I padri del Big Bang: George Gamow (con Ralph Alpher e Robert Hermann)

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Fra i tre padri principali del Big Bang, Georgij Antonovich Gamow (1904-1968), sicuramente, è stato il più eccentrico, il più stravagante, una specie di istrione dedito al gioco ed anche, un po’, all’alcool. La sua vita è piena d’avventura; la sua insaziabile curiosità intellettuale, lo portò, nel corso della sua carriera, a interessarsi anche in campi molto lontani dalla cosmologia, quali gli studi sul Dna. Inoltre, fu un eccellente divulgatore; pagò questa sua versatilità, con una considerazione non sempre altissima, da parte del mondo accademico, dei suoi effettivi meriti scientifici: tuttavia, come vedremo, ai suoi valentissimi collaboratori, Ralph Alpher (1921-2007) e Robert Hermann (1914-1997), andò anche peggio…

Nato a Odessa, sul mar Nero, da genitori insegnanti, a soli nove anni, rimase orfano di madre: da allora, il padre ne curò la formazione scientifica. Nel 1922, si iscrisse alla locale Università, intraprendendo studi di matematica, fisica e astronomia. L’anno seguente, 1923, si trasferì a Leningrado, ove rimase fino al 1929: lì, ebbe la fortuna di avere come maestro proprio Alexander Friedmann (1888-1925), lo scopritore dell’espansione dell’universo. Dal 1926, spiega il fenomeno della radioattività naturale. Per meriti scientifici, vince una borsa di studio a Copenaghen, con Niels Bohr (1885-1962). Qui pose le basi teoriche della fissione nucleare, sviluppata in seguito dallo stesso Bohr con John Wheeler (1911-2008). Per l’anno accademico 29-30, grazie all’interessamento di Bohr, ottiene una borsa di studio all’università di Cambridge, dove elaborò una formula sulle trasformazioni nucleari interne alle stelle, che ancora oggi è usata, per la fabbricazione della potentissima bomba (H), a idrogeno. Per tutti questi meriti scientifici, fu osannato e richiamato in patria nel 1931; la Pravda gli dedicò una poesia e un altro giornale arrivò a scrivere: ” Un compagno sovietico ha mostrato all’Occidente che il suolo russo può generare i suoi Platone e i suoi Newton di mente acuta”. Tuttavia, Gamow, come abbiamo visto, per carattere e temperamento, non era certo il tipo che potesse trovarsi bene nelle compassate università sovietiche. Nella Mosca dell’epoca, contrariamente a quanto era propagandato in Occidente, non vi era alcuna libertà scientifica; qualsiasi “fatto”accertato doveva essere filtrato e inquadrato attraverso le categorie del materialismo dialettico, ispirate dalla dottrina marxista-leninista, pena l?insignificanza sociale, accademica o il carcere e addirittura la morte. Piegare la verità scientifica alle esigenze previe della politica, per uno scienziato libero come Gamow, era semplicemente intollerabile: decise di fuggire dalla “patria”sovietica. D’altronde, occorre ricordare, che stiamo parlando degli anni trenta, quelli delle grandi purghe staliniane. Solerti e occhiuti funzionari di stato vigilavano attentamente, affinché il dogma marx-leninista fosse rispettato. Il modello del Big Bang era visto con il fumo negli occhi; quel suo postulare un “inizio”, sapeva troppo di Genesi, di creazione, dunque di Creatore. Il che era assurdo per una dottrina ateista, che aveva postulato l’eternità della materia e l’infinità dell’Universo per “sfuggire”all’idea di una creazione. Uno dei funzionari più zelanti, Andrej Zdanov, aveva così riassunto la posizione ufficiale dell’unione sovietica, nei confronti del Big Bang: ”I falsificatori della scienza vogliono riproporre la favola dell’origine del mondo dal nulla”. Ebbe il compito di trovare e punire chi appoggiava questa teoria e che definiva, sprezzantemente, “agenti di Lemaitre”. Perseguitò e condannò a morte il valente astrofisico Nikolaj Kozyrev (1908-1983), per essere un aperto sostenitore del modello del Big Bang, pena poi commutata nella prigionia in un campo di lavoro, a seguito delle forti pressioni internazionali. Tragica, invece, fu la sorte toccata ad altri