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Dal Quirinale filtra l'indiscrezione per cui non sono possibili "formule politiche ulteriori". Insomma, niente Conte-ter. Figuriamoci un governo tecnico. Come nota Repubblica, la fine anticipata della legislatura farebbe slittare il voto sulla legge che taglia i parlamentari. In ogni caso, nessuna crisi è ammessa prima dell'approvazione della manovra, giudicata dal Capo dello Stato "una priorità assoluta". Una volta pubblicata la Legge di bilancio in manovra, allora, tutto può succedere. E il voto sarebbe inesorabile

«Sfiduciare Palazzo Chigi non è tra i poteri del presidente della Repubblica», spiegano dal Colle. Ma, se Conte 2 cade, «difficilmente» ci sarà un Conte 3, o un gabinetto istituzionale, o una qualche altra alchimia. Se davvero la coalizione giallorossa entrerà in crisi, bisognerà «tenere bene in chiaro» che il Quirinale non allungherà il brodo della legislatura e che si andrà verso elezioni anticipate nel 2020. C'è già una possibile data, fine marzo, un mese e mezzo dopo le cruciali regionali emiliane: il taglio dei parlamentari non sembra più un ostacolo. Dunque niente più esperimenti. Due «governi Frankenstein» possono bastare, un terzo sarebbe troppo.

La linea è di attesa degli eventi, con un occhio sulla Finanziaria. Mattarella, pur nella modalità zen , è appena appena infastidito da chi nelle ultime ore lo ha chiamato in causa come se potesse fare qualcosa. «Gli italiani - ha detto ad esempio Matteo Salvini - non meritano di essere ostaggio da una simile maggioranza, non è questo, così litigioso, l'esecutivo che il presidente aveva in mente». Giorgia Meloni ha addirittura sollecitato un intervento diretto: «Mattarella tenga conto delle elezioni in Umbria, lo scenario è cambiato». Richieste improvvide dal punto di vista della grammatica costituzionale, propaganda.

Intanto tra i parti che hanno perso e iniziata la resa dei conti interna che e solo questione solo di tempo: prima o dopo il voto in Emilia Romagna? Le scommesse sono iniziate. 

Salvini attacca: «Gli italiani non meritano di rimanere ostaggio di questa maggioranza che si scanna giorno dopo giorno». Ancora: «Le elezioni fan così paura? Sono esterrefatto dalla arroganza con cui Renzi, Zingaretti, Conte e Di Maio trattano gli italiani».

"Non voglio che questo governo cada. Voglio che mantenga gli impegni con gli italiani. E se non realizza quello che ha detto di voler realizzare, meglio andare a votare

È con queste parole che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, traccia i possibili scenari futuri del governo giallorosso. Non escludendo una sua caduta, anche a breve.

Ospite di "Circo Massimo", su Radio Capital, il governatore del Lazio parte per forza di cose dalla sonora sconfitta alle Regionali umbre che mette a repentaglio l'ipotesi di un'alleanza strutturata con il Movimento 5 Stelle. "Abbiamo perso perché c'era l'accordo con i pentastellati ? Reagisco quando si batte su teoremi falsi", la piccata risposta di Zingaretti alle accuse di Matteo Renzi e altri. "È vero - ammette il leader dem - che il progetto ha perso, ma se non ci fosse stato sarebbe stato molto peggio", difendendo così la sua scelta di correre con Di Maio.

Ed è proprio al capo politico 5S - e alle altre forze della maggioranza - che Zingaretti si rivolge con un appello inequivocabile: "Non voglio che questo governo cada. Voglio che mantenga gli impegni con gli italiani. E se non realizza quello che ha detto di voler realizzare questo governo non ce la fa. Quindi meglio votare". Dunque, per la prima volta, il segretario dei democrat apre all'ipotesi elezioni anticipate

Quel 7.4% pesa. E per quanto i grillini cerchino di minimizzare, la crisi c'è. Luigi Di Maio, subito dopo la clamorosa sconfitta, ha cercato di rassicurare il Paese, ma ha messo le mani avanti: "ll patto civico per l'Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l'esperimento non ha funzionato. Il MoVimento nella sua storia non aveva mai provato una strada simile. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti". Insomma, è come se avesse detto "abbiamo perso perché ci siamo alleati col Pd".  

Nel Pd non c'è più Matteo Renzi ad agitare le acque. Ma sono rimasti renziani di ferro come Luca Lotti e Lorenzo Guerini che stanno organizzando una corrente, Base riformista, per scalare il partito. C'è il sindaco di Bergamo Giorgio Gori che sogna la segreteria nazionale. Il leader dem si difende, minacciando lo strappo con i Cinque stelle e la corsa al voto. Una mossa per blindare la poltrona e allontanare lo scenario di un nuovo congresso. Zingaretti si schiera al fianco del presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini in vista del voto a gennaio. Spera in una vittoria che scacci la crisi.

