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Inutile girarci intorno. Ieri mattina a Odessa, intorno alle 11.40, si è arrivati a 200 metri dallo scoppio di una guerra globale. E’ la distanza che ha separato l’esplosione di un missile russo sul porto della città Ucraina e le delegazioni di Zelensky e del Premier greco Mitsotakis. Che ha dichiarato di non aver fatto in tempo a mettersi in sicurezza. “E’ stata un’esperienza impressionante”, ha detto il Primo Ministro greco. L’episodio ha inasprito ulteriormente i rapporti fra la Russia e l’Occidente. In particolare, è stata l’Unione Europea a rilasciare le dichiarazioni più dure nei confronti di Mosca. “Condanniamo l’attacco a Odessa”, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. “Un altro segno delle tattiche codarde della Russia nella sua guerra di aggressione contro l’Ucraina”. Michel poi ha rincarato la dose: “Quello che è successo è riprovevole e addirittura al di sotto delle regole del Cremlino. Il pieno sostegno all’Ucraina e al suo popolo coraggioso non vacillerà”. 

Esprimo la mia più netta condanna per l'attacco perpetrato oggi a Odessa durante l'incontro tra Volodymyr Zelensky e Kyriakos Mitsotakis. Questo ennesimo atto di intimidazione russo non sortirà alcun effetto e non indebolirà la resistenza ucraina, al fianco della quale l'Italia e il suo governo sono schierati senza cedimenti". Queste le affermazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Le bombe sono cadute a 150 metri dal luogo in cui si trovava nella zona portuale della città il corteo di auto con Zelensky e Mitsotakis. Il bilancio è di 5 vittime. Nessun componente delle delegazioni al seguito di due leader è rimasto coinvolto. Avete visto con chi avete a che fare, a loro non importa dove colpire. Così Zelensky nel corso di una conferenza stampa. Abbiamo sentito il suono delle sirene dei raid aerei e delle esplosioni molto vicino a noi, non abbiamo avuto il tempo di andare nei rifugi. E’ quanto ha spiegato Mitsotakis, parlando di un’esperienza impressionante. Nessuno è intimidito da questo nuovo tentativo di terrorismo, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Gli attacchi contro Odessa dimostrano che gli aiuti militari all'Ucraina sono "urgenti", ha sottolineato la Casa Bianca in una nota. Il ministero della Difesa russo ha affermato che il bombardamento missilistico era diretto contro un hangar portuale militare dove si costruiscono droni marini, obiettivo che è stato colpito

Nataliya Humenyuk, capo del centro stampa congiunto delle Forze di difesa del sud dell'Ucraina, ha negato che l'attacco a Odessa sia collegato alla visita di Zelensky in città, in occasione del viaggio del premier greco Mitsotakis. "Quello che accade è che la Russia è terrorista e continua ad attaccare le infrastrutture portuali", ha detto Humenyuk.

Sale la tensione, in tutto il mondo, per i tanti fronti aperti e per la minaccia, sempre più concreta, di una nuova guerra mondiale. Dalla guerra in Ucraina a quella nel Mar Rosso, passando per Israele e Palestina, Taiwan, Corea del Nord e le rivolte in Africa. La paura è tanta e chi al momento si ritrova a governare il mondo non diffonde molta tranquillità. Cosa sta per succedere, dunque? Ne ha parlato anche Mario Giordano nel suo consueto editoriale all’inizio della trasmissione “Fuori dal coro”, nella puntata in onda il 6 marzo su Rete4. “Questi sono pazzi”, ha attaccato subito il giornalista senza usare mezze misure. E poi lancia l’allarme: “Ci stanno portando alla guerra mondiale, alla guerra nucleare”.

Ha detto Mario Giordano nel suo editoriale: “Non fanno altro che parlare di missili, di invasione. Non c’è mai nessuno che parli di pace. L’altro giorno il presidente francese Macron ha ipotizzato la presenza di truppe Nato in Ucraina ma le truppe Nato in Ucraina vuol dire fare un passo decisivo verso la guerra mondiale, quindi verso il rischio di guerra nucleare”. E ancora, Giordano ha sottolineato le parole della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha detto che “dobbiamo correre a comprare le armi come abbiamo comprato i vaccini”. Insomma, anche per Giordano ora il rischio catastrofe è davvero concreto.

