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Religioni e relazioni internazionali: confronto a Roma

Copertina del saggio geopolitico

Nell'epoca della globalizzazione i fenomeni religiosi, in tutta la loro complessità, non possono essere considerati superficialmente sempre e solo come una minaccia o un ostacolo da emarginare da parte degli Stati di diritto ma vanno anche apprezzati quali espressioni dinamiche di comunità organizzate e socialmente coese che possono fornire un contributo rilevante anche per la risoluzione dei problemi civili più urgenti dell'attualità. E' questo il messaggio che arriva dalla serata organizzata dall'editore Città Nuova presso la centrale chiesa di Sant'Eustachio a Roma dove è stato presentato il libro del diplomatico Pasquale Ferrara, attuale segretario generale dell'Istituto Universitario Europeo di Firenze, sul rimergere prorompente della questione religiosa nelle relazioni internazionali degli ultimi anni (cfr. P. Ferrara, Religioni e relazioni internazionali. Atlante teopolitico, Città Nuova, Roma 2014, Pp. 196, Euro 16,50). Ad introdurre l'evento è stato il giornalista di RadioVaticana Pietro Cocco che ha preso spunto proprio dall'inatteso revival religioso degli ultimi decenni – per comprendere a pieno la svolta globale una data fondamentale è probabilmente da rintracciarsi nella rivoluzione iraniana del 1979 – per spiegare come il dato sia il vero fatto nuovo (e dai più, in epoca di secolarismo avanzato, largamente inatteso) che diversi tra studiosi e analisti faticano ancora ad inquadrare correttamente: così si preferisce spesso fermarsi agli stereotipi o agli slogan più diffusi magari dalla cultura laicista dominante anziché approfondire questioni antiche e complesse che spesso peraltro rifuggono da ogni facile schematizzazione a tavolino. Quello che poi, soprattutto da parte di politici e istituzioni di primo piano talora si fa fatica a comprendere, ha aggiunto Cocco, è che le religioni possono essere anche efficaci “ponti di solidarietà” e strumenti consolidati di comprensione reciproca laddove invece altri mezzi solitamente non arrivano. A seguire ha preso quindi la parola Ferrara che ha motivato la sua nuova pubblicazione con l'idea di utilizzare “un approccio costruttivo” nella storia delle religioni che consideri finalmente le comunità dei credenti come portatori di valori positivi anche per chi credente non è o non condivide la stessa fede. La recente esperienza diplomatica a livello internazionale conferma infatti sempre più che le religioni stanno oggettivamente diventando un attore fondamentale nei processi di peace-building e riconciliazione nazionale in diversi territori storicamente attraversati da lotte interne o guerre civili. Un approccio questo condiviso anche dall'altro relatore della serata, Abdellah Redouane, segretario generale Centro islamico Culturale d'Italia, di origine marocchina, che ha preso spunto da una famosa previsione dello studioso Jean Vernette negli anni Ottanta (“il XXI secolo sarà religioso o non sarà”) per spiegare come in molti dei principali conflitti odierni – nel mondo arabo-islamico, ma non solo – la questione religiosa, reale o strumentalizzata, rappresenti effettivamente un nodo fondamentale. Basti pensare che all'interno della stessa ondata migratoria che sta sconvolgendo gli assetti tradizionali dei confini europei i mussulmani, con la loro religione e la loro cultura, rappresentano ormai circa 25 milioni di cittadini: un corpo sociale ormai non più marginale ma sempre più presente nella vita interna degli Stati occidentali, prescindendo qui dalle valutazioni di merito sui fenomeni terroristici eventualmente collegati che semmai – ha detto Redouane – finiscono per colpire in prevalenza gli stessi mussulmani che rifiutano di omologarsi alle interpretazioni più radicali teorizzate e praticate dai gruppi armati. Va poi tenuto altresì presente che il mondo islamico spesso non è quel blocco unico che talora si descrive dal momento che – solo per fare un esempio – attualmente in Siria “c'è una guerra di leadership fra Stati diversi e concorrenti [tutti nominalmente] islamici come l'Iran, l'Arabia Saudita e la Turchia”. Insomma la straordinaria complessità del reale sembra l'unica cosa da tenere ben presente in questi casi, se si vogliono evitare giudizi sommari o tranchant, come ha sottolineato ancora Ferrara in chiusura auspicando che una possibile soluzione per uscire dall'impasse attuale potrebbe trovarsi in una riforma del sistema internazionale di cooperazione nel suo complesso che fa capo alle Nazioni Unite non più fondato sui veti incrociati del Consiglio di Sicurezza ma “su una maggiore multilateralità”, ovvero più diplomazia e meno interventi militari anche perchè, ha osservato Ferrara, la stessa situazione in Libia che attualmente tanto ci preoccupa è essa stessa frutto di un precedente intervento militare mirato a rimuovere il regime di Gheddafi. Quale che sia il quadro per cui si opterà, tuttavia, sarà strategico che alle decisioni prese dai grandi suin popoli non si manchi mai d'interpellare le autorità religiose che spesso dell'anima dei popoli stessi sono le più genuine rappresentanti: un richiamo alla riscoperta delle radici spirituali dell'umanità e alle ragioni forse più rimosse nello scacchiere della politica contemporanea, quelle di Dio.

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