Il 5 giugno scorso è entrata in vigore la legge n. 76 del 20 maggio 2016 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” (Legge Cirinnà). I commi 2 e 3 dell’articolo unico della legge stabiliscono che “due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni”, e che “l’ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile”.
Dunque, la legge pone a carico dei Comuni – e quindi in qualche misura dei Sindaci -, precisi obblighi sia quanto al rito di avvio dell’unione civile sia quanto alla trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni same sex contratti all’estero. A questo punto il problema che si pone è il seguente: il Sindaco convinto – sulla base delle nuove disposizioni – che il regime dell’unione civile prevista dalla legge 76/2016 corrisponda a quello dell’unione fra un uomo e una donna fondato sul matrimonio può astenersi dal celebrare il rito di avvio dell’unione medesima?
In attesa dei decreti attuativi, che dovranno essere emessi dal Ministero degli Interni, a questa fondamentale domanda ha cercato di rispondere lunedì scorso a Milano nella sede di Alleanza Cattolica, Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica aggiunto al Tribunale di Napoli Nord e vice presidente del “Centro Studi Rosario Livatino”.
Il relatore prima di entrare in merito alle questioni tecniche su come un sindaco o un suo delegato può mettere in atto l'obiezione di coscienza si è soffermato su che cos'è la coscienza.
“In primo luogo si tratta di qualcosa che riguarda ogni singola persona, non una collettività; è una cosa intima, strettamente personale, non collettiva. Una persona può far parte di una Chiesa, di un partito o di un’associazione, ma sarà lui personalmente, nelle singole concrete occasioni che gli si porranno davanti, a “fare i conti” con la sua coscienza: potrà chiedere consigli e pareri, ma sarà lui a decidere. Impensabile, quindi, un’obiezione di coscienza collettiva, organizzata: sarà una cosa diversa, la manifestazione di opinioni, anche giuste, ma non avrà a che fare con la coscienza delle singole persone.
In secondo luogo la coscienza ha a che fare con l’uso della ragione e la libertà: il richiamo della coscienza mette in moto la ragione e determina una scelta libera dell’uomo. Siamo uomini e non animali - ha detto Airoma - non agiamo per istinto, ma con l’uso della ragione, non siamo determinati dalla nostra natura, ma liberi di scegliere; anzi, liberi di fare anche una scelta che la nostra coscienza ci indica come cattiva: siamo liberi di fare il bene e il male”.
Inoltre secondo il procuratore napoletano, “la coscienza richiama ad una legge non scritta dalla persona – e da nessun altro uomo – ma “scritta nel suo cuore”: cioè la coscienza ci richiama ad un Altro, alla nostra natura di esseri creati che viviamo in un mondo creato”. L’evocazione della coscienza richiama, quindi, la legge morale naturale, quella che sempre il Catechismo afferma esprimere “il senso morale naturale che permette all’uomo di discernere, per mezzo della ragione, il bene e il male, la verità e la menzogna; mostra all’uomo la via da seguire per compiere il bene e raggiungere il proprio fine; è presente nel cuore di ogni uomo e stabilita dalla ragione; è immutabile e permane inalterata attraverso i mutamenti della storia”; una legge che “anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può però distruggere, né strappare dal cuore dell’uomo”.
L'uomo deve obbedire alla sua coscienza.
Infine questa legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo è vincolante. Lo afferma seccamente il Catechismo: “L’uomo deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza”; notate: “sempre” (non ci sono eccezioni), e “deve” (non può, non è consigliato, non è auspicabile: deve). Colui che ascolta la sua coscienza rimane uomo, con tutta la sua dignità, in qualsiasi circostanza”.
Pertanto di fronte a una legge come quella delle unioni civili dello stesso sesso (la Cirinnà) che sei obbligato ad adempiere, un sindaco, un funzionario, in coscienza può rifiutarsi di attuarla. Infatti l'obiezione di coscienza è possibile quando non c'è una libertà. Airoma a questo punto ha precisato che“non si tratta di non essere d’accordo con la legge, di avere opinioni diverse da quelle della maggioranza parlamentare che ha approvato la legge o, peggio ancora, della mancanza di volontà di compiere certe azioni: si tratta di rispondere ad un divieto vincolante imposto dalla propria coscienza”.