Archiviati i risultati del Super Tuesday, la sfida per le presidenziali Usa entra davvero nel vivo. Certo, le primarie non sono ancora terminate ma entro pochi giorni Donald Trump dovrebbe ottenere con certezza matematica la nomination del partito che fu di Ronald Reagan. E contro un avversario che ha asfaltato con facilità l’ex astro nascente del Gop Ron DeSantis, governatore della Florida, e Nikki Haley, ex ambasciatrice all’Onu, la campagna di Joe Biden si prepara a spendere cifre record per cercare di garantirsi altri quattro anni alla Casa Bianca.

Si stima che saranno 2,7 miliardi di dollari che verranno investiti in pubblicità. I super Pac legati al presidente, Future Forward e American Bridge, hanno già predisposto una batteria di spot da 450 milioni di dollari e gli uomini di Biden precisano che i gruppi a sostegno del vecchio Joe spenderanno più di 700 milioni per fermare Trump.

"Da qui a novembre sarà guerra”, afferma a Politico Bradley Beychok, co-fondatore di American Bridge, spiegando che il Super Tuesday ha fatto chiarezza sui reali candidati che si affronteranno tra meno di otto mesi. E adesso quindi per Beychok la valanga di pubblicità si rende necessaria per ricordare agli elettori quanto sia stata caotica la presidenza dell’ex star di The Apprentice.

Fonte varie agenzie fuori da coro il giornale 

 

Due giorni di negoziati al Cairo, dove Israele non ha inviato la propria delegazione, non hanno ancora consentito di trovare la quadra. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che l'accordo per un cessate il fuoco a Gaza "è nelle mani di Hamas in questo momento". Gli israeliani hanno collaborato. Non ci sono scuse, dobbiamo garantire più aiuti a Gaza. Dobbiamo arrivare ad un cessate il fuoco perché, se la situazione si trascina fino al Ramadan, le cose potrebbero diventare molto pericolose in Israele e a Gerusalemme" in particolare.

Niente fumata bianca tra Hamas e Israele, l'accordo per il cessate il fuoco a Gaza e per la liberazione degli ostaggi rapiti il 7 ottobre non è ancora andato in porto. L'obiettivo di formalizzare l'intesa prima dell'inizio del Ramadan, che comincia il 10 marzo, è ancora raggiungibile. Il tempo a disposizione però diminuisce, mentre la palla viene spedita da un lato all'altro del campo con relative responsabilità per lo stallo.

Il portavoce del dipartimento di Stato americano Matthew Miller ha detto di ritenere legittima la richiesta di Israele di ricevere da Hamas una lista degli ostaggi ancora in vita, uno dei punti chiave dell'intesa. "Hanno preso gli ostaggi, continuano ad averli. Se continuano ad averli, devono sapere dove sono", ha commentato Miller, dopo che Hamas ha detto di non sapere dove si trovino tutte le persone rapite il 7 ottobre.

"Se si sta discutendo un accordo per la liberazione di un certo numero di ostaggi, è una domanda legittima chiedere ad Hamas se possono rispettare l'accordo: mostrare dove sono questi ostaggi e confermare che sono vivi - ha detto Miller - pensiamo che sia una richiesta più che legittima da parte dello stato d'Israele".

Le sollecitazioni hanno indotto Hamas a compiere, a quanto pare, ulteriori sforzi. L'organizzazione sta verificando dove si trovano gli ostaggi prigionieri a Gaza e qual è la loro situazione. Alla luce di queste operazioni, Israele sarebbe pronto a dare "un'opportunità finale" per un accordo. Il governo israeliano avrebbe chiesto specifiche informazioni su una quarantina di ostaggi il cui potenziale rilascio è al centro dei colloqui.

Hamas chiede che le forze armate israeliane lascino Gaza, che siano ammessi aiuti umanitari su larga scala e che ai palestinesi costretti a lasciare le proprie case possano tornare nel Nord della Striscia.

Non è chiaro cosa abbia impedito finora ad Hamas di produrre l'elenco degli ostaggi. Si ipotizza che potrebbero esserci problemi di collegamento e comunicazione tra le 'anime' dell'organizzazione dentro e fuori Gaza. Inoltre, alcuni ostaggi potrebbero essere nelle mani di altri gruppi, con la necessità di negoziare quindi con elementi della Jihad islamica. Sullo sfondo, l'ipotesi che la linea di Hamas non sia univoca: all'interno della struttura, un'ala potrebbe lavorare per ostacolare un accordo.

