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ROBY3

Cammina con le stampelle perché è stato colpito dalla poliomelite quando aveva solo un anno. Ma con lui c'è sempre una chitarra. Roberto Bignoli si siede, poi sorride. Lo fa non solo coi denti, lo fa con gli occhi. E quello è il sorriso che entra dentro chi gli sta davanti. Stringe le mani a chi lo saluta, poi stringe con affetto la chitarra. E inizia a cantare. La sua voce è roca, graffiante: scava l'anima ma è proprio questo il suo obiettivo. Perché le canzoni di Bignoli sono bellissime preghiere.

<<Annuncio il Vangelo nel modo più semplice del mondo>>, dice. <<Cantando. Uso la musica, la mia voce, il mio talento per parlare di Dio. Il sistema più spontaneo per raccontare la mia fede.>>

Roberto Bignoli, 58 anni, è una delle personalità più straordinarie del moderno panorama musicale. E' il maggiore esponente italiano della "christian music", nella sua carriera ha vinto cinque "UCMVA Unity Award", cioè i Grammy americani per la musica cristiana cattolica, ed è anche autore della sigla mondiale di Radio Maria, quella "Ballata per Maria" che un milione e mezzo di ascoltatori giornalieri ha imparato a conoscere così bene.

Alle spalle, Bignoli ha una storia che sembra uscita da un romanzo di Dennis Lehane. Nella sua vita, il cantautore ha sperimentato l'intera gamma delle emozioni umane: l'abbandono, la disperazione, la rabbia e la ribellione, la droga, il carcere e poi la speranza, la gioia, l'amore. Quello con la A maiuscola, quello di Maria. <<Ad un certo punto, la Madonna ha illuminato la mia vita e sono diventato un uomo sereno>>, dice.

Bignoli ha raccontato la sua storia in un libro appena uscito, intitolato "Il mio cuore canta", scritto con Andrea Pagnini, edito da Piemme. Un concentrato di fede, dramma, sorrisi e lacrime, musica e quella felicità cristallina che solamente chi sa affidarsi completamente alla Provvidenza del Cielo può manifestare. <<A volte mi sento come il brutto anatroccolo della fiaba>>, dice ancora Bignoli. <<Come una di quelle persone che la vita mette ai margini, sepolte dalla sofferenza, ma che poi scoprono l'Amore di Dio e si sentono rinascere, piene di una forza mai sperimentata prima.>>

<<Avevo un anno quando mi sono ammalato>>, continua Bignoli, <<Ma i miei non erano in grado di occuparsi di me e così fino a quindici anni sono vissuto in vari istituti. Crescevo senza il calore dell'amore di una famiglia e questo mi aveva incattivito. Ero ribelle, irrequieto, ringhioso come un lupo ferito. Solo nella musica trovavo un attimo di sollievo. A vent'anni facevo parte di vari gruppi contestatori, ragazzi che erano chiamati "freak". Girava la droga, e nello "sballo" tentavo di scappare via dalla solitudine che sempre era al mio fianco. La polizia mi arrestò perché avevo della "roba" in tasca e mi feci quasi un mese di galera. Ma non servì a farmi cambiare strada: ero terribilmente infelice e reagivo con aggressività. Cercavo risposte nell'hascisc, nell'LSD, nella violenza. Tutte strade senza meta. Non lo sapevo, ma Dio mi stava aspettando.

