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Grave lutto nel mondo della Diplomazia e della Cultura per la perdita dell’Ambasciator Bruno Bottai, Presidente della Società Dante Alighieri.

Il triste annuncio è stato diramato dalla stessa Società Dante Alighieri. La camera ardente è stata allestita a Roma, presso la sua Sede storica in Palazzo Firenze (Piazza Firenze 27) oggi 4 novembre ed è visitabile dalla ore 10 alle ore 19.

La cerimonia funebre si svolgerà domani 5 novembre alle ore 10 presso la Chiesa di Santa Maria in Trastevere.

L’Ambasciatore Bruno Bottai nacque a Roma il 10 luglio 1930. Ancora giovanissimo, all’età di 24 anni, intraprese una promettente carriera diplomatica per concorso, rivestendo ben presto la carica di Vice Console a Tunisi e Secondo Segretario alla Rappresentanza Italiana (dal 1958 al 1961) presso la nascente Comunità Europea. Successivamente, continuò a seguire, in particolare, gli sviluppi europei negli anni di servizio presso la segreteria Generale del Ministero, nella funzione di Capo del servizio Coordinamento (dal 1961 al 1966) e dopo presso la Presidenza del Consiglio, in qualità di Consigliere diplomatico del Presidente (dal 1970 al 1972).

Gli anni ’70 lo hanno visto prima Capo Servizio Stampa della Farnesina (dal 1972 al 1976), poi Ambasciatore presso la Santa Sede (dal 1979 al 1981), carica rivestita una seconda volta ( dal 1994 al 1997), a conclusione di carriera. Ambasciatore di grado nel maggio 1981, ebbe successivamente gli incarichi di Direttore Generale degli Affari Politici (dal 1981 al 1985) e Ambasciatore a Londra ( dal 1985 al 1987) e Segretario Generale della Farnesina (dal 1987 al 1994).

Dall’aprile del 1995 fino alla sua morte, l’Ambasciatore ha profuso il massimo impegno per rinnovare la più antica ed illustre istituzione italiana, che opera in Italia e nel Mondo per la diffusione della nostra cultura.

La sua scomparsa è quindi una grave perdita per la nostra comunità nazionale, poiché la Società Dante Alighieri è sempre stata in prima linea nel contribuire alla diffusione di quella politica dell’italianità, così cara e fortemente sostenuta dal Ministro Tremaglia, costituendo un punto di riferimento universalmente riconosciuto da tutti gli Italiani in Patria ed all’estero.

Il Presidente Giacomo Canepa e il Segretario Generale Roberto Menia del Comitato tricolore per gli Italiani nel Mondo e tutti gli Italiani residenti all’estero esprimono le più sentite condoglianze per la scomparsa del Presidente Bottai che, con la sua professionalità e la sua grande dedizione al lavoro, ha saputo generare un forte interesse intorno alla nostra lingua, non solo da parte dei nostri giovani, ma anche degli stranieri in tante parti del Mondo.

Le sue iniziative, volte alla promozione e alla diffusione della lingua e della cultura italiana, hanno saputo rafforzare i già solidi legami tra le due Italie, da questa e dall’altra parte dell’Atlantico, entrambe fondate su radici di valori ed idealità.

Sotto la sua illuminata guida, la Società Dante Alighieri ha avviato progetti innovativi, quali la certificazione PLIDIA, l’Attestato ADA, la rete Internet e non per ultimo, il nuovo Statuto, che parifica la “Dante” alle ONLUS.

La sua visione della politica culturale dell’italiano all’estero si è concentrata nel favorire i rapporti fra la “Dante” e la Farnesina nell’ambito di un sistema integrato che, pur nelle ridotte risorse economiche, permettesse di collaborare a livello internazionale con la nostra rete diplomatica.

Meritati i successi e i ringraziamenti da parte della Presidenza della Repubblica Italiana (Medaglia d’Oro) e del Ministero dei Beni Culturali (Medaglia d’Oro) e all’estero, con il Premio Principe delle Asturie, consegnatole dall’attuale Re di Spagna Filippo VI.

cop paolo vi

Il 19 ottobre scorso in piazza S. Pietro Papa Francesco al termine del Sinodo straordinario sulla famiglia beatifica Paolo VI, il papa che chiuse il Concilio Vaticano II e che ha governato la Chiesa per ben quindici anni (1963-1978). Paolo VI, così come Pio IX, prima venne acclamato come un papa rivoluzionario, poi soprattutto dopo aver promulgato l’enciclica “Humanae vitae”, diventa reazionario e conservatore. In pratica scrive Marco Invernizzi, dirigente milanese di Alleanza Cattolica, su“Comunitambrosiana.org”, riferendosi agli intellettuali della cosiddetta “Scuola di Bologna”, fondata da Giuseppe Dossetti, “lo hanno biasimato accusandolo, più o meno esplicitamente, di essere stato l’affossatore del Concilio dopo la sua elezione e negli anni successivi alla chiusura dei lavori conciliari”.

