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Architettura, «così il rapporto tra storia e contemporaneità»

Basta fare un giro nella Catania del XX secolo per capire subito l’importanza culturale che ricoprì l’architetto Francesco Fichera: il Palazzo delle Poste in via Etnea e quello di Giustizia in piazza Verga, il Garage Musmeci in via Crispi, l’ex Cinema Olimpia in piazza Stesicoro, la “Regia Scuola industriale Archimede”, e numerose ville e palazzine che oggi caratterizzano luoghi centrali come piazza Trento, via Umberto, via Duca degli Abruzzi e molti altri. «Fichera sta alla Catania novecentesca, come Vaccarini sta alla Catania barocca», afferma con certezza Fabio Guarrera, autore del libro edito da Letteraventidue “Francesco Fichera. La modernità nella tradizione dell’architettura”, che offre una rassegna organica e sintetica della teoria e delle opere realizzate dal progettista catanese.

Il volume è stato presentato ieri pomeriggio (13 marzo) al Coro di Notte del Monastero dei Benedettini, con un evento voluto dagli Ordini etnei e dalle Fondazioni degli Architetti e degli Ingegneri, e da Inarch Sicilia, perché «il messaggio architettonico di Fichera è ancora oggi di forte attualità», ha sottolineato Paola Pennisi, presidente della Fondazione Architetti, che ha moderato l’incontro dopo l’introduzione del presidente di Inarch Sicilia Ignazio Lutri.

«Fichera ebbe il merito – ha spiegato la Pennisi – di contestualizzare la modernità delle opere nel tessuto urbano esistente della città. Lui rispose alle nuove esigenze architettoniche rispettando il passato dei luoghi. Ed è questo il metodo fondamentale oggi ai professionisti per riqualificare la città: fare della storia uno strumento per progettare il presente. Ciò non significa copiare quello che è stato fatto, ma innestare una nuova architettura contemporanea in armonia con l’identità espressa nel tempo dal capoluogo etneo». Una recente applicazione concreta di questo metodo è stato il workshop internazionale Aretè, promosso da Ordine e Fondazione Architetti, per rigenerare l’importante quartiere ricco di storia e cultura che circonda il Monastero dei Benedettini. 

«Sia il centro storico che le periferie di Catania devono essere valorizzati secondo un sistema condiviso di azioni. Tramite il censimento del patrimonio esistente, già in atto, è possibile dunque conoscere quelle emergenze architettoniche su cui intervenire secondo l’approccio lungimirante che insegnò Fichera», ha aggiunto il consigliere degli Ingegneri Giuseppe Marano, intervenuto per i saluti insieme al vicepresidente dell’Ordine Architetti Salvo Fiorito.

Le relazioni che si sono susseguite – a cura dei docenti universitari Elisabetta Pagello e Sebastiano D’Urso, dell’ing. Gaetano D’Emilio che fu alunno di Fichera, e del preside della Scuola di Architettura di Siracusa - Unict Bruno Messina – hanno consentito di fare un excursus nella “Catania che fu”, mostrando come Fichera agì allo stesso modo del Vaccarini: entrambi infatti intervennero quando l'impianto urbano della città era già compiuto, dunque non disegnarono spazi e strade ma l'immagine dei palazzi.

«Oggi regna purtroppo l’anarchia progettuale – ha concluso l’autore Guarrera – bisogna invece rinunciare a questa visione e concepire nuovamente l’architettura come bene comune e azione collettiva per e sulla città. Occorre ristabilire quelle regole culturali che consentano di intercettare il carattere, prima antico e poi odierno, di Catania. Regole intese non come norme e obblighi, ma come comune sentire a cui tutti ritengono di appartenere».

 

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