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Copertina del saggio di Malnati e Roncalli

 

A cavallo tra il cinquantesimo anniversario dell'enciclica di Papa Giovanni XXIII e la sua imminente canonizzazione l'Osservatorio Internazionale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa pubblica per le edizioni Cantagalli il tredicesimo quaderno della collana di studi e approfondimenti tematici: lo firmano un teologo e un giornalista che rievocano brevemente l'eredità del Magistero di Papa Roncalli alla luce della sua ultima lettera enciclica, la Pacem in terris appunto (E. Malnati – M. Roncalli, Pacem in terris. L'ultimo dono di Giovanni XXXIII, Edizioni Cantagalli, Siena 2013, Pp. 192, Euro 12,00). La prefazione è del Presidente dell'Osservatorio, monsignor Giampaolo Crepaldi, che - sgombrando opportunamente il campo da approcci mondani (sia nel senso di 'mondo', sia nel senso di 'moda') oggi più che mai in voga - sottolinea l'attualità del documento pontificio alla luce dell'ermeneutica della riforma nella continuità evidenziando in particolar modo il fatto che “le 'novità' delle encicliche non derivano, come normalmente si pensa, dai fatti nuovi che emergono alla ribalta della storia in quel tempo, ma dalla eterna giovinezza del Vangelo. Altrimenti le encicliche avrebbero lo stesso valore di una indagine sociologica, oppure di una rassegna di cronaca giornalistica” (pag. 8). D'altronde, a leggerla con la dovuta attenzione, l'enciclica fin dall'inizio è saldamente ancorata al concetto di 'ordine sociale' che in ultima analisi fa riferimento al piano di Dio creatore e alla sua sapienza infinita. E' un ordine che di per sé ha a che fare con una gerarchia di valori predeterminati e con una natura universale che ci precede. Infatti quando poi affronta il tema – politicamente scorrettissimo – dell'autorità, il 'Papa buono' rimanda proprio al fatto che anch'essa viene da Dio e, dunque, “chi esercita l'autorità lo fa come partecipazione all'autorità di Dio” (pag. 12): un discorso che vale pure per le odierne democrazie sempre più tentate dalla logica efficientistica dell'astratto proceduralismo burocratico autoreferenziale e fine a se stesso. Infine, in merito al 'bene comune', categoria fondamentale della Dottrina sociale, esso – scriveva Giovanni XXIII cinquant'anni or sono - “va attuato in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al raggiungimento del fine ultraterreno ed eterno” (nr. 35) della collettività, come a dire che la qualità di un ordinamento si vede anche dagli ostacoli – o meno – che esso frappone alla santificazione pratica delle singole anime dei propri consociati.

Più nello specifico, poi, la cornice storica e teologica è approfondita dai contributi dei due studiosi che sottolineano anche le parti del documento giovanneo successivamente riprese dal Compendio della Dottrina sociale della Chiesa pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004, in particolare riguardo alla libertà di educazione e al diritto naturale (soprattutto Malnati). Non a caso, d'altronde, l'enciclica stessa all'inizio spiegava che la pace fra gli uomini sarebbe stata possibile solo “nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà”, richiamate esattamente in quest'ordine, il che vuol dire che prima di tutto c'è quindi il primato della verità che rimanda al Sommo Bene incarnato da Dio e che senza questa centralità della sua Presenza ogni piano di pacificazione sarà da considerarsi destinato inevitabilmente a fallire. A seguire, Roncalli ripercorre le varie tappe dell'elaborata scrittura dell'enciclica - mentre Giovanni XXIII era già fortemente debilitato dalla grave malattia, un cancro allo stomaco, che di lì a poco l'avrebbe portato alla morte - ricordando il lavoro svolto da monsignor Pietro Pavan (1903-1994), allora docente alla Pontificia Università Lateranense, di cui sarà poi rettore (prima di essere creato cardinale), e in particolare l'uso innovativo che il Papa in quegli anni farà dei moderni strumenti di comunicazione di massa, come la televisione: sarà proprio in diretta televisiva RAI, infatti, il 9 aprile 1963, che il Pontefice firmerà l'enciclica accompagnondola con queste significative parole: “Sulla fronte dell'Enciclica batte la luce della divina rivelazione che dà la sostanza viva del pensiero. Ma le linee dottrinali scaturiscono altresì da esigenze intima della natura umana, e rientrano per lo più nella sfera del diritto naturale. Ciò spiega una innovazione propria di questo documento, indirizzato non solo all'Episcopato della Chiesa universale, al Clero e ai fedeli di tutto il mondo, ma anche 'a tutti gli uomini di biona volontà'. La pace universale è un bene che interessa tutti indistintamente; a tutti quindi abbiamo aperto l'animo Nostro” (cit. a pag. 96).