<<Suonavo in una band, le mie canzoni avevano successo e avevano colpito anche alcuni ragazzi del movimento carismatico “Rinnovamento nello Spirito”. Vennero a trovarmi e mi dissero "Gesù ti ama". Fu come se mi avessero dato un pugno in pieno volto. Vivevo sulle stampelle, ero stato in prigione, mi drogavo, ero arrabbiato con il mondo intero eppure, a quanto dicevano quei ragazzi, Gesù mi amava. Era incredibile ma nello stesso tempo irresistibile. Cominciai a frequentarli e qualche mese dopo andai con loro in pellegrinaggio a Medjugorje. Fu un'esperienza straordinaria. Ogni giorno mi trovavo di fronte gentilezza, disponibilità, generosità: cose alle quali non ero abituato. Un francescano, padre Slavko Barbaric, mi portò ad assistere all'apparizione e mentre i veggenti cadevano in ginocchio all'unisono, io mi sentii cambiare. Per la prima volta avvertii un senso di pace, di serenità. Era come un balsamo. Nel mio cuore, sentii che ero amato davvero, di un amore infinito e materno. Pregai come mai avevo fatto prima e chiesi alla Madonna la grazia di trovare una strada che finalmente desse un senso alla mia vita. E così è stato.

<<Da quel momento ho messo la mia musica al servizio di Dio>>, ha detto Bignoli. <<E il mio cuore non ha più smesso di cantare.>>

Foto Roberto Bignoli

 

Riprodurre, in musica, l'istantaneità del parlato e' pratica abbastanza diffusa nel jazz. Ma lo è comunemente nelle musiche popolari, altra latitudine in cui i suoni trovano ampie praterie entro cui liberarsi.  C'è un ulteriore squarcio all'interno del quale possono dipanarsi melodie e ritmi, in modo diretto, immediato, attraverso fraseggi non scritti o comunque non dettati a monte ma costruiti, per così dire, a valle. On the borders, ai loro confini, nei loro interstizi mediani, si possono ritrovare esecuzioni come quelle contenute nell'album Instant Dialogues. E' li che Ciccio Merolla, percussionista, e Riccardo Veno, fiatista (termine di sintesi che sta per clarinettista sassofonista flautista e via annoverando strumenti come ciaramelle, sipsi, chalumeaux) si incontrano per dialogare, in assetto strumentale acustico, con il supporto dell'immaginazione creativa, su alcuni canovacci di massima: il brano sulla tribù Kadar, sul dio percussore di suoni Myo-On, su Anemos il Soffio e Gharbi' il vento dell'ovest che porta il sereno, che pare di scorgere sull'orizzonte nella foto di copertina di Mimmo Jodice; poi il canto segreto a una donna araba dal nome Najla e quello semplicemente primordiale, grecoantico, Melos, con sullo sfondo campane tibetane. La label Jesce Sole, manco a dirlo, opera a Napoli, al centro del Mediterraneo, capoluogo d'acqua della indoeuropeita', luogo simbolo di incroci est-ovest nord-sud fra culture ed etnie, migrazioni ed immigrazioni, melting pot prima di New Orleans. I due dialoganti navigano a vista fra quelle acque guardando anche ad ovest in Madiba, direzione afroamericana e verso il centro dell'Africa, in Sabbie, dove paiono accompagnare il passo delle carovane mentre il sax surriscalda con granelli cocenti scossi dalle percussioni quel certo suono esteso ma freddo alla Garbarek. Suggestivo anche il brano Sunday, sempre incedente mai tammurriante.
E, dal safari fra le note, e' nato questo mappamondo sonoro di Instant Dialogues.

