Una coalizione per destituire Erdogan

Un'alleanza di sei partiti di opposizione turchi ha presentato lunedì un programma politico comune, primo passo verso una possibile candidatura unitaria per destituire il presidente Recep Tayyip Erdogan alle prossime elezioni presidenziali.

I partiti di opposizione intendono unirsi attorno alla figura di un unico candidato alla presidenza, cercando un'opzione più forte nel tentativo di succedere a Erdogan, che guida il Paese dall'agosto 2014. Secondo "Hurriyet", la coalizione dovrebbe determinare il proprio candidato in una riunione che si terrà il 13 febbraio.

I partiti di opposizione hanno già mostrato alcune delle loro carte in vista delle elezioni presidenziali di metà anno, in cui cercano di disarcionare un Erdogan che non solo è capo di Stato dal 2014, ma che in precedenza è stato primo ministro dal 2003.

Nel 2018 Erdogan ha varato una riforma del sistema presidenziale con una serie di cambiamenti radicali - come l'abolizione della carica di primo ministro - che ha attirato critiche non solo a livello nazionale, ma anche da parte di potenze e organizzazioni internazionali.

I membri della coalizione di opposizione includono il principale partito rivale di Erdogan, il Partito Popolare Repubblicano (CHP), e il nazionalista Partito Buono (IYI).

Nel suo programma politico, l'alleanza si impegna, in caso di vittoria, a ribaltare il sistema presidenzialista della Turchia per instaurare una democrazia parlamentare, rafforzare lo Stato di diritto e la libertà di stampa e limitare le funzioni del presidente.

Con queste modifiche, il capo di Stato turco cesserebbe di essere una figura politica e assumerebbe un ruolo più formale, obbligandolo a non appartenere ad alcun partito politico e imponendo un limite massimo di sette anni di mandato.

Sul fronte economico, l'alleanza si è impegnata a intensificare la lotta contro l'inflazione e a cercare di ridurla a una sola cifra percentuale (attualmente supera il 60%), sostenendo al contempo il ritorno all'indipendenza della Banca centrale turca.

Intanto il Presidente della Turchia ha detto che la Svezia non deve aspettarsi sostegno per l’adesione alla Nato dopo le proteste del fine settimana a Stoccolma da parte di un attivista anti-islamico e di gruppi filo-curdi. Recep Tayyip Erdogan ha criticato la protesta contro il Corano di Rasmus Paludan, dicendo che era un “insulto ai musulmani”. Ha anche attaccato le autorità svedesi per aver permesso che la manifestazione si svolgesse davanti all’ambasciata turca a Stoccolma. Erdogan ha detto che se la Svezia non mostrerà rispetto per la Turchia o i musulmani, allora “non vedranno alcun sostegno da parte nostra sulla questione della Nato”. Non bastavano i ricatti di Erdogan alla Svezia sui curdi. Ora ci si mette anche la vecchia questione della libertà di espressione. Paludan non è Charlie Hebdo, non ha un programma libertario e liberale di critica della religione nelle società occidentali. Si tratta di un populista e provocatore danese.

Lunedì il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu,, citato dalla tv pubblica Trt, ha dichiarato: "Non siamo contro l'allargamento della Nato, da parte finlandese ci sono stati sviluppi positivi per noi, non ci sono state provocazioni come in Svezia". Recentemente la Finlandia ha sbloccato, per la prima volta dal 2019, la vendita di armi verso la Turchia mentre le autorità turche continuano ad accusare la Svezia di non fare passi concreti sulle richieste di Ankara per approvare la candidatura nell'Alleanza atlantica, ovvero il distanziamento dal terrorismo e l'estradizione di alcuni sospetti militanti.

Cavusoglu ha dichiarato durante una conferenza stampa che la Turchia "non è contraria all'allargamento" dell'Alleanza, "né ha problemi con Svezia e Finlandia". "Non ci sono obiezioni fondamentali all'ingresso di questi due Paesi", ha detto, anche se ha insistito sul fatto che devono soddisfare i requisiti, nonostante "comprenda le loro preoccupazioni in materia di sicurezza".

In questo senso, ha chiarito che la Turchia ha messo sul tavolo una serie di "preoccupazioni" che "devono essere prese in considerazione" e ha confermato che le autorità turche stanno studiando la possibilità di trattare le richieste in modo indipendente, secondo le dichiarazioni del canale televisivo Haberturk.

"Se questo passo verrà compiuto, speriamo di poterli considerare in modo indipendente. Credo che sarebbe giusto dividere questi Paesi in più e meno problematici, ma il nostro obiettivo non è quello di separarli. La nostra posizione si basa su analisi oggettive di come vengono soddisfatti questi requisiti", ha dichiarato.

