“Il teatro storico italiano”, incontro con Luca Milesi

Teatro

Fra pochi giorni scadrà il bando indetto dal Teatro Agorà di Roma, in collaborazione artistica con l’Associazione culturale “Enter” per il Teatro storico italiano: “1946-2016, nel 70° Anniversario della Repubblica. Cronache. Storie e fatti della scena italiana”. Le compagnie teatrali interessate dovranno inviare la loro domanda di partecipazione entro il prossimo 15 giugno 2015.

Questo progetto è nato dall’esigenza di selezionare le migliori compagnie, caratterizzate da criteri di professionalità artistica e gestionale e gli spettacoli più interessanti riconducibili a tematiche storiche e storico-religiose. Quindi, attraverso questo bando sarà possibile portare sul palcoscenico del Teatro Agorà una serie di spettacoli accuratamente selezionati, che andranno in scena per una settimana teatrale tra novembre 2015 e marzo 2016.

Il principale obiettivo del bando è quello di promuovere il Teatro storico italiano, consentendo alle compagnie teatrali di rappresentare le loro opere in un teatro situato proprio nel cuore di Roma. Il risultato sarà quello di proporre al pubblico la conoscenza di nuovi testi teatrali.

Per l’occasione, l’attore e regista Luca Milesi, anche docente di lettura interpretativa e recitazione e co-fondatore e direttore artistico dell’Associazione culturale “Enter” di Roma, ha concesso un’interessante intervista, attraverso la quale emergono diversi spunti di riflessione nei confronti del teatro e della sua funzione socialmente rilevante.

Il Teatro Agorà, che sorge a Trastevere, nei pressi dell’Orto Botanico, con una capienza complessiva di centoquaranta posti, è gestito dall’omonima Associazione culturale. Con quanta forza la vera passione per il teatro vi ha spinti in questo progetto?

In qualche modo siamo legati al Teatro Agorà ’80 come dei nipoti alla casa del nonno: quelle sale ospitavano la scuola di teatro nella quale abbiamo compiuto i nostri primi studi, verso la fine degli anni ’90. Quasi un “debito” artistico se vogliamo. L’apertura verso le collaborazioni esterne dimostrata dalla direzione artistica dell’Agorà ’80 ha fatto il resto, determinando la nascita di un progetto che vuole scommettere sulle qualità artistiche e non solo; cerchiamo testi che sappiano inquadrare, con fedeltà storica e creatività del linguaggio, i momenti più cruciali della storia del nostro Paese dopo il 1945.

L’attività della Compagnia Agorà ’80 era inizialmente indirizzata al Teatro per Ragazzi, un genere teatrale ingiustamente considerato minore. Il vostro comune intento di risvegliare le coscienze degli adolescenti, generalmente dimenticati dalla letteratura, nel tempo, ha dato i risultati sperati?

I risultati arrivano gradualmente, in proporzione alla sistematicità ed alla continuità degli sforzi profusi. Le istituzioni non sempre possono aiutare. Sarebbe auspicabile ricevere più attenzioni dal corpo docente delle scuole. Molto spesso anche i professori inseguono il “grande nome”, così come gli sponsor e questo non fa il bene dei ragazzi, i principali destinatari e fruitori dei progetti.

La storica sede del Teatro Agorà di via della Penitenza, 33 riporta una targa dove si legge: “Libero Teatro da Sala”. Una frase dall’ efficace messaggio simbolico, che rimanda all’orientamento drammaturgico conferito allo spazio teatrale. Fra gli obiettivi, figurava anche quello di offrire al pubblico un prodotto alternativo a quello “commerciale”?

Ritengo che i fondatori dell’Agorà ’80 con quella targa volessero principalmente aprire le porte ad un teatro che non fosse solo “politico”. Ed avevano ragione, in quel caso. Ma è un discorso antico.

Molti attori di successo hanno mosso i primi passi all’interno della vostra compagnia. Quali di essi ricorda con maggior interesse?

Ho un bellissimo ricordo di Salvatore Lazzaro, attore formatosi in Sicilia, protagonista della nostra versione di Terapia di gruppo (di C. Durang) nel ruolo di “Bruce”, andato in scena nel 2011 al Teatro Trastevere. Ma Salvatore all’epoca era già famoso e calcava i palcoscenici da diversi anni: quando ci incontrammo, proveniva dalla bellissima esperienza del “Capo dei Capi”, nel ruolo di Bernardo Provenzano.

