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La storia delle nostre radici culturali dovrebbe rappresentare il principale e fondamentale elemento costitutivo di un popolo. Attraverso la rievocazione storica del nostro passato, le future generazione dovrebbero procedere all’analisi della stessa e, laddove necessario, correggerne la rotta. La Storia attraverso lo scorrere millenario del tempo è stata e resterà “Maestra di vita”.

Una Maestra intelligente che con puntuale e scrupolosa dovizia c’indicava, giorno dopo giorno la lezione della vita. Scrivo c’indicava in quanto in questi ultimi tempi è in atto una sconcertante manovra revisionista, destinata a manipolarla a propria convenienza. Una storia non più scritta dai professionisti della storia stessa, bensì dal politicante di turno, che trovando qualche fatto a lui scomodo, ritiene legittimo cambiarla. Oramai si confonde la cronaca con la storia ma il male peggiore per la nostra società è l’arrogarsi la prerogativa di stabilire cosa sia storia, in barba ai più elementari metodi di scrupolosa disamina dei fatti.

L’imbarbarimento culturale degli ultimi decenni sono il frutto di un decadimento etico generalizzato della nostra società, che sta contaminando il processo culturale della scuola, dove l’istruzione sta generando più confusione che certezze.

In tutte le classi ci sono scolari con intelligenze esuberanti che ben fanno sperare i loro genitori, e al loro fianco vi sono anche i turbolenti in cattiva fede, coloro che per indole sono geneticamente impostati per remare contro la società per il solo ed esclusivo egoismo personale.

Penso che le pagine più drammatiche della nostra storia siano caratterizzate proprio da questi personaggi che attraverso la manipolazione intelligente e scaltra della quotidianità si rivelano portatori sani del germe del contrasto, ostacolando la crescita sociale sana, etica e improntata sull’impegno nelle arti, nelle professioni e nello studio.

Questi soggetti formano la nuova classe dei furbi, degli arrampicatori sociali che pur di apparire e di detenere il potere si son venduti anche l’anima. Sono costoro che hanno immobilizzato e ingabbiato il processo culturale del nostro paese. Ignoranti da due soldi, che oggi s’arrogano il potere decisionale di decidere cosa sia cultura. Basti pensare che un autorevole esponente della politica ebbe a dire che “Con la cultura non si mangia” per capire, laddove ce ne fosse stato ancora bisogno, come siamo scivolati nel più profondo e buio burrone dell’idiozia umana.

Favorire lo sviluppo della scuola in termini strutturali, pur essendo comunque una buona cosa, nulla ha a che vedere con la necessaria revisione dei percorsi scolastici, non più aderenti alle necessità di una società sempre più sofisticatamente professionale e specializzata. Si rende drammaticamente necessaria una revisione seria e obiettiva di metodi e programmi, ripescando quelle cose buone che, alcuni ministri dell’istruzione d’assalto hanno ritenuto inutili, se non addirittura dannosi, puntando e confidando nella seria obiettività che è quella cosa che sarà difficile ritrovare.

 

caffarra

Lo aveva detto nel secolo scorso, Gilbert Keith Chesterton, il grande scrittore inglese, lo ripete il settimanale Tempi, nella bella e interessantissima intervista del 19 giugno scorso a monsignor Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna e cardinale di Santa Romana Chiesa. Il cardinale nell’intervista ha risposto alle sollecitazioni del direttore Luigi Amicone in merito a temi etici di grande rilevanza e drammatica attualità: l’ideologia del Gender, l’unione gay, il matrimonio, la famigliae soprattutto la manifestazione “Difendiamo i nostri figli” del giorno dopo a Roma in piazza S. Giovanni. E dunque ci siamo. Dopo il referendum di Dublino e il voto del Parlamento di Strasburgo che raccomanda a tutti paesi dell’Unione l’istruzione di massa al gender e legislazioni matrimoniali gay friendly, viene il momento di allinearsi anche per l’Italia. “Fanalino di coda” dell’Europa, come dice il giornalismo giunto nella fase della sua automatizzazione e immissione nella catena di montaggio fordista” (Luigi Amicone, Famiglia. Caffarra: «Bisogna che il popolo combatta per la legge come per le mura della città», 19.6.15 Tempi).