nord e sud

 

Quando si parla di Sud, c’è un’insopprimibile sensazione di dejà-vu, di già detto e ridetto. A volte, si insinua purtroppo una certa rimozione collettiva quando si parla di Mezzogiorno, di Meridione o peggio ancora di “questione meridionale”. Come se non ci fosse più niente da aggiungere, da sapere, da capire. A questo, forse ha contribuito una certa letteratura, un’overdose di notizie, dati, informazioni, libri, saggi, articoli, convegni, che per oltre mezzo secolo hanno imperversato sull’opinione pubblica italiana. Cosicché alla fine la questione è diventata cronica, incurabile, irrisolvibile. Il libro di Giovanni Valentini, “Brutti, sporchi e cattivi”, Longanesi editore, fa capire che è un atteggiamento diffuso anche tra i meridionali, residenti o immigrati, inclini per natura a un certo fatalismo, misto all’indolenza e alla rassegnazione. Tra l’altro,Valentini vede tra“i ‘sudisti’ del Nord, una tendenza alla mimetizzazione, una caduta di orgoglio o addirittura una rinuncia all’identità”. E magari sono quelli che hanno votato Lega, quelli che dicono che anche noi meridionali abbiamo le nostre colpe e che quindi è opportuno che ci sforziamo di crescere da soli, di emanciparci. Pertanto non possiamo sempre lamentarci, ad aspettare che la manna arrivi dal cielo.

Non è chiaro però se Valentini critichi questo atteggiamento del meridionale che vive al Nord, come fa Pino Aprile. Tuttavia scrive che gli“sembra di assistere a una sorta di ‘guerra dei terroni’: Sud contro Sud. Molti sentono ancora come un’ingiustizia il fatto di essere stati costretti ad emigrare, sopportando stenti e sacrifici, rispetto a chi invece ha beneficiato di quell’assistenzialismo che la Lega denuncia a gran voce”. Peraltro secondo Valentini, “tuttora è radicata e diffusa la convinzione che ‘anche un disoccupato del Sud sta meglio di un lavoratore del Nord’, perché riesce sempre ad arrangiarsi in qualche modo con il lavoro nero, la campagna, la pensione – spesso falsa – d’invalidità”. Non solo ma questa convinzione si rafforza ogni volta che i “sudisti del Nord”, o i loro figli e nipoti, vanno giù a Natale o in vacanza d’Estate, perché vedono gli “sprechi, i privilegi, le ingiustizie a favore dei loro conterranei”.

Certo forse da qualche anno tra spending review e crisi economica in atto qualcosa sta cambiando, ma molto ancora c’è da fare. Del resto, qualcosa vorrà dire“se il dissesto del Paese è un problema tutto meridionale. Si trovano prevalentemente al Sud i Comuni in bancarotta (353 su 445, pari al 79%), incapaci cioè di far fronte ai debiti, di finanziare ed erogare servizi alla popolazione. E risiedono per la maggior parte nel mezzogiorno i cittadini italiani che vivono – o meglio, sopravvivono – in queste realtà: tre milioni e 170mila ‘terroni’, pari all’84% del totale”. Per la precisione i cittadini più colpiti dai loro Comuni disastrati, si trovano in Campania. “E’ una fotografia davvero impietosa”, che Valentini riprende dal primo Rapporto annuale della Svimez sulla finanza dei Comuni italiani, diffuso a fine marzo 2012. Tra l’altro dalla stessa fonte, risulta clamorosamente che “il Sud paga di tasse lo 0,38% di Pil in più del Centro-Nord”, in pratica, sembra che la pressione fiscale è più alta nelle regioni più povere.