Ma rischia il boomerang: Bonaccini è un altro pretendente alla guida del Pd. E in caso di vittoria potrebbe invocare la testa proprio del segretario. A chiedere di rimettere in gioco la leadership del Pd anche Andrea Marcucci, capogruppo dem in Senato. L'ex renziano poi corregge il tiro e ammorbidisce i toni: «Basta con le liti infinite, chiediamo al Governo di fare il governo. Il voto in Umbria è andato male ma è un dato locale, la maggioranza ora pensi ad approvare una buona legge di bilancio». Il segretario tira dritto e prova ad annegare le difficoltà nella birra: «Domani sarò a Poggibonsi, nel cuore della provincia italiana, perché un gruppo di giovani mi hanno contattato con idee e proposte per cambiare questo Paese. Passeremo la sera insieme bevendo una birra perché il Pd sta dove c'è voglia di futuro, per farla crescere» dice a SkyTg24. Il capo del Pd difende la poltrona e l'intesa con i Cinque stelle: «Abbiamo deciso al 100% di governare per tre anni con questa alleanza. Sono d'accordo, ma devono smetterla di creare polemiche tutti i giorni, perché gli italiani non ne possono più».

Ma gli inviti a rimettere il mandato si moltiplicano. Andrea Orlando, numero due Pd, è netto: »Se facciamo un congresso serve un congresso vero», dice il vice segretario dem. Con candidature alternative? «Se ci saranno, sì». Anche l'ex presidente del partito Matteo Orfini bombarda il segretario: «Concentriamoci per il voto in Calabria ed Emilia, poi però si faccia il Congresso, perché non è nel mandato di Zingaretti l'accordo con i 5s. Quindi se si vuole rilanciare l'alleanza c'è l'obbligo di chiamare tutti gli elettori a pronunciarsi». Riappare l'ex sindaco di Napoli Antonio Bassolino: «Siamo di fronte a problemi di fondo, in Italia e in Europa.

Che altro deve succedere? Servirebbe ed è anzi indispensabile un congresso come da tempo non si tiene: un congresso vero, diverso dalle primarie per eleggere il segretario. Un congresso di riflessione su un mondo del tutto nuovo e sul nostro paese. Un congresso dunque sulla base di idee, di tesi, di documenti, ed aperto a tutte le persone interessate ad una proposta politica e sociale di cambiamento. È questa la condizione per rinnovare davvero anche il Pd e la sinistra, il loro modo di essere e di agire nella società e nelle istituzioni. Tocca a Zingaretti prendere l'iniziativa e la decisione, con intelligenza e con determinazione». Il fronte contro Zingaretti si allarga. E prepara il golpe a meno di un anno delle primarie.

Nicola Zingaretti, invece, chiede unità e vuole "un cambiamento di passo". Zingaretti si appella all'unità perché "si governa da alleati non da nemici". Il segretario del Pd sta facendo il tutto e per tutto pur di mantenersi l'allenza coi 5S e soprattutto per tenersi ben stretto la poltrona. Anche se si rende conto che i risultati delle ultime elezioni regionali sono davvero disastrosi. Non soltanto per la netta vittoria del centrodestra che ha staccato di ben venti punti la sinistra. Zingaretti si rende conto - è evidente - che il primo partito che governa il Paese ha tirato su soltanto un 7.4%, mentre il Pd un 22,3%. Dati catastrofici.  

Ma se questi sono i numeri, che aria tira nel M5S? Stando ad alcune indiscrezioni riportate dall'agenzia Agi, i malumori sono parecchi. "Dopo l'Umbria? Adesso basta. Bisogna cambiare la catena gestionale. Non si può decidere in pochi", dicono alcuni. I parlamentari, quindi, chiedono più coinvolgimento e si interrogano sulle strategie per il futuro del Paese, che, riferiscono alcuni, mancano. "Io andrei da sola, meglio perdere con dignità" e "senza alleanze", spiega ancora all'Agi una fonte M5S, perplessa sulla possibilità di allargare il fronte pentastellato ad altri componenti. "Sicuramente non si possono organizzare le campagne elettorali in soli 40 giorni, affidandosi all'improvvisazione. Bisogna tornare nelle piazze e sui territori", viene ancora riferito.

