di ebrei pericolosi da internare. E qui ritorna a farsi sentire la Santa Sede insistendo sugli inconvenienti prodotti dalla legislazione razziale nell'ambito dei matrimoni misti. riporta i vari e dolorosi rastrellamenti di ebrei nelle città italiane.“Gli arrestati dell'Italia settentrionale furono condotti nel carcere milanese di San Vittore che fungeva da luogo di raccolta”. E dopo portati alla stazione Centrale caricati su carri merci, furono spediti per il campo di concentramento di Auschwitz. Tuttavia da tutti i riferimenti riportati nel libro, appare evidente “la sostanziale connivenza delle autorità italiane, 'grandi' e piccole, nei confronti dei tedeschi, alle cui richieste, contrastanti con le leggi italiane vigenti, il più delle volte non venne mossa neppure la più blanda delle obiezioni e, nei casi in cui venne mossa, rientrò immediatamente, non appena i tedeschi fecero mostra di qualche insistenza”.

“Le leggi razziali non restarono senza eco nella Chiesa e negli ambienti ufficiali cattolici, i quali ebbero a manifestare qualche perplessità nei loro confronti, anche se di modesta entità”. La Civiltà Cattolica, tirata in ballo da Preziosi, ritenne opportuno precisare il suo punto di vista sulla questione ebraica in due articoli a firma di Enrico Rosa. Praticamente si precisava che i testi di Ballerini, di cinquant'anni fa, erano stati scritti in altri contesti e probabilmente era stato travisato il suo pensiero, che non rappresentava un “programma di vendetta o di rappresaglia”, o di “guerra senza quartiere” contro gli ebrei. Anzi,“esso era invece un caldo e motivato richiamo alla vigilanza e alla difesa, efficace ma pacifica, contro un pericolo e disordine civile, non meno che religioso e morale, della società moderna, minacciata dal giudaismo”. A questo punto Canosa ci tiene a precisare che “quello mussoliniano, almeno fino al momento in cui il Rosa scriveva, non appariva (e non era), a differenza di quello nazista, un atto di guerra contro gli ebrei, ma rassomigliava stranamente proprio al programma di 'vigilanza e difesa, efficace ma pacifica' del Ballerini [..]”. Canosa passa poi all'atteggiamento tenuto nei confronti delle leggi dalla Santa Sede, e si dà conto di una serie di lettere dove si prospettavano preoccupazioni sulle varie discriminazioni, in particolare ai matrimoni misti. In particolare si fa riferimento a due lettere di Pio XI, una al Presidente del consiglio e l'altra al Re.

Tuttavia Canosa sull'atteggiamento della Chiesa nei confronti delle leggi, è d'accordo con lo storico De Felice, che scrive:“In cinque mesi di trattative in pratica mai la Santa Sede affrontò ex professo la questione dell'antisemitismo. Anche nei momenti di più accesa polemica, questa si rivolse genericamente contro il razzismo, mai contro l'antisemitismo”. Anche se il Papa e la maggioranza delle gerarchie cattoliche “era, in sostanza, desiderosa di non apparire, agli occhi dell'opinione pubblica fiancheggiatrice della politica razziale fascista, perchè temeva che questa potesse, sull'esempio tedesco, degenerare in un anticristianesimo [...]”.

Lo studio di Canosa prende in considerazione una grande vastità di argomenti, spesso anche complessi, pretendendo forse di dare a tutti qualche risposta, ma non è certamente facile, come si può notare esaminando il testo.

