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Istantanee di vita… con Ester Cecere

COPERTINA ISTANTANEE DI VITA ESTER CECERE

La poetessa e scrittrice Ester Cecere, tarantina di nascita, ma di cultura e mentalità cosmopolita e formazione accademica prettamente scientifica, rappresenta un felice caso di virtuoso contrasto.

Infatti, nella vita di tutti i giorni lavora come ricercatore presso il CNR sede di Taranto (Consiglio Nazionale delle Ricerche), occupandosi di biologa marina. A questa attività, che svolge con passione, rafforzata da un viscerale amore per il mare, affianca quella letteraria, ormai da qualche anno in continuo e fertile movimento.

Ha all’attivo la pubblicazione di tre libri di poesie: “Burrasche e brezze”(IL Filo Editore, Roma 2010), “Come foglie in autunno”(Edizioni Tracce, Pescara 2012) e la più recente “Fragile. Maneggiare con cura” (Kairòs Edizioni, Napoli 2014). Con queste tre opere, di potente impatto emozionale, Ester ha partecipato a numerosi concorsi letterari, attraverso i quali le sono stati conferiti importanti premi e riconoscimenti. Illustri critici letterari, spesso appartenenti a generi molto vicini alla poesia classica, si sono espressi sempre positivamente nei suoi riguardi: evidente dimostrazione che le sue poesie, in versi liberi e d’impronta vagamente ermetica, racchiudono un significato forte e diretto, di intrinseca simbologia.

In occasione di una recente presentazione della sua ultima fatica “Istantanee di vita” ho intervistato Ester, con la quale ho già parlato altre volte di poesia, un’arte letteraria che ci vede in piacevole affinità elettiva.

ESTER FOTO INTERVISTA

Ho letto con vero interesse i tuoi libri di poesie, nei quali si percepisce un crescendo di impronte emozionali, che rimandano ad una sofferenza dolce-amara spesso taciuta, sostituita da simbolismi espressi con eleganza, garbo ed un inconfondibile stile. La sensibilità è sempre sinonimo di travaglio interiore?

Ritengo che la sensibilità sia un aspetto caratteriale innato dell’individuo. Pertanto, alcuni individui sono più propensi di altri a percepire i problemi e le difficoltà del prossimo, così come sono più predisposti ad apprezzare le bellezze naturali ed artistiche. Sia le difficoltà proprie che quelle altrui, fin anche la bellezza della natura, possono suscitare in questi individui emozioni, suggestioni, anche di notevole intensità. Quindi, non penso che la sensibilità sia sempre e necessariamente sinonimo di travaglio interiore. Tuttavia, per quanto attiene alla mia personale esperienza, mi sento di affermare che la sofferenza interiore, causata da avvenimenti dolorosi vissuti in prima persona, ha sicuramente aumentato la mia sensibilità, portandomi ad immedesimarmi facilmente in coloro che soffrono e a provare per loro empatia ed anche a pormi domandi esistenziali, a cui è molto difficile dare una risposta. Del resto, Alda Merini scriveva:

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati… (da “Le più belle poesie” tratta dalla raccolta “Vuoto d’amore”).

Tutti noi viviamo in un’epoca difficile; l’umanità è disorientata, ha perso i punti di riferimento e con essi i sani valori esistenziali. In un contesto sociale di gravi difficoltà, che si ripercuotono anche nell’aspetto relazionale, quale dovrebbe essere il ruolo dell’arte ed in particolare della poesia?