Con lo stesso mood parlano parlamentari e consiglieri regionali pentastellati emiliano-romagnoli dopo l'incontro con Giggino. Maria Edera Spadoni, vice presidente della Camera, ha detto chiaramente che l'incontro "di oggi con il capo politico del MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio è stato un incontro molto positivo. Siamo tutti concordi nel presentarci da soli, senza fare alleanze con i partiti, in occasione delle prossime regionali in Emilia-Romagna. Le uniche alleanze che valuteremo di fare saranno quelle con le liste civiche". E le stesse parole vengono usate dalla deputata M5S Federica Dieni, uscendo da Palazzo Madama dopo l'incontro dei parlamentari calabresi con Luigi Di Maio: "È ancora tutto in divenire, ma l'orientamento è quello di andare da soli".

Insomma, non solo la batosta alle Regionali in Umbria con tanto di figuraccia. Ora i parlamentari si ribellano pure a Di Maio. La sindaca di Imola oggi si è dimessa parlando di snaturazione del M5S. Chi sarà il prossimo? Ma soprattutto, Gigino continuerà a dire che va tutto bene? Che la tenuta del governo non è in crisi? Intanto, per le Regionali in Emilia-Romagna inizia a profilarsi un'altra linea: sì a liste civiche no al Pd.

Intanto da Bruxelles il vicepresidente della Ue Valdis Dombrovskis dice che «sulla manovra italiana rimangono alcune preoccupazioni», legate alle possibili correzioni durante il dibattito alle Camere. Su fisco e contante le posizioni di Cinque Stelle, Pd e Italia viva divergono assai. Continueranno Renzi e gli altri a cercare visibilità? Si insisterà sull'idea del rimpasto o del cambio in corsa del premier? Come andrà a finire la resa dei conti tra i grillini?

Tutto ciò rende precaria la marcia dell'esecutivo. Il presidente della Repubblica, proprio per il suo ruolo, cerca sempre di assicurare stabilità al Paese ma, se i partiti non si daranno una regolata, sarà impossibile arrivare al 2023. Il Conte bis è nato con la prospettiva di durare tre anni, con un patto di legislatura. Però non si può solo litigare, l'Italia ha bisogno che vengano risolti i suoi tanti problemi. Quindi, assicurano dal Colle, nessun calcolo sulla composizione delle forze che nel 2022 dovranno eleggere il successore di Mattarella: o vi calmate o si vota. E questo forse sarà il collante migliore.

 

La Lega, secondo i dati definitivi del voto, ha ottenuto il 36,9% (il 14% in più delle precedenti regionali), Fratelli d'Italia il 10,4% (era al 6,2) e Forza Italia il 5,5 (era all'8,5). Nella coalizione Bianconi, il Pd si è attestato al 22,3 % (35,8 nella precedente consultazione) e il M5s al 7,41 (era al 14.6).

Donatella Tesei è, dunque, formalmente la nuova presidente della Regione Umbria. E' infatti terminato lo scrutinio nelle mille e 5 sezioni, con il ministero degli Interni che ha ufficializzato il risultato. Tesei ha ottenuto il 57,55% dei voti, Vincenzo Bianconi, candidato presidente per il patto civico Pd-M5s il 37,48%. Una vittoria quella del centrodestra, quindi, con 20,07 punti di vantaggio.  

Avvocato cassazionista, nata a Foligno il 17 giugno del 1958, Donatella Tesei, che si avvia ad assumere la carica di presidente della Regione Umbria, alla guida della coalizione di centrodestra, vive a Montefalco dove è stata sindaco per due mandati, dal 2009 (eletta con la lista civica di centrodestra "Gruppo Montefalco") al 2014 e dal 2014 al 2019, quando venne riconfermata con il 63% dei consensi. Nel marzo del 2018 è stata eletta al Senato della Repubblica nel collegio uninominale (sostenuta dal centro destra) e presiede la Commissione Difesa. E' inoltre membro del consiglio di amministrazione della Bonifica umbra, coordinatore regionale delle Città del Vino dell'Umbria, vice presidente nazionale dell'associazione Città per la fraternità e consigliere del Gal Valle Umbra e Sibillini. "Ho sempre vissuto in Umbria" è scritto sul suo sito.

"Dal liceo classico alla laurea in Giurisprudenza a Perugia - aggiunge -, dalle esperienze professionali come avvocato ai successivi incarichi professionali. Sotto i miei occhi ho visto la mia terra impoverirsi e una burocrazia asfissiante soffocare imprese e realtà commerciali. Mi considero una donna pragmatica, più attenta ai fatti che alle parole". Come candidata presidente della Regione è stata sostenuta da cinque liste: Lega Salvini Umbria, Giorgia Meloni per Tesei, Forza Italia Berlusconi per Tesei, Tesei presidente per l'Umbria Civica presidente.

