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Dopo aver letto e presentato dei testi che rammentano la distanza netta tra il Nord e il Sud Italia, anzi qualcuno ne rimarca la superiorità del Nord, come “Brandelli d'Italia”, di Romano Bracalini e “Il Sud deve morire” di Carlo Puca, ma anche “Un paese troppo lungo” di Giorgio Ruffolo. Adesso ho finito di leggere un testo che seppur evidenzia, la distanza tra il Nord e il Sud, nello stesso tempo traccia però un percorso di riabilitazione del nostro Sud. Mi riferisco a “Il Sud Puzza”. Storia di vergogna e d'orgoglio”, di Pino Aprile (Piemme, 2013).

Anche Aprile fa una specie di viaggio nelle regioni meridionali e racconta in 400 pagine come il nostro Mezzogiorno d'Italia, nonostante tutto ha le potenzialità per risollevarsi. Il libro racconta anche nei minimi particolari, come i napoletani, i pugliesi, i lucani, i calabresi, i siciliani, a poco a poco, si sono risvegliati, assumendo quello spirito antagonista, per ribellarsi. “E' la storia di una decisione che ne ha portato con sé molte altre, e che si riassume in un grido di protesta: 'non vogliamo sopportare più'”. Ma che cosa ha fatto ribellare i meridionali? Per Aprile è stata,“La Puzza”, anzi “Le Puzze”. Le puzze di Taranto con l'Ilva, di Gela con l'Eni, della “Terra dei fuochi”, con i veleni tossici, in Campania, con i pozzi petroliferi in Lucania. E' un Sud che rischia di morire di cancro, di leucemia, di malattie genetiche, proprio perchè in certi suoi territori, senza badare all'ambiente naturale, si sono costruite industrie o si è scaricato rifiuti tossici pericolosi.

In tutte queste “puzze”, ci sono intrecci politici e malavitosi, che per Aprile, non sono solo prodotti del Sud, ma anche del Nord. Tante volte si è parlato e scritto sui mali che affliggono il Meridione, tra quelli più vistosi, non si può trascurare il fenomeno mafioso. Molti hanno scritto che il Sud per decollare deve liberarsi da tutte le criminalità organizzate. Il libro di Aprile, racconta in maniera semplice, come fare per liberarsi da questa malattia, ma anche da tutte le altre che affliggono e tengono prigioniero il Sud.

Pino Aprile è ottimista, forse anche troppo, il Sud risorgerà. Lui ci crede, forse, tra i giornalisti, scrittori, è quello che ci crede di più, si vede in “Terroni” e “Giù al Sud”. Questo ottimismo gli proviene dalle numerose iniziative, dalle tantissime associazioni, nate per sensibilizza e contrastare tutto quello che ha affossato il Sud, principalmente, la criminalità. E' ottimista perchè intravede una fitta rete di persone ricostruttori di buona società. E questo si nota principalmente nella “Terra dei fuochi”, in Campania, nella piana del Volturno, dove la puzza ha fatto letteralmente ribellare le varie comunità del territorio. Per Aprile si tratta del più grande avvelenamento di massa in un Paese occidentale. Come minimo, i politici, di fronte a un disastro del genere dovrebbero perdere il sonno. Per il momento, lo perdono i napoletani. Ricordo il racconto di padre Maurizio Patriciello, nel suo “Non aspettiamo l'apocalisse”, Rizzoli (2014), dove scrive che non si riesce a prendere sonno, dalla forte puzza. La Campania felix, era una terra ricca,“non c'e frutta, ortaggio  che possa concorrere con quelli coltivati qui, né terra, in Europa, che dia, come questa, sino a quattro raccolti l'anno”. Ora è diventata, infelix. A fianco di questi terreni coltivati, c'è un'immensa discarica, “di migliaia e migliaia di tonnellate e rifiuti tossici e no, ammassati per anni in modo illegale e poi persino legale[...]”. Qui troviamo interessi della camorra, ma anche della grande industria del Nord, “che ha pensato di essere furba e risparmiare, scaricando i suoi scarti tossici attraverso un circuito illegale[...]”. Scrive Aprile, a proposito dei veleni, “oggi in Campania si respira e si mangia diossina in percentuale sino a diecimila volte superiori alla media italiana e ci sono più di 2.500 siti da bonificare, il doppio della Lombardia[...]”. Il tutto in un territorio, in un'area dove c'è la più alta densità di esseri umani per metro quadro, al mondo.

