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Copertina Toniolo

 

Nell'immaginario collettivo comune ancora oggi si è soliti legare i Santi a figure eccezionali di sacerdoti, oppure frati, fondatori di ordini e congregazioni, suore intrepide in terre di missione, Pontefici amati dal mondo intero che hanno contribuito a cambiare il corso della storia o anche martiri eroici della fede in periodi di persecuzione religiosa particolarmente cruenti. Che si possa essere invece ugualmente santi, e di prima grandezza, svolgendo ad esempio una vita laicale da docente accademico, padre di famiglia e sposo esemplare è – nonostante tutto – relativamente poco noto. Smentisce decisamente questo luogo comune l'ultimo studio di Giuseppe Brienza che, trascorso un anno dalla beatificazione del sociologo ed economista veneto Giuseppe Toniolo (1845-1918), torna sull'attualità della sua figura di militante cristiano a tutto campo in un approfondito saggio pubblicato nella collana "Etica ed economia. Materiali della tradizione cristiana" diretta da Paolo Del Debbio per il periodico bimestrale La Società, organo della fondazione veronese intitolata proprio alla memoria di Giuseppe Toniolo e dedicata all'approfondimento di studi e ricerche scientifiche in tema di Dottrina sociale della Chiesa (cfr. G. Brienza, L'economista di Dio: Giuseppe Toniolo ad un anno dalla beatificazione. L'insegnamento del “profeta” della Rerum Novarum in un percorso fra riviste cattoliche del Novecento e interpretazioni contemporanee, Rimini 2013, Pp. 44, Supplemento “Etica ed Economia. Materiali dalla tradizione cristiana” a “La Società”, nr. 2/2013). La premessa al saggio, curata da Paola Ortelli, chiarisce che il lavoro di Brienza si sofferma principalmente sui tratti salienti del pensiero socio-economico toniolano visti come un modello concreto e tuttora attuabile di quella buona antropologia che presiede sempre alle scelte di merito della buona politica. In effetti, per riprendere le parole recenti del cardinale Angelo Bagnasco, il sociologo veneto costituisce “«un luminoso esempio e guida nell'attuale stagione italiana», caratterizzata da un generale e progressivo svilimento della morale pubblica” (pag. 6). Anticipatore della prima enciclica sociale della storia della Chiesa, la Rerum Novarum di Leone XIII del 1891, Toniolo resta infatti attuale proprio perchè è stato un uomo di studio e azione insieme che non ha mai scisso le due cose ma si è sempre mosso in una prospettiva coerentemente unitaria, secondo una visione che oggi definiremmo integrale (o, più correttamente 'organica') dell'uomo e della società nella sua interezza.

Docente universitario di economia politica presso gli atenei di Padova, Reggio Emilia e Pisa, si è distinto dai contemporanei – e, a ben vedere, anche dai suoi successori – proprio per la sua originale chiave interpretativa delle questioni sociali volta a sostenere “il primato dei valori morali e religiosi” (pag. 7) contro ogni riduzionismo di matrice materialista. Ed è “proprio ponendosi dal punto di vista antropologico e globale [...] che Toniolo rifiuta l'astrazione dell'homo oeconomicus. Dal primato della persona, dall'attenzione al bene comune perseguito attraverso i princìpi di solidarietà e sussidiarietà, si spiega il legame fra etica ed economia” (pag. 7). Ortelli cita come esempio significativo di questo approccio un suo intervento per l'inaugurazione dell'anno accademico nel 1873: “Dell'elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche”, dove si spiega puntualmente che la scienza economica va sempre integrata - e 'calata', se ci si passa il termine - in maniera interdisciplinare in dialogo con le altre discipline delle scienze umane nell'articolata realtà storica e sociale che è chiamata a servire, più che a governare: “in pratica, la causa efficiente primaria delle leggi sociali ed economiche è l'uomo nella sua interezza, quindi anche nelle sue dimensioni morali e spirituali” (pag. 7). Ecco dunque spiegato il rilievo conferito alla persona umana quale “centro del sistema economico”, la contestuale critica delle logiche mondane (già allora) imperanti del profitto, nonché dell'utile per l'utile, e la sottolineatura controcorrente sulla vitalità strategica “dei cosiddetti corpi intermedi e sull'influenza dello spirito religioso nella società” (pag. 7), per non accennare che alcuni dei capisaldi poi successivamente sistematizzati in forma esplicita dai principali documenti del Magistero della Dottrina sociale della Chiesa.