"Gli umbri hanno dimostrato che gli italiani hanno voglia di votare", aveva sottolineato Salvini a Perugia commentando a caldo i dati delle regionali.   "Festeggio anche una grande affluenza - ha sottolineato ancora Salvini - perché di solito commentiamo sempre un calo". Il candidato del centro sinistra Vincenzo Bianconi ha telefonato alla senatrice Donatella Tesei  "per congratularsi" per la vittoria alle elezioni regionali in Umbria.  

Intanto botta e risposta sulle possibili conseguenze sul governo tra Matteo Salvini e il premier Giuseppe Conte dopo il trionfo del centrodestra. Il leader della Lega è andato all'attacco sottolineando la valenza nazionale di queste elezioni.  "E' un voto che ha anche una valenza nazionale - dice Salvini - Conte continua con la sua arrogante distruzione dell'Umbria, sbagliare è umano ma perseverare è diabolico...ogni giorno si apre un problema nuovo". L'esito delle elezioni  in Umbria è "un test da non trascurare affatto" - dice Conte - ma "noi siamo qui a governare con coraggio e determinazione, il nostro è un progetto riformatore per il Paese. Un test regionale non può incidere, se non avessimo coraggio e lungimiranza sarebbe meglio andare a casa tutti", afferma il presidente del consiglio a margine della seconda edizione di "Sindaci d'Italia", organizzata da Poste Italiane.

Alla luce del risultato elettorale, frena sull'alleanza col Pd il leader M5s, Luigi Di Maio, sostenendo, tuttavia, che il governo va avanti. "Quello in Umbria, ha detto, era un esperimento. Non ha funzionato. Tutta la teoria per cui si diceva che se ci fossimo alleati con un'altra forza politica saremmo stati un'alternativa non ha funzionato", ha affermato intervistato a Sky Tg24 parlando di "strada impraticabile" per il patto Pd-M5s. "Abbiamo bisogno che il governo sia migliorato e innovato", ha aggiunto Di Maio. "Sto lavorando affinché questo governo porti a casa il programma nei prossimi tre anni - ha rilevato -, e poi si faccia valutare dagli italiani. Il voto arriverà e sarà il momento in cui valutare se abbiamo fatto bene o male".

Intanto non solo i parlamentari: a schierarsi contro la posizione di Luigi Di Maio c'è anche Beppe Grillo. Come riportato da La Repubblica, il comico genovese avrebbe detto a gran voce: "Non gli consentirò di far saltare l'alleanza con il Pd". Fonti del M5S hanno però smentito: "Si tratta di una frase assolutamente inventata e frutto della fantasia di Repubblica". Pure Roberto Fico si è smarcato: "Guai a fermare la costruzione dell'alleanza con il Pd". Il presidente della Camera si è sfogato: "Dovevamo grillizzare il sistema, invece il sistema ha normalizzato noi".

Non mancano poi le molteplici anime dissidenti causate anche dalle mancate nomine di sottogoverno: la resa dei conti per Di Maio è vicina. Lui smentisce: "Non mi risulta". Ma in realtà ci sono diversi esponenti grillini sul piede di guerra: da Alessandro Di Battista a Gianluigi Paragone, passando per Barbara Lezzi e Danilo Toninelli. A questo si aggiunge che alcuni senatori starebbero lavorando a un documento per mettere Luigi a un bivio: "O fai il capo politico o il ministro".

Non è un mistero che durante la formazione del governo io fossi abbastanza perplesso". Luigi Di Maio prova così a mettere le mani avanti dopo l'umiliante sconfitta rimediata nelle elezioni Regionali in Umbria, in cui il Movimento 5 Stelle ha subito un drastico calo dei voti: "Tutte le analisi di voto dicono che la metà dei nostri elettori si è astenuta a causa della coalizione con il Pd

Il capo politico del M5S ha ribadito che "l'esperimento in Umbria non ha funzionato" e dunque si deve "guardare avanti". Ma da parte di Giuseppe Conte è arrivato un invito a riflettere sulle prossime mosse. Il presidente del Consiglio si è schierato a favore di nuove alleanze territoriali, ma l'ex vicepremier gli ha risposto: "Dopo uno tra i nostri minimi storici alle Regionali, direi che può considerarsi una esperienza chiusa". Nelle prossime ore ci sarà un incontro con gli eletti di Calabria ed Emilia-Romagna, e si è detto sicuro di una cosa: "Nessuno mi chiederà di allearci con il Pd dopo il dato umbro".  

