I Mirage di François Hollande sorvoleranno da oggi la Siria: voli di ricognizione, che preludono a raid aerei contro obiettivi scelti. I droni di David Cameron hanno già colpito, addirittura in agosto, e la Raf si appresta ad unirsi al fronte anti-Isis.
Da un anno, Parigi partecipa infatti ai raid aerei della coalizione internazionale in Iraq, ma aveva fin qui rifiutato di intervenire in Siria, seguendo la linea del "né con Assad, né con l'Isis"
La pressione politica e mediatica della crisi dei migranti ha invece spinto Hollande - tagliato fuori dai sondaggi da ogni possibilità di rielezione nel 2017 - a cambiare la sua strategia contro l'Isis in Siria.
E se Hollande comincia oggi i voli di ricognizione, David Cameron è operativo già da tempo. Era precisamente il 21 agosto quando un drone della Raf - ha ammesso Cameron alla Camera dei Comuni parlando di "attacco del tutto legale" - ha colpito una base dello Stato Islamico a Raqqa, uccidendo due jihadisti con cittadinanza britannica. Gli obiettivi, centrati, erano Reyaad Khan, che avrebbe pianificato "attacchi contro l'Occidente", e Rahul Amin. I due sono stati uccisi insieme con un altro "combattente".
Ma Mosca, che resta ferma sulle posizioni, ha fatto sapere di non voler nemmeno "nominare" presidenti di altri Paesi. E in ogni caso di non aver intenzione di "licenziarli, né da soli, né cospirando con altri". Mosca, intanto, si preoccupa di smentire le voci secondo le quali Russia, Usa e Arabia Saudita avrebbero deciso di disfarsi di Assad, che Hollande ha detto di voler vedere "andare via": "Noi non ci impegniamo nell'ingegneria sociale, non nominiamo presidenti stranieri e non li licenziamo da soli o cospirando con qualcun altro", ha tagliato corto il Cremlino.
Inoltre, nel primo caso la spiegazione è sempre stata che è stato il governo iracheno a chiedere l'aiuto di Parigi. Da oggi, ha annunciato ieri Hollande davanti a 200 giornalisti riuniti all'Eliseo, le forze armate francesi lanceranno voli di ricognizione sulla Siria. "In seguito - ha aggiunto - secondo le informazioni che raccoglieremo, le notizie che avremo messo insieme, saremo pronti a lanciare dei raid". Tutto utilizzando gli aerei e i mezzi dell'operazione Chammal, lanciata nel 2014 contro l'Isis in Iraq, e "in collegamento" con la coalizione diretta da Washington. A determinare il cambiamento di rotta di Parigi, è stata soprattutto l'esigenza di "autodifesa", dal momento che i servizi di Parigi hanno individuato proprio in Siria le basi in cui vengono ideati e organizzati gli attentati sul territorio francese
Roma invece si sfila: "L'Italia - ha detto il premier Matteo Renzi - non partecipa a iniziative come quelle che Francia e Inghilterra hanno annunciato di studiare. A mio giudizio occorre che la comunità internazionale abbia un progetto di lungo termine. Le iniziative spot servono e non servono". Per il presidente francese comunque, una delle condizioni - dettata con forza dall'Eliseo - è che Bashar Assad "se ne vada". O sia "neutralizzato", come aveva ripetuto giorni fa lasciando intendere una soluzione più morbida.