Il libro tocca diversi temi, i soliti, quelli che poi contribuiscono a tracciare la catastrofe del meridione. Affronta la questione dell’anti-Stato: le varie mafie che dominano il territorio, l’intreccio perverso fra attività illecite e attività di tipo imprenditoriale, finanziario, speculativo. E’ la “Mafia Spa”, una specie di multinazionale o una holding del crimine, ramificata e strutturata sul territorio, con una gerarchia interna e un organigramma operativo. “Una grande azienda, con un fatturato in ‘nero’ che – secondo Confesercenti- si aggira intorno ai 140 miliardi di euro all’anno, un utile superiore ai 100 e circa 65 di liquidità che ne fanno ‘la prima banca d’Italia’”. Poi accenna ai “forconi”, “la jacquerie siciliana”, la gran massa di disperati, in parte giovani senza futuro e senza orizzonte, un problema da non ignorare, anche perché potrebbe essere “una base potenziale di reclutamento per la criminalità organizzata”.

Il testo del giornalista di Repubblica, non poteva ignorare la complessa questione della malasanità, degli ospedali meridionali, la grande industria dell’abusivismo.

Lo scempio dei beni artistici e culturali nel territorio meridionale. E’cronaca di questi giorni come a Pompei, il“cuore del sito archeologico più importante del pianeta”, ogni giorno cade qualche pezzo e non si fa nulla per arrestare questa lenta devastazione. Valentini evidenzia come“(…)il degrado di Pompei - insieme a quello di altri monumenti, castelli, chiese e palazzi storici disseminati nella bassa Italia - è uno scandalo, un’offesa al patrimonio dell’umanità, un caso di malcostume e inciviltà che sfregia la storia, la cultura e l’immagine del Mezzogiorno. E lo danneggia di conseguenza sul piano mediatico, turistico e quindi economico. Una sorta di campagna promozionale al contrario, in negativo, per scoraggiare, respingere, mettere in fuga i visitatori italiani e stranieri”.

Su questo argomento, un ottimo lavoro di ricerca e di inventario è stato fatto qualche anno fa da Stella e Rizzo, con “Vandali.L’assalto alle bellezze d’Italia”, uno studio che dovrò affrontare prima o poi.

Ma il tema che tra i tanti merita attenzione, è quello dove Valentini affronta credo la questione più importante: “Lo tsunami demografico”; certo la denatalità colpisce tutto il Paese, ma pare che le regioni meridionali sono colpite maggiormente. “Quello che, da qui al 2050, dovrebbe abbattersi metaforicamente sulle nostre regioni meridionali è proprio uno ‘tsunami demografico’, lo scrive il vicedirettore dello Svimez Luca Bianchi. “Lo scenario è effettivamente apocalittico. Il Sud è destinato a perdere circa due milioni e mezzo di giovani, per calo della natalità o perché costretti a emigrare al Nord non per scelta o preferenza, ma per necessità: cioè per cercare lavoro e sopravvivere”. Valentini è perfetto nell’analisi, però dovrebbe fare autocritica insieme al suo giornale, che è stato in questi decenni all’avanguardia per scardinare la famiglia tradizionale, attraverso una cultura abortista e pansessuali sta.