Segue quindi un'“Introduzione” dell'autore che rievoca sinteticamente i numerosi meriti storici per cui oggi egli viene ricordato: non solo la sua assidua attività scientifica di docente e ricercatore ma anche il fatto che fu l'ideatore delle “Settimane Sociali dei Cattolici Italiani”, nate proprio sotto la sua spinta nel 1907, quindi la guida dell'Azione Cattolica nei primi anni del Novecento e la fondazione della Federazione degli Universitari Cattolici (FUCI), senza dimenticare nemmeno l'impegno pluriennale nell'Opera dei Congressi (1874-1904) e il lascito ideale che ispirerà di lì a poco la fondazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Insomma, per Toniolo passa buona parte della storia del movimento cattolico italiano che va dalla riorganizzazione interna dopo la ferita inferta dallo Stato unitario a Porta Pia (1870) fino al Patto Gentiloni (1912) che segnerà l'ingresso ufficiale dei cattolici nella vita politica del Paese. In mezzo, quarant'anni di lotte, contese e ricostruzioni che videro Toniolo sempre in prima fila come formatore di giovani studiosi e intellettuali cristiani impegnati, nella convizione profonda che educare la classe dirigente del futuro non fosse meno importante che detenere le leve del potere civile. In questo senso, come accennato, la 'chiave segreta' di Toniolo va ricercata nel suo amore appassionato per l'insegnamento, visto quale esigente vocazione cristiana e quindi occasione di santificazione vera e propria (“Aver massima cura dei miei discepoli, trattandoli come sacro deposito, come amici del mio cuore, da dirigere nelle vie del Signore” (pag. 15), annotava significativamente nel suo diario spirituale). A seguire, nella prima parte dell'opera, Brienza riprende questi e altri princìpi-guida ispiratori del pensiero del sociologo veneto servendosi di una serie di contributi interpretativi pubblicati da alcuni studiosi – di diverso orientamento – in alcune riviste scientifiche di area cattolica del secolo scorso, dando voce nell'ordine ai saggi di Vittorio Trocchi, Giuseppe Cassano, Giovanni Ambrosetti, Paolo Comanducci e Giovanni Zalin. Si apprezzano così non solo tratti tuttora poco noti della sua vicenda biografica (come l'influenza culturale esercitata sul beato don Giacomo Alberione (1884-1971) e le svariate iniziative educative legate alla Società San Paolo) ma anche la radicata impostazione giusfilosofica del suo pensiero che fa da sfondo all'analisi sociologica in senso lato con attualissime considerazioni sulla crisi del positivismo giuridico e del moderno Stato di diritto: “secondo il modello di Toniolo, che ha alle spalle una lunghissima tradizione culturale, non é sufficiente che una legge sia stata emanata dall'autorità suprema perchè superi il controllo di validità. [Aggiunge] Comanducci: «Per non essere 'intrinsecamente nulla' essa deve, inoltre, non contraddire alcun precetto del diritto naturale. Dietro la formula della 'genesi razionale' dello Stato si annida infatti l'idea della vigenza universale (trans-temporale e trans-spaziale) del diritto di natura, gerarchicamente sovraordinato alla legge positiva, anche nel foro esterno” (pag. 23).