Il giornalista pugliese, nel libro, non può non fare riferimento a don Patriciello, un grande prete, parroco a Parco Verde (non vi inganni il nome).“Siamo diventati sommelier delle puzze: dal colore del fumo (nero: plastica; grigio: polistirolo...) e soprattutto dall'odore, sappiamo indovinare cosa brucia. E, con buona approssimazione, dal vento che tira, pure dove”. Padre Patriciello è diventato un leader involontario delle tante associazioni che vogliono liberare la piana dei veleni. E Aprile, le elenca tutte, ci sono volute 4 pagine. C'è stata una proliferazione di comitati, quello che non è avvenuto in trent'anni, e successo in soli due anni. Aprile alla fine, si chiede:“cosa unisce medici, preti, ambientalisti, attori, economisti, ciclisti, casalinghe, attivisti antimafia...?”. La risposta mi sembra ovvia.

Rimanendo in Campania, il libro di Aprile affronta anche il grosso nodo del famigerato quartiere dei centomila di Scampia a Napoli. “Bisogna essere geni per costruire il caos sociale con tale precisione […] Una perfetta antisocietà civile; o società incivile”. A proposito Aprile scrive:“E' l'immagine del Sud: costruito male, per obbligarlo al male e all'assenza di futuro[...]”.

Il capitolo, parte dalla manifestazione del carnevale, tra le strade del territorio. Le associazioni che lo organizzano a poco a poco sono riusciti a coinvolgere gli abitanti. I vari organizzatori con lo slogan,“Qui si fa la buona Scampia o si muore”, cercano la ricostruzione sociale del territorio. “E' lungo l'elenco dei sognatori, perchè si sappia che non è utopia far bella Scampia”, scrive Aprile. Anche a Scampia l'associazionismo prolifera, anzi qui c'è il più alto tasso di cure sociali per metro quadro d'Europa”. I religiosi sono i più attivi come sempre. E' una lunga lista, per forza, incompleta, addirittura Aprile scrive: se vi annoia saltate il paragrafo.

Tuttavia anche per Scampia Aprile vede il riscatto, non è un “inferno chiuso, ripiegato su se stesso a consumarsi nel male”. Invece, è innervato da una rete di luci, sono quelle associazioni, la palestra Maddaloni, dove frequentano oltre cinquecento persone. “E' il sociale concepito come capacità di innovazione, - ha detto Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud - lo stare insieme per costruire regole e progetti comuni. La somma di queste cose può cambiare il quartiere”.

Un intero capitolo è dedicato all'altra “puzza” del Meridione. Taranto, la città più inquinata del mondo. Pino Aprile, conosce bene il territorio, perche c'era, quando è arrivata la più grande fabbrica siderurgica d'Italia, d'Europa. Abitava di fronte e sua madre si accorse subito, cosa significava: l'odore e la polvere nera. “Smettemmo di vivere con le finestre aperte; di passare le notti d'estate sul balcone. Un'unica tinta fra il bruno e il rossastro spento si stese sull'intero quartiere; il nostro mondo perse i colori”. Poi la gente cominciò a morire, di “brutto male”, allora non si diceva di cancro o di tumore. E anche qui il libro racconta delle associazioni di tarantini, nate per salvare la città e la sua gente. Le difficoltà, la fatica, dei vari promotori a far capire, a prendere coscienza agli ignari e distratti tarantini della grave pericolosità dei veleni diffusi dall'industria.