Lei è fondatore e direttore artistico dell’associazione “Enter”. Vorrebbe illustrarmela?

La “Enter” è nata per far conoscere al pubblico romano e soprattutto a quello dei più giovani le maggiori opere del teatro italiano e straniero poco “calcolate” dalle istituzioni teatrali del nostro paese. Prendiamo come esempio il caso di “El Triciclo”, opera grandiosa del genio di Fernando Arrabal, fondatore del Movimento del Teatro Panico negli anni ’50. Praticamente siamo stati i primi a rappresentarlo in Italia: con nostra sorpresa, nel 2004 scoprimmo che in Siae non disponevano di una traduzione. Un’ esperienza meravigliosa arrivata fino al teatro Flaiano. Poi vennero Don Chisciotte, (con il quale vincemmo il premio “Salvo Randone” a Calamonaci nel 2006), il testo Zona Protetta dello spagnolo Ernesto Caballero, (migliore regia al Festival di Moncalvo “Sipari di occasione” nel 2008), lo spettacolo sul Che nel 2012, “Tribù” di Duccio Camerini sul ‘900 italiano e la storia del brigante Ninco Nanco, nel 150° del suo assassinio. Nella “Enter” il seme del teatro contemporaneo viene impiantato su un humus che affonda profondamente le radici nella storia degli esseri umani veri, quelli “in carne ed ossa”.

In occasione del 70° Anniversario della Repubblica Italiana e dell’apertura del Giubileo, il teatro “Agorà”, in collaborazione artistica con l’associazione “Enter”, ha indetto il bando di concorso “Storie e fatti della scena italiana”, che scade il prossimo 15 giugno 2015 e persegue l’obiettivo di promuovere il teatro storico italiano, attraverso la rappresentazione di spettacoli selezionati afferenti alle tematiche storiche e storico-religiose. Vorrebbe parlarmi di questo interessante progetto?

Si parla tanto di quanto sia brutta questa Seconda, quasi Terza Repubblica nella quale stiamo vivendo. Ma forse i conti con la Prima non sono stati ancora saldati fino in fondo, soprattutto per quanto riguarda gli usi, i costumi e l’immaginario collettivo di una generazione, che si fece carico della pesante responsabilità di ricostruire da zero un Paese prostrato dal Fascismo e annientato dalla Guerra. La generazione successiva, quella del ’68, è stata celebrata maggiormente da tutti i media, in tutti i settori delle arti espressive. Personalmente, da qualche anno mi domando se il patrimonio culturale della generazione nata ad esempio nel 1925 fosse realmente tutto da rottamare. Non credo per questo di essere un reazionario. No? Dunque apriamo le porte del teatro ad una sorta di “Come erano”. “Come eravamo” non possiamo più dirlo, dal momento che noi non c’eravamo.

Nel suo bagaglio artistico noto che lei ha una certa esperienza come docente di lettura interpretativa e di recitazione, anche nell’ambito del laboratorio “Tangram”, diretto da Massimo Bonetti. Inoltre, ha curato l’allestimento di spettacoli presso la scuola di Massimiliano Milesi, dove ha insegnato per cinque anni. Questo denota la sua autentica passione per il teatro. Ha mai pensato al cinema?

Ci ho pensato tantissimo, ma quando le porte non si aprono bisogna farsene una ragione. E non ho mai pensato che fosse giusto solo piagnucolare e prendersela con i raccomandati, che comunque certamente esistono. Forse, più semplicemente, sono nato per il Palcoscenico e non per la Cinepresa: accettarlo non è stato facile. Ma tutto passa.

Si sente ottimista in un’ottica proiettata verso il futuro del panorama artistico, nel suo insieme?

Sarei molto più ottimista se un governo dicesse: da oggi zero finanziamenti a tutti ( a tutti!), per valutare realmente i livelli di creatività dei teatranti italiani. Mettiamo a disposizione solo un palcoscenico…

Questo mi renderebbe non solo ottimista fino in fondo, ma anche strafelice. Ovviamente è una utopia. Ma ugualmente non mi arrendo e non smetterò mai di lavorare con le scuole superiori, per aiutare la formazione del pubblico di domani, spero più cosciente e consapevole.

 

 

 

 

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