Come sempre chi critica i pontefici sono spesso gli intellettuali e non tanto il popolo, così anche Paolo VI finisce sotto torchio, di questi studiosi di Bologna che in pratica hanno egemonizzato per mezzo secolo l'interpretazione del Vaticano II leggendolo come un evento di rottura con la storia precedente della Chiesa. “In questa lettura non c'era posto per Paolo VI, se non come il Papa che ha spento lo "spirito del Concilio" limitandosi ad applicarne la "lettera". Ma la cosa inquietante - per Invernizzi - è che questi stessi uomini sono stati principalmente i gestori della presentazione di Paolo VI emersa sulla stampa e sulle radio e televisioni in questi giorni. È stato così perlomeno sorprendente ascoltare Alberto Melloni "spiegarci" e "raccontarci" Paolo VI alla Rai, proprio lui che è il discepolo di Giuseppe Alberigo (1926-2007) che a sua vota è il discepolo di don Dossetti, che proprio Paolo VI fece allontanare dai lavori conciliari”.

Invece una studiosa che racconta con equilibrio che cosa è stato Paolo VI, è Giselda Adornato, che ha scritto una biografia, dal titolo, “Paolo VI. Il coraggio della modernità, Edizioni San Paolo (2008), peraltro è uscita sempre per la stessa casa editrice, un’altra biografia su papa Montini in occasione della beatificazione. Per il momento faccio riferimento a quella del 2008. Nella presentazione al testo il cardinale Dionigi Tettamanzi sottolinea il carattere missionario di papa Montini, citando la stupenda esortazione apostolica, “Evangeliinuntiandi” e proprio qui sta il cuore di Paolo VI, quello che non sa solo conoscere le pecore nell’ovile, ma va a cercare le altre, in una tensione che non deve avere tregua, spinta dall’amore. Papa Montini amava con cuore pastorale, amava con cuore missionario. Tettamanzi coglie un aspetto dell’evangelizzazione che il libro sottolinea: è la gioia dell’evangelizzazione, alla quale papa Montini ha dedicato l’esortazione apostolica “Gaudere in Domino”, “è una gioia che tutt’oggi va ridestata e stimolata, - scrive il cardinale - soprattutto nelle non poche situazioni pastorali in cui la speranza sembra spegnersi”.Infatti, per Paolo VI, il cristianesimo è per certi aspetti pessimista, ma nello stesso tempo è anche ottimista, anzi, alla fine prevale sempre l’ottimismo, pertanto il papa invita i fedeli a fare “l’apologia della gioia cristiana”.

Saltiamo i primi tre capitoli del libro e passiamo subito al IV, quello del pontificato, che si colloca in un’epoca storico-ecclesiale di transizione e di mutamento, sia a livello civile che religioso. Dal benessere procurato dai vari “miracoli economici”, si può già intravedere la massiccia secolarizzazione di massa di tutte le società europee. Mentre nell’Europa orientale, le chiese cattoliche subiscono vere e proprie persecuzioni, da parte del totalitarismo comunista. Infatti afferma il cardinale Casaroli, “Per la prima volta - nella storia stiamo assistendo a una lotta freddamente voluta e accuratamente preparata dall’uomo contro ’tutto ciò che è divino. In Italia oltre alla secolarizzazione, la Chiesa deve affrontare il più forte partito comunista d’Occidente e si parla di “Chiesa assediata”. Intanto i vescovi italiani studiano il laicismo, producendo nel 1960 un documento profetico, col titolo appunto “Il laicismo”, dove si denuncia la scristianizzazione della società italiana ad opera del secolarismo. Il testo purtroppo è stato trascurato, se si prendeva in considerazione si poteva provare a scongiurare quella deriva sociopolitica e culturale che ha portato verso sinistra, tanto mondo cattolico.

Il 29 settembre Paolo VI apre il secondo periodo del Concilio Ecumenico Vaticano II, mettendo al centro Cristo, principio, via, guida, speranza, termine.

Il Concilio secondo papa Montini, dovrà promuovere il rinnovamento interiore della Chiesa stessa, senza rottura con le sue tradizioni. I fini che egli assegna al Concilio sono pastorali, tuttavia,“viene celebrato per risvegliare, rinnovare, purificare, ammodernare, intensificare, dilatare la vita della Chiesa, che è in cerca di nuove vie per annunciare Cristo”. Inoltre Paolo VI ricorda che tra le finalità assegnate da Giovanni XXIII “vi era la presentazione integra della dottrina cattolica e l’affermazione del Magistero della Chiesa; se essa rinvigorirà il suo Spirito, nello sforzo continuo di fedeltà a Cristo, avrà una fraterna e apostolica capacità di avvicinare l’uomo”.

Un tema che è stato spesso evocato durante il Concilio, è trattato come un “feticcio” è quello dell’aggiornamento, il papa lo cita diverse volte durante il suo pontificato. Ma per Paolo VI, “l’aggiornamento nella Chiesa non implica un cambiamento, ma un progresso; col progresso una stessa cosa si accresce, col cambiamento diventa un’altra. Per il Papa deve crescere dunque l’intelligenza della verità, ma nella stessa dottrina”. Sono questi temi che poi spesso troveranno faticosa attuazione da parte del pontefice durante il concilio.