Il capitolo dedicato alla Calabria, prende il nome di “Orgoglio”, forse perchè un professore, un intellettuale, si è messo in testa di reagire, di ribellarsi a certi sistemi. E' Giancarlo Costabile, professore all'università di Arcavacata di Cosenza, uno di destra, che è approdato alla teologia della liberazione di Freire. Ha indetto un corso di studi dove secondo Aprile,“entri terrone inconsapevole e da cui esci terrone consapevole”. Il testo di riferimento è un libro di pedagogia,“La Pedagogia degli oppressi” di Freire. Il professore cambia strategia di studi, non più l'aula, ma bisogna andare a studiare fuori, negli ambienti dove vive la gente, dove si contesta il sistema.  Pare che il corso di studi ha avuto un certo successo, Aprile stesso ha parlato ad una grande folla di studenti. Certo noto in Aprile un certo fascino dei temi “terzomondisti”, dove si sottolinea la negatività della “conquista” occidentale dei territori dell'America latina. Nel capitolo Aprile elenca, dà conto del suo percorso nel territorio calabrese, San Luca, la Piana di Gioa Tauro. Soprattutto racconta i viaggi in pulmann, carovane di auto, del professore Costabile con i suoi studenti. Arrivano in cento, duecento.”Tutti in paese sanno e vedono che l'università 'va a lezione' di sana cittadinanza da chi non si piega al boss, che magari è amico del sindaco, del parlamentare, a cui procura voti”. Da questi viaggi dovrebbe nascere, stimolare la nascita di una nuova società. Per Aprile, è la Pedagogia della resistenza che produce qualcosa per la società.

Poi c'è il capitolo della Lucania, “la regione nascosta”, la “colonia d'Italia”. Dove le compagnie petrolifere hanno le concessioni per estrarre il petrolio. Nell'ultimo capitolo si affronta la situazione della Sicilia. Qui a puzzare, è soprattutto la costa meridionale. “Un paradiso stuprato dall'industria chimica e petrolifera[...]”. Mezzo secolo di inquinamento, danni genetici, tumori. Aprile racconta come mutò il territorio intorno alla marina di Melilli, fra Augusta e Siracusa. Come hanno eliminato un migliaio di persone, proprio come hanno fatto a Gioia Tauro. Anche qui bisognava scegliere tra lavoro e salute. E poi si passa a Gela, dove si offriva il lavoro a tanti siciliani. Anche qui ben presto si scoprì che l'industrializzazione del territorio, portava guai ben peggiori. Nacquero le associazioni non solo ambientaliste per denunciare il problema.

Ma il libro di Aprile collega molto il passato storico alla situazione presente del Meridione. Ogni tanto apre delle parentesi sulla storia, della brutale conquista del Sud ad opera dei piemontesi nel 1860. Fa riferimento ai cosiddetti “briganti”, che hanno lottato contro la militarizzazione del loro territorio. Forse è lo scrittore che più di altri ha rivendicato magari confusamente un certo orgoglio meridionale nei confronti del Nord. Aprile denuncia il potere politico che ha condannato il Sud “alla minorità infrastrutturale (meno strade e rare autostrade, niente treni, pochissimi aeroporti, mentre il resto del Paese ne viene dotato pure con i soldi dei meridionali).

Pertanto dopo aver riscoperto di come è stata unificata l'Italia, a tutto danno dei meridionali, sono nati comitati, associazioni, partiti, che pretendono equità e rispetto della verità storica, come quella che riguarda Pietrarsa, presso Napoli, dove c'era la più grande ed efficiente officina meccanica del tempo, dove i soldati nel 1863 spararono contro i lavoratori decisi ad impedire la rottamazione della fabbrica, per favorire la più piccola del genovese Ansaldo.

Alla fine del libro Aprile sottolinea l'uscita, la pubblicazione, in pochissimi anni di opere che fanno giustizia sulla verità storica della conquista del Sud. Non solo libri, ma anche decine di lavori teatrali che si richiamano alla storia negata, alle stragi patite, ai ribelli che presero le armi e furono sterminati, come l'eccellente festival della Grancia in Lucania. Ormai rileva Aprile, nonostante l'avversione di alcuni cattedratici, sembra normale presentare tesi e tesine che raccontano un'altra storia, sul risorgimento. A questo proposito voglio ricordare, quando al penultimo anno, alle superiori, io giovane studente, ho presentato alla prof di storia, uno studio di due fogli di carta di protocollo sulla storia della Vandea e dei crimini dei giacobini francesi.