Israele ha posto come conditio sine qua non per una tregua che Hamas fornisca la lista degli ostaggi ancora vivi. L’organizzazione palestinese, tramite il suo funzionario politico Basim Naim, ha fatto sapere che «tecnicamente e praticamente, è impossibile sapere esattamente chi è ancora vivo, chi è morto per i raid israeliani o per fame a causa del blocco israeliano». Gli ostaggi, ha aggiunto, «si trovano in zone diverse, nelle mani di gruppi diversi». Hamas, ha spiegato, abbiamo chiesto una tregua anche per raccogliere informazioni», ha aggiunto.

Intanto a Gaza, dove oltre 30mila persone sono morte dall'inizio dell'offensiva di Israele, la popolazione civile attende aiuti in una situazione ogni giorno più drammatica. Gli Stati Uniti, che hanno iniziato ad inviare aiuti umanitari per via aerea, con alcuni partner stanno valutando di portare cibo, medicine e altri beni di prima necessità dal mare. Assieme ai partner internazionali "stiamo esaminando le opzioni per un corridoio marittimo per l'assistenza umanitaria a Gaza, comprese opzioni commerciali e su contratto", ha detto il portavoce del Pentagono Pat Ryder, citato dalla Cnn.

A delineare il quadro della situazione al valico di Rafah, anche Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana e deputato dell’Alleanza Verdi Sinistra. "Centinaia e centinaia di tir e autocarri sono fermi in attesa di poter entrare nella Striscia di Gaza. Abbiamo parlato con alcuni di questi autisti, addirittura ce ne sono alcuni che sono qui, fermi, da 15-20 giorni in condizioni che tutti possono ben immaginare. E soprattutto in quali condizioni, in quali condizioni saranno le merci che hanno trasportato fin qui? Ci sono autobotti e camion pieni di acqua pulita, chissà che problemi di sicurezza deve essere questo tipo di carico", le parole del parlamentare italiano.

Dall'altro lato del campo, si punta il dito contro il premier israeliano. "Netanyahu non vuole raggiungere un accordo, la palla ora è nel campo degli americani" a cui spetta il compito di riportare Israele al tavolo, secondo Basem Naim, responsabile dell'ala politica di Hamas a Gaza, come riferisce il quotidiano britannico Guardian.

"Negli ultimi due giorni, il movimento ha presentato la sua posizione sulla proposta avanzata dai mediatori del Qatar e dell'Egitto", ha detto a Beirut, in Libano, Osama Hamdan, alto funzionario di Hamas, come riportato dal Jerusalem Post. "Abbiamo riaffermato le nostre condizioni per un cessate il fuoco: un ritiro totale dalla Striscia e il ritorno degli sfollati nelle aree che hanno lasciato, in particolare nel nord".

L'emittente egiziana Al-Qahera News, considerata vicina all'intelligence e ai servizi del Cairo, ha riferito che "i negoziati sono complessi ma proseguono". La delegazione di Hamas, quindi, avrebbe deciso di rimanere nella capitale egiziana almeno per altre 24 ore.

 

Fonte adnkronos e varie agenzie

 

 

 

Oggi la partenza per Washington dove domani, 1 marzo, Giorgia Meloni varcherà per la seconda volta a distanza di 7 mesi il portone della Casa Bianca per il faccia a faccia con Joe Biden. Neppure ventiquattr’ore dopo vedrà a Toronto il primo ministro canadese Justin Trudeau. Una doppia missione che arriva esattamente a una settimana di distanza dal G7 che la premier ha presieduto in videoconferenza da Kiev.

Joe Biden darà il benvenuto al premier italiano Giorgia Meloni alla Casa Bianca il 1 marzo, l'incontro come occasione per riaffermare gli stretti rapporti fra Stati Uniti e Italia. La portavoce del presidente americano, Karine Jean-Pierre anticipa in un comunicato i temi sul tavolo dei due capi di Stato: "Discuteranno gli approcci condivisi per affrontare le sfide globali, tra i quali l'impegno a continuare il sostegno all'Ucraina e contrastare l'aggressione russa, il prevenire un'escalation regionale in Medio Oriente, la consegna di aiuti umanitari al popolo di Gaza, gli sviluppi in Nord Africa e lo stretto coordinamento transatlantico riguardo la Cina". Sul tavolo anche la presidenza italiana del G7 e il summit della Nato di Washington.

