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Il presidente del Consiglio Mario Draghi in Algeria

E' il giorno della missione del presidente del Consiglio Mario Draghi in Algeria, per il quarto vertice intergovernativo tra l'Italia e il paese Nordafricano. Un incontro che cade in un momento estremamente delicato, per le vicende politiche interne italiane, che hanno portato il premier a partecipare da dimissionario a questo appuntamento, ma soprattutto per la crisi economica ed energetica innescata dall'invasione russa dell'Ucraina.

Tra i vari dossier sul tavolo del vertice, infatti, il più rilevante è quello della fornitura di gas al nostro paese: l'Algeria è infatti il nostro primo fornitore di gas e il partenariato privilegiato con l'Italia risulta fondamentale per la diversificazione dell'approvvigionamento energetico e quindi per la diminuzione della dipendenza da Mosca.

Non a caso, la delegazione che accompagnerà il capo dell'esecutivo ad Algeri è nutrita: ci saranno i ministri Di Maio, Lamorgese, Cartabia, Cingolani, Giovannini e Bonetti. Al centro dell'incontro, oltre ovviamente ai temi più urgenti come la guerra in Ucraina e la crisi energetica, altri dossier importanti come la Libia, il Sahel, al Sahara Occidentale, la cooperazione industriale, lavori pubblici e la protezione del patrimonio culturale. Le dimissioni di Draghi continuano a suscitare la preoccupazione di molti governi e osservatori stranieri.

Il quotidiano britannico Financial Times, in particolare, è uscito allo scoperto con un endorsement per il premier italiano in un editoriale firmato dalla redazione, in cui si legge che "Il miglior auspicio è che Draghi continui a essere presidente del Consiglio il più a lungo possibile poiché la priorità è approvare il prossimo bilancio e portare avanti le riforme necessarie per sbloccare la prossima tranche del Recovery Fund dell'Ue da 750 miliardi di euro, di cui 200 miliardi sono destinati all'Italia".

 "A sentire la stampa sembra che tutta Italia stia supplicando Draghi di rimanere, come se questo governo fosse nel cuore di tutti gli italiani. Pero' poi la stessa stampa avverte che se si votasse stravinceremo chi sta all'opposizione. Tipiche dissonanze cognitive della sinistra". Lo scrive su Twitter il presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. "Ecco perché le stanno tentando tutte per evitare di tornare subito al voto...", scrive poi sulla sua pagina Facebook Giorgia MELONI, postando un recente sondaggio di Swg che dà Fdi al 23,8 per cento. "Ecco spiegato perché la sinistra ha così paura delle elezioni", si legge nel post dove campeggia una foto della leader di Fdi accanto alla recente rilevazione.

Giuseppe Conte non lo nasconde e lancia un ultimatum: "Se qualcuno ritiene di non poter condividere un percorso così partecipato e condiviso - dice - faccia la propria scelta in piena libertà, in maniera chiara, subito e senza ambiguità". I tempi sono stretti: "C'è una notte per pensarci - dice Conte ai vertici del gruppo alla Camera - decisioni che vanno in direzione di una diversa prospettiva siano dichiarate per tempo, per correttezza verso tutti". Il presidente del M5s, intanto, aspetta segnali da Palazzo Chigi sulle nove richieste del Movimento per il programma di governo: "Adesso la decisione non spetta a noi, ma a Draghi", dice chiudendo l'incontro coi parlamentari. Per il leader, il premier dovrà valutare le condizioni e decidere il perimetro del dialogo: c'è tempo fino a mercoledì, quando si voterà la fiducia al governo. "L'atteggiamento di responsabilità - dice Conte - ci impone di chiedere al presidente Draghi che le priorità da noi indicate vengano poste nell'agenda di governo". Intanto, però, il presidente del M5s teme l'accerchiamento: chi gli sta vicino legge le mosse degli altri partiti, sia di centrosinistra sia di centrodestra, come un disegno per relegarlo ai margini.

L'assemblea dei gruppi parlamentari del M5s è stata una maratona via zoom, una gara di resistenza di tre giorni quasi di fila. Il pallottoliere ha contato una ventina di interventi di chi vuol confermare l'appoggio a Draghi. Se ne è fatto portavoce un esponente di spicco del M5s, il capogruppo a Montecitorio Davide Crippa: "Non si capisce perché non dovremmo votare la fiducia". La posizione dei contiani l'ha invece riassunta la deputata Vittoria Baldino: le dimissioni di Draghi sono state un reazione "scomposta", che va letta come "un invito alla porta".