Dopo “Terroni”, scrive Aprile, mi chiedevano:“Quando sarà davvero unita l'Italia?”. Io rispondevo:”Il giorno che ci daremo appuntamento in via Cavour, angolo via Carmine Crocco Donatelli”. Pareva fantascienza proprio in un paese della Puglia, a Villa Castelli (Brindisi), ci si può incontrare fra “Via Garibaldi e via Sergente Romano”.

Pertanto conclude Aprile, non sono fenomeni diversi quelli della moltiplicazione di comitati, associazioni, dei ribelli positivi sulle questioni ambientali, economiche, della salute, da quelli dei valori  e temi storici. Per Aprile, lo spirito antagonista è lo stesso. Infatti capita spesso che a dare vita ai comitati antimafia e contro le discariche, sono gli stessi protagonisti del recupero della storia nascosta e dimenticata del Sud.

Si è svolta recentemente a Roma la presentazione  di "Matera 2019, capitale del futuro. Dove investire è cultura". Matera è oggi una delle città più visitate d’Italia e tra le più vivaci dal punto di vista culturale e punta a crescere come centro di produzione creativa materiale e immateriale, d’esempio per il Sud e per tutto il Mediterraneo. I pilastri su cui poggia il programma culturale di Matera 2019 sono stati pensati e studiati per essere di importanza strategica non soltanto per la città e la sua regione, ma per l'intero Paese.
L'evento - promosso dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019 - è stato occasione per presentare ad un pubblico qualificato di imprenditori e politici le attività di Matera 2019 da oggi al 2020, illustrandone con chiarezza le opportunità in termini di visibilità e sviluppo di affari e turismo per quelle realtà che decideranno di sostenere il progetto. E’ intervenuto, a so
stegno dell’iniziativa, il ministro dei Beni, Attività Culturali e Turismo,  Dario Franceschini .

Matera 2019, una storia che parte da lontano

Il 17 ottobre 2014 Matera è stata proclamata Capitale Europea della Cultura per il 2019 a chiusura di un intenso percorso di candidatura e a seguito della valutazione di una giuria internazionale. L'idea di candidare Matera a questo prestigioso titolo era stata promossa alla metà del 2008 da un gruppo di giovani, costituitisi nell'Associazione Matera 2019 con l'obiettivo principale di avviare il percorso della candidatura attraverso il coinvolgimento dal basso dell'intera comunità lucana. Per rafforzare e rendere condiviso tale percorso, le istituzioni regionali hanno dato luogo nel luglio del 2011 al Comitato Matera 2019, con una sua autonomia giuridica, volto specificamente a preparare e sostenere unitariamente la candidatura. Dopo l'entrata nella rosa dei candidati, nel settembre 2014, è stata costituita la Fondazione Matera-Basilicata 2019 come soggetto preposto ad attuare le linee di intervento delineate nel dossier finale di candidatura al fine di consolidare il posizionamento acquisito da Matera e dalla Basilicata a livello europeo nel settore della creatività e di diventare una piattaforma culturale per il Mezzogiorno d'Europa.

Matera 2019 sarà una grande occasione per allargare e qualificare il pubblico della cultura, sperimentando nuovi modelli di ascolto, condivisione e produzione abbracciando l'idea di un "abitante culturale" che partecipi attivamente ai processi di co-creazione e di cogenerazione.

 

Futuro Aperto

La filosofia di Matera 2019 è racchiusa in due parole: "Futuro Aperto", uno slogan scelto per rappresentare al meglio la natura e l'essenza dell'intero programma culturale. Matera 2019 vuole infatti essere un'opportunità per creare una cultura aperta, in tutte le sue molteplici declinazioni: aperta perché "accessibile a tutti"; aperta perché "non oscurantista nei confronti dei pensieri e delle sensibilità"; aperta perché "disponibile al dialogo". Da un punto di vista operativo, aprirsi significa perciò confrontarsi con gli abitanti culturali del resto d'Italia e dell'Europa; liberare i dati e condividere la conoscenza, in modo particolare all'ambito dei beni culturali; garantire trasparenza in tutte le azioni pubbliche; accogliere operazioni culturali inaspettate.