"Non voglio polemizzare con il Santo Padre...ma chissà se l'appello ad accogliere gli immigrati nelle parrocchie varrà anche per smuovere le coscienze dei benpensanti buonisti per le migliaia di italiani in difficoltà che dormono in auto. Che poi la Chiesa i soldi in gran parte li prende in Italia dall'8 per 1000...". Lo ha detto Matteo Salvini a Radio Padania
E'ormai collaudato da tempo il sistema dell'accoglienza dei migranti messo a punto dalla Diocesi di Reggio Calabria. Un modello pronto la cui utilità potrà rivelarsi fondamentale a seguito dell'appello di Papa Francesco per ospitare i migranti nelle parrocchie. "Siamo in campo da tempo - fanno sapere dalla curia diocesana della città calabrese dello Stretto - e il nostro intervento come assistenza e prima accoglienza è stato immediato già dai primi sbarchi che si sono verificati nel nostro porto, soprattutto per quanto concerne i minori non accompagnati. Oggi con migliaia e migliaia di arrivi la nostra opera, assieme a quella di tutti gli altri soggetti interessati, procede speditamente attraverso il Coordinamento per l'accoglienza che è attivo da mesi e la cui esperienza sarà importante per organizzare l'accoglienza così come indicato dal Santo Padre". Anche le altre diocesi calabresi, non solo nelle realtà più a contatto in questi ultimi anni con l'approdo di migliaia di migranti, si stanno muovendo per promuovere l'accoglienza. A Locri, in queste ore, sono in corso delle riunioni operative in Episcopato per stabilire il da farsi. Iniziative analoghe sono in programma e si terranno a breve nelle altre 11 diocesi della regione.
"Rispondiamo all'appello di Papa Francesco per l'accoglienza dei profughi e faccio un invito alla famiglia orionina a disporre un ambiente adatto per dare risposta all'invito del pontefice. La nostra Congregazione sta già facendo qualcosa in tale senso". E' quanto dichiara don Flavio Peloso, superiore generale dell'Opera don Orione, in una lettera inviata a tutti i confratelli di Europa, affinché si facciano promotori di accoglienza di emergenza ai profughi. La congregazione ha già accolto richiedenti asilo a Seregno-Milano (con 22 persone), Santa Maria la Longa-Udine (18 persone), Genova-Camaldoli (25 persone), Genova-Salita Angeli (20 persone). Gli Orionini si stanno muovendo anche per accoglienze brevi nel tempo e di poche persone, a Reggio Calabria, Genova-Castagna, al Mater Dei di Tortona (Alessandria), a Floridia (Siracusa). "Consapevole - aggiunge Don Peloso - che in alcune città italiane la Congregazione abbia già accolto alcuni richiedenti asilo, sono qui a dirvi che si può fare di più. E non solo in Italia, ma anche in Spagna, in Inghilterra, in Polonia e nei paesi dell'Est Europa. Mi trovo in Polonia, una nazione che, per ora, non accetta i profughi, ma il Provinciale mi ha parlato di iniziative concrete e possibili anche qui". "La chiarezza e l'insistenza con cui Papa Francesco - continua Peloso - invita all'accoglienza dei profughi non deve lasciare incertezze in noi Orionini. Il Papa vede nell'accoglienza dei profughi un segno della misericordia di Dio e del Vangelo".
"La Chiesa fiorentina è da tempo impegnata nell'accoglienza di profughi e rifugiati e già ne ospita alcune centinaia in strutture messe a disposizione da parrocchie ed enti diocesani. In questa accoglienza diverse parrocchie dell'arcidiocesi sono già impegnate, soprattutto attraverso i propri volontari". Lo scrive in una nota l'arcivescovo di Firenze cardinale Giuseppe Betori che, dopo l'appello di ieri di Papa Francesco, chiede a tutte le parrocchie "un ancor maggiore coinvolgimento". In primo luogo, spiega l'arcivescovo dando indicazioni su come fare, "le parrocchie, che con disponibilità e generosità intendono seguire la strada indicata dal Papa, si mettano in contatto con la Caritas diocesana, che sola può garantire il coordinamento necessario a un'ordinata attuazione di questa complessa operazione e soprattutto i rapporti con le autorità dello Stato e quelli con le amministrazioni locali, perché tutto avvenga nel rispetto delle leggi e delle normative". All'interno di tale coordinamento diocesano, assicurato dalla Caritas di Firenze, "ogni parrocchia è invitata a farsi formalmente e concretamente carico dell'accoglienza di una famiglia o di un piccolo gruppo di profughi, secondo l'invito del Papa", continua Betori. Una cosa che può essere fatta dalle parrocchie, anche collegandosi tra loro, individuando "spazi per offrire ospitalità alla famiglia o gruppo di profughi di cui ci si fa carico fornendo abitazione, cibo, vestiario e ogni cura necessaria", costituendo, dove non ci fosse, una Caritas della parrocchia. Gli spazi possono essere nel territorio parrocchiale "o in luoghi di cui può usufruire (penso alle ex-canoniche che alcune parrocchie cittadine gestiscono nei piccoli paesi della periferia della diocesi) o che possono essere messi a disposizione dalla stessa parrocchia, da istituti religiosi, da enti diocesani o anche da privati cittadini". "Sono certo - conclude Betori - che la risposta delle nostre parrocchie all'appello del Papa sarà generosa secondo le nostre tradizioni fiorentine".