La seconda parte del lavoro è invece dedicata alle innumerevoli letture di Toniolo che hanno caratterizzato l'anno della sua beatificazione: da quella dell'economista di Dio' presente nel titolo e mutuata dalla biografia redatta anni or sono sul novello beato dal postulatore della causa, monsignor Domenico Sorrentino, a quelle - ugualmente pregnanti e non meno puntuali - di 'grande apostolo della Dottrina sociale' e 'restauratore della società organica' che pongono l'accento invece sulle finalità specificatamente apostoliche e pre-politiche che “caratterizzarono tutta la sua precedente attività di studioso e militante sociale” (pag. 31). Da ultimo, Brienza accenna anche a quanti – negli ultimi anni, proprio all'interno della comunità cristiana – hanno finalmente ripreso con convinzione la lezione toniolana dopo il periodo di vero e proprio oscuramento dovuto all'ubriacatura transgenerazionale degli anni Sessanta e Settanta, rilevando non poche suggestioni immediatamente spendibili nell'attuale crisi politica e istituzionale: “si pensi alla preoccupazione di Toniolo per le degenerazioni dei partiti, al suo invito a sviluppare ampie autonomie locali, alla sua esortazione per una legiferazione protettiva dei diritti dei lavoratori, alla sua proposta di ripartizione degli utili aziendali in capo agli operai, al suo sostegno a una democrazia sostanziale, nella quale si esprime il primato della società civile, pur nella salvaguardia del principio di autorità, e la finalizzazione al bene comune” (pag. 32). Come si vede, siamo qui di fronte a un deciso appello per un'assunzione delle proprie responsabilità da parte di ogni singolo soggetto presente nel corpo sociale (che poi sarebbe l'obbedienza alla famosa etica dei doveri che eventualmente precede e fonda quella dei supposti, ma più spesso inesistenti, diritti 'moderni') ripartendo da quel primato originario di Dio che nella storia ha espresso le migliori opere della tradizione sociale cristiana mostrando con i fatti come davvero, e non solo simbolicamente, chi si trova a difendere i diritti di Dio alla fine difenderà anche il valore universale della dignità umana in tutti i suoi aspetti. Dopotutto, per quanto si possa ancora polemizzare dagli odierni pulpiti massmediatici, il contrario (ovvero il rispetto del decalogo e della validità della legge naturale partendo dal singolo individuo, secondo un'ottica orizzontale anziché verticale), dati oggettivi alla mano, non è mai accaduto.

Bernheim

 

Una bomba ad orologeria con il conto alla rovescia già avviato sopra le nostre teste: così, semplificando e interpretando un po' l'intervento giornalisticamente, si potrebbe definire il Discorso tenuto da Papa Benedetto XVI il 21 dicembre 2012 alla Curia romana in occasione dei rituali auguri natalizi, uno degli ultimi in assoluto del suo pontificato e forse il più rilevante dal punto di vista magisteriale. In quell'occasione, affrontando il tema dell'ideologia del gender (o 'gender theory', in inglese) in tutte le sue conseguenze pubbliche, specialmente educative, politiche e culturali il Pontefice faceva riferimento a un importante intervento recente del Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, che - come portavoce della comunità ebraica - obbligatoriamente sollecitato a dire la sua in riferimento al progetto di legge Taubira (poi approvato, il 20 aprile scorso), meglio noto come “Le mariage pour tous”, esponeva chiaramente, e ordinava in modo coerente, oltre che laico e interreligioso, una serie di obiezioni di natura giuridica, antropologica, filosofica e morale all'estensione di un riconoscimento pubblico quale è il matrimonio a coppie dello stesso sesso. L'intervento, passato praticamente sotto silenzio dopo qualche giorno di vivaci polemiche, è ora messo intelligentemente a disposizione di chiunque lo voglia leggere grazie a una meritoria iniziativa editoriale di Gabriele Mangiarotti di CulturaCattolica.it (cfr. G. BERNHEIM, Quello che spesso si dimentica di dire. Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione, Salomone Belforte & C., Livorno 2013, Pp. 66, Euro 10,00). Il saggio integrale di Bernheim è introdotto da una presentazione di monsignor Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, che riprendendo la riflessione sulle plurisecolari radici giudaico-cristiane della tradizione occidentale, riporta l'impostazione del discorso sull'evidenza perenne della legge morale naturale che precede la nostra esistenza e quindi confuta alla base ogni pretesa 'dittatura del desiderio' della società contemporanea ben rappresentata da certe espressioni del linguaggio ormai diventate di uso comune (“sento così, perciò questo è vero” oppure “la maggioranza sente così e perciò questo è vero”), sintomatiche del nuovo “totalitarismo tecnocratico” (p. 12) che tutto omologa e appiattisce nel nome di un egualitarismo estremo che non conosce confini né limiti. Su posizioni analoghe si trova anche un esponente di punta dell'ebraismo italiano come Giorgio Israel, docente presso l'università La Sapienza di Roma, che nel suo intervento da intellettuale laico (“La difesa della religione e della civiltà”) identifica significativamente nella teoria del gender “la punta di lancia di una battaglia ideologica volta a distruggere quello che viene chiamato l''essenzialismo' della cultura occidentale” (p. 14) e quindi il suo patrimonio culturale e spirituale (non solo meramente religioso) più autentico, citando come esponente di rilievo di questo percorso intellettuale l'influente filosofa statunitense contemporanea Donna Haraway, la più nota teorica del cyborg (un organismo cibernetico che è allo stesso tempo uomo e macchina) come metafora tipica della condizione umana post-moderna: “siamo di fronte a una battaglia ispirata a un'avversione profonda per le radici stesse della civiltà e della cultura occidentali che viene da lontano, fin da quegli anni sessanta del secolo scorso in cui gli studenti dei campus statunitensi scandivano lo slogan “From Plato to Nato” (“da Platone alla Nato”), che può far sorridere ma illustra meglio di lunghi discorsi l'ideologia in gioco” (p. 15).

