Mayrig, per ricordare il genocidio armeno

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In coincidenza con il centenario del Genocidio del popolo armeno, è stato pubblicato in lingua italiana il capolavoro di Henry Verneuil “MAYRIG“ (Edizioni Divinafollia), nel quale il noto regista e scrittore rievoca l’infanzia di un piccolo emigrato armeno, in una Marsiglia della prima metà del Novecento, che affascina il lettore per i colori che indossa, attraverso gli usi e costumi del suo quotidiano; uno spaccato socio-ambientale molto simile all’Oriente.

All’interno di questa famiglia, scampata al Genocidio Armeno, il Grande Male “Metz Yeghérn”, come gli armeni chiamano ed usano ricordare il terribile olocausto, la prima “pulizia etnica” del secolo scorso, si distingue la figura della madre: “mayrig” in lingua armena, un vocabolo onomatopeico dal suono dolcissimo. La storia e le vicissitudini dei componenti la famiglia, che passano mediante parole capaci di regalare vere e proprie immagini, fotogrammi di vita, per indurre il lettore ad opportune riflessioni sul perché di tanta efferata violenza. Il fatto più sconcertante è che l’umanità, ancora oggi, non abbia imparato a trarre alcuna lezione dagli esempi negativi appartenenti al nostro passato storico.

Letizia Leonardi, già giornalista professionista per alcune note testate, dopo aver visto trasmettere in televisione i due film “Mayrig” e “Quella strada chiamata Paradiso”per la regia di Verneuil , rimasta particolarmente colpita da questa storia molto toccante, della quale il sistema mediatico si è da sempre interessato in modo assolutamente marginale, ha deciso di cimentarsi in questa opera prima letteraria.

Dopo essersi dedicata ad un’attenta lettura del testo, ne ha curato la traduzione nei minimi particolari, utilizzando spesso vocaboli acuti, graffianti, che hanno conferito a questa bellissima ed intensa opera un tocco poetico difficile da dimenticare.

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Dal romanzo Mayrig di Henri Verneuil nel 1991 è stato tratto un film, ricco di immagini suggestive. Vorresti parlarmi del suo principale filo conduttore?

Si tratta della vera storia della famiglia dell’autore, (vero nome Achod Malakian), scampata al genocidio armeno ed emigrata a Marsiglia. Un racconto intimo che sottolinea le difficoltà economiche e psicologiche alle quali erano sottoposti i migranti. Quello che più colpisce è che questa famiglia, che nel loro paese di origine era agiata, ha saputo dimenticare il passato e affrontare una nuova vita difficile superando la nostalgia, ma con il sorriso sulle labbra e con la forza dell’amore. Nonostante l’ambiente ostile, queste persone erano comunque grate agli abitanti del Paese che le aveva accolte, dando loro la possibilità di ricominciare a vivere. Verneuil racconta la sua infanzia con gli occhi di bambino. Ritengo che l’autore con questo suo unico romanzo abbia voluto rendere un omaggio alla sua famiglia e in particolare alla sua mamma, donna dolce ma capace di affrontare le difficoltà senza perdersi d’animo. “Mayrig” ci fa capire che dietro le questioni politiche, economiche e geografiche, dietro la Storia con la esse maiuscola, ci sono persone con sentimenti e stati d’animo, che spesso sfuggono alla nostra attenzione.

Recentemente hai magistralmente curato la traduzione del libro dal francese. Un compito molto impegnativo, che ti ha investito di una certa responsabilità. Quanto tempo hai impiegato?

Ho iniziato a leggere “Mayrig” nella versione francese nel 2012. Man mano che mi immergevo nelle parole e nelle frasi di questo tenero e toccante libro, ho maturato l’idea di tradurlo in italiano. Non lavorandoci a tempo pieno, ho finito la traduzione all’inizio del 2014. Con questa crisi dell’editoria, è stata difficile la ricerca di una casa editrice disposta a pubblicarla. “Divinafollia-Ararat Edizioni” devo dire che ha subito accettato con entusiasmo questo mio progetto. Sono poi passati mesi per riuscire ad avere la liberatoria per la pubblicazione dalla casa editrice parigina “Robert Laffont”, che ha pubblicato la versione in francese nel 1985. Io, per l’anniversario del Genocidio armeno che ricorre proprio quest’anno, ho voluto dare il mio piccolo, ma ritengo importante contributo a questo popolo martoriato.

Questo libro rappresenta la biografia del talentuoso regista, sceneggiatore e produttore francese, di origine armena. Egli nacque in Turchia, ma in tenera età fu costretto a fuggire con la sua famiglia in Francia ed è venuto a mancare diversi anni fa; cosa puoi raccontarmi di lui?