Proprio sul fronte di queste ultime, prosegue in casa M5s quella che è ormai divenuta un'assemblea permanente del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari. Dopo una serie di stop&go, la congiuntura dei parlamentari pentastellati riprenderà oggi, per definire una linea in vista dell'appuntamento parlamentare di mercoledi'. Sembra però difficile una sintesi, visto che la faglia tra l'ala "governista" e quella favorevole alla conferma dello strappo dal governo si sta allargando. Ciò potrebbe comportare, secondo più di un osservatore, un ulteriore travaso di parlamentari verso la pattuglia parlamentare di Luigi di Maio, o addirittura la formazione di una nuova forza politica favorevole a proseguire l'esperienza di governo a fianco di Draghi.

Tra i più attivi al fianco di Draghi il leader di Italia Viva Matteo Renzi, che ha lanciato nei giorni scorsi una petizione online per la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi e oggi, con un'intervista al Corriere della Sera, è tornato a spingere per questa soluzione, altrimenti, osserva, c'è il voto o il 25 settembre o il 2 ottobre. Anche il centrodestra di governo, dopo l'incontro Salvini-Berlusconi a Villa Certosa, sembra sponsorizzare l'idea del voto anticipato, ritenendo impossibile qualsiasi margine di ricucitura con M5s, anche se le posizioni dentro Forza Italia sembrano più articolate, come testimoniano le parole del ministro Gelmini, per la quale non vanno poste condizioni al premier da nessuna parte politica.

Un voto di fiducia come si conviene a un governo che sta per nascere: mercoledì deputati e senatori sfileranno sotto i banchi del governo e annunceranno il loro voto davanti al presidente del Consiglio Mario Draghi. Una fiducia con il sistema della chiamata nominale su un ragionamento politico, quello che farà Draghi in Aula, e non su un testo di legge.

Un segnale che fa dire a una fonte parlamentare che si tratta di un passo in direzione della prosecuzione del governo guidato dall'ex governatore della Bce. Un altro segnale è dato dalla richiesta arrivata da Partito Democratico, M5s, Insieme per il Futuro, Leu e Italia Viva nel corso della conferenza dei capigruppo di Montecitorio perché si possa votare prima alla Camera e poi al Senato.

Il tutto, viene riferito, sarebbe funzionale a veder realizzato quel "fatto politico" nel M5s che convincerebbe Draghi a rivedere la sua scelta di dimettersi. Ovvero l'uscita di un gruppo di parlamentari dal Movimento così da sostenere il premier senza alterare l'equilibrio di esecutivo e maggioranza. Se questa uscita non dovesse verificarsi, infatti, Draghi avrebbe sì ancora una maggioranza, ma nettamente sbilanciata a destra.

Perché votare prima alla Camera? Perché se si votasse prima al Senato, dove i contiani del M5s sono molto compatti, l'immagine plastica offerta dal voto sarebbe quella di una coalizione sostenuta in larga parte dal centrodestra più il Partito Democratico. E Draghi, ragiona a Montecitorio, si vedrebbe costretto a confermare la decisione annunciata. Un ostacolo aggirabile, viene però aggiunto.

Se i Cinque Stelle dissidenti annunciassero l'addio a Conte prima del voto - come ormai sembra probabile - fuori dall'Aula, certificherebbero già quel "fatto politico" che si attende. Mario Draghi, a quel punto, potrebbe revocare le dimissioni e incassare il voto favorevole prima al Senato e poi alla Camera.

Nonostante questo, l'iniziativa del Pd con M5s e Iv suscita una levata di scudi nella Lega. "Siamo alla farsa. Ora Pd e M5s chiedono a Draghi di comunicare prima alla Camera e poi al Senato solamente perché Conte è più debole alla Camera. Giochini vergognosi che vanno contro la prassi che vuole che le comunicazioni del presidente del Consiglio siano fatte nella Camera di prima fiducia, o dove si è generata la crisi. In entrambi i casi, quindi, al Senato", dicono i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.

Non ha mancato di generare polemiche, sempre parlando di appelli pro-Draghi, quello fatto da più di mille sindaci, che ha suscitato la dura reazione della leader di FdI Giorgia Meloni, la quale ha denunciato l'uso "spudorato" delle istituzioni per un fine politico. Le ha replicato il sindaco di Firenze Nardella, secondo cui all'appello si sarebbero associati anche esponenti del partito della Meloni.

Intanto Il presidente russo Vladimir Putin è da poco arrivato a Teheran dove ha in programma di partecipare ai colloqui di pace sulla Siria con capo di Stato turco Recep Tayyip Erdogan e l'omologo iraniano Ebrahim Raisi.

Fonte Agi e varie agenzie

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