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Faccia a faccia di un’ora a Bruxelles tra la premier Giorgia Meloni e il premier ungherese Viktor Orban. Un bilaterale alla vigilia di un delicatissimo Consiglio europeo e sulla scia delle polemiche sulla vicenda di Ilaria Salis. Una storia che comincia a cambiare verso. "Si inizia a vedere un po ' di luce", dice suo padre Roberto che ieri l’ha incontrata in carcere. L’obiettivo è presentare una richiesta formale di detenzione domiciliare in Ungheria, dopo la quale si potrebbe chiedere di scontare i domiciliari in Italia. Strada ardua ma possibile specie se il primo ministro Viktor Orban darà disco verde.

Il caso di Ilaria Salis è diventato una questione nazionale. Ora il problema per Giorgia Meloni è innanzitutto diplomatico e politico. La premier deve avere cautela nei confronti di un governo amico e alleato in vista delle elezioni europee. E di un’alleanza nella famiglia dei Conservatori europei. Ma muoversi sfruttando i rapporti personali - si legge su La Stampa - potrebbe essere la scelta giusta. Come è successo con Al-Sisi nei confronti del caso Zaki. 

Il confronto con il premier ungherese Orban si è sviluppato sulla possibilità di ridurre i tempi del processo secondo Affari Italiani. Per arrivare alla sentenza il prima possibile e ottenere poi l’espulsione della maestra di Monza. Un decreto che però ad oggi non potrebbe arrivare a breve, visto che la prossima udienza del processo è fissata a maggio 2023. Che l’espulsione sia possibile lo ha fatto capire anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani: "L’estradizione è impossibile perché non ha ricevuto condanne in Italia. Può essere espulsa dall’Ungheria in caso di condanna". Se l’autorità giudiziaria ungherese la pone ai domiciliari, poi, lei può chiedere di scontare in Italia. "Ma non si può passare dal carcere in Ungheria ai domiciliari in Italia", ha concluso Tajani.

"I reati in questione sono gravi, sia in Ungheria che a livello internazionale e la credibilità di Ilaria Salis è altamente discutibile. Le misure adottate nel procedimento sono previste dalla legge e adeguate alla gravità del reato commesso" ha scritto su X Zoltan Kovacs, il portavoce di Viktor Orban. "I media di sinistra e i gruppi per i diritti umani – attacca poi – hanno lanciato un attacco orchestrato contro l’Ungheria volto a distruggere le buone relazioni politiche tra Budapest e Roma". Sono parole pesanti. La speranza è che politicizzare il caso serva ad uso interno, ma non blocchi una sostanziale clemenza.

La 39enne "è trattata come un terrorista internazionale pericoloso" ha osservato Magyar, ricordando la "detenzione sotto stretta sorveglianza, l'impedimento per molto tempo dei contatti con la famiglia e le autorità italiane". 

Sono 11 gli anni di carcere chiesti per Ilaria Salis dalla Procura ungherese. La 39enne militante antifascista è accusata di aver partecipato all'aggressione di due neonazisti durante una contromanifestazione a Budapest l'11 febbraio 2023. In quella data, il 'Giorno dell'onore', si tiene un raduno a cui partecipano i "nostalgici" di Hitler. 

Ma, sottolinea il suo avvocato Gyorgy Magyar, "non ci sono prove" contro l'insegnante di Monza, che si trova da undici mesi in carcere a Budapest: è dello scorso giugno infatti il no dei giudici ai domiciliari. Intanto l'udienza di ieri, in cui la donna è apparsa in catene mani e piedi, è stata aggiornata al 24 maggio.

Per il padre dell'insegnante, Roberto Salis, si tratta di una "situazione incredibile e ingiusta". "In quei giorni ci sono stati attacchi di nazifascisti contro antifascisti e persone che si trovavano sulla loro strada. Però - ha osservato - sono stati liberati in due giorni. Gli antifascisti in Ungheria non sono graditi e vengono colpiti in modo impari".

"E' in dubbio lo stesso fatto che fosse presente alle aggressioni in questione, o che sia intervenuta incontrando i neonazisti - ha sottolineato ancora il legale difensore -. L'atto di rinvio della Procura è privo di fondamento e non ci sono prove nemmeno per il concorso in associazione per delinquere, presenteremo le nostre prove".