Matteo Renzi, leader di Italia Viva che non era andato all'incontro conclusivo con gli altri componenti della maggioranza di governo , parla di "una sconfitta scritta figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi. Lo avevo detto, anche privatamente, a tutti i protagonisti. E non a caso Italia Viva è stata fuori dalla partita. In Umbria è stato un errore allearsi in fretta e furia, senza un'idea condivisa, tra Cinque Stelle e Pd. E non ho capito la 'genialata' di fare una foto di gruppo all'ultimo minuto portando il premier in campagna elettorale per le Regionali". Così Matteo Renzi a Bruno Vespa per il libro "Perché l'Italia diventò fascista (e perché il fascismo non può tornare)".

La replica di Franceschini arriva via Twitter: "Non mi sembra particolarmente acuta l'idea che poiché anche presentandoci insieme abbiamo perso l'Umbria, è meglio andare divisi alle prossime regionali. L'onda di destra si ferma con il buon governo e con l'allargamento e l'apertura delle alleanze, non di certo ridividendoci".

Conte ha avvertito: "Quanto accaduto in Umbria non deve replicarsi necessariamente a livello nazionale. Decidi tu, ma pensaci un attimo prima di mandare tutto all'aria con il Pd. Commetteresti un errore storico". E ha rilanciato una possibile alleanza in Emilia-Romagna: "Possiamo vincere e cambierebbe tutto". La risposta di Di Maio sarebbe netta: "Io non posso passare per quello di sinistra. Perdo voti a favore della Meloni, lo capisci?". E rivela anche l'intenzione di spostarsi più a destra: "I flussi dicono

Cosi le Cinque stelle che sono a rischio di estinzione non solo a Perugia e Terni, ma anche in tante altre parti d'Italia. Ecco perché ieri il capo politico Luigi Di Maio è tornato alla carica elencando vari punti della manovra su cui l'M5s intende discutere. «Per noi la lotta all'evasione non è criminalizzare commercianti, artigiani e professionisti con pos, carte di credito e abolizione del regime forfettario», ha dichiarato il ministro degli Esteri su Facebook. 

Questo significa, da un lato, che i pentastellati non vogliono perdere contatto con il mondo delle pmi rendendo meno invasiva la lotta al contante e, dall'altro, che vorrebbero estendere la platea della flat tax. Mancano le risorse: il contrasto all'evasione cifra 3,3 miliardi e punta tutto sulla limitazione delle transazioni e sull'obbligo di utilizzo delle carte. L'introduzione di paletti molto stretti sulla flat tax al 15% per chi ha ricavi fino a 65mila euro nasce da analoghe esigenze di taglio alla spesa per cui, nella versione prevista dal documento programmatico di Bilancio, viene resa inaccessibile a coloro che detengono beni strumentali di valore superiore a 20mila euro e a chi eroga compensi a collaboratori e dipendenti superiori a 20mila euro. Anche in questo caso si parla di centinaia di milioni di euro

«Questo testo deve definire dove vanno i soldi per le famiglie che fanno i figli, quale sia lo strumento per erogare le risorse», ha aggiunto Di Maio. In pratica, il leader grillino ha lamentato pubblicamente la mancanza di un sussidio per i nuclei familiari numerosi che non sarebbero coperti dalla dotazione unica di 400 euro al mese per i genitori con redditi bassi. Allo stesso modo, M5s vorrebbe garantire continuità tanto al reddito di cittadinanza quanto a quota 100 (per non perdere la sfida populista con la Lega), quest'ultima destinata a esaurirsi nel 2021. Ma proprio quest'ultimo punto rischia di aprire un nuovo fronte con Italia viva.

Un altro riguarda le tasse, in generale. «Sono d'accordissimo con la sugar tax e la plastic tax, ma altri meccanismi vanno discussi nelle prossime settimane», ha precisato. La tassazione «etica» sta attirando molte antipatie a M5s e, dunque, all'occorrenza, Di Maio è disposto a venire meno a questi principi pur di non consegnare argomenti ai propri avversari (non ultimo quello di una perdita di potere d'acquisto indotta dalle tasse sui beni di largo consumo). I renziani, invece, puntano sullo stop all'incremento al 12,5% della cedolare secca sugli affitti a canone concordato.

Ieri, invece, il premier Giuseppe Conte ha ricordato i 110 milioni annui garantiti ai Comuni al Fondo di ristoro per il minor gettito di Imu e Tasi, finora erogati a intermittenza. Il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, invia ogni giorno segnali di fumo alle forze politiche ricordando loro che con 23,1 miliardi di clausole Iva da bloccare non ci sono possibilità di incrementare le voci di spesa perché le coperture sono già risicate. Anche una spesa di 300 milioni potrebbe far crollare questo castello di carte. E non è un caso che la Commissione europea ieri abbia fatto sapere di essere pronta a dare l'ok preliminare al Documento programmatico di Bilancio. Un modo come un altro per fermare l'assalto alla diligenza.

