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Il Concilio restituito alla Chiesa

Copertina del saggio

 

A coronamento delle commemorazioni sul cinquantesimo anniversario dall'apertura del Concilio e – quindi – del relativo “Anno della Fede” indetto da Benedetto XVI e concluso da Papa Francesco, il professor Stefano Fontana ha pubblicato un agile saggio investigativo sulla questione della retta interpretazione del Concilio che, dall'ormai celebre Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 del Pontefice tedesco, non cessa di far discutere animatamente storici, teologi, esperti e osservatori vari delle correnti più diverse (cfr. S. FONTANA, Il Concilio restituito alla Chiesa. Dieci domande sul Vaticano II, La Fontana di Siloe, Torino 2013, Pp. 190, Euro 18,00). Non si tratta, però – è bene premetterlo subito in apertura – dell'ennesimo volume a tesi che tira strumentalmente acqua al mulino di chi va per la maggiore in un dato momento storico con il solo obiettivo di polemizzare ma di un'intelligente, vivace e persino simpatica rilettura del passato recente della comunità cristiana che abbraccia, prendendo spunto da alcune domande fondamentali - come suggerisce il sottotitolo - gli ultimi cinquant'anni di vita della Chiesa. Obiettivo di Fontana in questo testo è infatti quello di contribuire a chiarire le idee a un ipotetico fedele-medio della Chiesa che non ha vissuto il Concilio, magari non ha neanche letto tutti e diciassette i documenti licenziati dall'assise e oggi, in un periodo storico decisamente molto confuso, fatica a comprenderne tutte le conseguenze. Non si tratta quindi di uno studio riservato alla nicchia degli esegeti ma di una divulgazione piana diretta al semplice fedele che va a Messa la Domenica e segue abitualmente, anche con interesse, la vita interna della Chiesa senza però avere il tempo, e spesso neanche gli strumenti, per approfondire le questioni di non immediata attualità. La prefazione, firmata da Monsignor Crepaldi, intitolata “La corretta ermeneutica del Vaticano II e la nuova evangelizzazione”, d'altra parte fornisce ulteriori elementi signficativi di accompagnamento alla lettura quando sottolinea la necessità di fare finalmente strada a “una visione pienamente ecclesiale del Concilio” (p. 5) ribadendo – sulla scorta di quanto aveva già detto il cardinal Ratzinger – che il Vaticano II “non è un superdogma [e] si inserisce nella tradizione della Chiesa” (ibidem), qualcosa che invece è regolarmente mancato nelle principali ricezioni e letture che si sono susseguite negli ultimi decenni.

Come mostra opportunamente l'introduzione al saggio vero e proprio, infatti (“Introduzione di un semplice fedele della Chiesa cattolica. Che cos'è successo?”), scattando una serie di istantanee su quello che avvenne dal punto di vista pratico all'interno della Chiesa negli anni a immediato ridosso del Concilio, dimensioni essenziali e persino strutturali della Catholica come l'ambito della tradizione o la liturgia vennero radicalmente re-interpretati, e ri-formati, secondo canoni e chiavi di lettura che spesso non avevano precedenti, né - dal punto di vista formale - reale fondamento, nella storia della comunità cristiana. D'altra parte queste forzature, non autorizzate dai Pontefici, ma appoggiate vigorosamente dai circuito dei mass-media e rilanciate da settori non trascurabili della teologia del tempo, finirono col diventare un 'fatto' incontrovertibile senza che i richiami del Magistero sul punto venissero mai presi in considerazione. Particolarmente illuminante è quanto accaduto – ancora recentemente – allo stesso Benedetto XVI che nel 2009, in seguito ad un provvedimento del suo Pontificato sul delicato rapporto tra comunione e tradizione, si era visto addirittura costretto a scrivere una Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica riguardo al ritiro della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre lamentando di essere stato trattato dagli stessi “con odio senza timore e riserbo” (cit. a p. 23): un'ulteriore dimostrazione del fatto che nella Chiesa continua ad esistere un serio problema di disciplina e di obbedienza verso l'autorità gerarchica e che persino ad alti, altissimi livelli, talvolta la manifestazione dell'ortodossia può assumere i contorni della testimonianza eroica vera e propria. Beninteso, a scanso di equivoci, Fontana sgombra il campo dai sospetti che potrebbero subito tacciarlo di anticonciliarismo: “le cause della crisi attuale della religione cattolica e della Chiesa sono molteplici e non possono essere ricondotte al solo Concilio. Esse coinvolgono anche altre dinamiche storiche e culturali. Ne elenco solo alcune per brevità: lo sviluppo del principio di immanenza della filosofia moderna, l'utilizzo ideologico dello sviluppo della tecnica che ha denaturalizzato la vita umana, l'ideologia scientista che ha desacralizzato il mondo, la liberalizzazione del costume sociale - specialmente di quello sessuale e riproduttivo - , le nuove ideologie del corpo, la cosiddetta postmodernità e il connesso pensiero debole, lo sfondamento dei confini tramite internet che ha mescolato storie, usanze e princìpi, l'ideologia della modernità, o modernismo, che è penetrata anche dentro la Chiesa, la crisi della metafisica, il passaggio da una fede vista come conoscenza a una vista come esperienza” (p. 28).