Una "situazione carceraria e processuale che vìola le nostre leggi", ha detto il suo avvocato Eugenio Losco, presente in aula. Anche perché "Ilaria si è dichiarata non colpevole ma ha spiegato di non aver mai potuto leggere gli atti, che non le sono stati mai tradotti, e di non aver ancora visto le immagini su cui sostanzialmente si fonda l'accusa. E quindi ha riferito di non poter presentare nessuna memoria, cosa che è ammessa nel processo ungherese".
Scelta diversa per l'altro coimputato tedesco, che si è dichiarato colpevole e è stato condannato a 3 anni di reclusione.

In aula - dove oltre a Salis erano presenti altri due coimputati, un uomo e una donna tedeschi - la pm ha presentato la 39enne come l'imputata principale, che avrebbe partecipato a più aggressioni causando lesioni corporali aggravate, in "associazione per delinquere" con due persone. Il magistrato poco prima aveva esposto l'atto di accusa che ha portato al rinvio a giudizio secondo il quale gli imputati farebbero parte di un'organizzazione estremista di sinistra, formata in Germania e composta soprattutto da giovani che, oltre partecipare a manifestazioni e dimostrazioni, avrebbero pianificato di lottare con aggressioni fisiche contro simpatizzanti di estrema destra di ideologia neonazista e neofascista.

Fonte affari Italiani Sky24 e varie agenzie 

 

Dalla premier italiana Giorgia Meloni al Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski, dalla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen al presidente del Consiglio Ue Charles Michel, dai Governatori Michele Emiliano e Alberto Cirio a numerosi europarlamentari, hanno espresso sostegno alla nostra protesta e assunto primi impegni rispetto al piano “Non è l’Europa che vogliamo” che abbiamo presentato.

E’ quanto afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini che a Bruxelles ha avuto una serie di incontri per illustrare le ragioni della manifestazione che ha portato oltre un migliaio di agricoltori italiani della principale organizzazione agricola europea “all’assalto” della sede del Parlamento Ue, con iniziative coordinate che hanno visto protagonisti contadini provenienti da tutti i Paesi, dagli spagnoli ai belgi, mentre i giovani della Coldiretti davano vita a pacifici flash mob.  Su un grande striscione si legge “Stop alle follie dell’Europa” ma gli agricoltori esibiscono anche cartelli con “Basta terreni incolti!”, “Scendete dal pero”, “Stop import sleale”, “Prezzi giusti per gli agricoltori”, “No Farmers no Food”, “Cibo sintetico, i cittadini europei non sono cavie”, “Mungiamo le mucche non gli allevatori”.

Una battaglia per garantire dignità e giusto reddito agli agricoltori italiani che non si ferma.

Il presidente della Coldiretti ha spiegato che non sarà accettato nessun taglio alle risorse economiche della Politica agricola comune (Pac) agli agricoltori poiché oggi occorre assicurare l’autonomia alimentare dei cittadini europei e favorire il ricambio generazionale. In tale ottica non è possibile neppure che l’allargamento dell’Unione all’Ucraina venga pagato dalle aziende agricole.

Serve poi cancellare definitivamente – ha ribadito Prandini – l’assurdo obbligo di lasciare i terreni incolti che mina la capacità produttiva della nostra agricoltura e favorisce paradossalmente le importazioni dall’estero di prodotti alimentari che non rispettano le stesse regole di quelli europei in materia di sicurezza alimentare, ambientali e di rispetto dei diritti dei lavoratori. Un caso eclatante è il Mercosur, l’accordo commerciale con i Paesi sudamericani che va respinto. Da qui la richiesta di introdurre il criterio di reciprocità delle regole produttive.

Il caso dei terreni incolti è solo uno dei vincoli che da Timmermans in poi hanno cercato di inserire – ha denunciato Prandini - con regole che penalizzano la capacità produttiva Ue e appesantiscono il lavoro degli agricoltori, ingiustamente visti come inquinatori, mentre sono proprio loro a garantire la tutela dell’ambiente. Si va dalla direttiva che vorrebbe dimezzare l’uso dei prodotti fitosanitari lasciando molte coltivazioni prive di difesa contro insetti e malattie, all’equiparazione degli allevamenti alle fabbriche.

Ma servono anche, secondo Coldiretti, mercati equi e trasparenti, incentivando gli accordi di filiera e vietando la vendita sotto i costi di produzione anche in Europa.