"In democrazia conta il voto, non ci sono spallate. Se quello che scrive il Financial Times fosse solo parzialmente vero in qualsiasi Paese ci sarebbero le dimissioni tre minuti dopo". Così il leader della Lega Matteo Salvini a Perugia, nella conferenza stampa sul voto in Umbria.

"Un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un'indagine sulla corruzione finanziaria era alla base di un gruppo di investitori che assunse Giuseppe Conte -ora primo ministro italiano- per lavorare su un accordo perseguito poche settimane prima che assumesse la carica". 

"Se un giornale autorevole come il Financial Times ipotizza dubbi, ombre o conflitti di interesse, mi aspetto che il presidente del Consiglio corra in Parlamento a riferire. Se non ritenesse di farlo lui, già oggi stesso glielo chiederemo noi", aggiunge Salvini rispondendo alla domanda se il gruppo parlamentare della Lega chiederà formalmente al premier Conte di riferire sui fatti contestati dal Financial Times. E sottolinea: "Dovrebbe farlo senza che la Lega glielo chiedesse".

Scrive il Financial Times : "Il collegamento con Conte rivelato in documenti esaminati dal Financial Times probabilmente attirerà un ulteriore esame sull'attività finanziaria del Segretariato di Stato vaticano, la potente burocrazia centrale della Santa Sede, che è oggetto di un'indagine interna su transazioni finanziarie sospette". E ancora: "Conte era un accademico di Firenze poco conosciuto quando è stato assunto a maggio 2018 per fornire un parere legale a favore di Fiber 4.0, un gruppo di azionisti coinvolto in una lotta per il controllo di Retelit, una società italiana di telecomunicazioni lo scorso anno. L'investitore principale in Fiber 4.0 è stato il Athena Global Opportunities Fund, finanziato interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato Vaticano e gestito e di proprietà di Raffaele Mincione, un finanziere italiano".

scrive il giornale ricorda che "la fonte finale dei fondi di Mincione non è mai stata dichiarata nella battaglia degli azionisti per il controllo di Retelit ed era sconosciuta prima che la polizia vaticana questo mese facesse irruzione negli uffici del Segretariato per sequestrare documenti e computer a causa della preoccupazione per un affare di proprietà di lusso a Londra stretto con Athena". Oltre a ripercorrere le recenti vicende giudiziarie interne al Vaticano sulla vicenda, il quotidiano rileva che "Conte è balzato dall'essere un politico sconosciuto a guidare un governo populista italiano nel giugno 2018" e ripercorre le tappe della crisi d'agosto e del nuovo esecutivo da lui presieduto con Pd e M5S. Si ricorda, inoltre, che "ha già affrontato accuse di conflitto di interessi in relazione all'accordo Retelit, dopo aver emanato un decreto basato sul cosiddetto 'golden power' che favorito i suoi clienti di una settimana prima di diventare primo ministro. Ha negato ogni conflitto di interessi ma è verosimile che debba affrontare nuovi approfondimenti sui suoi legami con la transazione e il coinvolgimento del Vaticano"

La vittoria del centrodestra in Umbria è stata netta, incontestabile, nei numeri superiore alle aspettative della vigilia: Donatella Tesei ha vinto con il 57,55 per cento rispetto al 37,49 per cento racimolato dal candidato del patto tra M5S e centrosinistra Vincenzo Bianconi. E guardando al risultato delle singole liste, è chiara ed evidente anche l’affermazione della Lega di Matteo Salvini che arriva al 37 per cento, mentre per contro il suo ex alleato di governo Luigi Di Maio vede il simbolo delle Cinque Stelle precipitare al 7,41 per cento. Dalle urne, quindi, esce un verdetto che apre tanti interrogativi sul fronte politico nazionale, con le possibili ricadute sul governo e nei rapporti tra i partiti che lo sostengono. Ma vediamo in rapida sintesi cosa ha detto il voto in Umbria.

Matteo Salvini ha «vendicato» la traumatica fine del governo gialloverde. Alle Regionali umbre ha dedicato il massimo impegno, ha battuto città e paesi per tre settimane, riempiendo ovunque le piazze. Sapeva di giocarsi molto, soprattutto per cancellare i dubbi di chi gli imputava di essersi fatto sfilare la poltrona di ministro dell’Interno per una ingenuità. Ha imposto la sua candidata e a colpi di comizio, tweet, dirette Facebook l’ha portata al trionfo, espugnando per la prima volta una Regione rossa.