Henry Verneuil, come dicevo prima, nome d’arte di Achod Malakian, è stato un grande patriota, molto stimato dalla sua gente. A volte mi chiedono perché il cognome Verneuil: è il cognome della sua seconda moglie Veronique Verneuil. “Mayrig”, sia come film, che come romanzo, in Italia non è molto conosciuto ma è molto sentito dagli armeni. Verneuil è stato un regista, commediografo e sceneggiatore di successo. Ha saputo affrontare diversi generi cinematografici. Ha diretto film western, thriller, rosa, avventura, spionaggio, commedia, film di guerra, ecc… Fino al film biografico nel 1991 “Mayrig” e il suo seguito nel 1992 “Quella strada chiamata Paradiso”, magistralmente interpretati da Claudia Cardinale e Omar Sharif. Solo una parentesi da scrittore, nel 1985, con appunto la pubblicazione del suo romanzo “Mayrig”. Nel 1996 ha vinto il “Premio César alla Carriera” ed è entrato a far parte dell'Accademia delle Belle Arti . Purtroppo è venuto a mancare nel 2002 a Parigi, a 81 anni, per un attacco di cuore lasciandoci però questa sorta di testamento spirituale, che è una parte della sua storia in un momento particolare della vita, condiviso con la sua famiglia.

Mayrig in lingua armena significa “madre”: quindi, un libro ricco di intensi ricordi legati all’infanzia. Un accorato racconto, che rappresenta appunto una sorta di testamento spirituale di Verneuil. Trasformare i contenuti di un romanzo in dialoghi adattati per un film non è impresa semplice. Ritieni che attraverso le scene il messaggio arrivi comunque forte e diretto allo spettatore?

Penso proprio di sì, anche perché a dirigere il film in due parti è stato lo stesso Henry Verneuil, che ha saputo pertanto rappresentare nel migliore dei modi la trasposizione scenica dei contenuti del suo romanzo. Elementi toccanti sono palpabili nel libro, come nei due film. Ci si emoziona e ci si commuove leggendo, come guardando le scene di “Mayrig” e “Quella strada chiamata Paradiso”. Direi che si nota che è la stessa mano quella che ha scritto e quella che ha battuto il ciak. Vorrei anche aggiungere che il sostantivo “Mayrig” viene utilizzata anche nell’accezione più affettuosa di “mammina”.

Pensi che il romanzo “Mayrig” sia stato in qualche modo oscurato dalla sua trasposizione cinematografica?

No, non credo. Il film aggiunge un seguito alla storia ma non ha oscurato il romanzo. “Mayrig” è stato pubblicato nel 1985 e i film, ai quali facevo riferimento prima, sono stati realizzati dopo alcuni anni. Inoltre, in Italia il film ha colpito al cuore chi è riuscito a vederlo, visto che non è mai uscito nelle sale cinematografiche, ma semplicemente mandato in onda dalla Rai, nelle fasce orarie di minor ascolto. Posso quindi dire che alle mie presentazioni mi capita spesso di incontrare persone che hanno visto il film e che ora sono contente di poter leggere il romanzo. Quindi, il film lo considero un valore aggiunto, tanto da utilizzarne alcuni spezzoni nelle mie presentazioni del libro.

La tua traduzione del libro è stata accurata, attenta alla semantica. La ricerca di aggettivi taglienti, diretti ha conferito al tuo lavoro una certa connotazione poetica, che si percepisce sin dalle prime pagine. Qualcuno prima di me ha fatto la stessa osservazione?

Sì, io per prima ho notato l’impronta poetica della versione originale in francese; pertanto, non ho fatto altro che cercare di essere più fedele possibile e di scrivere in italiano quello che Henri Verneuil aveva scritto in francese. Il complimento più gradito me lo ha fatto lo scrittore di origine armena Vasken Berberian a Torino, nel corso della presentazione di “Mayrig” al Salone Internazionale del Libro. Dopo aver letto la versione originale in francese e poi la mia in italiano, ha detto: “Penso che se Henri Verneuil avesse scritto il suo libro in italiano lo avrebbe sicuramente scritto come ha fatto Letizia Leonardi. Questo era proprio il mio intento.

Anche la descrizione della Francia agli inizi del XX° secolo risulta assolutamente efficace. Insomma, la saga di una famiglia, che riesce a scampare al Genocidio armeno, del quale quest’anno ricorre il centenario, raccontata attraverso la figura della matriarca. Vorresti descrivere il carattere della protagonista?