Naturalmente vi invito calorosamentea leggere integralmente le riflessioni del cardinale, che padre Livio a Radio Mariaha definito una vera e propria Magna Charta,qui mi limito a presentare alcuni passaggi, è mia intenzione più avanti presentare uno studio che monsignor Caffarra aveva scritto qualche anno fa, “L’Amore insidiato”, il secondo volume del dittico, “Non è bene che l’uomo sia solo. L’amore, il matrimonio, la famiglia nella prospettiva cristiana”, pubblicati da Cantagalli (2008), che ha molto a che fare con l’intervista a Tempi.

Le dure riflessioni di Caffarra si snodano in quattro pensieri: 1°, “Siamo alla fine, l’Europa sta morendo, forse non ha neanche più voglia di vivere”. Inoltre, il cardinale ci tiene a precisare che tutte le civiltà che hanno nobilitato l’omosessualità, sono morte, le uniche che non l’hanno fatto, hanno resistito per millenni. E il suo pensiero va al popolo ebreo.“Sono stati quei due popoli che soli hanno condannato l’omosessualità: il popolo ebreo e il cristianesimo. Dove sono oggi gli assiri? Dove sono oggi i babilonesi? - Si domanda Caffarra - E il popolo ebreo era una tribù, sembrava una nullità al confronto di altre realtà politico-religiose. Ma la regolamentazione dell’esercizio della sessualità quale ad esempio noi troviamo nel libro del Levitico, è divenuta un fattore altissimo di civiltà. Questo è stato il mio primo pensiero. Siamo alla fine”.

Nel 2° pensiero che riguarda la fede, monsignor Caffarra si interroga: come è possibile che nella mente dell’uomo si oscurino delle evidenze così originarie, come è possibile? E la risposta alla quale sono arrivato è la seguente: tutto questo è opera diabolica. In senso stretto. È l’ultima sfida che il satana lancia a Dio creatore, dicendogli: “Io ti faccio vedere che costruisco una creazione alternativa alla tua e vedrai che gli uomini diranno: si sta meglio così. Tu gli prometti libertà, io gli propongo la licenza. Tu gli doni l’amore, io gli offro emozioni. Tu vuoi la giustizia, io l’uguaglianza perfetta che annulla ogni differenza”».

Tuttavia, sempre a forma di domanda, il cardinale continua: “Fino a quando Signore?”. Quando si concluderà tutto questo abominio che ci circonda. L’ultimo pensiero lo trae da una risposta che diede a dei pescatori tanto tempo fa. Ripensando a quella risposta, il cardinale ora si domanda: “tutto questo tentativo di sfigurare e distruggere la creazione, ha una tale forza che alla fine vincerà? No. Io penso che c’è una forza più potente che è l’atto redentivo di Cristo, RedemptorHominisChristus, Cristo redentore degli uomini”.

Il cardinale conclude l’intervista , interrogandosi sui protagonisti, osugli attori, che devono affrontare questa specie di pandemia in atto oggi nella società odierna. Chi è pronto a combattere per difendere il buon senso, cioè che “le foglie d’estate sono verdi”. Fondamentalmente per Caffara in primis sono i pastori della Chiesa, i vescovi e poi gli stessi sposi cristiani. “I pastori della Chiesa: perché loro esistono per questo. Hanno ricevuto una consacrazione finalizzata a questo, la potenza di Cristo è in loro. “Sono duemila anni che in Europa il vescovo costituisce uno dei gangli vitali, non soltanto della vita eterna, ma della civiltà” (G. De Luca). E una civiltà è anche l’umile, magnifica vita quotidiana del popolo generato dal Vangelo che il vescovo predica. E poi gli sposi. Perché il discorso razionale viene dopo la percezione di una bellezza, di un bene che tu vedi davanti agli occhi, il matrimonio cristiano”.

