Seneca: De vita beata

Seneca

Il “De vita beata”, ovvero “La Felicità” di Seneca, è un’opera in ventotto capitoli dedicata al fratello Annèo Novato, chiamato Gallione. In questa opera Seneca intende dimostrare che la vera “felicità” non va ricercata nel “piacere”, in quanto effimero, fuggevole, inconsistente, ma nella “virtù” che è suprema, elevata, sublime, perenne; va ricercata in una vita consone con la nostra natura, cioè in perfetta sintonia con la ragione.

Ma, in effetti, che cosa è la felicità? È possibile raggiungerla in questo mondo oppure bisogna ricercarla in una dimensione al di fuori della realtà?

La filosofia di Seneca intende aiutare la persona a meglio conoscere se stessa al fine di liberarsi dai tormenti, dalle paure, dalle passioni, dalla sofferenza, utilizzando pienamente la ragione, dal momento che proprio la ragione è la caratteristica e la peculiarità specifica dell’indole umana.

Quello di Seneca è, di certo, un percorso immaginario e fantastico a cui non corrisponde la realtà concreta, ed è proprio questo che rappresenta il “limite dell’uomo”, cioè l’impossibilità sia di non poter fare quello che la persona vorrebbe fare, sia di non poter manifestare e palesare quello che ognuno avverte e sente nel proprio intimo. Seneca sostiene che la “Virtù” è la premessa e la condizione necessaria della “Vita beata”, ed afferma, ancora, che non è sufficiente il sentirsi o l’essere “felici”, ma è necessario avere completa cognizione di questa specifica condizione. Ebbene, questa felicità, sostiene Seneca, è difficile da ottenere, anche perché l’uomo non conosce affatto quale sia la giusta via da intraprendere per arrivare ad essa. Spesso più cerchiamo di raggiungerla, più ce ne allontaniamo. Quello che è importante, però, è l’essere convinti e certi di quello che desideriamo e quello a cui miriamo ed a cui aspiriamo e solo successivamente bisogna ricercare la strada per arrivarci. Bisogna prestare particolare attenzione a quello che, spesse volte ed in modo semplicistico, la gente suggerisce. Niente risulta essere più fuorviante del seguire, senza riflettere, quello che gli altri dicono e fanno. Dobbiamo, invece, cercare di capire quello che è opportuno fare e non accodarci alla moltitudine solo perché altri fanno così.

La felicità vera può essere ricercata non nell’attaccamento ai beni terreni, ma nel rallegrarsi e nel gioire della virtù. Questo vuol dire che possiamo asserire con convinzione che è felice quella persona per la quale non esiste né il bene, né il male in assoluto; esistono, invece, persone buone e persone cattive, malvage. Questo costituisce l’elemento determinante ed essenziale della concezione morale di Seneca, il quale sostiene che la Virtù, nella cui interiorità risiede la “Felicità” reale ed autentica, suggerisce all’uomo di considerare come effettivo bene unicamente quello che da lei proviene e di ritenere come male, come iniquo e malvagio, tutto ciò che deriva dal suo opposto.

Comunque, bisogna sempre cercare di perseguire il bene, in quanto la virtù percepisce come bene solo quello che non lede e non ostacola gli altri. La vera ed autentica “felicità” si fonda sulla capacità di esprimere ed esternare un giudizio onesto, giusto, leale.

La concezione morale di Seneca, ha origine dal pensiero della scuola di Zenone, in quanto i filosofi appartenenti alla corrente dello stoicismo condividono la correlazione e il rapporto esistente fra Natura e Ragione. Questo vuole significare che la persona che vive seguendo la legge e nel rispetto della Natura, vive anche secondo Ragione.

Il compito prioritario della persona, quindi, è di cercare di vivere in sintonia con questa intesa, con questa armonia planetaria, anche perché vivere in relazione con questi presupposti, con questi valori, significa “essere degni della Felicità”.

Kant, ad esempio, distingueva tra “l’essere felici e l’essere degni di essere felici”; e precisava, ancora, che l’uomo tende, per natura, alla felicità, eppure solo raramente e in rare circostanze, riesce ad essere felice.

Per Kant, quindi, quello che è veramente importante non è l’essere felici, è importante, invece, il divenire degni della felicità, l’esserne degni.

Zenone, invece, nell’opera intitolata “Della natura dell’uomo”, reputò, come autentico ed importante fine che l’individuo deve perseguire, la possibilità di vivere in armonia con la “natura", cioè la necessità di vivere secondo virtù, e questo perché è proprio la natura che ci guida e ci orienta conducendoci alla virtù.