Il Rinascimento, come abbiamo visto, col suo umanesimo paganeggiante, stimolò quello spirito d’orgoglio e di autonomia, che dopo il peccato originale, ci caratterizza in quanto uomini e contro il quale, chi più, chi meno, tutti dobbiamo lottare. L’individualismo trionfò e contro i sani dettami della filosofia scolastica, vietava all’uomo di consegnarsi ad una qualsivoglia autorità a lui esterna. Questa fu una delle tante cause umane, che determinò quella Riforma ,che-non entro nel merito della questione teologica, la quale esula dagli scopi di questo articolo-, secondo il già ricordato storico  gesuita J. Lortz è la più grande catastrofe abbattutasi sulla Chiesa nell’intero corso della sua storia, fino ad oggi. Naturalmente, fu un evento di tale portata , da avere anche ripercussioni politiche e sociali: quelle che ci interessano in questo scritto. Il monaco agostiniano Martin Lutero (1483-1546), l’iniziatore della Riforma, da un punto di vista culturale non aveva conosciuto direttamente la Scolastica del duecento, di stampo tomista, ma non solo,  bensì quella decadente del trecento, quella occamista. L’occamismo come già visto in precedenza, ribaltò il rapporto tra intelligenza e volontà, persino in Dio stesso, del quale fu messa in particolare rilievo, l’Onnipotenza della Volontà, a scapito del Logos ordinante ed immutabile, in modo tale, che Egli avrebbe potuto cambiare, ad es., la morale e comandare, come giusto, anche l’omicidio …; la ragione umana, insomma, si riduceva a mera tecnica: l’uomo si salvava solo per mezzo della volontà. Lutero dall’occamismo ereditò una sfiducia nelle capacità della ragione umana, ma reagì “violentemente” al suo volontarismo: così, mentre umanesimo e occamismo sopravvalutavano l’azione dell’uomo nella salvezza, l’ex monaco agostiniano l’annullò, ponendo la “giustificazione”, unicamente nei meriti di Cristo, senza alcun concorso umano. Come notò argutamente Papa Benedetto XVI (2005-2013) nell’Enciclica Spe Salvi al par 7, Lutero, fra gli altri, mutò il termine greco usato nella Lettera agli Ebrei (elenchos), in riferimento alla fede, che ha valore oggettivo di prova, in Festsehen, che ha quello soggettivo di convinzione, dando il là definitivo al soggettivismo. Da lì il passo alla ribellione e al disgregarsi dell’Europa, fu breve. Certo, la Chiesa di Roma aveva le sue colpe, soprattutto negli uomini di curia. Lo storico Daniel Rops ha definito la Chiesa alla vigilia del Concilio di Trento,(1545) come «un cadavere in brandelli» . Lo scrittore cattolico più celebre, Vittorio Messori, descrivendo la situazione della Chiesa rinascimentale, ha affermato: «La Chiesa sembrava un infermo senza speranza, ormai allo stadio terminale, anche perché mancava di uomini: ce ne erano tanti, forse fin troppi, abili, talvolta abilissimi, in ogni specie di arte, nelle scienze, nella politica, nella diplomazia,magari nella guerra». Mancavano, in pratica, teologi e filosofi di rango, che non fossero semplici ripetitori del passato, dai quali si sarebbe dovuti ripartire. In questa situazione, la riforma luterana ,pur iniziata con la voglia e il desiderio di purificare la Chiesa dai suoi eccessi, ben presto si allontanò dall’ortodossia.  D’altronde, sempre seguendo qui il valido ragionamento di  Messori, la situazione morale della periferia della Chiesa non coincideva con quella romana, certamente meno evangelica; erano quelli, tra le altre cose, gli anni in cui operava il nepotismo di alcuni pontefici. Messori cita a sostegno, un’interessantissima considerazione di uno dei massimi avversari del cristianesimo, in particolare nella sua versione cattolica, Friedrich Nietzsche (1844-1900), che nella Gaia scienza, scrisse: «All’epoca della grande corruzione della Chiesa, essa era in Germania, pochissimo corrotta… relativamente parlando, nessun popolo fu mai più cristiano dei tedeschi all’epoca di Lutero; la loro cultura cristiana era giusto pronta per sbocciare in una centuplicata magnificenza di fioritura. Non mancava ancora che una sola notte: ma questa portò la tempesta che pose termine a tutto». Impressionante il mysterium iniquitatis, qui sicuramente all’opera… La chiesa, pur a “brandelli”  reagì splendidamente; le cronache di quei tempi ricordano, che il giorno d’apertura del tridentino, parteciparono alla processione inaugurale la “miseria” di 4 cardinali, 4arcivescovi, 21 vescovi e 5 padri generali di Ordini religiosi, su oltre 600, che ne avevano