La poesia ricopre ruoli diversi, a seconda che ci si riferisca all’autore o al lettore ed a seconda del genere poetico, vale a dire se si tratti di lirica o di poesia sociale . Nel primo caso, la poesia per l’autore ha un ruolo catartico; gli psicologi direbbero che rappresenta l’elaborazione del lutto. Nel secondo caso, la poesia diventa grido di ribellione, a volte vera e propria denuncia. Pensiamo alla celeberrima poesia di Pablo Neruda “Spiego alcune cose”, che il poeta scrisse quando era a Madrid, durante i sanguinosi avvenimenti della guerra civile da lui vissuti in prima persona, che lo sconvolsero profondamente. A mio avviso, alcune caratteristiche sono comuni ad entrambi i tipi di espressione; mi spiego, per l’autore la poesia è un’esigenza irrinunciabile; essa deve scaturire dal sentimento, in quanto non è mai il prodotto della ragione. Vorrei aggiungere che la poesia deve essere sempre “condivisibile”: ciò che il poeta enuncia deve poter essere valido per qualunque uomo, di una qualsiasi epoca, in una qualunque parte del mondo. Solo così la poesia assume un valore universale e immortale. Questo concetto è stato mirabilmente sintetizzato da Salvatore Quasimodo che affermò: “La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia personale e interiore, che il lettore riconosce come proprio”.

Il tuo ultimo libro di poesie “Fragile. Maneggiare con cura” parla delle umane fragilità, che esprimi attraverso efficaci allegorie. La poesia può essere un utile “strumento” di indagine introspettiva, volto anche a favorire l’elaborazione di tali debolezze dell’anima?

A questa domanda ho già in parte risposto. La poesia è senza alcun dubbio uno “strumento” di indagine introspettiva ma, più che all’autore stesso, è utile al prefatore attento, acuto, molto preparato, il quale riesce a scandagliare l’animo dell’autore leggendo i versi e “fra i versi”, come nel caso specifico del Prof. Nazario Pardini, e al lettore predisposto a leggere poesia. Quando il poeta si accinge a scrivere, raramente di getto, più spesso dopo aver “elaborato”, sentimentalmente mai razionalmente, cioè dopo aver lasciato decantare potremmo dire, una forte emozione, che sia dolore, malinconia, nostalgia, rimpianto o altro, non si pone il problema di “indagare” nel suo animo. Sente solo la prepotente esigenza di esternare quella sensazione. Sta poi alla sua abilità espressiva rendere condivisibile e universale l’emozione, o l’insieme di emozioni, che un avvenimento contingente ha suscitato in lui.

Mi colpiscono alcuni passaggi della recensione per la tua raccolta di poesie “Fragile. Maneggiare con cura” di Dalmazio Masini, presidente dell’Accademia Vittorio Alfieri, il quale afferma: “Oggi che la maggior parte dei poeti sembra continuare ad aspettare grandi eventi storici o grandi tragedie per gonfiare d’importanza i loro piccoli scritti…”. L’afflato poetico dovrebbe nascere dalle sedimentazione delle emozioni e non dalla razionalità. Secondo te, quest’ultima modalità non finisce per strumentalizzare la poesia?

Anche a questa domanda ho già in qualche modo risposto. Come ho poc’anzi precisato, la poesia non è il frutto della ragione. In più occasioni ho affermato, scherzando ma non troppo, che, a mio avviso, “la poesia sceglie” l’autore e il momento in cui “nascere”; non è l’autore che decide di scrivere una poesia. Si può, al contrario, entrare nell’ordine di idee di scrivere un racconto o un romanzo, decisione nella quale necessariamente entra anche l’elaborazione razionale. Per tornare al poeta e attore teatrale Dalmazio Masini, la sua bella recensione mi ha reso particolarmente felice per due motivi; il primo è dato dalla constatazione che un poeta che, come lui, scrive in metrica, abbia apprezzato una silloge scritta in versi liberi. Dalmazio Masini, inoltre, esalta la mia capacità di provare emozioni anche osservando le piccole, banali cose che ci circondano, quotidianamente sotto i nostri occhi e che nelle mie poesie sono divenute metafore o allegorie per esprimere le mie emozioni. Questa dovrebbe appunto essere una caratteristica del poeta la cui sensibilità, come già detto, è maggiore che negli altri.

Sempre in riferimento a Dalmazio Masini, un eccellente artista che da sempre predilige la poesia in metrica, egli ti ritiene poetessa di gran fascino, definendo la tua poesia “una gran poesia”, considerazioni autorevoli, che fanno la differenza, in quanto le vostre modalità espressive sono sostanzialmente distanti.