La forza sono e saranno i cittadini: gli abitanti di Matera, della Basilicata ma anche del Mezzogiorno e di tutta l'Europa. Chi deciderà di visitare Matera non sarà un turista, quanto piuttosto un "cittadino temporaneo", partecipante attivo di un progetto civico a lungo termine per la costruzione di un nuovo futuro per l'Europa basato su apprendimento reciproco, creatività e valori condivisi.

Eventi, cultura, sviluppo: l'effetto moltiplicatore per il territorio

Partecipazione, inclusione, apertura. Con questi punti fissi Matera 2019 si propone al territorio. L'80% del programma culturale di Matera 2019 prevede il coinvolgimento della cittadinanza attraverso azioni di co-creazione. Tutti i ragazzi delle scuole elementari e medie di Matera e della Basilicata verranno coinvolti, mentre almeno 8.000 operatori e artisti arriveranno da tutta Europa per programmi di residenze europee e di mobilità. Saranno ospitati 40 raduni, incontri internazionali e scuole estive delle comunità e delle reti del cambiamento europeo.

Il progetto culturale di Matera 2019 si articola in cinque principali filoni tematici, ognuno dei quali diviso in cluster, o gruppi progettuali, che sviluppano l'indagine su un determinato aspetto del tema attraverso una serie di iniziative di grande, media e piccola scala: Futuro remoto, Radici e percorsi, Riflessioni e connessioni, Continuità e rottura, Utopie e distopie.

Due sono i progetti chiave su cui il programma di Matera 2019 pone le basi: l'Open Design School (ODS) e l'istituto Demo-Etno-Antropologico (1-DEA). L'I-DEA sarà un luogo in cui arte e scienza si incontreranno a partire dagli archivi condivisi reperiti in regione, in Italia e nel resto d'Europa. Partita nel 2016, l'ODS permetterà invece di creare una nuova generazione di designer con capacità e competenze necessarie a sviluppare localmente gran parte delle strutture e delle tecnologie necessarie per realizzare il programma del cartellone del 2019.

Quattro le grandi mostre che caratterizzeranno l'offerta culturale di Matera 2019. Ars Excavandi sarà la prima vera indagine sulla storia dell'architettura rupestre attraverso i secoli, analizzata da una prospettiva contemporanea esplorando anche le più innovative direzioni future. Rinascimento riletto svelerà le tracce che ha lasciato questo incredibile periodo artistico e culturale attraverso i territori della Basilicata e della Puglia. La poetica dei numeri primi svelerà l'antica bellezza della matematica svelandone la centralità nel lavoro di artisti di tutte le età. La quarta mostra, Osservatorio dell'Antropocene, contribuirà al vasto dibattito intorno al presunto inizio di una nuova era geologica definita dalle azioni dell'uomo.

Il programma di costruzione di capacità

Matera 2019 ha impostato un programma di costruzione di capacità a livello sistemico che riguarderà gli operatori socio-culturali: orientamento alla collaborazione, superamento della logica assistenziale, capacità di networking internazionale, ricerca di nuovi modelli di sostenibilità e di imprenditorialità, attenzione alla rilevanza sociale dovranno costituire il DNA progettuale degli operatori del settore culturale e creativo.

Nella gestione di un'iniziativa complessa come la Capitale Europea della Cultura, le risorse umane rivestono un ruolo chiave. Il programma di costruzione di capacità consentirà di intraprendere iniziative innovative e al contempo doterà le strutture culturali già esistenti di un pool di collaboratori per il futuro.

Una grande occasione per investire

Una stima prudente quantifica in un milione le presenze che gli eventi culturali in programma porteranno a Matera nel 2019. Un numero che si innesta in una favorevole congiuntura per chi abbia la capacità di investire sul territorio. Secondo gli ultimi dati macroeconomici la Basilicata è la regione del Sud Italia che cresce di più: dopo aver risentito in maniera considerevole della crisi, mostra segni di ripresa in tutti i settori. L'ultimo rapporto Svimez (2016) mostra che il PIL della regione cresce del 5,5% nel 2015, mentre il Mezzogiorno dell'l% e il resto del Paese dello 0,8%. ln particolare, il PIL della provincia di Matera cresce del 6,4% ed è in costante aumento nelle serie storiche.