Dopo aver raccontato lo straordinario episodio della grande conversione di S. Agostino tramite l’altro grande vescovo S. Ambrogio, il cardinale tratta dell’importanza delle Leggi e a questo proposito cita Eraclito che diceva, “Bisogna che il popolo combatta per la legge come per le mura della città”. “Più sono invecchiato

- afferma Caffarra - e più mi sono reso conto dell’importanza della legge nella vita di un popolo. Oggi sembra che lo Stato abbia abdicato al suo compito legislativo, abbia abdicato alla sua dignità, riducendosi a essere un nastro registratore dei desideri degli individui. Con il risultato che si sta creando una società di egoismi opposti, oppure di fragili convergenze di interessi contrari”. Tacito dice: “Corruptissima re publica, plurimaeleges”. Moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto. È la situazione di oggi. Oggi secondo Caffarra, le leggi si sono ridotte a un circolo vizioso, “a nastro registratore di desideri. Questo inevitabilmente genera un sociale conflittuale, di lotta, di supremazia del più prepotente sul più debole, cioè la corruzione dell’idea stessa del bene comune, della res publica. Allora si cerca di rimediare con le leggi dimenticando che non ci saranno mai delle leggi così perfette da rendere inutile l’esercizio delle virtù. Non ci saranno mai”.

Caffarra fa una interessante critica ai suoi confratelli vescovi, “noi pastori abbiamo una grande responsabilità, di aver permesso la irrilevanza culturale dei cattolici nella società. L’abbiamo permessa, quando non giustificata. Quando mai la Chiesa ha fatto questo? Quando mai i grandi pastori della Chiesa han fatto questo?”.

Alla fine il settimanale chiede il parere sulla manifestazione delle famiglie a Roma. “dove cattolici e non cattolici manifesteranno perché venga mantenuto intatto a livello legislativo il principio che il matrimonio è tra un uomo e una donna e che il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre, a essere educato e non manipolato con l’ideologia gender, va salvaguardato da ogni desiderio degli adulti e ogni istruzione di Stato”.
Il religioso non ha nessun dubbio si schiera con i promotori. Noi non possiamo tacere. Guai se il Signore ci rimproverasse con le parole del profeta: cani che non avete abbaiato. Lo sappiamo, nei sistemi democratici la deliberazione politica è presa secondo il sistema della maggioranza. E mi va bene perché le teste è meglio contarle che tagliarle. Però, di fronte a questi fatti non c’è maggioranza che mi possa far tacere. Altrimenti sarei un cane che non abbaia. Mi preme soprattutto, e ho molto apprezzato che quella giornata sia impostata su questo: la difesa dei bambini. Papa Francesco ha detto cheil bambino non può essere trattato come una cavia. Si fanno degli esperimenti pseudo pedagogici sul bambino. Ma che diritto abbiamo di farlo? La cosa più tremenda, il logos più severo detto da Gesù, riguarda la difesa dei bambini”.

Tuttavia il cardinale Caffarra è convinto che bisogna dirlo chiaramente: le unioni tra persone dello stesso sesso è profondamente ignobile. Glielo dobbiamo dire sempre. Quando il Signore dice al profeta Ezechiele: “Tu richiama” e sembra che il profeta dica: “Sì, ma non mi ascoltano”. Tu richiama e sarà chi è da te richiamato responsabile, non tu, perché tu l’hai richiamato. Ma se tu non lo richiamassi, sei responsabile tu. Se noi tacessimo di fronte a una cosa così, noi saremmo corresponsabili di questa grave ingiustizia verso i bambini, che sono stati trasformati da soggetto di diritti come ogni persona umana, in oggetto dei desideri delle persone adulte. Siamo tornati al paganesimo, dove il bambino non aveva nessun diritto. Era solo un oggetto “a disposizione di”. Quindi, ripeto, secondo me è un’iniziativa da sostenere, non si può tacere».

Il perdono è una evoluzione psicologica particolarmente difficile ed articolata. Nella maggior parte dei casi richiede tempi alquanto lunghi, anche se il solo trascorrere del tempo, il più delle volte, non basta perché la persona offesa possa perdonare.