 

 

L'Unione Europea lancia un primo segnale di distensione agli agricoltori europei. La Commissione europea ha proposto ai contadini di avvalersi di deroghe per il 2024 dalle norme della politica agricola comune (Pac) che li obbligano a mantenere determinate zone non produttive. La proposta della Commissione, inviata oggi agli Stati membri che la voteranno in una riunione di commissione, fornisce una prima risposta politica concreta per affrontare le preoccupazioni sul reddito degli agricoltori. Segue anche le richieste delineate da diversi Stati membri nelle riunioni del Consiglio dell'agricoltura, spiega l'esecutivo europeo.

Per ricevere il sostegno della Pac a cui hanno diritto, gli agricoltori devono rispettare una serie rafforzata di nove standard benefici per l'ambiente e il clima, spiega la Commissione europea. Questo principio di condizionalità si applica a quasi il 90% della superficie agricola utilizzata nell'Ue e svolge un ruolo importante nell'integrazione delle pratiche agricole sostenibili. Questo insieme di standard di base è denominato Gaec, dall'acronimo in inglese per "buone condizioni agricole e ambientali". Lo standard Gaec 8 richiede, tra le altre cose, di dedicare una quota minima di terreno coltivabile ad aree o caratteristiche non produttive. Quest'ultimo si riferisce tipicamente a terreni incolti ma anche ad elementi quali siepi o alberi. Le aziende agricole con meno di dieci ettari di terreno coltivabile sono generalmente esentate da tale obbligo. Oggi la Commissione offre la possibilità a tutti gli agricoltori dell'Ue di essere esentati da questo requisito e di continuare ad avere diritto al pagamento diretto di base della Pac.

Invece di mantenere il terreno incolto o improduttivo sul 4% dei loro seminativi, gli agricoltori dell'Ue che coltivano colture che fissano l'azoto (come lenticchie, piselli o fave) e/o colture intercalari sul 7% dei loro seminativi saranno considerati conformi ai requisiti. Le colture intercalari sono piante che crescono tra due colture principali. Queste colture possono servire come foraggio per gli animali o come concime verde. L'uso di colture che fissano l'azoto e di colture intercalari apporta una serie di benefici ambientali per la salute del suolo, compresa la biodiversità del suolo e la limitazione della lisciviazione dei nutrienti. Le colture dovranno essere coltivate senza prodotti fitosanitari per mantenere l'ambizione ambientale della Pac.

La proposta della Commissione - precisa l'esecutivo europeo - è attentamente calibrata per fornire il giusto equilibrio tra l'offerta di aiuti adeguati agli agricoltori che affrontano numerose crisi, da un lato, e la protezione della biodiversità e della qualità del suolo, dall' altro.

"Da Bruxelles non arriva una risposta forte alle richieste degli agricoltori, ma un 'contentino' che lascia perplessi su modalità e durata". Così Cia-Agricoltori Italiani commenta la proposta appena arrivata dalla Commissione Ue. Secondo le prime valutazioni, infatti, si tratta di una deroga all'obbligo di mantenere il 4% di terreni incolti, ma limitata al 2024 e condizionata a ulteriori impegni ambientali, potendo accedere allo stop solo chi coltiva colture azoto-fissatrici (come lenticchie, piselli o fave) e/o colture intercalari sul 7% dei propri seminativi con anche il divieto di usare prodotti fitosanitari.
"Una proposta debole e insufficiente - dice il presidente nazionale della Cia, Cristiano Fini - quello che ci aspettiamo è invece un gesto autorevole e deciso a sostegno dell'agricoltura, già dal Consiglio Ue di domani, con lo stralcio "senza se e senza ma "dell'obbligo di lasciare incolto il 4% dei terreni. Dobbiamo poter continuare a garantire la sicurezza alimentare e le politiche comunitarie devono supportare le nostre attività, non ostacolare".

Salgono a circa 1300 i trattori nelle strade di Bruxelles, secondo la polizia di Bruxelles-Capitale aggiornando il conteggio diffuso all'inizio della mattinata, quando circa mille mezzi avevano dato il via all'assedio nel quartiere europeo.

Altri trattori vengono segnalati in marcia sulla tangenziale della capitale belga, pronti a unirsi alla protesta. Prosegue intanto nel nord del Paese il blocco al porto di Zeebrugge, iniziato nella serata di martedì. La polizia non può ancora prevedere la durata dell'azione. "Dipenderà dalle discussioni al vertice europeo a Bruxelles e alla conferenza sul futuro dell'agricoltura a Gand", distribuito le stesse forze dell'ordine.