I dati che riguardano i flussi turistici a Matera sono il primo effetto visibile del titolo di Capitale Europea della Cultura. Dal 2014 (anno della proclamazione) al 2016, gli arrivi nella città di Matera sono passati da 150 mila a 253 mila (+63%) e le presenze da 244 mila a 409 mila (+67%). Un visitatore su 4 che arriva a Matera è straniero, 16.000 in più rispetto al 2014. Il tessuto cittadino e imprenditoriale ha risposto alle nuove esigenze di accoglienza: gli esercizi ricettivi sono passati da 184 a 482 e i posti letto da 2.908 a 4.527.

Si stima che i 200 milioni di euro investiti sul territorio per turismo e opere pubbliche possano generare un ritorno pari a un miliardo di euro sul territorio in quattro anni.

 

Sul nuovo numero della rivista Cristianità (n. 385, maggio-giugno 2017) è stata pubblicata la relazione finale in merito a un convegno tenutosi a Lecce nel mese di aprile scorso dal titolo: “Dov’è finito il Sud? Ricollocare il Mezzogiorno nell’Agenda politica”. Relatore è Alfredo Mantovano, magistrato e esponente di spicco di Alleanza Cattolica. Mantovano è stato sottosegretario agli interni nei governi Berlusconi, inizia la relazione facendo riferimento all’incresciosa contesa scaturita dopo la visita a Napoli del segretario della Lega Nord, Matteo Salvini.

Alla visita hanno reagito i centri sociali in compagnia di “sudisti” di vario tipo, peraltro organizzando una specie di sit-in a Pontida, nel luogo simbolo della Lega Nord. Quello che è accaduto a Napoli e poi a Pontida è veramente triste, anche perché alla contestazione hanno partecipato elementi istituzionali come il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris.

Tuttavia “quello che è più triste in assoluto è che quando vi sono polemiche come queste la sostanza resta fuori”. E per Mantovano, “La sostanza qui, se si ha voglia di uscire dagli slogan e dalla demagogia, è che il tema del Sud è da anni assente dall’agenda politica nazionale […]”. Basta andare a consultare i siti istituzionali da quelli nazionali a quelli regionali per verificare la quantità e la qualità delle discussioni aventi per oggetto il Mezzogiorno d’Italia.

Mantovano prova a tracciare qualche proposta, qualche obiettivo per far risorgere il nostro Meridione d’Italia. Ne presenterò qualcuna, iniziando dal primo nodo che riguarda il Sud: la mancanza di confronto.

cominciare del divario economico tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Infatti, nonostante la crisi, Lombardia e Veneto, “vantano standard di reddito pro capite superiori alla media europea, più che italiana. E per questo che chiedono un’autonomia maggiore, compatibile con quella delle regioni a statuto speciale. Infatti a ottobre si terrà in Lombardia il referendum per l’autonomia.

Secondo l'ex sottosegretario, le regioni del Nord se hanno delle “condizioni medie di vita più elevate rispetto al resto d’Italia non è un dono di natura: è l’esito di un impegno diffuso che ha riguardato vari settori economici e sociali”. Infatti Mantovano ricorda che negli anni 50 a fare certi mestieri umili e di sacrificio in altre zone d'Italia era gente veneta. ”Da allora a oggi è cambiato tanto , e in positivo, grazie a scelte politiche che hanno generato sviluppo e a sforzi condivisi”.

Altro nodo da esaminare è quello dei fondi europei indirizzati verso le aree meridionali. Vi è mai stato un dibattito serio sul perché Regioni ed enti territoriali al Sud riescono a utilizzare solo una piccola parte dei fondi europei indirizzati verso le aree meridionali?”. Oppure, “sul perché non si ci attrezzi né ci si munisca delle competenze che permettano di affrontare procedure e controlli obiettivamente complessi?” Inoltre, “sul perché si preferisca lamentare la carenza di risorse”, quando invece ci sono e per ottenerle occorre professionalità.