Dopo l'appello lanciato da Papa Francesco per l'accoglienza dei migranti nelle parrocchie, la Diocesi di Cagliari si organizza per gestire l'emergenza dovuta agli oltre duemila profughi che sono stati fatti sbarcare in Sardegna nelle ultime settimane, in seguito ai diversi salvataggi in mare. Questo pomeriggio il direttore della Caritas diocesana, monsignor Marco Lai, incontrerà l'arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio per approntare la macchina dell'accoglienza della Chiesa cagliaritana. In maniera informale mons. Lai ha già raccolto alcune disponibilità che sono giunte da diverse parrocchie del territorio. In particolare, secondo quanto appreso, ci sarebbe un passo avanti a Quartu Sant'Elena (Cagliari), ma sia la strategia complessiva che l'organizzazione verranno definite nel confronto di questo pomeriggio
"Le parole pronunciate ieri all'Angelus da Papa Francesco sono risuonate fortemente qui al santuario di Pompei" dove "l'accoglienza è uno stile di vita quotidiano". Lo ha detto l'Arcivescovo di Pompei, mons. Tommaso Caputo, in un'intervista al Tg 2000, il telegiornale di Tv 2000, rispondendo all'appello all'accoglienza dei migranti lanciato ieri dal Papa. "Da oltre 130 anni - ha spiegato mons. Caputo - bambini, poveri, orfani, figli di carcerati, anziani, ex tossicodipendenti, diversamente abili, donne adolescenti in difficoltà hanno trovato e trovano casa, istruzione, futuro ma soprattutto amore concreto e diffusivo". "Le nostre opere sociali e caritative - ha aggiunto mons. Caputo - ospitano centinaia di ultimi ed emarginati. Tra due settimane sarà inaugurata una nuova casa famiglia che sarà dedicata ai bambini e ai bambini diversamente abili. Negli ultimi mesi abbiamo accolto 30 donne migranti con i loro bambini che provengono da Eritrea, Nigeria, Guinea. Attualmente sono ospitate presso la nostra casa 12 donne con 2 bambini".
"L'invito del Papa per ospitare una famiglia di rifugiati in ogni parrocchia? Una buona idea, umile, realistica e molto confortante": lo dice in un tweet, il cardinale di Lione Philippe Barbarin. Poi aggiunge che spesso si pensa che "non possiamo fare nulla" o "non si sa cosa fare...Una famiglia in ogni parrocchia, si può!".
Mentre leggevo il libro di Giampaolo Pansa, “Poco o niente”. Eravamo poveri. Torneremo poveri”, Rizzoli (2011), mi chiedevo che utilità possa avere un testo dove si racconta per filo e per segno, la povertà più nera dei nostri nonni. Giampaolo Pansa è uno scrittore che ha pubblicato numerosi saggi e romanzi di grande successo, soprattutto quelli autorevoli dove si racconta la guerra civile dalla parte dei vinti. Pansa è uno scrittore che scrive in maniera straordinaria che non ti fa stancare mai di leggerlo. In questo saggio racconta la povertà dei nostri genitori e dei nostri nonni. E visto che anche noi siamo immersi in una grande crisi economica e finanziaria, che non sappiamo quando finisce e soprattutto quale futuro prospetta per i nostri figli, Pansa si chiede se per caso “Torneremo poveri come erano i nostri genitori e i nonni”.
