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Incontro con Alberto Forchielli, la globalizzazione del terzo millennio

  • Agli inizi del 2000, con l’obiettivo di approfondire e promuovere i rapporti economici  tra il nostro Paese e i mercati asiatici, lei ha fondato “Osservatorio Cina” ed, inoltre, è socio fondatore di “Mandarin Capital Management”, presso cui  ha  ricoperto ruoli apicali. Vorrebbe parlarmene?

Mi  resi conto che l’Asia, trainata dalla Cina e da altre economie emergenti,  avrebbe giocato un ruolo fondamentale nell’economia mondiale del XXI secolo. L’Italia era indietro nella metabolizzazione di questo fenomeno. “Osservatorio” era un centro di ricerca senza fini di lucro e “Mandarin” una società di investimento vera e proprio a cavallo tra Italia e Cina. Entrambe soddisfacevano bisogni diversi di conoscenza da un lato e di trasferimento di flussi di capitale dall’altro; hanno funzionato molto bene. “Mandarin”  è tuttora operativa, seppur con modalità nel tempo  diverse, mentre “Osservatorio” è stata liquidata qualche anno fa poiché ho dovuto operare delle scelte; seguirle entrambe era diventato impossibile per me.

 

  • Nella sua opera editoriale “Il potere è noioso“, pubblicata nel 2016 dai tipi di Baldini & Castoldi, affronta un tema di rilevante attualità: la globalizzazione. Quali sono, secondo lei, i mutamenti e gli effetti  procurati  dalla globalizzazione nella dimensione del lavoro?

Molti lavori sono scomparsi. Molti altri sono stati creati. In diversi settori economici il lavoro è in concorrenza tra un ampio numero di Paesi.  Non esistono più zone franche o protette. Alcuni Paesi,  in particolare gli emergenti,  hanno avuto un aumento importante nell’occupazione industriale, mentre nei Paesi sviluppati si è verificato il fenomeno contrario ed uno spostamento proteso  verso i servizi. La classe media è cresciuta in Cina e calata in Occidente, creando disoccupazione e diseguaglianze.

 

  • L’ingresso di nuovi protagonisti all’interno della scena economica mondiale per mezzo dell’apertura di nuovi mercati, imprenditori ed investitori, ha generato importanti trasformazioni del quadro politico e normativo dei Paesi coinvolti, oltre ad aver sostanzialmente determinato una profonda ridefinizione dell’economia mondiale. Secondo lei, quest’ultimo aspetto meriterebbe maggior attenzione?

Qui parliamo di Cina soprattutto, ma anche di India, perché no. Del resto, oramai se ne discute tutti i giorni. Si parla di secolo cinese, del conflitto USA-Cina, della scomparsa della democrazia in molte parti del mondo. Tutto ciò  grazie alla globalizzazione,  che ha favorito alcuni Stati rispetto ad altri. Il prepotente insorgere dell’Asia sulla scena mondiale è figlio della globalizzazione.

 

  • Tuttavia, la globalizzazione, intesa come un dato di fatto, una realtà, fa istanza alla politica di confrontarsi anche con le conseguenze, sia positive che negative, che in itinere  produrrà nei prossimi decenni. Vorrei soffermarmi sulle emissioni di CO2, aumentate negli anni in modo esponenziale in buona parte degli Stati ad economia emergente. È possibile stabilire l’attuale impatto sull’ambiente in termini di sostenibilità?

India e Cina bruciano carbone e rappresentano, se non sbaglio, circa il 50% delle emissioni di CO2. Se per ipotesi non ci fosse stata la globalizzazione, non sarebbero i giganti che sono oggi, le loro emissioni sarebbero facilmente controllabili e il raggiungimento della neutralità energetica sarebbe a portata di mano.

  • Inoltre, quale ricaduta ha avuto tale fenomeno sociale segnatamente sui meccanismi che caratterizzano e regolano i mercati finanziari?

I mercati finanziari sono andati di pari passo con lo sviluppo industriale, anzi lo hanno sopra avanzato. Sono molto più globalizzati. I flussi girano da un continente all’altro senza sosta.

 

  • In questi ultimi anni si rileva una sempre crescente interdipendenza fra le economie dei singoli Paesi.  Il sociologo ed economista statunitense Wallerstein, partendo dagli studi compiuti da Polanyi  in relazione alle modalità attraverso le quali l’economia si integra alla società,  al fine di indicare la stretta relazione che intercorre fra gli Stati del mondo, ha elaborato la teoria del “sistema - mondo”, in cui i cicli di crescita e decrescita, in quanto tali, si ripetono all’interno di sistemi che non riescono mai a superare i loro conflitti interni, a volte violenti. Qual è il suo pensiero a riguardo?

Certo il mondo è un tutt’uno oggi.  Se un Cinese starnutisce, un americano prende il raffreddore. Si pensava che 2 Paesi che ospitano McDonald non avrebbero mai potuto fare la guerra, ma non è vero, ahimè. I conflitti abbondano in questo mondo globalizzato. Non abbiamo inventato la pace.

 

  • Per associazione di idee, mi vengono in mente i dati di marzo 2021 relativi al debito aggregato in Cina di famiglie, imprese e settore pubblico, pari al 287% del Pil. Tutto ciò sottopone l’umanità ad un maggiore rischio di contagio, con conseguenti crisi su scala globale?

Mah, ritengo che i dati cinesi non dovrebbero spaventare, anche negli USA e in Europa il debito aggregato è molto alto. Certo molte Cassandre indicano nell’alto debito la tragedia prossima ventura, ma io non la penso così. Il debito è alto da molti anni e ci siamo abituati a conviverci;  quindi, lo gestiremo, ma non ne saremo sopraffatti. La prossima crisi economica non sarà una crisi da debito.

 

  • Negli ultimi venti anni si sono susseguite diverse crisi finanziarie e la più recente è iniziata nel 2020, con la pandemia da Covid - 19. Si tratta di una crisi con caratteristiche sui generis  rispetto alle precedenti,  in quanto ci siamo trovati inaspettatamente dinanzi ad un nemico invisibile, un virus sconosciuto che sta cagionando pesanti conseguenze,  anche in termini di convivenza e di organizzazione sociale. Dal suo punto di vista, esistono  fattori comuni fra le crisi che hanno investito  i sistemi finanziari mondiali a partire dall’11 settembre 2001, data tristemente nota dell’attacco terroristico al World Trade Center, ad oggi?

No, non direi, ogni crisi ha una sua storia. Certo che quando i mercati vanno in bolla speculativa  prima o poi  si sgonfiano, ma come dicevo prima queste crisi abbiamo imparato ad affrontarle. La crisi da Covid  - 19 l’abbiamo affrontata con una conseguente e altissima crescita del debito, appunto. Se non ci facciamo cogliere dal panico, riusciremo ad abbassare il debito gradualmente negli anni.

 

  • Durante il percorso accademico presso l’Università di Bologna è stato suo docente il Prof. Romano Prodi. Quale ricordo conserva di questa esperienza?

La ricordo con tanto rimpianto. E stato un fantastico professore, cosi avanti nei tempi, ci ha aperto la testa. Era il 1976, conosco e frequento Prodi  da 45 anni e non mi sono mai annoiato di ascoltarlo.

 

 

 

 

 

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