Domenica, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ammesso che potrebbe esserci una risposta diversa alle richieste dei due Paesi e ha indicato che, se necessario, la Turchia "potrebbe inviare un messaggio diverso alla Finlandia". Ha messo la Finlandia davanti alla Svezia nella corsa all'adesione alla NATO, ma ha avvertito Helsinki di "non commettere errori" a questo proposito.

Le tensioni sono aumentate nell'ultima settimana dopo una serie di proteste in Svezia per il rifiuto della Turchia di facilitare l'adesione alla NATO di Stoccolma, in quanto il Paese non soddisfa i requisiti concordati dalle parti al vertice NATO di giugno 2022 a Madrid.

La Turchia ricopre una posizione assolutamente strategica e di importanza centrale all’interno della Nato, in quanto si tratta di un Paese perfettamente a metà fra Occidente ed Oriente. Un portone che si colloca fra le due realtà, una cinghia di trasmissione dalla quale passano, peraltro, numerose questioni: non ultime, quella dei rifugiati siriani e quella degli jihadisti dell’Isis partiti come foreign fighter dall’Europa e pronti a farvi ritorno è dall’11 novembre 2019 che Recep Tayyip Erdogan ha avviato le procedure di rimpatrio.

Questa peculiarità geografica e geopolitica di Paese di mezzo fu compresa sin da subito dai membri fondatori dell’Alleanza Atlantica. La Turchia, la quale proveniva dalla rivoluzione laica di Mustafà Kemal, detto Ataturk, avviata al principio del XX secolo, avrebbe rappresentato non soltanto un’interessante sfida per l’Occidente – intento a trarla sotto la propria sfera di influenza -, ma anche una strategia di lungo periodo nella sfida “fredda” all’Unione sovietica. Difatti, Ankara (insieme ad Atene) fu inclusa nel primissimo allargamento dell’Organizzazione, effettuato il lontano 18 febbraio del 1952.

Negli ultimi decenni la politica estera turca è entrata in una nuova fase, in particolare dall’arrivo al potere dell'attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan. Lo Stato anatolico ha maturato nel tempo nuove ambizioni imperiali e si è inserito progressivamente in vari contesti geopolitici, facendo uso sia della diplomazia sia della forza militare. Questo nuovo espansionismo della Turchia si sta così concretizzando in Asia centrale, Medio Oriente (con il caso emblematico della Siria), Corno d'Africa, Maghreb e nei Balcani, scalzando in vari Paesi la presenza dell'Italia, ad esempio in Libia, Albania e Somalia. Le ambizioni di Ankara vanno inoltre a toccare molti altri aspetti, come il rapporto di cooperazione e competizione con la Russia, il ruolo della Turchia nella NATO e i rapporti con l'Unione Europea.

La Turchia è un importante membro della NATO ed è il baluardo sud-orientale dell'Alleanza dai tempi della Guerra Fredda, in chiave di contenimento della Russia. Tuttavia negli ultimi anni Turchia e Russia hanno vissuto una relazione ambivalente in vari contesti geopolitici: a volte si sono sfidate e a volte, invece, hanno cooperato. Per questo motivo, gli Stati Uniti e i loro alleati si sono chiesti se Ankara possa ancora essere considerata un alleato affidabile. In effetti, se analizziamo la questione più nel dettaglio, notiamo che recentemente la Turchia si sta muovendo in modo sempre più autonomo e per perseguire i suoi soli interessi. Basti pensare al controverso acquisto del sistema di difesa missilistico russo S-400 e alle varie fasi di scontro e cooperazione con Israele e anche con la Grecia.

Anche l’Italia deve fare i conti con l'espansione politico-militare turca. La Turchia, infatti, si è sempre più inserita in vari quadranti geopolitici in cui il nostro Paese è storicamente attivo: si va dal Corno d'Africa (Somalia, Eritrea ed Etiopia), ai Balcani (Albania, Kosovo e Bosnia Erzegovina), senza dimenticare il Nord Africa con la Libia. È proprio in questo territorio che Ankara ha mostrato la sua determinazione e la sua capacità di azione diplomatico-militare. Erdogan, infatti, ha efficacemente fornito supporto e aiuto militare a Fayez al Serraj in risposta alle mire espansionistiche del Generale Haftar (sostenuto, tra gli altri, dalla Russia), sostituendosi al ruolo che avrebbe potuto giocare proprio l'Italia.

Fonti varie agenzie

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