Come si vede, i problemi del tempo presente sono molteplici, ampi e variegati (altri se ne potrebbero aggiungere) e quindi non riconducibili superficialmente a questa o quell'interpretazione di un documento conciliare. Anzi, si può semmai mettere in evidenza che alcuni degli iniziali sostenitori più appassionati dell''evento-Concilio' non abbiano poi lesinato dubbi e persino critiche severe appena qualche anno più tardi. L'Autore cita ad esempio il caso del grande storico tedesco della Chiesa Hubert Jedin, in quegli anni 'firma prestigiosa' anche su L'Osservatore Romano, che aveva denunciato pubblicamente “il trasferimento nella Chiesa di forme di democrazia politica”, quindi la penetrazione di “elementi protestanti nell'ecumenismo” senza tacere persino i limiti pastorali stessi della costituzione pastorale Gaudium et spes, una delle quattro grandi costituzioni fondamentali del Concilio: “Questa costituzione fu salutata con entusiasmo, ma la sua storia posteriore ha già dimostrato che allora il suo significato e la sua importanza erano stati largamente sopravvalutati e che non si era capito quanto profondamente quel 'mondo', che si voleva guadagnare a Cristo, penetrasse nella Chiesa” (cit. a p. 33). Oppure il cardinale francese Henri de Lubac, che pure era stato perito al Concilio, e che tuttavia già nel 1969 sosteneva che la Lumen gentium (un'altra delle costituzioni conciliari) venisse di fatto dai più “adoperata per legittimare la democrazia nella Chiesa”. E ancora si potrebbero citare don Divo Barsotti, che fu chiamato da Paolo VI a predicare gli esercizi spirituali alla Curia nel 1970 dove parlò espressamente di “crisi”, Jacques Maritain con le sue riflessioni amare e autocritiche sulla cronolatria (cioè l'esaltazione a priori di tutto ciò che è nuovo e diverso rispetto al passato), fino a Gianni Baget Bozzo che ripensando ai principali episodi di quegli anni sosterrà che “da una sottile fessura è passata l'autodistruzione della Chiesa” (cit. a p. 40). Insomma, uomini e pensatori molto diversi, non catalogabili in alcun modo sotto uno schema di parte, in tempi diversi e da cattedre differenti hanno espresso domande, nutrito dubbi, sollevato perplessità, fino ad arrivare a delle critiche vere e proprie. Ce n'è abbastanza per aprire una vera e propria indagine a tutto campo su quegli anni e le loro conseguenze per la vita della Chiesa, senza peraltro dimenticare le numerose influenze e le pressioni culturali, e anche politiche, dell'ambiente esterno e della società occidentale di quella stagione storica (si pensi alla rivoluzione dei costumi del '68, al primo vero referendum di civiltà dell'Italia repubblicana che fu quello sul divorzio, poco più tardi o, fuori dall'Italia, pure alle numerose crisi provocate dalla Guerra Fredda).