teoricamente diritto. Sui risultati raggiunti da quell’assise,ascoltiamo ancora Messori: «In una Chiesa dalla struttura umana esausta,corrotta, interessata più agli studi umanistici che a quelli biblici, più alla scienza e alla bellezza del mondo che alla stultitia crucis, in una Chiesa così, chi avrebbe immaginato che si nascondesse una tale sapienza teologica da definire con nettezza stupefacente(in fondo, per la prima volta) il cattolicesimo nella sua piena ortodossia?» Domanda questa, che può avere risposta solo nella fede nel Suo Signore, che promise con il non praevalebunt, l indefettibilità della Chiesa. Sul piano politico-sociale il Concilio di Trento (1545-1563) incise nel profondo sui paesi,che si mantennero fedeli a Roma. L’Europa divenne una sorta di “campo di battaglia”, per quelle che,indebitamente, furono definite guerre di religione. La realtà, infatti, ci parla di guerre per l’egemonia politica, che ebbero la religione a pretesto. Cattolici e protestanti si scontrarono,sì, ma spesso mischiati fra loro e non solo! La Francia, figlia primogenita della Chiesa, non esitò a schierarsi con la Germania protestante e con i Turchi (!), pur di interrompere l’egemonia politica dell’altrettanto cattolica Spagna di Carlo V(1500-1558). La Francia, non paga di ciò, ostacolò pure il tentativo degli Asburgo d’Austria, nel 600, e della stessa Spagna, di reprimere- anche per motivi economici- il calvinismo nei Paesi Bassi, specialmente nelle province Unite (Olanda), divenute, nel frattempo, la massima potenza economica in Europa. I protestanti, grazie all’aiuto economico/militare della cattolica Francia, riuscirono a sventare i progetti della casa reale austriaca. Dal 1618 al 1648 si combatté la guerra dei Trent’anni, al termine della quale, con la pace di Westfalia, si sancì ufficialmente la divisione dell’Europa tra cattolici e protestanti. Inoltre, fu esteso, a livello continentale, il principio sancito con la Pace di Augusta(1555), cuius regio eius religio, secondo il quale, i principi tedeschi avevano la potestà di scegliere la religione dei propri sudditi. A ben vedere, questo principio negava in radice, l’identità stessa delle comunità nate dalla Riforma, strutturatesi storicamente come Chiese della libertà. A meno di 30 anni dal suo’esordio, infatti, la Riforma fece svanire le libertà promesse. Si era passati, da una libera sottomissione al Papa, ad una forzata sottomissione al Principe. Questione nodale, questa, messa a fuoco,lucidamente, dal già citato J. Lortz: «Nella  pace di Augusta non solo i seguaci della Riforma acquistarono il diritto di organizzare la loro vita religiosa ed ecclesiastica secondo la loro coscienza, a differenza e in opposizione alla forma cattolica passata, ma al tempo stesso fu gravemente minata  la libertà di coscienza: il potere civile ottenne il diritto di disporre della coscienza dei sudditi». Possiamo rilevare, che fu messo in moto un meccanismo pericoloso, giunto fino a noi; negli ultimi anni, infatti, a livello legislativo, usando in modo distorto il diritto, si sta tentando di “silenziare” la coscienza, soprattutto sui temi di bioetica, di chi non si allinea alla Vulgata corrente, sedicente progressista ed orientata verso un’autodeterminazione assoluta dell’uomo.  La pace di Westfalia, peraltro, fu un grave colpo all’unità europea, così com’era stata fino ad allora. I singoli Stati,infatti, si configurarono sempre più come autonomi gli uni rispetto agli altri e,dunque, con una conflittualità reciproca,  potenzialmente, più accentuata; esattamente, quel che ci ha poi dimostrato la storia successiva.  La concezione del Sacro Romano Impero fu minata fin nelle fondamenta; nelle parole del filosofo W. Leibniz (1646-1716), esso era stato una sorta di «repubblica comune delle genti cristiane, di cui erano capi il pontefice per le cose sacre e per le temporali l’Imperatore». Una breve, ma efficace descrizione di quel che l’Impero ha rappresentato per la storia europea, la troviamo nelle parole dello scrittore tedesco, massacrato dai nazisti, F. Malleczewen (1884-1945): «E’ un sogno passato l’unità cristiana; è un ricordo il tempo in cui al signore imperiale del mondo visibile era affidato il compito di trovare nell’idea dell’antico impero e nell’invisibile la formula sacra della riconciliazione dei popoli e della pace sulla terra. Sapevamo che tale formula non esiste su questa terra insanguinata, ma pur sapendolo, la cercammo».

