«PMI, +38% di redditività per chi sa gestire il rischio»

«Sebbene per definizione “l’impresa è rischio”, oggi le aziende italiane non hanno un’adeguata cultura in merito e non conoscono gli strumenti utili per affrontare le situazioni di problem solving. Abbiamo scelto la Sicilia, e in particolare la Città metropolitana di Catania, come modello di partenza per un’attenta analisi sul tema, con l’obiettivo di sensibilizzare tutti gli attori coinvolti per mettere in campo le strategie di gestione più idonee per rafforzare il risk management». Parole di Antonio Pogliese, economista e presidente del Centro di documentazione, ricerca e studi sulla Cultura dei rischi, che ha organizzato ieri (7 ottobre) – nell’Aula Magna di Palazzo delle Scienze – il secondo appuntamento del ciclo di incontri sull’argomento. «Definire i rischi d’impresa, la loro valutazione e quantificazione rappresenta un momento importante dei processi organizzativi delle imprese» ha sottolineato il rettore dell’Università di Catania e presidente onorario del Centro studi Giacomo Pignataro, intervenuto per i saluti insieme a Michela Cavallaro, direttore del Dipartimento universitario di Economia e Impresa, al consigliere dell’Ordine etneo dei Commercialisti Maurizio Stella e al vicepresidente vicario di Confindustria Catania Antonello Biriaco: «Le aziende che adottano un metodo di gestione integrato dei rischi - ha commentato Biriaco citando un dato di Mediobanca - presentano una redditività maggiore del 38% rispetto a quelle che non dispongono di un sistema di risk management». Un dato significativo che ha dato l’input al dibattito moderato dal giornalista Vittorio Romano.

«Non sempre gli attori economici prendono decisioni sulla base di scelte razionali – ha affermato Elita Schillaci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Unict – oggi entra in gioco anche la responsabilità sociale, dunque la figura del risk manager deve confrontarsi con gli aspetti emozionali dell’azienda». Fondamentale per la sopravvivenza delle imprese è la possibilità di stabilire relazioni economiche che poggiano anche su legami territoriali e tradizionali, come insegna l’esperienza di Giuseppe Condorelli, imprenditore dolciario e consigliere delegato della “Condorelli Sviluppo Rete Nazionale”: «Costruire una rete di fornitori locali affidabili – ha detto – rappresenta, nel caso delle aziende di produzione, un fattore di sicurezza, soprattutto per chi ha un marchio da difendere». Diverso il caso delle startup, come specificato da Rosario Faraci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Unict: «Le nuove imprese sono quelle che più di tutti percepiscono il rischio legato alla stabilità finanziaria, ma esiste una rete a sostegno delle idee imprenditoriali innovative, come gli incubatori e gli acceleratori che sono un fattore di mitigazione del rischio».

A dare voce agli istituti di credito è stato il responsabile Area commerciale Unicredit Catania Salvatore Malandrino: «Le banche oggi valutano le imprese attraverso un rating che viene assegnato in base ad alcuni parametri: non si tiene conto soltanto dei dati quantitativi che provengono dai bilanci e dalla centrale dei rischi, ma anche degli aspetti qualitativi come l’esistenza di un management qualificato al controllo interno. Il rapporto ottimale banca-impresa si ottiene fornendo simmetricamente le informazioni in maniera completa». A descrivere il ruolo dei professionisti nella diffusione della cultura del rischio è intervenuto invece il commercialista Francesco Scuderi.

Altro rischio percepito dalle imprese – illustrato per l’occasione da Pietro Martello presidente della sezione lavoro Tribunale di Milano – è quello legato ai rapporti con la giustizia e la sua burocrazia, che non sempre riescono a garantire celerità ed efficienza nella risoluzione delle controversie. Gli aspetti metodologici dell’analisi del rischio sono stati delineati da Benedetto Matarazzo, ordinario di Matematica finanziaria, mentre la relazione di sintesi è stata affidata a Roberto Cellini ordinario di Economia Politica.

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