Un centinaio di agricoltori del torinese ha risposto all'invito alla mobilitazione lanciata da Coldiretti per una grande manifestazione a Bruxelles "per fermare le politiche europee che minacciano l'agricoltura italiana".

"Una chiamata a raccolta organizzata in Europa, dove serve fare sentire, forte, la voce delle nostre aziende agricole - spiega il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici - è una mobilitazione in vista del vertice europeo che sta avendo una grande risposta da parte dei nostri soci, a dimostrazione di quanto la nostra agricoltura senta sulla propria pelle l'effetto di politiche europee sconsiderate che limitano le funzioni dell'agricoltura preziose per tutta la società: dalla produzione di cibo naturale e non sintetico, fino al presidio contro il dissesto del territorio".

La manifestazione è indetta in occasione del Vertice europeo straordinario sul bilancio dell'Ue, al quale partecipa anche il premier Giorgia Meloni, in cui la Commissione europea presenterà la proposta per la deroga alle norme Ue sull'obbligo di mantenere i terreni incolti previsto dalla Politica agricola comune (Pac).

"L'appuntamento "Non è l'Europa che vogliamo" - spiega Coldiretti Torino - è per giovedì 1 febbraio alle 9 in Place du Luxembourg, di fronte al Parlamento europeo, dove assieme al presidente della Coldiretti Ettore Prandini ci saranno oltre un migliaio di contadini e allevatori provenienti da tutta Italia per sostenere la proposta e denunciare, con eclatanti azioni dimostrative, gli effetti delle politiche europee che mettono in pericolo la sopravvivenza delle campagne".

È la prima volta in piazza insieme per gli agricoltori provenienti dal Sud e dal Nord dell'Unione Europea dalla Coldiretti agli spagnoli di Asaja, dai portoghesi di Cap ai belgi dell' Fwa e molti altri che invadono la capitale dell'Unione per trasformare le proteste in proposte concrete. L'appuntamento è per domani giovedì primo febbraio alle ore 9,30 in Place du Luxembourg, di fronte al Parlamento europeo, dove assieme al presidente della Coldiretti Ettore Prandini ci saranno oltre un migliaio di contadini e allevatori provenienti da tutta Italia per denunciare, "con eclatanti azioni dimostrative, gli effetti delle politiche europee che mettono in pericolo la sopravvivenza delle campagne e presentare le richieste della principale organizzazione agricola europea".

Per l'occasione saranno "mostrate le 'Follie dell'Europa a tavola per toccare con mano gli effetti di normative ideologiche e senza freni che rischiano di stravolgere per sempre lo stile alimentare degli italiani, a partire dalla Dieta Mediterranea, e il sistema produttivo nazionale basato sulla qualità e su tradizioni millenarie. Una minaccia che sarà al centro del rapporto 'Le mani dell'Europa sull'agricoltura italiana diffuso per l'occasione", conclude Coldiretti.

Il settore agricolo è in sofferenza in molti Paesi, e clamorose proteste con i trattori sono in corso, oltre che in Italia, anche in Germania, Grecia, Polonia e Romania. Ma le manifestazioni in Francia sono particolarmente imponenti

Migliaia di lavoratori e centinaia di trattori stanno bloccando da giorni le strade intorno a Parigi oltre a quelle di accesso alle altre città della Francia. Che cosa chiedono al nuovo governo guidato da Gabriel Attal? Innanzitutto, la semplificazione burocratica: troppe norme da rispettare, troppi vincoli di carattere ambientale decisi dall'Unione europea, riduzione dei loro ricavi.

Ma la protesta riguarda anche le differenze di reddito fra i diversi comparti: gli allevatori di suini, per esempio, guadagnano in media sei volte più di quelli di ovini e caprini. La categoria degli agricoltori è quella che ha il tasso di povertà più alto in Francia: oltre il 17%. Secondo uno studio, ogni giorno si registrano due suicidi di agricoltori, e il dato è precedente al Covid: dopo, dicono gli agricoltori, può solo essere peggiorato. Negli ultimi mesi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l'aumento dei prezzi dell'energia e soprattutto della tassa sui carburanti agricoli.


Fonte Agi e varie agenzie

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