Richiede uno sviluppo propedeutico profondo e consapevole, in grado di coinvolgere ogni possibile dote e ogni risorsa della persona interessata.

Gli insulti, i torti, le calunnie, le ingiustizie, possono essere di vario genere e sono avvertiti, dalla persona che si ritiene offesa, come comportamenti intenzionali scorretti ed iniqui. Determinano angosce e tormenti sia a livello fisico che psichico.

Il rancore è la conseguenza dalla convinzione di avere ricevuto un danno, una ingiuria, un oltraggio ingiustificati.

Comunque, bisogna distinguere la diversità di sentimenti avvertiti da chi riceve una offesa rispetto a chi l’offesa la compie, in quanto chi offende tende sempre a minimizzare e svalutare le proprie colpe ponendo in risalto l’involontarietà, la propria innocenza, la propria schiettezza e rettitudine, mentre chi riceve l’offesa enfatizza ed accentua la volontarietà, la premeditazione, la perfidia, respingendo e contestando ogni e qualsiasi forma di corresponsabilità.

Il perdono richiede, anzitutto, che la persona offesa assuma un atteggiamento aperto, sereno e non ostile nei confronti dell’oltraggiatore, del denigratore. È necessario, perciò, non serbare rancori profondi, non nutrire sentimenti di avversione e, soprattutto, essere convinti di non voler ricambiare l’offesa ricevuta.

Il perdono è un susseguirsi e un evolversi di sentimenti e di stati d’animo. Richiede una notevole capacità di autocontrollo tanto dei comportamenti, quanto degli impulsi, degli istinti. Presuppone il riconoscimento di essere degni di una diversa e migliore considerazione, ma richiede, anche, la volontà di voler concedere all’offensore una preziosa occasione per dimostrare, nei fatti, che quanto è avvenuto in precedenza è stato solo uno spiacevole episodio, un equivoco, ma che non vi era affatto alcuna volontà di offendere e di ferire.

Il dolore, la sofferenza, la significatività dell’offesa e gli effetti che determinano a livello psicologico, variano da soggetto a soggetto, indipendentemente dalla gravità della offesa stessa. Una importanza particolare è data sia al tipo di relazioni esistenti tra l’offeso e l’offensore, sia al senso, al valore, al rilievo che l’oltraggio assume per la persona offesa.

Il perdono concorre ad aiutare la persona oltraggiata a liberarsi da talune circostanze logoranti e faticose. Facilita e migliora le relazioni. L’attestazione del perdono è un atto della nostra ragione ed è indipendente da chi ha cagionato l’offesa. Il perdono, così inteso, implica la capacità di effettuare una scelta consapevole, vuol dire saper controllare l’impulso a volere reagire. Perdonare, comunque, non significa affatto giustificare il modo di agire dell’altro, significa, invece, trovare la giusta determinazione e la forza di staccarsi dalla sofferenza e dal risentimento causati dall’offesa ricevuta; vuol dire, in breve, liberarsi di un qualcosa che ci angustia.

Quando la nostra mente e il nostro cuore sono chiusi ed offuscati dal rancore, avvertiamo, sempre più forte, sentimenti di indignazione, di disappunto, di collera. Non riusciamo ad intuire quanto di giusto, di positivo, di valido e di vero è presente nella situazione che viviamo.

Quando, invece, siamo aperti, leali, sinceri, allora riusciamo a percepire e ad attribuire il giusto significato, valore e senso alla vita, ma soprattutto riusciamo ad aprirci ed a cogliere la felicità.

Riscoprire il perdono vuol dire imparare a voler bene ed a rispettare l’altro.

Spesso non è affatto difficile usare la parola “Perdono”, ma non ha alcun significato ed alcun senso se non è coinvolta e chiamata in causa tutta la persona. Certamente è indispensabile ed essenziale l’intenzionalità dell’azione, ma risulta scarsamente efficace se non sono coinvolti anche la ragione, l’intelletto, la razionalità, l’animo, la sensibilità.