La distruzione dell’unità religiosa, all’interno stesso della civiltà europea, divenne ‒ secondo Lortz ‒ ,probabilmente, la causa più forte dell’attuale età ostile alla fede. Il moltiplicarsi, in seno all’unità cattolica, di svariate confessioni, che si richiamavano,ugualmente, al cristianesimo, infatti, fece sorgere il dubbio su quale potesse essere quella vera. Il discorso,ovviamente, deve proseguire.

 

Dopo aver letto i libri peraltro ben documentati di Lorenzo Del Boca, Aldo Cazzullo, “Plotone di esecuzione” di Forcella e Monticone o i 3 volumi sui Vescovi veneti curati da don Antonio Scottà, la voglia di commemorare o di celebrare, il 4 novembre, la vittoria più o meno “mutilata”della 1 Guerra mondiale viene decisamente meno. Certo ancora assistiamo a celebrazioni istituzionali (sindaci, assessori e varie autorità pubbliche) che si prestano ogni anno a questa vuota ritualità, lo fanno per inerzia, senza conoscere la vera storia della guerra. Tuttavia, festeggiare una mattanza come quella della 1 Guerra mondiale, è un po' troppo. Anzi bisogna chiedersi se è stata“un'impresa gloriosa o una carneficina insensata, voluta da cinici politicanti e condotta da ufficiali codardi e incapaci?” E se poi si vuole ricordare qualcosa, piuttosto dovremmo festeggiare quando la guerra finisce: il 3 novembre, come scrive Del Boca nel suo ultimo libro.

Del resto anche Cazzullo nel suo “La guerra dei nostri nonni”, edito da Mondadori (2014), dopo aver apprezzato che la guerra ha unito maggiormente l'Italia, facendogli fare il salto di qualità: non più un nome geografico, ma una nazione vera e propria. Ma nonostante la retorica, racconta le gravissime  responsabilità dei politici, dei nostri generali, affaristi, intellettuali, a cominciare da D'Annunzio che trascinarono il Paese in un grande massacro.“Per i futuristi, i vitalisti, i nazionalisti, - scrive Cazzullo - l'ingresso dell'Italia in guerra è una vittoria culturale. La loro linea violenta, sciovinista, superomista ha prevalso sulla prudenza di gran parte della nazione[...]”

La grande guerra del 15-18 fu una terribile carneficina, in cui persero la vita più di un milione di persone, tra militari e civili. Mentre in tutto il mondo, i morti furono 37 milioni: un’ecatombe che ha spazzato via quasi un’intera generazione.

Cazzullo consultando diversi testi racconta la Prima guerra mondiale vista attraverso gli occhi della gente comune che vi ha partecipato, senza addentrarsi eccessivamente nelle complesse vicende politiche in cui il nostro Paese venne coinvolto e senza le proiezioni tipiche dello storico, diventa in queste pagine un’incredibile e straziante avventura alla quale furono chiamati a partecipare migliaia di uomini, per lo più contadini, ignari del loro destino e delle sorti del mondo.

Fu una guerra di posizione, combattuta palmo a palmo nelle trincee del Carso, sui monti dell’Isonzo, a Caporetto. Un fronte caldissimo in cui il nemico austriaco era talmente vicino che nella notte se ne potevano ascoltare le voci e in cui, per l’avanzata di pochi metri, venivano sacrificati interi reggimenti. La testimonianza del tenente Salsa è agghiacciante: “il terreno conquistato era coperto di morti[...] non si poteva andare più oltre […] era un'ubriacatura. Coloro che confezionavano gli ordini li spedivano da lontano; e lo spettacolo della fanteria che avanzava, visto dal binocolo, doveva essere esaltante. Non erano con noi, i generali; il reticolato non l'avevano mai veduto. I nostri soldati si fecero ammazzare così a migliaia, eroicamente, in questi attacchi assurdi che si ripetevano ogni giorno, ogni ora, contro le stesse posizioni”.

I soldati al fronte hanno dovuto affrontare il freddo, il cattivo equipaggiamento, la fame, le scarse condizioni igieniche, le malattie letali come il tifo, il colera e influenza spagnola che non risparmiò certo quelli che erano rimasti a casa. Tutte queste malattie, sconvolsero le nostre truppe più della mitraglia e del gas usato dal nemico.

Il testo di Cazzullo mette in risalto il coraggio dei nostri soldati ma nello stesso tempo l'inettitudine, l'impreparazione, talvolta il sadismo dei nostri comandanti.