Secondo i dati riportati da Valentini, già il Nord sorpassa il Sud per numero medio di figli per donna, il Sud a sua volta sorpasserà il Nord quanto al numero degli ultraottantenni. Pertanto secondo Valentini, “il Mezzogiorno, da area giovane e ricca di menti e di braccia, nel corso del prossimo quarantennio rischia di trasformarsi così in un ospizio virtuale: un’area spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese, a sua volta progressivamente invecchiato”. E’ un dato estremamente vero che ognuno può verificare guardandosi intorno, specialmente in quei piccoli centri collinari del nostro Sud. Sabato scorso in un convegno a Roma, Alleanza Cattolica ha sostenuto che tra le cause della crisi economica, non c’è sola la delocalizzazione, il deficit e il debito (le tre D), ma anche la demografia. Quindi occorre fare una forte politica per la famiglia e quindi per le nascite.

Il libro parla della fuga dei cervelli, ma soprattutto delle donne, che a causa della diffusa inattività, compromette la loro condizione esistenziale e la loro stessa dignità. E se le donne del Sud rispetto ai maschi riescono a laurearsi in numero maggiore, questo risultato porta però alla non occupazione delle stesse, che sono costrette ad emigrare in massa, in pratica espulse o esiliate dal Mezzogiorno. Gli studiosi l’hanno chiamata: ‘donne in fuga’, in pratica, una generazione di donne, “che spesso prendono in anticipo la via del Nord, già al momento della scelta universitaria o subito dopo la laurea”. So di che cosa sto parlando avendo in famiglia proprio due donne che hanno fatto questa scelta.

 

Suor Laura Girotto

 

Il Centro Studi “Ignazio Silone” ha annunciato che la Giuria del Premio internazionale intitolato al grande scrittore abruzzese Ignazio Silone (1900-1978), sarà conferitoil 5 aprile prossimo a Suor Laura Girotto, fondatrice della missione Kidane Mehret di Adwa, alle pendici delle montagne etiopiche.

Il Premio, giunto alla sua XIX edizione, vuole quest’anno gratificare, in piena rispondenza all’ideale cristiano siloniano,l’eroica figura della missionaria salesiana autrice, con il giornalista Niccolò d’Aquino, del volumeLa tenda blu. In Etiopia con le armi della solidarietà (Paoline,Milano 2011, pp. 156), i cui proventi sono completamente devoluti all’Associazione “Amici di Adwa Onlus” che sostiene la missione di Zidane Meheret (http://www.amicidiadwa.org/).

Suor Girotto, ricevuta la notizia, ha commentato: “Con grande onore e gratitudine accolgo questo importante Premio, assegnato alla mia persona ma che idealmente voglio condividere con gli innumerevoli amici che da anni collaborano con la missione e che hanno realizzato un progetto che all’inizio sembrava impossibile”, ed ha proseguito “Occorre un enorme coraggio per essere aperti alla speranza. Forse è richiesto un pizzico di follia, perché sperare è credere nella possibilità dell’impossibile”.Evidente il richiamo al magistero di Papa Francesco ed alla sua bellissima frase “Non lasciamoci rubare la speranza!”.

La cerimonia di consegna del PremioSilone si svolgerà a Pescina (AQ), città natale dello scrittore, il prossimo 5 aprile 2014, a partire dalle ore 10, presso il complesso monumentale trecentesco del Teatro San Francesco, nel quale hanno sede il Centro studi ed il Museo Ignazio Silone, alla presenza dell’On. Giovanni Chiodi, Presidente della Giunta della Regione Abruzzo.

Il giorno precedente, venerdì 4 aprile, alle ore 18, nella Sala Conferenze dello stesso Teatro S. Francesco, si terrà un approfondimento sulla figura dell’autore di Fontamara, dal titolo “Gli strani incontri diSilone”. Interverranno il giornalista e scrittore Angelo De Nicola, con una relazione dal titolo “Ignazio Silone e Celestino V” ed, il saggista e collaboratore del Corriere del sud Giuseppe Brienza, che parlerà delle affinità fra “Ignazio Silone e Don Lorenzo Milani”.

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