Il perdono assume forma ed aspetto diversi nel caso in cui ad offendere è una persona di famiglia o di comprovata fiducia. In queste circostanze risulta maggiormente difficile perdonare, dal momento che si tratta di persone con cui esiste un forte legame affettivo oltre che una fiducia piena e completa. Si tratta di offese che appaiono subito ingiustificabili e inammissibili, proprio perché arrecate da persone in cui si era riposta incondizionata fiducia. Ma, invece, sono proprio i legami affettivi che devono aiutare e stimolare la persona offesa a ricercare un ravvicinamento ed una rappacificazione. La riconciliazione, in questo caso, concorre sia a salvare una relazione ed un rapporto ormai compromessi, sia a risanare ed arricchire la qualità del rapporto stesso.

Nel messaggio evangelico non esiste una regola del perdono, né sono consentiti confini o barriere.

Dobbiamo imparare a perdonare anche perché il primo a perdonare gli uomini è stato Dio e il perdono divino rappresenta, per il genere umano, un potente ed efficace motivo di indulgenza.

Ma, in definitiva, cosa significa perdonare?

E, poi, alla luce degli ultimi fatti di cronaca, è sempre possibile perdonare?

Ed, inoltre, può davvero perdonare una madre che perde un figlio solo perché si trovava nel momento sbagliato sull’aereo, nel museo, nella chiesa, nel mercato, sbagliati?

In questi casi non si tratta affatto di perdonare una persona, più o meno conosciuta, si tratta, invece, di perdonare una ingiustificata, incomprensibile ed inspiegabile furia omicida perpetrata da gruppi di persone che pretendono, fra l’altro, di agire in nome di ideali religiosi; la sola ragione difficilmente potrà venirci in aiuto. Ma è proprio in queste circostanze che il perdono può essere considerato come un “Dono”, come un “Atto di fede”.

Perdonare, in definitiva, vuol dire possedere la capacità e la forza di rispondere con il bene alle ingiustizie, alle iniquità, ai dispiaceri, al male ricevuto, al dolore che si prova.

Le offese subite stimolano in noi la nascita di sentimenti di avversione e di vendetta. La capacità di saper perdonare, invece, consente alla verità, al bene, al buono, al giusto, all’amore, di affiorare e di sconfiggere il male, le ingiustizie, la cattiveria, la sofferenza. Solo il perdono consente alla persona di controllare, superare e vincere i risentimenti, le irritazioni, il disprezzo, il rancore, l’odio.

Concedere il perdono e chiedere di essere perdonati sono le strade, forse le uniche, che danno dignità e fortezza all’uomo. Sono gli unici percorsi che offrono alla persona la possibilità di venir fuori da ataviche situazioni contrassegnate da profondo odio, disprezzo, avversione, repulsione.

Perdonare non significa affatto far finta che nulla sia accaduto e non pensare più ad una offesa ricevuta. Spesso, ed a torto, sentiamo dire: “Dimentichiamo – non pensiamoci più – facciamo finta di nulla, ecc.”. L’atto del perdono richiede, invece, che il torto ricevuto sia rielaborato e presente nella mente di chi lo ha ricevuto, affinché ci si possa liberare dall’amarezza e dal dolore che ha provocato. Questo sta a significare che il ricordare una ingiustizia ricevuta non provoca più in noi alcuna angoscia, alcun tormento. Il suo ricordo, invece, concorrerà a farci divenire più equilibrati, più sereni e responsabili.

San Paolo affermava: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”, e sosteneva ancora che bisogna: ”Annegare il male nella sovrabbondanza del bene”.

Quando ci troviamo in momenti di raccoglimento e di riflessione siamo convinti di amare Dio, senza sapere che il difficile, per noi, è amare Dio nel nostro prossimo, anche in quelle persone che consideriamo nostre nemiche.

Nell’Antico Testamento con l’espressione “Perdonare” si voleva mettere in evidenza la discordanza e il conflitto esistente tra la volontà umana e quella divina. Nel Nuovo Testamento, invece, questo termine assume il significato di “Mettere in libertà una persona”, ma significa anche “Perdono dei peccati”.