Il saggio vero e proprio di Bernheim che segue immediatamente dopo spiega come la lotta democratica contro l'ingiustizia e la discriminazione nulla abbia a che fare con le rivendicazioni politiche e legislative derivanti dall'ideologia del gender che invece – come tutte le ideologie nella storia – semmai si caratterizza proprio per una negazione radicale della realtà esistente e dei dati per così dire più fattuali. Così, il rischio “irreversibile” (p. 21) è quello di dare luogo a una confusione “di genealogie, di norme (il bambino-soggetto diventa bambino-oggetto) e di identità” (p. 21), una confusione che si rivelerebbe nefasta “per l'insieme della società e che fa perdere l'interesse generale a vantaggio di quello di una infima minoranza” (ibidem). Nella prima parte della sua trattazione (“Analisi delle argomentazioni dei sostenitori di una legge” pp. 23-43) Bernheim, prestando la voce e la penna ai suoi avversari, si pone delle domande significative e risponde pazientemente ad ognuna delle rivendicazioni politiche più diffuse in pubblico restando sempre – ed è qui il valore aggiunto della testimonianza – su un piano di laicissima logica argomentativa e razionale, mentre nella seconda (“Dietro le discussioni, il confronto di due visioni del mondo” pp. 45-54) affronta la questione da una prospettiva antropologica confrontandosi con idee come – tra le altre – quelle della scrittrice Simone de Beauvoir (1908-1986), che in Francia è stata una delle prime a teorizzare una distanza netta tra il femminismo biologico e naturale (donne si nasce) e il femminismo culturale e quindi artificialmente costruito (donne si diventa), fino ad arrivare alla più recente queer theory che si propone di “far sparire la differenza sessuale tra uomo e donna” (p. 47) sostenendo che “non essendo che una convenzione sociale, l'identità sessuale non è in alcun caso determinante per la psiche dell'individuo. Non bisogna, quindi, tenerne conto” (p. 47). La conclusione finale, drammatica nei toni, illumina però senza retorica l'effettiva posta in palio: “Di fronte a queste dilaganti rivendicazioni, è legittimo chiedersi se l'obiettivo dei militanti non è la distruzione pura e semplice del matrimonio e della famiglia, come sono tradizionalmente concepiti. In questo obiettivo, il matrimonio omosessuale e il diritto all'adozione per le coppie dello stesso sesso non saranno che un mezzo per fare esplodere le fondamenta della società, per rendere possibile ogni forma di unione ed, infine, liberare l'uomo da una morale ancestrale e far sparire così definitivamente la nozione stessa di differenza sessuale” (p. 49). In appendice del libro, per approfondire ulteriormente il discorso a più voci, un contributo del rabbino di Torino Alberto Moshe Somekh e di suor Maria Gloria Riva, studiosa dell'arte moderna e contemporanea occidentale, che si concentra sul concetto di differenza sessuale commentando l'originale dipinto “Omaggio ad Apolinnare” - raffigurato in copertina - del pittore ebreo russo, poi naturalizzato francese, Marc Chagall (1887-1985) per dire che “con un anticipo di un secolo (siamo nel 1911-1912 quand'egli dipinge quest'opera) [Chagall] già affermava che la temperatura di un secolo, le battute o gli arresti di una generazione derivano proprio dal modo di concepire la coppia, la distinzione fra i sessi e la tensione costante della sessualità verso quel compimento che inevitabilmente per essere raggiunto la trascende” (p. 66).