due sostenitori del Big Bang: il matematico Vsevolod Frederiks (1885-1944) e il fisico Matvei Bronstein (1906-1938), il primo a intuire che la gravità quantistica richiedeva una revisione totale dei concetti di spazio-tempo. Il primo morì di stenti, dopo sei anni di lavori forzati, il secondo fu fucilato direttamente con l’accusa di spionaggio, nel 1938, a soli trentadue anni Quanto appaiono “risibili”, al confronto, le accuse che il marxista Bertolt Brecht (1898-1956), lanciò al pensiero cattolico nella sua celebre Vita di Galileo, redatta, nella sua prima stesura, proprio nel 38-39: un’opera nella quale ogni battuta crede di evidenziare la luce della ragione che lotta per uscire dal buio della superstizione. Dove, naturalmente, la superstizione è incarnata dal pensiero cattolico e la luce da quel marxismo, che negli stessi giorni, e non tre secoli prima, condannava a morte, chi, seguendo i fatti, ne contraddiceva i postulati. Ovviamente, la cultura dominante è riuscita quasi a cancellare la memoria della tragica fine di Frederiks e Bronstein, - un sondaggio condotto in tal senso, sicuramente produrrebbe risultati interessanti…- in pieno novecento. Diversamente, è riuscita a convincere l’uomo della strada, che è stata la Chiesa del seicento, con la “condanna”- a vivere in una villa chiamata, non a caso, il Gioello e a recitare, ogni giorno, i sette salmi penitenziali…- di Galileo- il quale, nello specifico, non addusse nessuna prova cruciale a favore delle sue tesi copernicane-, il prototipo e il baluardo di ogni oscurantismo! Noi cattolici, sempre pronti ad auto flagellarci, accettando supinamente, ogni accusa proveniente dal mondo laico, autorelegandoci, così, all’insignificanza culturale, dovremmo riflettere con attenzione su queste cose. Comprenderemmo, come spesso siamo ingannati dalla maggior parte della storiografia attuale… Per chi avesse dei dubbi, basta leggere la dichiarazione di un astronomo allineato alle posizioni del partito Comunista sovietico, V.E.Lov, che riferendosi al Big Bang lo descrisse come un cancro che corrode la moderna teoria astronomica e il principale nemico ideologico della scienza materialistica. Chiaramente, rebus sic stantibus, Gamow progettò la sua fuga dall’Unione Sovietica. Assieme alla moglie, Lyubov Vokhminzeva (1909-1985), anche lei fisico, tentò di attraversare, su di un minuscolo kayak, i 250 km di mare che separavano Odessa dalla Turchia: ma dopo un giorno e mezzo tranquillo, il maltempo li costrinse a tornare indietro. Tentò nuovamente di fuggire attraverso le acque gelate della Norvegia, ma fallì ancora. Così cambiò strategia. Dato il suo prestigio internazionale, fu invitato alla conferenza annuale di Solvay, per i fisici, a Bruxelles; riuscì a portarci, sfruttando un cavillo burocratico, anche la moglie e le porte dell’Occidente si aprirono per lui. Non tornò più in Unione Sovietica e si stabilì all’Università di Washington, dove poté studiare con calma i problemi concernenti, l’ipotesi del Big Bang. Naturalmente, Gamow operò nell’ambito dei modelli cosmologici di Friedmann-Lemaitre. Tuttavia, seppe, essere originale, andando a completare il lavoro dei suoi illustri predecessori; del primo, era stato addirittura allievo, al secondo rese omaggio, con un’ampia citazione, in quella che è forse la sua opera divulgativa più celebre, La creazione dell’Universo. L’approccio di Friedmann era stato prevalentemente matematico, Lemaitre, invece, aveva costruito il grosso dell’edificio, intuendo, per primo, il collegamento tra fisica delle particelle e cosmologia, postulando, anche, un Universo primordiale molto denso. Lo specifico di Gamow, diversamente, fu quello di aggiungervi il concetto di temperatura. Sviluppò un modello di Universo, sempre nell’ambito del Big Bang, radiativo caldo. Partendo, correttamente, da un’evidenza osservativa, cioè la composizione chimica dell’attuale Universo, si chiese, se l’abbondanza osservata degli elementi, sia leggeri sia pesanti, potesse essere spiegata dall’ipotesi del Big Bang.