Stranamente in “Mayrig” io non ho percepito una predominanza netta della madre a scapito di tutti gli altri protagonisti della famiglia. È vero che l’autore pone l’attenzione sulla figura femminile della mamma, ma tutti gli altri protagonisti non ne risentono più di tanto. La “Mayrig” del romanzo è una donna dolce, che affronta il duro presente sempre con il sorriso sulle labbra, che non fa pesare al figlio le difficoltà economiche che si presentano giorno per giorno, che insegna la dignità a dispetto dell’arroganza. Una donna che ha puntato sull’integrazione del figlio nella nuova società di quel Paese straniero, senza tuttavia dimenticare le origini della propria terra. Per questo “Mayrig” è un romanzo che contiene molti spunti di riflessione, a prescindere dalla commovente e toccante storia.

In questo romanzo riconosci la combinazione narrativa di più generi?

Sicuramente sì. Direi che Verneuil, pur non essendo uno scrittore di professione, ha saputo fondere diversi generi narrativi con molta maestria. Giorgio Leonardi, che ha scritto la postfazione, ha individuato perfettamente tutti questi generi. Io mi trovo d’accordo con lui. “Mayrig” è infatti un romanzo- confessione poichè è un racconto intimo. È di formazione, poiché racconta le esperienze vissute dal protagonista, prove anche umilianti. È familiare, in quanto racconta la storia vera della famiglia, i loro rapporti. È autobiografia, racconto morale e cronaca dal momento che, a parte la storia di questa famiglia, si fa riferimento ad un terribile massacro, quale è stato il Genocidio del popolo armeno.

Particolarmente toccante è la descrizione che l’autore fa di se stesso in età matura, dove, al di fuori di schemi retorici, riesce a rappresentare con un’espressione narrativa assolutamente originale, tutte le sue umane debolezze nel momento in cui assiste la madre, nei suoi ultimi momenti di vita. La scomparsa di quello che, per definizione, rappresenta l’affetto di riferimento, lo conduce naturalmente ad un bilancio esistenziale?

Sì, senza dubbio. Essendo un romanzo che implica un racconto a posteriori, è normale che si percepisca la consapevolezza di un uomo maturo che fa un bilancio della sua esistenza. Tuttavia, questo bilancio è fatto in modo peculiare, poichè troviamo un uomo ormai adulto, che si trova in un momento particolarmente triste della propria vita, in cui racconta ciò che percepiva quando era un bambino e tutto questo non in modo banale, ma con la sensibilità e l’esperienza di un uomo forgiato dagli anni e stretto nella morsa del dolore per la perdita imminente della sua Mayrig (madre)…

Il libro “Mayrig” ha la prefazione curata dal famoso giornalista e scrittore Diego Cimara, di origine armena per parte materna; una persona da sempre attivamente impegnata per far luce sul Genocidio armeno. Come è avvenuto il vostro incontro?

Il mio incontro con Diego Cimara è avvenuto grazie alla questione armena. Io, dopo aver visto i film “Mayrig” e “Quella strada chiamata Paradiso,” sono rimasta molto colpita non solo dalla delicata storia di questa famiglia, ma da questo terribile massacro passato sotto silenzio. È stato così che, dopo aver appurato che non c’era la versione italiana del testo, ho fatto arrivare dalla Francia il libro in francese ed ho cominciato la traduzione di “Mayrig”; ma nel frattempo ho anche iniziato a leggere altri libri che parlavano di Armenia e del Genocidio. Il libro “Il Genocidio Armeno” di Diego Cimara mi è capitato tra le mani, l’ho letto e gli ho parlato della mia traduzione e lui, molto gentilmente, si è offerto di scrivermi la prefazione. Ho avuto modo di leggere anche il suo ultimo romanzo pubblicato da DivinaFollia-Ararat edizioni “AmarArmenia”, doppio legame quindi, sia per l’argomento che per la casa editrice.

Quali sono i tuoi programmi nell’immediato futuro?

I miei programmi sono quelli di promuovere il più possibile non solo il libro che ho tradotto, ma far conoscere questa pagina di storia completamente ignorata, che è il genocidio armeno. Nei prossimi mesi quindi continuerò a girare l’Italia. Ho debuttato a maggio scorso con la presentazione al Salone Internazionale del Libro di Torino e ho proseguito con incontri nei vari Comuni. Il Comune di Milano ha addirittura programmato la presentazione e il dibattito sul genocidio in 5 biblioteche ma devo dire che sono stati pochissimi i Comuni che non hanno mostrato interesse per questa iniziativa. Il Comune di Civitavecchia oltre ad avere organizzato un incontro-presentazione sul Genocidio armeno e su “Mayrig,” mi ha anche comunicato che, con l’inizio del prossimo anno scolastico, ha intenzione di predisporre degli incontri nelle scuole. Spero che anche altri Comuni prendano esempio perché sui libri di scuola si parla della prima guerra mondiale, ma non si fa cenno al massacro degli armeni, il primo genocidio del XX secolo.

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