Copertina libro Correa de Oliveira

 

E' stata presentata a Roma, presso l'associazione Luci sull'Est, l'ultima raccolta di pensieri di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), l'indimenticato autore dell'opera in assoluto più importante prodotta dalla cosiddetta scuola controrivoluzionaria nel XX secolo: Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (di cui peraltro proprio quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario della traduzione italiana, la prima edizione - curata da Giovanni Cantoni - uscì infatti per le edizioni Dell'Albero di Torino nel 1963). Il nuovo volume, edito dalla Cantagalli di Siena (cfr. P. Corrêa de Oliveira, Innocenza primordiale e contemplazione sacrale dell'universo, Cantagalli, Siena 2013, Pp. 366, Euro 19,00) e comprendente una serie di trascrizioni da nastri registrati di conversazioni, conferenze e discorsi sul tema della contemplazione e della bellezza, è una sorta di 'appendice contemplativa' ideale al grande affresco pubblicato in vita e dunque da non perdere. La serata, introdotta dal dottor Juan Miguel Montes Cousiño, direttore dell’Ufficio Tradizione Famiglia Proprietà di Roma, è stata condotta da Julio Loredo – già allievo del professor Corrêa de Oliveira - che oggi dirige la versione italiana della rivista ufficiale della TFP. Loredo ha presentato subito la figura dell'intellettuale brasiliano sotto tre profili: egli è stato infatti contemporaneamente “un pensatore, un uomo d'azione e un contemplativo”. Se la prima definizione appare pacifica (essendo stato egli per lunghi anni docente di storia moderna e contemporanea presso la Pontificia Università Cattolica di San Paolo, oltre che autore di libri e una mole pressoché innumerevole di articoli per riviste e giornali quale vivace forma di apostolato), meno immediate sembrerebbero le altre due, almeno per chi si accosta superficialmente alla sua figura. Eppure il brasiliano fu anche un cristiano militante, attivo nella vita pubblica (e politica, essendo stato – a soli 24 anni – il deputato eletto più giovane e più votato del Paese) richiamando decisamente il primato di Dio sulla pubblica piazza e anche e soprattutto un uomo di contemplazione, un uomo di preghiera, come ha sottolineato Loredo che ha ricordato anche la sua esperienza come priore del terz'ordine carmelitano e leader delle congregazioni mariane. Preghiera, formazione e azione - esattamente in quest'ordine poiché “non c'è contro-rivoluzione senza contemplazione” - diventano così i tre cardini fondamentali di una vita spesa nella Chiesa e per la Chiesa dalla primissima giovinezza fino alla morte, avvenuta ad 87 anni di età a San Paolo.

Se il processo rivoluzionario di allontanamento dalle radici cristiane che l'Occidente nel suo insieme (tanto in Europa, quanto nelle Americhe) da ormai quasi cinque secoli ormai attraversa, è ad uno stadio così avanzato, l'unica soluzione non può che essere nel ritorno convinto all'ordine naturale e divino che è stato violato, come pure recita un recente saggio di John Horvat pubblicato negli Stati Uniti (Return to Order. Only solution to the crisis. From a Frenzied Economy to an Organic Christian Society, York Press, 2013). Oggi, dopo le quattro grandi tappe della scristianizzazione (la Rivoluzione protestante di Lutero nel '500, quella illuministica e giacobina esplosa in Francia alla fine del '700, quella socialcomunista a livello mondiale per gran parte del '900 e quella dei costumi e della morale successiva all'onda lunga del 1968, ancora in pieno corso) la situazione di endemica crisi sociale diffusa può risolversi solamente tornando a quel primato originario di Dio che l'Autore brasiliano coglieva ad esempio nella “contemplazione sacrale” del creato. La contemplazione, infatti, permette di cogliere in misura immediata ed intuitiva tutta la piccolezza e la fragilità della nostra umanità e – per converso – la grandezza irriproducibile del Creatore che ci precede: con il che, verrebbe da dire, siamo già alla vigilia della conversione e, quindi, almeno in tesi, in fase di prima contro-rivoluzione. Se infatti riconosciamo di essere delle creature finite e mortali, dipendenti dal Cielo (“l’uomo è creato per conoscere, servire ed amare Dio su questa terra e goder di Lui eternamente in paradiso”, ricordando un celebre articolo del Catechismo di San Pio X) e che dunque non si danno delle norme morali di azione da sole, allo stesso tempo riconosciamo anche che c'è una Creazione prima di noi e quindi un Creatore a cui siamo necessariamente debitori per la vita e per tutti i doni che abbiamo ricevuto. Il passaggio successivo è che l'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, quale essere eminentemente razionale, può dominare liberamente le passioni e gli istinti orientandoli alla legge naturale ricalcata nel Decalogo e quindi a Dio stesso. Se è vero infatti che siamo fatti di ragione, volontà e sensibilità non è meno vero che tra le tre c'è una chiarissima scala gerarchica discendente per cui la sensibilità nulla fa senza la volontà e quest'ultima nulla può se la ragione non vuole. Esattamente opposto è invece il meccanismo rivoluzionario: distruggere l'ordine interiore dell'uomo dando sfogo selvaggio alle passioni e quindi sottomettersi al giogo incontrollato dell'orgoglio e della sensualità che restano - oggi come ieri - le due grandi leve motrici di ogni 'rivoluzione tendenziale' in senso proprio (a partire dalla prima di Lucifero e degli angeli ribelli, descritta in modo immortale dal libro della Genesi, avvenuta appunto per orgoglio). Il risultato pratico è il disordine familiare e sociale che quotidianamente vediamo crescere sotto i nostri occhi e che alimenta senza soluzione di continuità la 'dittatura del relativismo' etico.