Si sa già che nella Capitale statunitense si terrà a luglio il prossimo vertice Nato che arriverà giusto a un mese di distanza dal G7 in Puglia e dalle elezioni europee destinate a incidere fortemente sugli equilibri del Continente sia sul fronte interno che sulla politica internazionale. In ballo c’è il futuro del Patto anche guardando all’eventuale ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca. Prima però c’è da decidere il successore di Jens Soltenberg a segretario generale, prorogato già di un anno e in scadenza a ottobre. Tra i candidati più forti l’ex premier olandese Mark Rutte con cui Meloni nell’ultimo anno ha costruito un rapporto forte soprattutto sul fronte della gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa e culminato nella firma del protocollo di Tunisi.

La preoccupazione è alta anche perché rispetto al primo incontro con Biden del luglio scorso la tensione a livello internazionale è ulteriormente peggiorata a seguito della crisi in Medio Oriente, che peraltro pesa non poco anche sulla campagna elettorale del presidente statunitense. Meloni che nella sua prima visita a luglio aveva avuto incontri anche con i vertici politici sia repubblicani che democratici stavolta ha preferito circoscrivere la sua missione al solo colloquio con l’inquilino della Casa Bianca. Biden continua a lavorare per raggiungere la tregua ma il rischio escalation resta altissimo. E in questo senso va letta anche l’imminente ritorno in Egitto di Meloni, entro la prima metà di marzo.

L’altro fronte caldo, l’Ucraina, non è certo meno preoccupante. Sabato scorso il G7 ha ribadito il pieno sostegno a Kiev e un passo avanti potrebbe realizzarsi sul fronte dell’uso dei fondi russi congelati nelle banche europee, di cui si fa cenno esplicitamente nella dichiarazione finale e su cui resta insistente il pressing statunitense . Meloni ne parlerà certamente con Biden ma anche con Trudeau visto che il Canada, come la Gran Bretagna e il Giappone, ha la stessa posizione di Washington. La premier ha svolto nella riunione a Kiev un ruolo di mediazione che intende portare avanti ulteriormente. Nessuna apertura invece sull’ipotesi di un coinvolgimento di truppe Nato in Ucraina bocciata sia dagli Stati Uniti che dall’Italia. Proprio l’Alleanza atlantica sarà l’altro grande tema su cui la premier e il presidente Usa si soffermeranno.

Intanto Vladimir Putin mostra i muscoli. In piena campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali di marzo, il presidente russo ha nuovamente messo nel mirino l’Occidente. Mosca ha armi che possono colpire obiettivi sul territorio dei Paesi occidentali, il suo annuncio in un discorso alla nazione davanti all’Assemblea federale. “Loro (l’Occidente – ndr) devono capire che anche noi abbiamo armi che possono colpire obiettivi sul loro territorio”. Putin ha colto l’occasione per tornare sulla proposta del presidente francese Emmanuel Macron di inviare truppe occidentali a Kiev: “Si è iniziato a parlare della possibilità di inviare contingenti militari della Nato in Ucraina ma le conseguenze per gli eventuali interventisti” saranno “tragiche”.

Tornando sull’invasione dell’Ucraina, Putin ha ribadito che le truppe del Cremlino non si ritireranno dal Paese di Volodymyr Zelensky: “Non ci deluderanno e non ci tradiranno”. “Quando guardo a queste persone meravigliose, che a volte sono ragazzi molto giovani. Senza alcuna esagerazione posso dire che il mio cuore è pieno di orgoglio per la nostra gente e per loro, che non si ritireranno, non ci deluderanno e non ci tradiranno”, ha aggiunto lo zar.

Nel corso del suo intervento, Putin ha sottolineato che la retorica dei leader occidentali fa rischiare una guerra con l’utilizzo di armi nucleari e conseguentemente la distruzione della civiltà: “Loro (l’Occidente ndr.) ora stanno escogitando modi per spaventare il mondo intero, tutto questo minaccia davvero un conflitto con l’uso di armi nucleari e quindi la distruzione della civiltà”.