Per Mantovano, “la combinazione fra beni ambientali e beni culturali in tante città del Sud – in primis, Siracusa, Napoli, Palermo – appare altamente competitiva con quella di città importanti del Centro-Nord, come Ravenna, Pisa, Torino”.

Piuttosto il deficit delle città del Sud “sta nell’incapacità di attivare i mezzi che valorizzino il patrimonio di cui dispongono”.

Per quanto riguarda la formazione, Mantovano descrive il paradosso dell’Università del Salento, dove esistono diverse Facoltà, magari qualcuna inutile, visto che poi non offre sbocchi occupazionali. “In compenso mancano una facoltà di Agraria e un corso di laurea in Enologia, pur se una delle risorse primarie nel Salento è l’agricoltura, e in particolare la produzione di vini, anche di qualità […]”.

Altro nodo è quello dei trasporti nel Mezzogiorno, in particolare le ferrovie, ma anche quello aereo. Mantovano fa esempi che riguardano la sua Puglia, ma ognuno di noi può portarne altri che riguardano la propria regione.

Altro nodo è la tutela dell’ambiente del nostro Mezzogiorno, saccheggiato negli ultimi decenni dalla costruzione di “cattedrali nel deserto”, che hanno portato a deturpare il paesaggio e la salute degli abitanti, invece dello sviluppo del territorio. Si pensi allo stravolgimento della città di Taranto con lo stabilimento dell’Ilva, ma si possono fare altri esempi come Priolo, Augusta, Milazzo, o Gela in Sicilia.

Infine Mantovano accenna alla morsa della criminalità, che nonostante alcuni importanti successi, non fa decollare il Sud. Le mafie meridionali rappresentano uno dei principali handicap del Sud.

Tra le tante cose da fare il Sud, occorre recuperare la memoria storica. Effettivamente i territori del Sud si trovano in una condizione oggettiva di inferiorità rispetto al Nord dell’Italia, “ma questa inferiorità non è un dato di natura, non è esistita sempre, e quindi può mutare se vi è voglia di farlo”. Mantovano fa riferimento al 150° anniversario dell’Unificazione dell’Italia nel 2011. Un anniversario che poteva essere l’occasione per riflettere seriamente sulle varie questioni storiche, culturali, sociali ed economiche del Paese. L’occasione non è stata colta, quasi sempre è stata riproposta la “doppia e contrapposta retorica: da un lato l’apologia dell’evento unitario, dall’altro il vittimismo e il rivendicazionismo”.

Mantovano ricorda che insieme all’amore per la propria terra, serve anche la conoscenza, quindi il punto di partenza per amare il Sud, è quello di “interessarsi delle sue sorti con ragionevole passione, deve partire dallo sforzo di conoscere che cosa è stato il Sud d’Italia, e perché i problemi dei meridionali da una certa data in avanti sono cresciuti […]”. Bisogna fare un lavoro storico serio, “senza recriminazioni o nostalgismi, e quindi pure senza tratti caricaturali”. Sostanzialmente occorre capire perché, “non solo al Sud, l’Unità d’Italia non è ancora pienamente entrata nella memoria collettiva degli italiani”. Certamente per il magistrato, “ha sicuramente inciso il modo con il quale essa si è realizzata: per incorporazione forzata a uno Stato pre-unitario invece che per federazione fra gli Stati pre-esistenti. E’  stata una crudele guerra di conquista, con centinaia di migliaia di vittime fra civili”. Peraltro questa conquista “ha causato danni enormi, fra gli altri, sul piano economico […]”. Basta andare a consultare in Biblioteca, i giornali dell’epoca, quelli del Regno delle Due Sicilie. Certo accanto a sacche di enorme povertà e di arretratezza, il Regno di Napoli, conosceva importanti trasformazioni economiche nell’industria tessile, ma anche metalmeccanica.

Tuttavia Mantovano evidenzia che una “ricostruzione oggettiva di quanto è accaduto a cavallo del 1861 continua a essere vista da molti come un’aggressione revisionistica al fondamento sacrale della nazione: anche questo spiega perché non si sia colta l’occasione del 150° anniversario dell’Unificazione per quella che sarebbe stata una necessaria quanto salutare purificazione della memoria”.