Venendo al Concilio vero e proprio, uno dei dati di fatto accertati è che la cosiddetta pastoralità alla lunga abbia giocato un ruolo decisivo. In effetti, “nessun Concilio prima del Vaticano II si era dichiarato 'pastorale'” (p. 63) e il significato autentico dello stesso termine non era stato mai realmente approfondito: per dirne una, il cardinale Biffi “afferma di aver trovato 'ambiguo' questo concetto” (p. 64). Tuttavia, il fatto che sia stato un Concilio pastorale non significa che esso non abbia implicato delle conseguenze dottrinali, anche se non dogmatiche, come pure emerge dai pronunciamenti del Magistero successivo. Di certo, da allora i teologi hanno assunto un ruolo di guida preponderante nella vita interna della Chiesa (se solo si pensa che al Vaticano I del secolo precedente non era presente nessun teologo) dando vita talora a quelle forme di 'magistero alternativo parallelo', per usare un'espressione particolarmente opportuna dell’istruzione Donum Veritatis della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo (1990), che rovesciando radicalmente la consueta gerarchia del rapporto Chiesa-mondo, finiscono col leggere il Vangelo e la Tradizione apostolica a partire dalla realtà storica e dalle correnti di pensiero dominanti, invece che il contrario. E' anche in seguito a questo singolare processo di mondanizzazione che una disciplina come la metafisica è progressivamente sparita dalla riflessione dottrinale e dalla catechesi per fare spazio all'ermeneutica “maggiormente aperta alla storia” (p. 109) e a quanti – come taluni biblisti – si battevano allora per il superamento radicale della tradizionale visione del mondo cattolica. A tutte queste tendenze i moti e le ribellioni - generazionali e culturali - degli anni '60 forniranno un formidabile supporto e più volte i Pontefici, a partire da Paolo VI (che nel post-Concilio pronuncerà allarmato decine d'interventi critici, se non drammatici) saranno costretti a intervenire in prima persona per fare chiarezza ri-orientando sensibilmente il timone della Barca di Pietro e prendendo decisamente le distanze da quanti – ed erano in molti – senza nessun tipo di mandato né di particolare rappresentanza, andavano invece nelle piazze e nelle parrocchie a dire enfaticamente 'il Concilio siamo noi' con l'aria di voler fare piazza pulita una volta per sempre con gli ultimi diciannove secoli di storia della Chiesa.

Eppure, scrive Fontana, la storia sarebbe potuta andare diversamente se solo si fossero ascoltate altre campane. L'Autore cita a questo proposito quattro esempi di opere uscite negli anni '60 ma di controcanto rispetto al canone dominante. La prima è proprio di Gianni Baget Bozzo ed uscì nel 1962: si tratta di Cristianesimo e ordine civile (recentemente ripubblicata da Cantagalli) che si fonda in buona parte sull'idea – poi duramente contestata – “che l'ordine naturale della società non possa costituirsi come tale e reggersi senza l'ordine soprannaturale” (p. 110): qualcosa che richiama il primato di Dio per la giustizia e lo sviluppo della società e quindi, necessariamente, il riconoscimento della presenza pubblica della Chiesa e dello statuto dell'identità cattolica in quanto tale che la modernità nelle sue matrici più ideologiche aveva invece escluso nell'Occidente degli ultimi due secoli. Il secondo testo è Il problema dell'ateismo di Augusto Del Noce, che esce nel 1964 e tematizza l'altro grande tabù della modernità, ovvero il rifiuto della concezione biblica del peccato originale, dando quindi luogo a “religioni atee” (p. 114), come è ad esempio indubbiamente il marxismo, che sostituiscono la Rivelazione sottintendendo altri atti di fede, anche se superficialmente vengono negati. Il terzo libro è Il Contadino della Garonna di Maritain, del 1966, che è un'autocritica insospettabile, e matura, proprio di un filosofo che invece a tante seduzioni della modernità vi aveva sinceramente creduto, finendo col perdere di vista la dimensione essenziale della militanza della vita cristiana: “Il mondo non può essere neutro in rapporto al regno di Dio. O è vivificato da esso o lo combatte” (cit. a p. 117). L'ultima opera, e non poteva essere diversamente, è di Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, che esce nel 1968 e riapre uno spazio per una visione metafisica della dimensione storica dell'umanità che fonderà poi le basi per una teologia politica finalmente esigente, e non più di rimessa, che potesse affrontare apertamente i nodi più problematici del rapporto Chiesa-mondo già allora. Il resto, come si dice, è cronaca recente e arriva al discorso alla Curia romana del dicembre 2005 e al motu proprio Summorum Pontificum del 2007 che hanno iniziato - nonostante le difficoltà presenti e le domande che pure ancora possono sorgere - a restituire pienamente il vero Concilio al legittimo e autentico detentore: non un singolo pastore o un gruppo di teologi, neanche un assise di biblisti ed ermeneuti, ma alla Chiesa tutta medesima, laici e religiosi, presbiteri e vescovi uniti sotto la guida - e in comunione – con il Pontefice regnante e il suo Magistero.

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