Ricordiamo brevemente, che ogni diecimila atomi di idrogeno, ne osserviamo mille di elio, sei di ossigeno, uno di carbonio e il resto degli elementi della Tavola periodica che, messi assieme, non arrivano al carbonio. Pertanto, ipotizzò che le condizioni iniziali, molto dense e calde, del Big Bang fossero indispensabili, per innescare processi di trasformazione dell’idrogeno in elio e, progressivamente, negli atomi più pesanti. Giunse a questa conclusione, studiando con profondità il lavoro pionieristico sulla fusione stellare di Hans Bethe (1906-2005) e Fritz Houtermans (1903-1966): si accorse, infatti, che le stelle sarebbero state troppo lente nel “cuocere”, anche soltanto l’elio. Concluse, così, che l’idrogeno e l’elio dovevano essere già presenti al momento del Big Bang. Inoltre, le stelle non potevano spiegare nemmeno l’esistenza degli elementi più pesanti: questi limiti intrinseci ai processi di fusione stellare, spinsero Gamow a cercare un legame tra la nucleo sintesi degli elementi pesanti e il Big bang. L’intuizione fu semplice, ma non banale. Partì dalla concentrazione di materia osservata dagli astronomi; poi, considerò il tasso di espansione dell’universo, misurato da Hubble, e “riavviò” il film cosmico all’indietro, “osservando”, con l’ausilio di una matematica semplice, cosa accadeva all’universo man mano, che ci si spostava verso il suo istante iniziale. In questo modo, era in grado di calcolare la densità media del cosmo, qualunque fosse l'età dell’universo. Risultato: l’universo iniziale era molto più caldo e denso di quello attuale. L’immagine usata, fu quella di una pompa di bicicletta, che si riscalda man mano che insuffla aria nella ruota. Correttamente, date le temperature in gioco, suppose che la miscela iniziale dell’universo, dovette essere formata da protoni, neutroni ed elettroni: questi ultimi, infatti, a causa delle enormi energie in gioco non riuscivano a combinarsi con neutroni e protoni, per formare nuclei stabili. D’altra parte, aveva capito che l’universo non poteva “raffreddarsi” troppo, altrimenti le energie disponibili sarebbero state troppo basse per permettere la fusione dei nuclei. Stabilì, dunque, un primo importante limite: la nucleosintesi, poteva avvenire solo quando l’universo si sarebbe “raffreddato”da temperature di alcuni miliardi di miliardi di gradi, ma rimanendo, comunque, sopra alcuni milioni di gradi. L’altro limite, da lui individuato, riguarda la vita media dei neutroni, che al di fuori di un nucleo atomico, ES l’elio, è di soli dieci minuti; questo significava, che entro un’ora dalla creazione, quasi tutti i neutroni si sarebbero trasformati in protoni, se non avessero trovato una “sistemazione” con altri protoni, per formare nuclei stabili. I neutroni, ricordiamolo, sono elementi fondamentali per la nucleo sintesi, ma per essere prodotti, a loro volta, richiedono una reazione nucleare strettamente correlata a una data temperatura. La situazione si complicava ulteriormente, dunque; Gamow aveva già fatto molto, era un grande fisico, ma non altrettanto valente matematico. Per dirimere la questione della nucleo sintesi, occorrevano calcoli nucleari che richiedevano strumenti matematici ben più complicati, di là della portata di Gamow: stava per scoccare l’ora di Ralph Alpher e Robert Hermann. (fine prima parte)

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