Studiando bene, ci si convince che “l’Italia non nasce nel 1861”. Infatti “nei secoli antecedenti vi era quella che è stata definita una ‘nazione spontanea’, con una comune identità, fondata su cultura e principi comuni, sostanzialmente omogenei, e su un’articolazione sociale ricca e variegata, a cominciare dal Sud”. Secondo Mantovano prima dell’Unità, nonostante i confini di Stati differenti, esisteva la consapevolezza del comune destino dell’Italia, forse di più di quanto sia stata dopo il 1861. La conferma è “la risposta comune che nel corso dei secoli è stata data, superando le differenze fra ducati, principati e regni, alle aggressioni esterne – dapprima il pericolo saraceno, poi quello ottomano […]”.

Dunque, l’unificazione doveva avvenire diversamente, ora però spiega Mantovano, “la partita del Sud va giocata non contro il resto del Paese, bensì utilizzando al massimo le risorse di cui il Sud dispone e che spesso ha in sovrabbondanza”. Assolutamente non deve passare l’idea, che il Sud sia “una terra perduta nella quale è inutile investire: con ciò incrociando il sentimento di impotenza e di frustrazione che serpeggia in diverse comunità meridionali”. Serve una nuova speranza per il Sud, bisogna presentare le positive esperienze in ambito culturale, scientifico, imprenditoriale, civile e religioso, che pure ancora vi sono.

Serve un nuovo meridionalismo, che recuperi la memoria storica e nel contempo rappresenti il Sud in modo non semplicistico”. In particolare bisogna essere convinti che il Sud, non è un “Nord mancato”. Il nostro Paese ha caratteristiche diverse rispetto per esempio alla Francia, siamo una realtà policentrica; la nostra caratteristica potrebbe identificarsi in una “unità nella diversità”.

Il nuovo meridionalismo deve mettere da parte quella enfatizzazione della Questione Meridionale, che ha portato, soprattutto dopo il dopoguerra, a quell’epoca in cui si affermò quel nuovo ceto politico locale che rivendicava ingenti provvidenze pubbliche, ponendosi come mediatore nella loro distribuzione. Pertanto per Mantovano occorre superare “quel blocco sociale regressivo che è cresciuto alimentandosi della spesa pubblica. Senza trascurare che nel ‘saccheggio’ della spesa pubblica per il Sud vi sono stati anche rilevanti interessi nazionali e dei sistemi industriali del Nord”. La Cassa del Mezzogiorno, la fallita industrializzazione del Sud, è stata un’esperienza mortificante non solo per il Sud ma anche per l’intera storia nazionale.

Mantovano nella relazione richiama tutti quei temi politici economici sul territorio meridionale, tante volte discusse. Il localismo è una sfida che va affrontata, soprattutto evitando di rinchiudersi, a guardare solo alle risorse esistenti nel territorio, “e a non guardare invece a quelle che possono essere trovate al di fuori o inventate ex novo”.

Un altro obiettivo per il Sud è il Federalismo, è la grande e irripetibile occasione per il Mezzogiorno. L’occasione per dimostrare che si vuole giocare fino in fondo la partita. E a proposito di federalismo, non può continuare quello che racconta Mantovano a proposito di un rettore di una università del Sud che non accettava i tagli lineari, (eravamo nel 2010) sulla propria università, difendendo l’esistente, che includeva corsi di laurea del tutto estranei alle esigenze di sviluppo del territorio di riferimento.

Tuttavia Mantovano conclude la sua relazione, descrivendo due esempi virtuosi di come il Sud potrebbe risorgere. Lo splendido museo archeologico di Ugento, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca, e il Parco tematico nella località Grancia, sui monti lucani vicino Potenza, un grande affresco delle insorgenze antigiacobine e dell’invasione sabauda, raccontato all’aperto, nei fine-settimana estivi, realizzato con professionalità, coniugando rigore nella ricostruzione storica ed efficacia nel messaggio visivo.

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