Lo scrittore casalese racconta la storia della propria famiglia a cominciare da quella di sua nonna Caterina Zaffiro, povera contadina, sposata con un altro contadino povero, rimasta vedova a 33 anni con sei bambini da sfamare. “E’ la sua vita tribolata - scrive Pansa - a farmi da guida nel racconto dell’Italia fra l’Ottocento e il Novecento”.
Che cosa racconta in 343 pagine il noto giornalista di Libero?“Un mondo feroce, dove pochi ricchi comandavano, decidevano tutto e si godevano le figlie dei miserabili. I poveri erano tantissimi, venivano messi al lavoro da piccoli, poi l’ignoranza li spingeva a comportarsi da violenti”. Peraltro questi poveri secondo Pansa si comportavano in maniera rozza anche con le loro stesse donne, facendole partorire in continuazione e magari talvolta costringendole a prostituirsi. Sembrano delle esagerazioni ma non è così. Pansa nel racconto fa riferimento alle campagne del Monferrato, in Piemonte, in particolare alla sua città natale, Casale Monferrato, chiamata “La città infernale”, una descrizione impietosa dei quartieri e degli abitanti. “Una città di borghesi arroganti e superbi(…)non si accorgevano della presenza dei poveri, si mostravano freddi come il ghiaccio, attenti soltanto ai loro interessi”.Forse l’unica nota positiva per Casale è la grande squadra di calcio, i nerostellati del grande Umberto Caligaris, che riuscirono a vincere il campionato 1913-14 nella finalissima contro la Lazio.
Nelle campagne in prevalenza lavoravano soltanto braccianti, spesso avventizi, a volte erano quasi schiavi della terra e soprattutto dei padroni. Nella società agricola di allora, “erano gli ultimi degli ultimi, con la fame in corpo e con pochissimi soldi in tasca”. Dovevano provvedere a tutto, ogni mattina si presentavano sulla piazza del paese nella speranza di essere chiamati dal conduttore di un fondo o di un mediatore. Per Pansa possedevano una sola certezza, quella di non aver futuro. “Sia pure in modo confuso, i braccianti sapevano di essere condannati a una vita senza speranza, inchiodati alla miseria e all’ignoranza. Insieme alla moglie e ai figli che mettevano al mondo”.
Per la verità in questo libro di Giampaolo Pansa, si intravede la sua formazione classista e di sinistra.Infatti, esagera a far prevalere una certa lettura storica della lotta di classe tra ricchi e poveri. In queste pagine descrive quasi sempre, una ineluttabile condizione della società contadina, che difficilmente riesce ad affrancarsi dalla morsa dei ricchi padroni.
Comunque sia la Storia viene vista sempre dalla parte dei poveri. In quell’epoca gli italiani da poco unitidai Savoia, peraltro percepito da pochi, erano assediati da un’infinità di nemici, oltre la povertà, la fame, c’erano le malattie, le epidemie come il colera, e la malaria che falcidiavano migliaia di esseri umani, in particolare i più miseri. “Il tutto sullo sfondo di troppe guerre, concluse dal massacro del primo conflitto mondiale”.
Non intendo presentare tutto il testo di Pansa ma voglio sottolineare alcuni aspetti come quello legato al mestiere più antico: la diffusa prostituzione di quegli anni. A questo proposito, rammento che anche Vittorio Messori ne parla nel suo saggio, “L’Italiano serio”, quandoracconta la vita nella Torino liberale del beato Fa’ di Bruno, ma anche lo stesso don Bosco e tutti gli altri santi sociali della Torino dell’Ottocento. Furono questi uomini di Dio che si piegarono sulle sofferenze degli ultimi e quindi delle povere ragazze di strada, per farli ritornare a una vita normale.
Infine vale la pena leggere attentamente i capitoli dove il giornalista descrive la grande mattanza della Grande Guerra, secondo lo storico Arrigo Serpieri, sono oltre 700 mila i morti, in stragrande maggioranza contadini, sia del Nord che del Sud.
“Fu allora che si consumò il massacro dei poveri in divisa, - scrive Pansa - vissuto anche da mio padre Ernesto, arruolato a 18 anni. Un macello destinato a concludersi con una contesa rabbiosa tra rossi e neri, chiusa con l’avvento del Fascismo”.