Dalmazio Masini è una persona molto preparata e ben comprende che la poesia per essere grande non deve necessariamente seguire le regole della metrica. La poesia deve emozionare. Del resto Giuseppe Pontiggia, parlando degli autori classici, aveva affermato che «si capisce qualcosa quando ci emoziona molto».

Sono tanti i poeti, indipendentemente dalla loro corrente filosofica, che da sempre cantano l’intimo rapporto con il dolore. Il loro virtuosismo sta proprio nella capacità di superare l’esperienza individuale, attraverso una visione cosmica del dolore, in una dimensione di profondo lirismo, all’interno della quale ognuno di noi si identifica. Qual è il poeta che meglio riesce a trasmetterle le tue sensazioni, entrando in intima relazione con la tua sfera emozionale?

I poeti con i quali mi sono sempre sentita in sintonia per quanto attiene al dolore, che da individuale diviene cosmico, in realtà sono due: Giacomo Leopardi e Giuseppe Ungaretti.

Il primo, da me molto amato sin da quando ero adolescente, mi ha sempre trasmesso con i suoi versi il profondo, angoscioso dolore che ha dato origine alla sua poesia, dolore di una infelicità dovuta alla perdita delle illusioni e alla conseguente fatica di vivere senza più alcuna speranza, il che portò Leopardi all' elaborazione del pessimismo cosmico. Tra le tante opere, la sua lirica a me più cara è "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia". In quelle domande accorate, rivolte alla luna, traspare tutto il dolore dell'uomo solo con la sua disperazione, (sensazione che ahimè ho provato anch'io diverse volte!), uomo tanto solo da chiedere aiuto alla luna stessa, per comprendere non soltanto il perchè dell’insoddisfacente condizione umana, ma anche e soprattutto il significato della vita. E il suo dolore l'ho sempre percepito come tangibile, un dolore irrimediabile, sfociato nella disperazione dell'ultimo verso: "E' funesto a chi nasce il dì natale". Ho sempre amato molto quel dialogo-soliloquio con la luna, che l'autore percepisce distante e indifferente alla condizione umana; eppure, tanta è la sua disperata solitudine, che egli arriva a personificarla, pur di poter dialogare con essa.

Per Ungaretti la comune percezione del dolore è differente. Egli è il soldato in trincea che può morire da un momento all'altro ("Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie"), che soffre per le atroci inutili morti e tuttavia, paradossalmente, gli fanno apprezzare la vita e l'amore ("Non sono mai stato/tanto/attaccato alla vita" da "Veglia"). Due percezioni del dolore completamente differenti tra loro anche per genesi, ma che sento molto vicine alla mia, in quanto, sia nel dipanarsi della sua vicenda terrena sia durante le guerre, l'uomo si trova spesso in balia di eventi che non riesce a fronteggiare e che vive, a volte, in disperata solitudine.

La tua ultima fatica è un’opera prima di narrativa dal titolo “Istantanee di vita”, una raccolta di brevi racconti, che fotografano efficacemente la quotidianità e si riferiscono a storie realmente accadute, in un alternarsi di stati d’animo, nei quali il lettore spontaneamente si identifica. La lettura ha letteralmente catturato la mia attenzione, pagina dopo pagina. Anche in prosa ritrovo un tuo personale registro artistico, che viaggia con sobrietà sulle ali delle emozioni. Come è nata in te l’esigenza di esprimerti in prosa?

Così come per la poesia, (scrivo poesie da quando avevo quattordici anni), ho sempre avuto una certa propensione anche per la prosa; quando frequentavo le scuole elementari, scrivevo fiabe. Dopo tre libri di poesie, ho sentito l'esigenza di fermare su carta episodi realmente accaduti, insoliti, drammatici o divertenti, che rappresentano la varietà delle situazioni che la vita ci riserva. Sono "istantanee" di vissuto sui quali, tuttavia, raramente ci soffermiamo e che, invece, potrebbero offrirci molteplici spunti di riflessione. Per incuriosire il lettore, ma anche per dare alla narrazione un respiro più ampio, ho ritenuto opportuno far precedere ogni racconto dalla citazione di uno scrittore, giornalista o filosofo, che ha lo scopo di introdurre il lettore al tema della riflessione.