Intanto mercoledì la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha comunicato la sua disponibilità a pronunciarsi sulla possibilità di concedere l’immunità a Donald Trump, candidato alle elezioni presidenziali di novembre, per fatti commessi durante il suo mandato alla Casa Bianca.

Trump, il primo ex presidente americano a trovarsi invischiato in processi penali, è attualmente imputato in processi per frode, diffamazione, violenza sessuale e falso in bilancio a New York, oltre a essere indagato dal Dipartimento di giustizia per aver sottratto indebitamente documenti istituzionali altamente confidenziali e averli portati nella sua villa di Mar-a-Lago, in Florida.

L’ordinanza non firmata della Corte Suprema ha accolto la richiesta del procuratore speciale Jack Smith di portare al grado supremo della giustizia americana la questione dell’immunità per Trump: la corte, che ha una maggioranza di sei giudici di idee conservatrici a tre, inizierà ad ascoltare le dichiarazioni delle parti a partire dal prossimo 22 aprile

Fonte Varie Agenzie 

Giovanni Donzelli, deputato di FdI e vicepresidente del Copasir, a 24 Mattino su Radio 24, "i mandanti devono essere scoperti, nessuno ci può raccontare che un uomo della Guardia di Finanza si sveglia e fa così, per passione, 900 accessi e li regala a un giornale di sinistra, come Domani di De Benedetti, senza che ci sia una richiesta, né un disegno politico, soltanto perché la mattina si è svegliato storto, non ci crede nessuno".

"Sento dire che sono stati spiati esponenti della maggioranza ma anche dell'opposizione ma del Pd non c'è nessuno, a malapena mezzo consigliere regionale.

Quindi un disegno politico mi sembra abbastanza evidente che ci sia anche perché le informazioni di quelli di destra poi sono finite sui giornali, ci sono state le campagne di fango indecenti nei confronti di esponenti di centro-destra basate su informazioni riservate che non devono uscire utilizzate in modo scorretto tramite l'Antimafia e la Guardia di Finanza e quindi c'è un tema molto serio di tenuta delle istituzioni che deve essere approfondito fino a scoprire chi voleva questa cosa, e non solo sul lato politico ma anche sul lato economico, dato che mi pare siano molti anche gli accessi economici a questa vicenda.

E' un fatto estremamente grave, che si innesta in una situazione ormai sedimentata da anni: il diritto alla privacy, garantito dall'articolo 15 della nostra Costituzione, è diventato ormai una sorta di aspirazione metafisica", ha detto Carlo Nordio, ministro della Giustizia, a margine del Consiglio Ue, commentando la vicenda dei presunti dossieraggio a fini politici.

"Le stesse intercettazioni, più o meno lecite, captate in modo diverso, sono diventate quasi la regola, mentre l'articolo 15 della Costituzione dice che possono essere limitate solo in casi eccezionali: se giudiziaria ma vengono captate in modo per così dipoi non vengono nemmeno autorizzate dall'autorità gre eccentrico allora deve intervenire la magistratura e, secondo me, anche il legislatore".

"L'ho appena saputo. Ho dato mandato a un legale per fare chiarezza. È assurdo. Ma non è la prima volta che mi accade". Così, in un'intervista al Corriere, il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa finito nella rete degli 'spiati'. "È impensabile - dice - che in un Paese democratico si verifichino simili episodi. Bisogna agire". Per Cesa, "deve intervenire il Parlamento". Come? "Ormai ogni giorno siamo in presenza di fughe di notizie, di intercettazioni illegali - afferma - Mettere un argine è doveroso e dignitoso".

Secondo il giornale Post negli ultimi giorni molti giornali sono tornati a occuparsi di un’inchiesta della procura di Perugia che ha indagato 16 persone, accusate di avere avuto accesso a informazioni riservate di politici e personaggi noti. I due principali accusati sono un tenente della Guardia di Finanza, Pasquale Striano, e il magistrato Antonio Laudati: entrambi sono stati in servizio per anni alla direzione nazionale antimafia, che controlla e coordina l’attività dei procuratori e della polizia giudiziaria che si occupano di criminalità organizzata sul territorio nazionale. Secondo l’accusa, Striano e Laudati avrebbero sfruttato le banche dati della direzione nazionale antimafia per ottenere notizie riservate e informazioni su centinaia di persone, soprattutto politici.