La Parabola del “Figliol Prodigo” è un valido ed efficace esempio di perdono. Il giovane, prima di chiedere al padre di essere perdonato, si pente della sua scelta e della sua condotta di vita. Il padre, comunque, nella sua mente e nel suo animo, lo aveva già perdonato. Il perdono è una libera, cosciente ed incondizionata scelta.

Il sentiero che conduce al perdono è sempre angusto ed irto di difficoltà. Gli intoppi e gli ostacoli aumentano nel tempo perché i sentimenti negativi si radicano sempre più forti nel nostro animo, soprattutto perché, il più delle volte, ci convinciamo di avere sempre ragione.

Per fortuna esistono ancora persone disposte al perdono. Sono proprio questi validi esempi che ci invitano a scegliere tra il perdonare una offesa ricevuta o assumere comportamenti di vendetta.

Perdonare significa creare le premesse per un domani migliore e diverso a livello relazionale, affettivo ed umano. Vuol dire fidarsi dell’altro, ed è proprio questo atto di fiducia che ci consente di intraprendere la via della riconciliazione e del rispetto per l’altro.

Il perdono, in definitiva, è un beneficio per chi lo riceve, ma è un bene ancora più grande per chi lo concede. Perdonare, quindi, vuol dire abbattere quel muro che ci separa dall’altro, così come ha fatto Gesù Cristo, l’unico che ha realizzato il vero Perdono.Ebbene, solo quando saremo in grado di raggiungere questa consapevolezza ci verrà naturale e spontaneo PERDONARE!

 

 

i tiepidi vanno all'inferno 1

Chi è il prete? E’ quello che ha “il potere di Cristo”. Certamente non dev’essere codardo, un uomo d’apparato, non deve andare a caccia di promozioni, non deve essere ossequioso per interesse, non deve essere tiepido, ipocrita, e via discorrendo. Con il linguaggio del grande predicatore, padre Michel-Marie Zanotti-Sorkine, ex chansonnier nei cabaret di Parigi, che all’età di ventotto anni abbandona le scene per vestire l’abito talare, scrive contro la tiepidezza dei sacerdoti responsabili del decadere della fede nei cuori degli uomini.

Padre Michel-Marie è parroco in una parrocchia di un quartiere multietnico di Marsiglia, la sua chiesa un tempo era vuota, ora ha tanti fedeli. Il segreto di tutta questa rinascita è che l’ex chansonnier predica “i grandi precetti della Chiesa, il dono di sé, la carità verso il prossimo e la fiducia in Dio”. Il prete francese intende scuotere i suoi confratelli dalla tiepidezza, dalla debolezza, dalla leggerezza, dall’inoperosità, per questo ha scritto qualche anno fa un libro, recentemente pubblicato dalla Mondadori, “I tiepidi vanno all’inferno” (2014); lui stesso scrive che si tratta di un “Piccolo trattato dell’essenziale”, alcune riflessioni, su ciò che manca nell’uomo e nella società, alcuni li chiamano “valori, ma che in fondo non sono nient’altro che la vita quando si svolge come deve”. Sono 20 brevi capitoli, definiti dal parroco,“venti luci”.

Padre Michel-Marie analizza il momento attuale della Chiesa e del mondo cattolico, la situazione è grave, anzi gravissima. Fa un elenco abbastanza negativo, ne propongo una sintesi: “la maggior parte delle nostre parrocchie è senza eredi, la messa non trattiene più il cuore; da molte parti fa addormentare, annoia, delude, allontana persino chi la fede ce l’ha; i battesimi diminuiscono, le aule di catechismo si svuotano, la confessione agonizza…”. I credenti non praticanti aumentano, “sguazzando in uno stato di indifferenza e serena neutralità, mentre i non credenti e gli agnostici di ogni genere pullulano e si moltiplicano allegramente”. E provocatoriamente ci invita a non sminuire la realtà: “non dite che il numero non conta, che la qualità è più importante”. Soprattutto non accampiamo scuse, tipo che ci sono qua e là, “gli eterni segnali di speranza”. Certo don Michel-Marie riconosce l’esistenza dei tanti movimenti, delle associazioni cristiane, dei tanti preti, fratelli cristiani, giovani, veri araldi della fede, che ogni giorno si danno senza risparmiarsi. Nonostante tutto questo, la situazione rimane gravissima. Pessimismo? Non credo, il prete deve dare una scossa, deve provocare non deve predicare rassegnazione, e il libro di padre Michel-Marie ha questo intento.