Botta e risposta tra Matteo Salvini e il premier Giuseppe Conte dopo il voto in Umbria che ha visto il trionfo del centrodestra. Il leader della Lega è andato all'attacco sottolineando la valenza nazionale del voto.  "E' un voto che ha anche una valenza nazionale - dice  Salvini - Conte continua con la sua arrogante distruzione dell'Umbria, sbagliare è umano ma perseverare è diabolico...ogni giorno si apre un problema nuovo". Il voto in Umbria è "un test da non trascurare affatto" - dice Conte - ma "noi siamo qui a governare con coraggio e determinazione, il nostro è un progetto riformatore per il Paese. Un test regionale non può incidere, se non avessimo coraggio e lungimiranza sarebbe meglio andare a casa tutti". Lo dice il premier Giuseppe Conte a margine della seconda edizione di "Sindaci d'Italia", organizzata da Poste Italiane.

La Lega, secondo i dati definitivi del voto, ha ottenuto il 36,9% (il 14% in più delle precedenti regionali), Fratelli d'Italia il 10,4% (era al 6,2) e Forza Italia il 5,5 (era all'8,5). Nella coalizione Bianconi, il Pd si è attestato al 22,3 % (35,8 nella precedente consultazione) e il M5s al 7,41 (era al 14.6).

"E' un voto che ha anche una valenza nazionale, Conte continua con la sua arrogante distruzione dell'Umbria, sbagliare è umano ma perseverare è diabolico...ogni giorno si apre un problema nuovo". Così il leader della Lega Matteo Salvini a Perugia, nella conferenza stampa sul voto in Umbria.  "Chi semina tradimento raccoglie tradimento, lascio a Di Maio, Conte e Zingaretti i loro dubbi, noi andiamo avanti".

Donatella Tesei è, dunque, formalmente la nuova presidente della Regione Umbria. E' infatti terminato lo scrutinio nelle mille e 5 sezioni, con il ministero degli Interni che ha ufficializzato il risultato. Tesei ha ottenuto il 57,55% dei voti, Vincenzo Bianconi, candidato presidente per il patto civico Pd-M5s il 37,48%. Una vittoria quella del centrodestra, quindi, con 20,07 punti di vantaggio.

"È un'impresa storica - ha detto la Tesei - è importantissima per questa regione che ha saputo dimostrare una grande forza e determinazione di credere, questa volta, in un progetto di cambiamento". E ha aggiunto: "dedico questa vittoria all'Umbria, ai cittadini che hanno saputo dimostrare di avere una dignità e di saperla difendere".

Avvocato cassazionista, nata a Foligno il 17 giugno del 1958, Donatella Tesei, che si avvia ad assumere la carica di presidente della Regione Umbria, alla guida della coalizione di centrodestra, vive a Montefalco dove è stata sindaco per due mandati, dal 2009 (eletta con la lista civica di centrodestra "Gruppo Montefalco") al 2014 e dal 2014 al 2019, quando venne riconfermata con il 63% dei consensi. Nel marzo del 2018 è stata eletta al Senato della Repubblica nel collegio uninominale (sostenuta dal centro destra) e presiede la Commissione Difesa. E' inoltre membro del consiglio di amministrazione della Bonifica umbra, coordinatore regionale delle Città del Vino dell'Umbria, vice presidente nazionale dell'associazione Città per la fraternità e consigliere del Gal Valle Umbra e Sibillini. "Ho sempre vissuto in Umbria" è scritto sul suo sito.

"Dal liceo classico alla laurea in Giurisprudenza a Perugia - aggiunge -, dalle esperienze professionali come avvocato ai successivi incarichi professionali. Sotto i miei occhi ho visto la mia terra impoverirsi e una burocrazia asfissiante soffocare imprese e realtà commerciali. Mi considero una donna pragmatica, più attenta ai fatti che alle parole". Come candidata presidente della Regione è stata sostenuta da cinque liste: Lega Salvini Umbria, Giorgia Meloni per Tesei, Forza Italia Berlusconi per Tesei, Tesei presidente per l'Umbria Civica presidente.

"Gli umbri hanno dimostrato che gli italiani hanno voglia di votare", ha sottolineato Salvini a Perugia commentando a caldo i dati delle regionali. Per il segretario della Lega la vittoria che si delinea "è evidente e clamorosa". "Festeggio anche una grande affluenza - ha sottolineato ancora Salvini - perché di solito commentiamo sempre un calo". Il candidato del centro sinistra Vincenzo Bianconi ha telefonato alla senatrice "per congratularsi" per la vittoria alle elezioni regionali in Umbria.