E' una precisazione importante,“perché, talvolta, uno degli argomenti polemici contro l’obiezione di coscienza è quello del rischio dello sfaldamento della società, perché tutti rivendicano di non voler compiere determinate azioni”. Al contrario, non è affatto un caso che l’obiezione di coscienza si sia manifestata nel tempo e nel mondo solo in pochi ambiti: l’obbligo del servizio militare e l’obbligo di uccisione di esseri umani (aborto, fecondazione artificiale, eutanasia) – e, recentemente, in tutto il mondo, proprio sulla questione dell’equiparazione di unioni omosessuali al matrimonio naturale – a dimostrazione che la coscienza riconosciuta dalla retta ragione non impone di obiettare su tutti gli obblighi posti da uno Stato, ma di farlo solo rispetto a determinati obblighi, che hanno a che fare con i principi fondamentali della convivenza umana.
Pertanto secondo Airoma sono argomentazioni pretestuose, perchè mettono sullo stesso piano la “coscienza” all'”opinione” o alla “convinzione”. Infatti noi “accettiamo innumerevoli obblighi di varia natura e di diversa importanza, magari controvoglia, e li rispettiamo anche se, magari, non siamo d’accordo”, per esempio il pagamento delle troppe tasse ad un Governo o una Regione che magari hanno opinioni opposte alle nostre.
L'obiezione di coscienza è un atto politico che tiene accesa la fiammella della verità.
La questione dell'obiezione di coscienza, al fine di cogliere la sua essenza, merita precisazioni e distinzioni, senza annacquarla in qualcosa di indefinito. Appellarsi a lei può apparire una soluzione “minimale” e, in fondo, anche deludente, perché mancante di portata politica: “ma essa - precisa Airoma - rispetta la natura dell’obiezione di coscienza, che – in prima battuta – è diretta a tutelare il singolo individuo nella scelta specifica che è chiamato a fare. Si può obiettare che il Sindaco che delega altra persona a celebrare l’unione omosessuale in qualche modo contribuisce alla realizzazione di tale celebrazione. Se la scelta è di tutelare il diritto individuale del singolo a rispettare la sua coscienza nell’ambito di un sistema democratico che egli condivide – che lo condivida, è evidente: ha partecipato e ha vinto le elezioni –, allora l’astensione possibile è quella che riguarda lo specifico atto vietato dalla coscienza. L’obiettore di coscienza al servizio militare si limitava a non prestare detto servizio, ma non aveva alcun potere nei confronti del sistema del’Esercito; l’obiettore di coscienza sanitario all’aborto si astiene dal compiere gli aborti (o dal vendere i farmaci abortivi), ma continua a lavorare in un sistema che gli aborti li esegue e i farmaci abortivi li vende.
Tuttavia per avere maggiori chiarimenti giuridici rimando allo studio che ha pubblicato in evidenza, sul proprio sito, il “Centro Studi Rosario Livatino”, frutto della collaborazione fra giuristi dello stesso Centro, e in particolare del lavoro del cons. Giacomo Rocchi, giudice in Cassazione – sulla questione dell’obiezione di coscienza, e in particolare dei problemi che le disposizioni pongono ai sindaci e ai funzionari del Comune.
Sir Thomas More, martire della coscienza.
Prima di concludere mi sembra utile ricordare in questi difficili momenti per chi svolge una funzione pubblica, la figura del Gran Cancelliere del Regno inglese, sir Thomas More proclamato santo, la cui memoria liturgica nel calendario universale della Chiesa peraltro, è fissata, proprio in questa settimana, il ventidue giugno. A questo proposito domenica scorsa la parrocchia S. Maria delle Grazie ai Navigli, alla fine di un anno di meditazioni e riflessioni proprio su San Tommaso Moro, ha donato ai parrocchiani un libretto pubblicato da Elledici-Velar, sul santo inglese. Riprendo dalla presentazione del libretto di Cesare Ignazio Grampa, un interessante riflessione: proclamato patrono dei governanti e dei politici, il grande Giubileo del Duemila così si espresse: “molte sono le ragioni a favore di questo atto, tra queste la necessità che il mondo politico avverte di modelli, credibili che mostrino la via della verità in un momento storico in cui si moltiplicano ardue sfide e gravi esigenze. Thomas More si è sempre distinto per la costante fedeltà alle istituzioni legittime proprio perchè in esse intendeva servire non il potere ma l'ideale supremo della giustizia[...]l'uomo non si può separare da Dio né la politica dalla morale: ecco la luce che ne illuminò la coscienza. La sua vicenda esprime con chiarezza la verità fondamentale dell'etica politica”.