In realtà secondo Post dell’esistenza di questa inchiesta si sa dall’agosto del 2023. Già sette mesi fa molti giornali diedero conto dell’indagine nei confronti di Striano e del meccanismo di accesso alle banche dati della direzione nazionale antimafia. Negli ultimi giorni sono emersi nuovi dettagli, in particolare una lunga lista di politici e personaggi “spiati” e il coinvolgimento di tre giornalisti del quotidiano Domani a cui Striano passava le informazioni.

Secondo Post Striano e Laudati sono accusati di falso, accesso abusivo a sistema informatico e abuso d’ufficio. Molte cose però non sono chiare, in questa inchiesta. I giornali hanno parlato di “dossieraggio”, un termine spesso utilizzato in riferimento a una raccolta di informazioni riservate fatta su commissione e a fini ricattatori, ma finora la procura di Perugia non ha spiegato quali siano le motivazioni che hanno spinto Striano a fare oltre 800 accessi al sistema informatico: e la comparsa del termine sui giornali sembra legata solo a una sua più generica accezione usata dalla procura di Perugia (una raccolta di informazioni per preparare delle inchieste). Dai primi accertamenti non sembra sia una questione di soldi, perché nessuno degli indagati è accusato di corruzione.

L’inchiesta secondo il post fu aperta inizialmente dalla procura di Roma a cui Guido Crosetto, ministro della Difesa, aveva presentato un esposto. Crosetto si era rivolto alla procura dopo la pubblicazione di un articolo del quotidiano Domani che aveva rivelato i compensi ricevuti per alcune sue consulenze fatte ad aziende partecipate pubbliche legate all’industria delle armi, come Leonardo. Domani aveva ipotizzato un conflitto di interessi perché alcune delle consulenze erano proseguite anche dopo la nomina di Crosetto a ministro. Crosetto non querelò Domani per diffamazione perché le informazioni erano vere, ma presentò un esposto per chiedere alla procura di indagare sull’accesso a questi dati riservati.

 

Fonte Ansa Post e varie agenzie

La Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato la decisione del governo che si oppone ad ogni dichiarazione unilaterale di uno stato palestinese.
Il voto è passato con una maggioranza di 99 voti a favore - compresa quindi l'opposizione al governo di Netanyahu - e 11, dei partiti arabi, a sfavore.

Intanto un rapporto dettagliato sulle violenze sessuali compiute dai miliziani di Hamas il 7 ottobre sulle loro vittime in Israele (ed in seguito anche su parte degli ostaggi) è stato pubblicato oggi dall'Associazione israeliana di assistenza alle vittime di attacchi sessuali (Igud D1202).

Fondato su testimonianze dirette e interviste, il rapporto afferma che ''i terroristi di Hamas hanno fatto ricorso a pratiche sadiche con la finalità di accrescere le umiliazioni ed il terrore provocati dalle sevizie sessuali''.

Nel presentare il rapporto i media locali consigliano di non esporre il contenuto a minorenni o a persone sensibili'.

Secondo il quotidiano saudita Asharq Al-Awsat che cita fonti diplomatiche, "ci sono progressi nei colloqui tra Egitto e Hamas sull'accordo per gli ostaggi.
Hamas ha ammorbidito le sue posizioni e l'Egitto sta lavorando per ottenere una flessibilità simile anche con la delegazione israeliana che arriverà al Cairo nelle prossime ore".

"Il ministro Antonio Tajani è un amico di Israele, ha dimostrato la sua amicizia sia nei fatti che nelle parole, sia prima della guerra a Gaza che durante. Dobbiamo ascoltare attentamente quello che ci dice.

Sono d'accordo sul fatto che il nostro sforzo deve continuare a concentrarsi sulla riduzione delle vittime civili a Gaza, aumentando la quantità di assistenza.
Hamas d'altra parte sta utilizzando i civili come scudi umani e impedisce il loro accesso agli aiuti. E' una situazione difficile". Lo ha detto l'ambasciatore israeliano in Italia, Alon Bar, intervenendo alla trasmissione Ping Pong su Rai Radio1. 

Fonte Ansa e varie agenzie

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