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Ten Years After. Dieci anni dopo W La Black, Louis Moholo torna in Puglia da Cape Town per partecipare, da amico del leader scomparso lo scorso dicembre, oltre che da batterista, a For Mandela, la produzione a marchio Talos della MinAfrique Orchestra per il 2014. Organico allargato a quattro voci femminili - Manosperti, Eramo, Montecalvo e Julie Tippett - ed al pianista Keith Tippett, nella rivisitazione di un repertorio, in gran parte from Sudafrica, impegnato di sociale e di contenuti extramusicali. Una musica ammaliante, corale, popolare nell'accezione più nobile del termine, ricca di fonti dal paese di Mama Afrika, Miriam Makeba. Musica antagonista e drammatica di musicisti in diaspora, musica in esilio, accolta in Inghilterra, a Londra, sede della Ogun, etichetta indipendente nata nel '74, focalizzata su musicisti inglesi e sudafricani, oggetto di una specifica giornata di approfondimento a cura di Hazel Miller, Riccardo Bergerone e Roberto Ottaviano.  Nel concerto in questione Melodia e Ricerca, due dei tre ingredienti che condiscono quest'edizione de Festival (l'altro e' la Follia) sono ampiamente presenti a delinearne l'identità angloafricana e nella rappresentazione di un momento storico politico del recente passato, quello dell'apartheid, che si vuole ancora e definitivamente esorcizzare: "Il jazz e' un grido di sofferenza ma anche d'amore" e' il messaggio lanciato da Pino Minafra, direttore artistico della manifestazione. Tutto questo a Ruvo, non in un sabato qualunque, ma in una notte minAfricana.
Il week end del Decatlon concertistico che si è chiuso giorno 14 registra altre segnalazioni d'obbligo. Il Quartetto Orobico, con Trovesi al sax, ha tolto dal cilindro la Carpinese, beguine già in repertorio dell'ottetto, una Tammurriata nera funky, una ballad omaggio al compianto Gaslini, una Canzoncina dal vago sapore jazz anni 60 e nel finale la cavalcata in note su Le mille bolle blu, accelerazione progressiva, tipo sirtaki. Un auto in discesa senza freni, a folle, appunto. Altro clou. Da Amsterdam, l'Instant Composers Pool Orchestra, orfana di Misha Mengelberg, ora che motivi di salute gli Impediscono di salire sul palco, e il documentario di Cherry Duyns ne testimonia il distacco dalla scena, fisico non spirituale, si è presentata come compagine per cui l'Improvvisazione-Creazione istantanea e' pratica corrente e ricorrente. La forza della ICP sta poi nella coesione del collettivo, nella disinvoltura con cui si sposta su differenti fronti, dal latin al waltz al mood ellingtoniano. Solisti eccelsi che fanno squadra, pensiamo, per fare un parallelo calcistico, alla genialità di Cruijff e Robben condivisa con gli altri players, non individualistica. Da notare la compattezza delle sezioni, archi ritmica fiati, capaci di fitti dialoghi interni. Con loro Han Bennink, visto anche in Solo batteria. Definirlo virtuoso e' riduttivo. Per lui il beat e' motore di un universo ritmico che è invenzione concreta, fisica, contraddittrice delle leggi convenzionali della metronomia. Questa concezione follemente panica (dal greco Pan, tutto) e' applicata a quanto circonda il set, sedie, pavimento, angoli del palco, spettatori, con bacchette che volano via e rispuntano a iosa. Ed ancora il sentito omaggio a Steve Lacy dello stesso Ottaviano, con Enzo Lanzo alla batteria e Giorgio Vendola al contrabbasso; il 2et, inedito, con un ispirato Livio Minafra al piano e un Moholo dalle poliritmie più molecolari, staccati solo da un salto bigenerazionale che non si sente, magie della musica creativa!
Altro duo, di stampo più classico, quello di Klaus Paier alla fisarmonica e bandoneon e Asia Valcic al violoncello, specialisti a tutto campo del proprio strumento, raffinati e sinergici.
Ma il finale e' felliniano, circense; fra trampolieri e mangiafuoco, arriva Girodibanda del trombettista Cesare Dell'Anna a seminare con il suo dirompere Stati di Appassionamento Collettivo. E' una sorta di etno/house dalle ancestrali radici salentine, con spruzzi di jazz qua e la'. Molti presenti non frenano il movimento e, posseduti, danzano in piazza Monache. Il morso della tarantola ha pizzicato ancora. Fra Melodia (tre voci ben assortite sul palco affollato da musicisti) Ricerca (la fusione a caldo fra bolero e tarantella) e, naturalmente, Follia.

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