Plinio Corrêa de Oliveira aveva considerato tutto questo e aveva visto una via d'uscita appunto nella contemplazione della bellezza specchio della nostra innocenza primordiale che – come insegna una vecchia leggenda bretone su una cattedrale sommersa nel mare ma di cui i pescatori odono di tanto in tanto il suono delle campane che gli angeli fanno risuonare – se può essere ferita nel nostro cuore, tuttavia non viene mai meno. Scrive a tal proposito il pensatore sudamericano: “L'innocenza primordiale non è qualcosa che il diavolo riesca a sradicare interamente dalla nostra anima. Vi resta una cattedrale sommersa dalle acque del peccato ma che ancora esiste in noi. Di tanto in tanto le campane di questa innocenza rintoccano, e ci fanno sentire come una melodia interiore, una nostalgia, una speranza...”. Né si tratta di arbitrarie osservazioni personali e soggettive se è vero che addirittura un dicastero della Santa Sede – il Pontificio Consiglio della Cultura – nel 2006 ha pubblicato ufficialmente, sulla scorta del Magistero di Papa Benedetto XVI, un apposito documento intitolato proprio alla Via Pulchritudiniscome cammino privilegiato di evangelizzazione e dialogo”: qui vengono proposte alla riflessione varie figure di artisti e opere d'arte particolarmente significative della storia bimillenaria dell'Occidente che potrebbero parlare agli uomini smarriti di oggi conducendoli a ri-scoprire la via della verità più e meglio di quanto forse un confronto o una disputa meramente intellettuale potrebbe fare. Corrêa de Oliveira da parte sua propone tre esempi, tra gli altri: la cattedrale di Notre-Dame a Parigi, del XII secolo, uno dei capolavori dell'arte gotica più celebri al mondo, l'abbazia di Mont-Saint-Michel, dedicata al principe delle schiere celesti, che si erge sull'isola omonima, risalente al X secolo, e il monte Fuji, la montagna più alta del Giappone con la sua caratteristica cima universalmente nota, dalla punta conica spezzata, innevata dieci mesi l'anno. La semplice visione di questi luoghi, debitamente contemplati, nel silenzio della meditazione o sul sottofondo del cantico di preghiera più melodico, è un invito deciso ad alzare gli occhi al Cielo sopra le miserie della società dell'immagine per riscoprire il vero, e autentico, senso primordiale di ogni cosa. Se il peccato, il brutto e l'osceno che dilagano oggi sui grandi mezzi di comunicazione e sui cosiddetti 'social network' allontanano sempre più l'uomo dalla sua nobile origine e dal suo fine ultimo, le meraviglie immortali dell'arte e del creato presenti tutt'intorno a noi restano comunque lì ad indicare – a chiunque sia disposto ad ascoltare – che la vita è un avventura bella, degna di essere pienamente vissuta, e che il bello infine altro non è che il secondo nome del vero e del buono.

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