Nei racconti allucinati dei superstiti lo spavento e la disperazione è tale che molti dei soldati andavano incontro alla morte quasi fosse una liberazione. L’esercito italiano era fatto di contadini legati alla terra, che seppero difendere la loro terra e le loro montagne con grandissimo valore.

Cazzullo fa i nomi di quei comandanti sadici che impartivano ordini e magari non videro mai le linee nemiche e che decimarono i loro stessi uomini, come il generale Graziani da Bardolino, Verona. Tra il 23 e il 26 maggio 1917, va in giro con il moschetto a caccia di soldati che tornano indietro dall'assalto. Naturalmente Cadorna apprezza. “Si fucila a caso, con una spietatezza che indigna un testimone americano: Ernest Hemingway[...]”. Un reduce, Cesare De Simone racconta: “tutte le volte che c'era un attacco arrivavano i carabinieri[...] i loro ufficiali li facevano mettere dietro in fila dietro di noi e noi sapevamo che, quando sarebbe stata l'ora, avrebbero sparato addosso a chiunque si fosse attardato nei camminamenti invece di andare all'assalto”. Tutti i libri raccontano il crudele ruolo assunto dagli uomini della“Virgo Fidelis” nella 1 guerra mondiale.

Finché rimase al comando il generale Luigi Cadorna le licenze concesse ai soldati furono rare, mentre le punizioni esemplari per i disertori o i dissidenti furono frequentissime.  Numerose le testimonianze di fucilazioni di quanti si rifiutarono di obbedire ad ordini assurdi Solo con il passaggio al comando del generale Armando Diaz, dopo Caporetto, le condizioni dei soldati migliorarono leggermente.

Nelle pagine del testo, Cazzullo offre moltissimi, e tutti interessanti, punti di vista. Troviamo le testimonianze rinvenute nei diari dei soldati semplici, ma anche gli articoli apparsi sui giornali del tempo. Non mancano i racconti dei grandi poeti e scrittori italiani, tra cui Carlo Emilio Gadda e Giuseppe Ungaretti, che raccontarono con un linguaggio nuovo e impressionante la loro guerra. Senza l’enfasi dei Futuristi o del Vate D’Annunzio.

Tra le pagine più belle, quelle in apertura del libro. Si racconta la repressione violenta della rivolta di un reggimento di fanteria, decimato dal colonnello, che ordina di fucilare dieci soldati estratti a sorte e tra di loro addirittura due “complementi”, soldati giunti dopo la rivolta. E quando il povero disgraziato soldato bendato gli ricordava che lui non c'era quel giorno della rivolta e chiedeva di essere graziato, il colonnello paternamente risponde: “Figliolo, io non posso cercare tutti quelli che c'erano e che non c'erano. La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio ne terrà conto. Confida in Dio”.

Il testo dà conto degli italiani d'Austria, dei Trentini e dei Giuliani, considerati traditori  traditori dagli Austriaci prima e dagli Italiani poi. Terribili le pagine in cui Cazzullo racconta gli stupri etnici … le nostre nonne subirono azioni atroci. Si è persa memoria dello “stupro del Friuli” e della “tragedia” cioè dei ”figli nati dalle violenze” così tanti “che si dovette aprire un orfanotrofio” per “gli orfani dei vivi”. Nessuno infatti voleva saperne di quei “piccoli tedeschi” bastardi.

Da buon giornalista, Cazzullo riesce a raccontare diversi particolari come quello dell'artigliere ventunenne di Viterbo, condannato a 22 mesi di carcere per aver detto a suo padre di riferire alla gente che la guerra è ingiusta, perché voluta da una minoranza di uomini.
Cazzullo ci fa sentire la voce di soldati, contadini, ufficiali nobili. E, forse per la prima volta, anche quella delle donne: crocerossine, prostitute, portatrici, persino spie alla Mata Hari.

Siamo cresciuti coi racconti di guerra dei nostri nonni, dei nostri zii, che ci raccontavano la Storia della gente comune, dei contadini, dei ragazzi del Sud, come ha ben scritto Lorenzo Del Boca, ne “Il sangue dei terroni”. E' la microstoria che viene raccontata dal libro di Cazzullo. La Grande Guerra non ha eroi. I protagonisti non sono re, imperatori, generali. Sono fanti contadini: i nostri nonni. Furono in molti a dover abbandonare le famiglie sotto le tende per recarsi al fronte. Magari scamparono alla Natura Matrigna, ma non al folle Cadorna.