E’ evidente che la nostra società, quella occidentale, la Vecchia Europa, sta vivendo un “inverno religioso”. “Di chi è la colpa? Nostra, prima di tutto, preti di Gesù Cristo, che non lo siamo a sufficienza”, scrive padre Zanotti- Sorkine. “Via, siamo onesti e non appelliamoci alla società moderna, con i suoi sconvolgimenti, i suoi cambiamenti, i suoi conflitti tra culture e altre problematiche emerse, per giustificare il prosciugamento dello spirito cristiano nel nostro paese”. Insiste il prete francese: “niente scuse, non sarebbe degno della santa Chiesa che si è sempre diffusa al di sopra del paganesimo o della falsità degli dei(…) E poi, pensiamo anche solo a san Paolo! Ha forse beneficiato delle circostanze più favorevoli per annunciare il Regno e edificarlo?(…) la verità è questa: non abbiamo più il sacro fuoco. L’immagine che diamo del sacerdozio è troppo insignificante. Non si tocca il cuore. I modi in cui ci poniamo sono inferiori al risultato atteso”. A questo punto il padre francese fa alcuni nomi di modelli, di santi sacerdoti a cui affidarsi, primo fra tutti san Giovanni Maria Vianney, il santo curato d’Ars, poi Vincenzo de’ Paoli, Giovanni Bosco, Massimiliano Kolbe. Pertanto rivolgendosi prima a se stesso e poi agli altri fratelli sacerdoti, ma anche ai cristiani tutti, rimettiamoci tutti, in discussione radicale e con coraggio ribaltiamo le nostre organizzazioni e i nostri piani i cui frutti spesso sono stati molto scarsi. Il padre ci avvisa se non siamo d’accordo con questa premessa, certamente un po’ pessimista ma reale, e soprattutto se crediamo che tutto vada bene, chiudiamo il libro e preghiamo per lui.

michel-marie zanotti

Per quanto mi riguarda, il libro non l’ho chiuso e l’ho letto tutto, trovandomi sostanzialmente d’accordo con il prete francese.

Sono tanti i suggerimenti di padre Michel-Marie, che orgogliosamente per farsi riconoscere nelle strade, cammina sempre in talare nera. “La veste è una divisa da lavoro, un grembiule da cottimista; seppur nera, è una ‘tuta blu’(…) Portala, questa veste, e vedrai subito i frutti dell’immaginario dell’uomo che ti collegherà istintivamente a Vincenzo de’ Paoli, a Jerzy Popieluszko, a Giovanni Paolo II, che non ebbero paura di mostrare la loro scelta in materia d’amore”.

Tra i tanti consigli, invita il prete a non essere freddo, distante, scuro in volto, “la bontà sia immediatamente percepibile nei tuoi occhi. Allenati davanti allo specchio”. Don Michel-Marie sottolinea anche che il prete deve avere classe, stile, mai la moda. Non dev’essere volgare, fare sempre il primo passo. Mai lamentarsi:“Credi che Dio ti serva le anime su un vassoio, già ben disposte, sottomesse e tutt’orecchi? Ma come puoi essere così immaturo? Dio ti manda gli storpi, i pazzi furiosi, le anime dannate, gli ottusi, i balordi, i tonti, ma sono tutti amati figli di Dio. Forza, fai piacere a Lui, salvali!”

Il prete dev’essere allegro, una punta di umorismo, ma mai ironia nel tono della voce, mai una parola contro chicchessia. Adattati a ogni persona, ai suoi limiti, alle incoerenze. “Ama gli animali e rispettali facendo loro qualche carezza, quando capita”, (faccio felice Miryam). Per quanto riguarda i problemi sociali, “se hai delle risposte dalle, ma ricordati che l’essenziale si trova oltre il tempo(…) prima di occuparti di politica, nei versetti del Vangelo guarda bene Cristo e i suoi problemi, e vedrai ciò che interessa a lui”.