Per Seneca Vivere secondo Natura, Vivere secondo Ragione, Vivere secondo Virtù, rappresentano e costituiscono un analogo scopo, una analoga aspirazione.

Quindi, per Seneca, la “Felicità” coincide con il vivere secondo “Natura”, e, nello stesso tempo, vivere secondo “Natura”, vuol dire vivere secondo “Ragione”, proprio perché l’uomo lontano dalla “Ragione”, non potrà mai essere pienamente e compiutamente“Felice”, e non potrà essere felice in quanto l’uomo coglie la ”Felicità” solo attraverso la ”Ragione”. In definitiva ”Felicità”, per Seneca, vuol dire vivere nella grandiosità e nella dimensione del proprio esistere e del proprio agire razionale.

Seneca sosteneva che il nostro spirito e il nostro fisico rappresentano due entità che interagiscono e si completano a vicenda. Affermava, inoltre, che la regola di vita è rappresentata dalla propria coscienza e non dal parere o dalle opinioni della gente, ecco perché non bisogna avere alcun timore di vivere o di morire in quanto ciò che è importante per la persona è perseguire sempre la “virtù”. Solo chi agisce secondo virtù non arreca danni, né lede la libertà o la volontà degli altri.

Per Seneca, quindi, il vero ed autentico bene dell’uomo è la “Virtù”, e questo significa che i beni reali, certi ed effettivi, sono esclusivamente quelli morali, in quanto solo i beni morali concorrono alla formazione di persone giuste, oneste, leali, libere. La “Virtù” autentica è rappresentata dalla “Giustizia”; all’uomo compete, di conseguenza, un importante dovere: quello di essere “felice”.

Oggi, spesse volte ci chiediamo: perché è tanto difficile essere felici? Perché non cerchiamo di essere allegri, contenti, lieti? Perché non è possibile insegnare la felicità o ad essere felici? Perché è così difficile trasmetterla?

La Felicità, comunque, non è un momento di esaltazione; è, invece, uno stato d’animo costante; è come sentire, piano piano, in sottofondo, una sinfonia di Bach, di Beethoven, di Verdi, che può essere interrotta o “disturbata” dai rumori improvvisi e assordanti della vita…, ma, in fondo, c’è!

La Felicità potremmo paragonarla alla Fede: alcuni ce l’hanno! Altri no! Così come, talune volte, qualcuno la trova improvvisamente e qualche altro la perde improvvisamente.

Ma, in effetti, cosa intendeva Seneca per “felicità?”. La felicità è la concordanza tra il modo di agire della persona e il rispetto delle leggi della natura. Quindi, è felice quell’uomo che persegue la “Virtù” e non si lascia entusiasmare né, tantomeno, avvilire o scoraggiare dalle varie circostanze che il destino ci presenta.

La vera felicità consiste, in definitiva, nel possedere un animo libero, non condizionato dai desideri, dall’avidità, dalla cupidigia; un animo che ha come fine l’onestà.

Un animo basato su questi presupposti è, certamente, un animo sereno, un animo lieto, tranquillo, che gioisce e si rallegra di quello che possiede, senza avvertire il peso e il condizionamento di ulteriori desideri. Quindi, per Seneca, è felice quell’uomo che gioisce di quello che ha e se ne rallegra, si accontenta; è felice colui il quale rimette alla ragione la guida della propria esistenza. L’uomo felice è colui che assume come modello la “natura”, ecco perché essere felici significa vivere secondo natura.

La “Felicità” non deriva dalla Virtù, né consegue da essa, ma è la “Virtù” stessa; è l’equilibrio, la sintonia della persona con se stessa, con la realtà che la circonda e con il mondo ultraterreno. In definitiva, è felice quella persona che conduce la propria esistenza con moderazione e buonsenso, senza mai lasciarsi influenzare dai beni materiali e dagli eventi esteriori, ma confida esclusivamente nelle proprie risorse, nelle proprie attitudini e nelle proprie competenze. La libertà effettiva ed autentica consiste nel conciliare e armonizzare i propri desideri con le circostanze che, naturalmente e quotidianamente, si presentano. Sono proprio i desideri e le scelte che la persona compie che, se orientati a fini di bene e ad azioni morali, conducono l’uomo verso la “Virtù” e, di conseguenza, verso la “Felicità”.

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