Le Manif Pour Tous Calabria: riflessioni a latere del ‘gay Calabria pride’

Uno dei migliori modi per soffocare un dibattito è quello di banalizzare le tematiche affrontate, e questo tentativo diventa ancora più sgradevole quando viene utilizzato per screditare le tesi sostenute da una delle parti in causa. Il tema sui diritti civili alle persone omosessuali ne è un esempio attualissimo. Il clima che fa da sfondo a questo dibattito, infatti, sembra voler mostrare due schieramenti ben definiti che polarizzano da un lato il bene e dall’altro il male. Da un lato abbiamo i progressisti, coloro che vogliono far riconoscere un mutamento che si è già verificato nella società, dall’altro invece abbiamo i bigotti, gli oscurantisti aggrappati anche violentemente ad una realtà e a dei valori ormai superati. La questione dei diritti civili alle persone omosessuali, però, ci sembra di una portata molto più delicata e molto più ampia per essere trattata con così tanta superficialità come vorrebbero i difensori del “matrimonio per tutti”. Tale tematica, infatti, non è semplicemente un allargamento dei diritti sostenuto da un aleatorio e vago diritto universale all’amore o alla felicità, ma pone un problema antropologico di più ampio interesse per la società. Vogliamo pertanto reinquadrare questo dibattito partendo da tre interrogativi: quale fondamento hanno i diritti? Che cos’è il matrimonio e perché uno Stato dovrebbe riconoscerlo e tutelarlo?

Discutere del fondamento dei diritti è materia assai complessa e che animerà sempre e senza soluzione la storia dell’umanità, ma ci azzardiamo ugualmente e con modestia a darne qui una nostra breve interpretazione. Il diritto si fonda sull’elemento fondamentale che è il riconoscimento della persona che è tale in quanto in relazione con altri. Il riconoscimento dell’altro crea due presupposti fondamentali, il primo è che la persona non è un individuo solo ma è un soggetto calato in un contesto sociale dove si instaurano molteplici relazioni. Il secondo è il riconoscimento della diversità. Compito del diritto, quindi, è regolare questi rapporti attraverso diritti e doveri affinchè non si creino iniquità ed ingiustizie, il debole sia tutelato dal più forte, l’egoismo non prevalga sul bene comune, la diversità sia ricchezza e fermento. In questa prospettiva, l’approvazione del matrimonio alle coppie omosessuali non ci appare come un atto necessario per “riconoscere” queste coppie nella loro specificità, quanto piuttosto risulta essere l’esatto contrario, ovvero serve a far dimenticare che gli omosessuali sono persone diverse maugualmente appartenenti alla società in quanto tali e con pari dignità. In nome di una presunta uguaglianza si vorrebbe costringere il matrimonio e la filiazione a forti trasformazioni, e tutto ciò perché si vorrebbe una deviazione sul giudizio di differenza verso quello di inuguaglianza, e di quello di inuguaglianza verso l’ingiustizia. Questo slittamento si fonda sull’arbitrario adattamento del concetto di giustizia a quello di uguaglianza, dimenticando però che i diritti civili non si fondano sull’uguaglianza bensì sull’equità. È così che oggi si inizia a parlare anche di un presunto “diritto al figlio”, un diritto inammissibile perchè si basa su di una estensione scorretta del valore di uguaglianza.

Veniamo ora al secondo interrogativo, ovvero quello sul significato del matrimonio all’interno della società. Per rispondere a questa domanda vogliamo indagare e riflettere sulla radice etimologica del termine citando il sito dell’Accademia della Crusca.“La parola italiana matrimonio continua la voce latina matrimonium, formata dal genitivo singolare di mater (ovvero matris) unito al suffisso –monium, collegato, in maniera trasparente, al sostantivo munus ‘dovere, compito’.” Emerge subito in maniera lampante che la parola matrimonio nasca e si esprima ponendo il suo significato sull’intenzione procreativa dell’unione e che può esistere necessariamente e naturalmente solo fra una donna ed un uomo. L’etimologia stessa è intimamente connessa al “dovere” di madre, ritenendo così che la completa realizzazione dell’unione tra una donna ed un uomo avvenga con il diventare madre della donna all’interno del legame matrimoniale. Le parole, si sa, hanno una loro forza che partecipa alla determinazione della nostra cultura ed alla definizione del tessuto sociale. Per questo motivo ci appare difficile immaginare una famiglia fuori dal matrimonio che prevedere l’unione di una donna e di un uomo i quali generano figli che devono crescere ed educare. Ed è da questo rigoroso e fondamentale dovere che la famiglia diventa la cellula fondamentale della società e che nascono i riconoscimenti e le tutele dello Stato. Uno Stato, invece, che dovesse riconoscere il rapporto matrimoniale esclusivamente per “amore” risulterebbe invasivo delle affettività e della libertà privata del cittadino tanto da essere percepito addirittura come totalitario.

Queste argomentazioni abbiamo la presunzione di ritenerle tutt’altro che banali rispetto a quanto invece vogliono far credere certi ambienti progressisti. Ma il progressismo se non è accompagnato dall’umanesimo rischia di fare perdere la centralità della speculazione, ovvero l’Uomo in quanto tale. Senza questo riferimento, senza la persona, l’Uomo perde la sua dimensione umana per diventare oggetto ed entrare in un vortice incontrollato di follia che già ci prefigura terribili prospettive come quella della pratica dell’utero in affitto. Perché comprare un bambino come fosse merce di consumo non è un atto d’amore ma è un atto disumano e di puro egoismo da parte del ricco che sfrutta la povertà di alcune donna.

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