Sulle questioni ecclesiali, “Dì ciò che pensi, sii ciò che sei, alla luce di ciò che la Chiesa universale scrive sul tempo esatto che tu vivi. Non sbagliare decennio. Rispondi presente all’appello del papa. Il suo orologio fa l’ora esatta. Ancora, “entra nell’orbita di santo Stefano che ha aperto la strada, e lascia alla massa dei chierici gli avvitamenti del linguaggio…”. Sulle verità di fede, scrive: “Un prete che non parla più del Cielo lo ha lasciato da molto tempo” e quindi occorre evocare il purgatorio, l’inferno, il paradiso. Curare la liturgia, la messa, niente improvvisazione, verbale o gestuale. Ognuno nel suo ruolo, il prete e il laico. Non bisogna clericalizzare i laici. Attenzione a quei fedeli “impegnati” che si collocano al di sopra dei loro fratelli che bussano alla porta della chiesa. Attenzione alle riunioni interminabili in parrocchia, “in cui la maggior parte del tempo i pensionati sollevano problemi che non esistono”. “Va oltre e portali oltre”. Astieniti da qualsiasi critica nei confronti dei tuoi fratelli, che siano vescovi o sacerdoti.

Nell’ultima parte il libro, si chiede “che cosa manca oggi all’anima della vita”, tra tante cose manca il buon senso, la gioia, la bontà, il silenzio, il desiderio d’amore, la pazienza, la perseveranza, l’umiltà…

Qualche giorno fa, entrando in un edificio pubblico un manifesto ha attirato la mia attenzione: “Student* contro le mafie”. Subito sono andato a cercare in fondo al foglio l’asterisco per capire l’eventuale rimando a qualche cosa che motivasse l’inglese contro le mafie, ma niente. Forse un errore di stampa o altro. Altro infatti, siamo arrivati all’estremo della lotta per un uso non sessista della nostra cara lingua. Non bastavano gli inglesismi che imperversano a martoriare la lingua che fu di Dante e di Manzoni ora anche gli asterischi per il trionfo del linguisticamente corretto. Questa storia ha origine alla fine degli anni 80 con le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana promosse dalla Presidenza del Consiglio e dalla Commissione per la parità e per le pari opportunità. Raccomandazioni per evitare, ad es., il maschile quando ingloba ambedue i generi o l’articolo davanti ai cognomi di donne. La cosa che ebbe risalto mediatico fu l’invito ad abolire il termine signorina. Da allora hanno iniziato a imperversare i termini come avvocata, ministra, sindaca, la vigile, tutto finalizzato ad evitare il suffisso –essa.

Una battaglia che ora sta prendendo una piega nuova: l’asterisco per evitare qualsiasi riferimento sessista e inglobare tutti per non offendere nessuno. Si, perché dire studenti potrebbe sembrare escludere le studentesse e così sarà per i giocator*, i pugil*, i vigil* e ancora quando ci sarà una riunione di avvocat* ne guadagnerà anche la sintesi e si risparmierà inchiostro. Sarà originale leggere: “All’assemblea di condominio eravamo tutt* d’accordo”. La nostra lingua italiana è fatta in questo modo certe forme maschili non sono discriminatorie nei confronti del genere femminile: la maestra che dice: “Bambini tornate in classe” non è sgrammaticata e non vuole lasciare le bambine fuori. E pensiamo al mondo animale: l’ornitorinco, la folaga, il germano, il delfino o il boa quando prenderanno consapevolezza di tutte queste discriminazioni cosa faranno e il boa femmina cosa diventerà?

Speriamo che tutto questo, che ha molto del ridicolo, venga sommerso da una sonora risata.

Ma riflettiamo comunque su come la neolingua si stia insinuando e dietro alla guerra delle parole ci sia, quasi sempre, una battaglia culturale.

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