Altra parola feticcio è quella del dialogo, a questo proposito la Adornato, scrive: “E’ evidente che chi ha interpretato questo papa come moderno perché uomo del dubbio, ha travisato proprio l’interpretazione della teoria del dialogo, le cui radici affondano per i cattolici, secondo Paolo VI, nella conoscenza della verità e nella tensione alla conversione dell’interlocutore”. In un suo appunto sulla questione della libertà religiosa, il papa scrive: “Libertà religiosa(…) da stabilirsi nel: - dovere della ricerca della verità; - dovere dell’insegnamento della verità; - dovere della professione e della difesa della verità religiosa, che è oggettivamente una sola e che nella sua pienezza è quella della rivelazione cristiana, custodita e insegnata dalla santa Chiesa cattolica”.

In conclusione dei lavori del Concilio il Papa ricorda che “dottrinalmente egli non può che difendere il deposito che Cristo ha consegnato a Pietro ed esservi fedele, ricordando anche la fermezza di S. Paolo, l’apostolo dell’universalità della Chiesa: ma aggiunge che ‘le vérité est proche, proche de l’amour’”.Il testo della Adornato dà conto dei tanti viaggi di papa Montini, un anteprima rispetto a poi quello che è stato San Giovanni Paolo II. In particolare si sofferma su quello in Terrasanta, ma ci sono anche quelli in Italia.

Il Papa vede la spiritualità del Concilio accostata alla storia del Samaritano. Il Concilio “è un solenne insegnamento ad amare l’uomo per amare Dio e in questo senso tutto il suo svolgimento ha riguardato la glorificazione dell’amore di Dio(…)”.

Paolo VI nonostante la tentazione della vecchiaia, non intende riposarsi, quindi dopo il Concilio inizia nelle udienze generali del mercoledì una vera e propria catechesi per una corretta lettura dei suoi documenti, “il grande catechismo dei tempi nuovi”. Già il 6 dicembre 1965 comincia a precisare quale sia la vera “coscienza postconciliare” e mette in guardia chiarendo che cos’è stato il Concilio: “Il Concilio non ha inaugurato un periodo di incertezza dogmatica e morale, di indifferenza disciplinare, di superficiale irenismo religioso, di rilassamento organizzativo; al contrario esso ha voluto iniziare un periodo di maggiore fervore, di maggiore coesione comunitaria, di maggiore approfondimento culturale, di maggiore spiritualità ecclesiale”.

Papa Montini ha combattuto durante il suo pontificato per far interpretare in maniera giusta il Concilio, ha condannato sia la versione “progressista” che quella “tradizionalista”. L’interpretazione del Concilio è una battaglia che dura ancora, “la lettura del Concilio come “riforma nella continuità”, - scrive Invernizzi - ha faticato a imporsi e ancora oggi trova ostacoli a penetrare nell’opinione pubblica, in parte anche per la sudditanza nei confronti degli intellettuali della ‘Scuola di Bologna’, che si sono annidati nelle redazioni di molti mezzi di comunicazione da dove continuano a fornire la loro lettura dei fatti”.

Un'occasione unica: la Capitale europea della cultura è uno degli eventi culturali più prestigiosi e di alto profilo in Europa. Dal 1985, ogni anno, l'Unione europea seleziona gli Stati membri scelti per ospitare le capitali europee della cultura. Sotto il motto dell'UE "Unita nella diversità", le città sono nominate non solo per quello che sono, ma soprattutto per i progetti che si prospettano di portare avanti durante l’anno. Il loro lavoro è quello di evidenziare la ricchezza e la diversità delle culture europee, rafforzare i legami culturali che legano gli europei e portare personeprovenienti da diversi paesi a contatto con la cultura di ciascuno. Per la città nominata è un'occasione unica, sia per aumentare il profilo internazionale e aumentare lapropria visibilità, che per incrementare il turismo locale e dare nuova vitalità alla vita culturale.

Conformemente alla decisione del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri dell'UE, che stabilisce i criteri per la Capitale europea della cultura, l’Italia è stata designata come Stato membro per il 2019. I criteri stabiliscono che le città debbano preparare un programma culturale con una forte dimensione europea, che possa promuovere la partecipazione dei cittadini nella città, nei quartieri e nell'intero paese. Il programma deve avere un impatto duraturo e contribuire a lungo termine allo sviluppo culturale e sociale della città. La dimensione europea si riflette nei temi scelti e negli eventi organizzati.

Insieme ad altre 21 città italiane, Matera si è candidata ad ottenere il titolo di alto profilo e ha avuto la meglio su una rosa di sei candidate finaliste: Cagliari, Lecce, Matera, Perugia, Ravenna, Siena.

AndroullaVassiliou, Commissario europeo responsabile per la cultura si congratula con Matera e dichiara: <<Sono certa che Matera attrarrà ancora più visitatori - aggiunge - spinti dal desiderio di scoprire la città e la sua storia e di apprezzare la varietà culturale che rappresenta uno dei punti di forza del nostro continente"

. Sono convinta che il titolo porterà a Matera benefici culturali, economici e sociali significativi e a lungo termine, come abbiamo visto con le precedenti capitali europee della cultura >>.

 

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