Tutta gente che certamente non aveva voglia di combattere. “Tutti ritenevano di essere le vittime di una società ingiusta. Che dopo averli sfruttati nel lavoro sui campi, adesso li mandava a farsi uccidere in una guerra che non li riguardava. Capace soltanto di rendere più pesante la loro sfortuna. E quella delle loro famiglie. Avevano il terrore di rimanere feriti e invalidi. Oppure di morire, lasciando una vedova destinata a precipitare dalla povertà alla miseria”. La paura più grande era di restare mutilati e non soltanto nelle braccia e nelle gambe, ma anche nella mente. Gli arruolati volontari furono appena 8 mila e venivano guardati come marziani. Gli interventisti, una minoranza, appartenevano alla borghesia contro la quale le plebi rurali nutrivano sentimenti di odio, di diffidenza e di freddezza.
Il libro descrive accuratamente il massacro dei contadini, una vera strage dei poveri. I fanti, quasi tutti contadini, si sentivano condannati a morte. “Del resto erano soltanto loro a dover vivere, tutti i giorni, nell’inferno della trincea”. In pratica secondo Pansa era “la classe più contraria alla guerra e offriva alla patria il più alto contributo di sangue”. Poi finita la guerra, ritornati da reduci in patria, si ritrovarono più poveri di prima e per giunta scaricati da tutti.
Nel maggio scorso hanno festeggiato i 100 anni dallo scoppio, un anniversario da dimenticare altro che festeggiare. Più ragionevolmente, è stata una guerra spaventosa e nefasta, senza alcuna giustificazione, inutile e dannosa anche per i motivi che ispirarono tutti i contendenti, la prima vera e propria guerra rivoluzionaria della storia, mondiale e totale.
Il governo italiano e i poteri forti decidono di entrare in guerra, quando già peraltro conoscevano gli effetti disastrosi del conflitto: in soli dieci mesi, infatti, la guerra si era trasformata in “una guerra di trincea, che sacrificava milioni di giovani in una guerra che non assomigliava in nulla alle precedenti, che sarebbe durata a lungo e avrebbe coinvolto non soltanto i soldati ma tutta la popolazione”.Pertanto non era soltanto l’inutile strage, come la definì mirabilmente e per sempre papaBenedetto XV il primo agosto 1917,“ma fu una strage che ebbe conseguenze devastanti anche per chi sopravvisse, contribuendo a cambiare il mondo in senso rivoluzionario, favorendo l’introduzione delle ideologie di massa, l’odio nella competizione politica, lo sradicamento dai principi che avevano tenuto insieme i Paesi europei per secoli. La stessa conquista della Russia da parte del partito bolscevico fu una diretta conseguenza della guerra, che così diede inizio alla lunga guerra civile europea fra due totalitarismi contrapposti, quello nazionalista e quello comunista”.(Marco Invernizzi, “Grande guerra?”, 24.5.15, comunitambrosiana.org)
Pansa, lo scrive nel prologo, ha inteso scrivere un libro che non revocasse soltanto eventi tragici e disgrazie, ma di descrivere la realtà dell’Italia di allora. “C’è anche l’amore, spesso violento persino tra le mura domestiche. L’incontro fra i signori ricchi e le ragazze povere, con le passioni e gli intrighi che ne derivano(…)Il trionfo del sesso, non esibito come oggi e tuttavia sempre presente, anche nei racconti a mezza bocca di Caterina”.
A parte i capitoli dove vengono descritti le “conquiste” sessuali del tempo, non credo di esagerare, ma il libro potrebbe essere letto nelle scuole italiane ai nostri studenti. Proprio perché la speranza di Pansa “è che la storia di Caterina e di suo figlio Ernesto rammenti ai giovani di oggi che il benessere non è una conquista definitiva. E può essere perduto. Le vicende narrate in ‘Poco o niente’ non sono per nulla relegate in un tempo lontano. Ci riguardano da vicino, stanno ancora dentro le nostre esistenze e un giorno potrebbero bussare alla porta di ciascuno”.
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