Aldo Cazzullo racconta il conflitto ’15-18 sul fronte italiano, alternando storie di uomini e di donne: le storie delle nostre famiglie. Perché la guerra è l’inizio della libertà per le donne, che dimostrano di poter fare le stesse cose degli uomini: lavorare in fabbrica, guidare i tram, laurearsi, insegnare. Le vicende di crocerossine, prostitute, portatrici, spie, inviate di guerra, persino soldatesse in incognito, incrociano quelle di alpini, arditi, prigionieri, poeti in armi, grandi personaggi e altri sconosciuti.

Attraverso lettere, diari di guerra, testimonianze anche inedite, “La guerra dei nostri nonni” conduce nell’abisso del dolore: i mutilati al volto, di cui si è persa la memoria; le decimazioni di innocenti; l’«esercito dei folli», come il soldato che in manicomio proseguiva all’infinito il suo compito di contare i morti in trincea. Sono testimonianze di una sofferenza che oggi non riusciamo neppure a immaginare, sia le tante storie a lieto fine come quelle raccolte dall’autore su Facebook.

Per avere piena consapevolezza dell'inutile crudeltà di questa guerra e quindi per non festeggiarla, basterebbe leggere i 2 capitoli del libro di Cazzullo, che mi hanno maggiormente colpito, che riguardano gli effetti della guerra: i troppi mutilati (“i soldati senza più volto”) e i troppi malati mentali (“l'esercito dei matti”). L'Italia nella Grande Guerra ebbe un milione di feriti, (mutilati, storpi, senza occhi, senza mani, muti, sordi). All'inizio della guerra, tra i soldati schierati in prima linea, la percentuale dei feriti arrivò al 90%, “praticamente - secondo Cazzullo - tutti passarono attraverso il momento di terrore in cui si perde o si rischia di perdere una parte di sé”. Sostanzialmente bastarono i primi giorni per riempire gli ospedali militari di mutilati., naturalmente da nascondere con cura. Alcuni addirittura, perfino nel 1919, a guerra finita, per la loro mostruosa mutilazione, si impediva ai familiari di vederli o si faceva credere che fossero morti o dispersi.“Sui mutilati al viso è calato un lungo oblio, infranto dal documentario girato nel 2004 da Yervant Gianikian e Georg Trakl[...] i due cineasti hanno mostrato, grazie a immagini censurate per quasi novant'anni, le conseguenze umane e sociali della Grande Guerra”. Basterebbero queste sole immagini per rappresentare in maniera definitiva l'orrore indicibile della guerra.

Infine c'è il racconto dei cosiddetti “scemi di guerra”, Cazzullo riporta gli studi di una ricercatrice, Annacarla Valeriano, dell'università di Teramo. Questa donna, ha ritrovato le cartelle cliniche e le lettere dei fanti ricoverati nel manicomio della sua città e poi estendendolo a tutto il territorio nazionale. “Ne esce un martirologio straziante, che la Valeriano ha pubblicato dalla casa editrice Donzelli con un titolo tratto dalle annotazioni cliniche dell'epoca: 'Ammalò di testa'. Lo studio della Valeriano, rappresenta uno“una discesa agli inferi di una sofferenza immensa e dimenticata”. Cazzullo nel capitolo, riporta un'ampia antologia di casi di malessere significativo, soldati rimasti per sempre segnati dalla guerra. Peraltro vengono colpiti anche i familiari a casa, soprattutto, le donne, le mamme che aspettano il figlio o il marito.

“Le ferite o le mutilazioni mettono in dubbio la propria identità, il proprio ruolo sociale. Il fante tornato a casa non sa più chi è. La guerra è qualcosa più grande di lui. La tecnologia della morte lo sovrasta. Il nemico che uccide senza mai mostrarsi diventa un'ossessione. A volte i peggiori nemici sono gli ufficiali italiani: è lo Stato, tradizionalmente assente, che si manifesta in modo improvviso, con tutto il suo potere coercitivo e la sua ottusità al limite della crudeltà.

Pertanto concludo ancora con la domanda: tanta inutile crudeltà, tanta carneficina insensata, come è stata la guerra voluta da una minoranza degli italiani, merita essere festeggiata?

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