"Una sconfitta scritta figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi. Lo avevo detto, anche privatamente, a tutti i protagonisti. E non a caso Italia Viva è stata fuori dalla partita. In Umbria è stato un errore allearsi in fretta e furia, senza un'idea condivisa, tra Cinque Stelle e Pd. E non ho capito la 'genialata' di fare una foto di gruppo all'ultimo minuto portando il premier in campagna elettorale per le Regionali". Così Matteo Renzi a Bruno Vespa per il libro "Perché l'Italia diventò fascista e perché il fascismo non può tornare".

No comment di Conte che cita Modugno - "La conoscete la canzone di Modugno? Il sole, il cielo...", è la battuta con cui il premier Giuseppe Conte replica ai cronisti che gli chiedevano un commento sulle elezioni umbre. "Si sente in discussione", gli chiede una cronista e, subito, un altro cronista gli domanda: "Ci commenti almeno questo sole...". A quel punto Conte replica citando il brano "Meraviglioso", di Domenico Modugno.

"La sconfitta alla Regione Umbria dell'alleanza intorno a Vincenzo Bianconi è netta e conferma una tendenza negativa del centrosinistra consolidata in questi anni in molti grandi Comuni umbri che non si è riusciti a ribaltare. Il risultato intorno a Bianconi conferma, malgrado scissioni e disimpegni, il consenso delle forze che hanno dato vita all'alleanza". Lo dichiara in una nota il segretario Pd Nicola Zingaretti.

"Dalla formazione del primo esecutivo ci è stato subito chiaro che stare al Governo con un'altra forza politica - che sia la Lega o che sia il Pd - sacrifica il consenso del Movimento 5 Stelle. Ma noi non siamo nati per inseguire il consenso, bensì per portare a casa i risultati, come il carcere per gli evasori di questa settimana e il taglio dei parlamentari della settimana precedente", scrive in un post su facebook il M5S.

Altissima l'affluenza, al 64,4%, nove punti in più rispetto al 2015. Del resto, nel Giardino d'Italia ci hanno messo la faccia tutti i leader nazionali e, sul finale della campagna, anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, protagonista della foto di Narni con Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e Roberto Speranza. Una reunion che, evidentemente non ha pagato.

"Il primo voto vero ha dimostrato che gli italiani non apprezzano il tradimento. Qualcuno al governo deve ritenersi abusivo già questa notte", attacca Salvini bollando come un "omino" Conte per aver, a parere del leader della Lega, minimizzato l'importanza del voto in Umbria dicendo che non è un test per il governo. "Il centrodestra ha il diritto e il dovere di governare il Paese", gli fa eco Silvio Berlusconi mentre Giorgia Meloni incalza: "fossi in Conte rassegnerei le dimissioni più velocemente della luce. Se avessero un po' di dignità non arriverebbero a domattina".

La sconfitta rischia di pone di fatto una pietra tombale sulla l'alleanza M5S-Pd. Il governo non è in discussione, e ciò viene ribadito sia dai Dem sia dal Movimento. Ma sulle Regionali 2020 la sensazione è che Di Maio voglia tornare all'antico, a cominciare da Emilia Romagna e Calabria. Anche perché l'alleanza con il Pd non ha pagato né per la coalizione di governo né per il Movimento che ha preso meno della metà dei voti dei Dem. "Il patto civico per l'Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l'esperimento non ha funzionato. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti", si legge in un post del M5S su facebook che assicura, comunque, come al governo "si rispetteranno gli impegni".

Esce con le ossa rotte dal confronto elettorale umbro è il Movimento 5 Stelle e il suo capo politico. Il risultato finale è pesantissimo, con quel 7 per cento che vede i pentastellati finire dietro anche Fratelli d’Italia (impensabile fino a poche settimane fa). A caldo le analisi portano a ritenere un errore lì'alleanza, mascherata da accordo civico, con il Pd, ma approfondendo l’analisi non è difficile rintracciare altri motivi che portano alla clamorosa sconfitta, a partire dalle feroci divisioni interne sempre più evidenti.

Certo, anche il Partito democratico non ha proprio nulla da esultare. Ha sempre governato la Regione ed ora si vede ridotto al 22 per cento. Paga lo scandalo che ha portato alle elezioni e che ha visto coinvolta la presidente uscente. ma sicuramente deve riflettere sulla sostenibilità di una alleanza con il Movimento 5 Stelle che gli elettori, almeno quelli umbri, hanno dimostrato di non gradire.

Nel campo del centrodestra, detto della forte affermazione della Lega, ha motivo di stappare bottiglie di spuntante anche Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni va in doppia cifra e conquista il 10 per cento arrivando quasi a doppiare Forza Italia (ferma al 5,5 per cento).

 

 

 

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