La descrizione dei racconti, con forti richiami al verismo, è accurata e puntuale ed è interessante la tua attenzione rivolta all’ambiente, che andrebbe salvaguardato a tutela delle future generazioni. Qual è nel merito l’essenza del tuo messaggio?

La mia prosa è piuttosto asciutta, talvolta volutamente cruda per rendere la realtà delle situazioni e per far vivere al lettore le stesse sensazioni del protagonista. Non amo le descrizioni eccessive, ho una forte tendenza alla sintesi, come nella poesia del resto. Come biologa marina, interessata allo studio e alla salvaguardia dell'ambiente marino, non ho resistito alla tentazione di inserire due racconti, ispirati sempre a episodi realmente accaduti, che portassero all'attenzione del lettore la gravità delle conseguenze della nostra mancanza di attenzione verso i problemi legati alla tutela ambientale. In sintesi, il messaggio è il seguente: il mondo in cui viviamo, non lo abbiamo ereditato dai nostri genitori, lo abbiamo preso in prestito dai nostri figli e le azioni  che compiamo, o non compiremo, si ripercuoteranno inevitabilmente sulle generazioni future.

Alla tua esigenza di un’incessante ricerca interiore, che fruga fra i tumulti dell’anima, si interpongono momenti di ampio respiro, nei quali si percepisce speranza e rinascita. Ritieni sia corretta la mia chiave di lettura?

La tua chiave di lettura è sicuramente corretta. La mia poesia, generalmente, dipinge abissi di disperazione e un buio assoluto, nel quale l’anima tormentata si sperde. Tuttavia, in ogni raccolta edita, alcune liriche aprono sempre un varco alla speranza. A mo’ di esempio, cito “La lampara”: Anche quest’altra fune s’è spezzata/e sono nell’antico mare./La sola luce di questa lampara/le nere acque rischiara/e con essa troverò forse la sponda (da Burrasche e Brezze, Il Filo, Roma 2010).

E ancora “L’arca”: Sottocoperta,/scampoli felici /e briciole d’amore./Zolle di terra profumata /e qualche seme/sulla prua,/ché al ritorno del sole/i fiori sboccino ancora (da Come foglie in autunno. Edizioni Tracce, Pescara 2012).

Per finire, ricordo “Canto alla vita, nonostante”: Se morissi ora/più/non m'illuminerei /dell'accecante bagliore/che d'azzurro esplode./Più/non volerei contro vento/al fianco di arditi gabbiani./Più/non mi cullerebbe del mare/lo sciabordio fraterno./Ch’io viva/godendo/di notti senza luna./Ch’io viva/fremendo/allo schiaffo del maestrale./Ch’io viva/apprezzando/il volo basso dei pipistrelli. (da Fragile. Maneggiare con cura, Kairòs Edizioni, Napoli, 2014).

La speranza di poter superare le avversità, il dolore che esse stesse, ma anche la malignità e la cattiveria del prossimo ci causano, non deve mai abbandonarci, deve essere il nostro bastone. Senza speranza e senza rinascita, (da Crisalide in farfalla/mi trasformerò/per volare almeno un giorno daPer volare almeno un giorno” tratta dalla raccolta Fragile. Maneggiare con cura”), non si può continuare a vivere. E nel trovare la forza per andare avanti, “nonostante”, la poesia è una efficace forza trainante per l’autore, che riesce a consolarsi anche con una goccia di rugiada, nella quale vede la forza inarrestabile della Vita, e per il lettore. Tanto è confermato dalla lirica brevissima, eppure di grande potenza evocativa, scritta all’alba da Giuseppe Ungaretti dopo l’ennesima notte trascorsa in trincea, “Mattina”: M’illumino d’immenso”.

La porta alla speranza resta aperta anche nei racconti della raccolta “Istantanee di vita”, ma non voglio fare anticipazioni, per non togliere la sorpresa al lettore, che avrà la bontà di acquistare il libro.

http://www.estercecere.weebly.com

 

 

 

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