40 anni fa Giovanni Paolo II salvato dalla Madonna di Fatima

Quarant'anni dopo sarà ancora a Roma. Per celebrare questa mattina la Messa sulla tomba di san Giovanni Paolo II, in occasione del quarantennale dell’attentato. Ma per il cardinale Stanislaw Dziwisz quei momenti sono incisi in maniera indelebile nella memoria e nel cuore. E ad ascoltarli dalla sua viva voce, i particolari sembra di riviverli in presa diretta. Come se fossimo su quella jeep negli attimi immediatamente posteriori agli spari.  

Papa Giovanni Paolo II è in piazza San Pietro per il tradizionale giro tra i fedeli prima dell'udienza generale. È il 13 maggio 1981 e sono le ore 17.17: papa Giovanni Paolo II ha appena riconsegnato una bimba ai genitori, dopo averla abbracciata e benedetta, mentre stringe le mani di migliaia di fedeli in piazza San Pietro per l’udienza del mercoledì  

Risuonano nel colonnato del Bernini alcuni colpi di pistola.  All'improvviso si accascia sulla papamobile. Sono le 17.17 del 13 maggio 1981 e quelle immagini fanno in un lampo il giro del mondo.
Il Papa cade ferito nella «papamobile», tra le braccia del segretario personale don Stanislao Dziwisz (oggi cardinale), colpito dai proiettili del killer turco Alì Agca.
Qualcuno tra la folla ha sparato al Papa, fugge, lo blocca una suora, indietreggia e cade a terra inciampando in un sampietrino. Il Pontefice appare gravissimo: viene trasportato in ospedale in fin di vita.  
Proprio rivolto a Dziwisz, quasi volendolo confortare, pronuncia queste prime parole — mentre ancora i soccorsi devono arrivare — quasi sussurrate: «Hanno fatto come a Bachelet», ricordando l’omicidio del vicepresidente del Csm ucciso dalle Brigate Rosse.

È uno dei tanti episodi, come riferisce ansa, quasi tutti inediti, raccontati nel libro «Il Papa doveva morire» di Antonio Preziosi, giornalista Rai, che a quarant’anni dall’attentato ha ricostruito tutto di quella giornata in cui il mondo si fermò con il fiato sospeso in attesa di notizie sulla salute del Papa che sopravvisse dopo quasi sei ore di un drammatico intervento chirurgico. Di seguito, ecco alcuni fatti poco noti, se non del tutto sconosciuti, contenuti nel volume edito da San Paolo.  

L'uomo che ha sparato è Ali Agca. Perché ha tentato di uccidere il Papa? Chi sono i mandanti?  Quale era l'obiettivo di vedere il Pontefice crollare sotto i colpi della pistola? A quarant'anni di distanza l'attentato a Karol Wojtyla resta sostanzialmente non risolto del tutto. Subito dopo l'attentato in piazza San Pietro viene arrestato Mehmet Ali Agca, il giovane turco che ha sparato al Papa, e viene trovata anche la pistola che ha usato, una Browning.   Giovanni Paolo II è ancora tra la vita e la morte, ma già ci si chiede chi ci sia dietro l'attentato: sembra infatti improbabile che i ''Lupi grigi'', l'organizzazione terroristica turca di cui Ali Agca fa parte e che ha base in Bulgaria, abbia potuto da sola organizzare l'impresa.

Il Pontefice tra grandi sofferenze sopravvive: porterà, esattamente un anno dopo, il proiettile che lo aveva colpito alla Madonna di Fatima, che era apparsa a tre pastorelli il 13 maggio del 1917. Secondo lo stesso Wojtyla, era stata la Vergine a salvarlo: "Una mano ha sparato, un'altra mano ha deviato la pallottola", disse.

I medici del Policlinico Gemelli non credevano che Wojtyla sarebbe sopravvissuto. "I medici che eseguirono l'intervento, in primis il professor Francesco Crucitti, mi confessarono - ha di recente raccontato il cardinale Stanislaw Dziwisz, lo storico segretario di Wojtyla - di averlo preso in carico senza credere nella sopravvivenza del paziente". Il medico personale del Papa, il dottor Renato Buzzonetti chiese a Dziwisz di impartire al Papa l'unzione degli infermi. L'operazione durò quasi cinque ore e mezza. Il Papa si salvò e, quattro giorni dopo, registrò l'Angelus domenicale per le migliaia e migliaia di persone che comunque si riunirono in Piazza San Pietro pur sapendo che nessuno si sarebbe affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico.

Il 27 dicembre 1983 Papa Wojtyla, nel carcere romano di Rebibbia, farà visita ad Agca e lo perdonerà. L'attentatore, nel corso degli anni e dei vari processi, ha dato le sue tante versioni, spesso contraddittorie e inverosimili per confondere il più possibile l'opinione pubblica. Le indagini hanno seguito le piste più diverse ma a 40 anni da quell'attentato non c'è ancora una verità certa. Di sicuro Wojtyla era 'scomodo' all'Est europeo legato a doppio filo all'Unione sovietica. Ma prove in questa direzione non sono mai state trovate.
Di quel giorno resta una maglia bianca insanguinata e bucata dai fori dei proiettili.

E' nella cappella dell'istituto delle Figlie della Carità, a Boccea, quartiere periferico di Roma, conservata in una teca. La reliquia è sopravvissuta grazie alla prontezza di una infermiera che era in sala operatoria e la vide buttata in un angolo. Anna Stanghellini, così si chiamava l'infermiera caposala, morta poi nel 2004, tenne per qualche tempo quella 'preziosa' maglia nel suo armadio; poi nel 2000, l'anno del Grande Giubileo, la donò alle suore, presso le quali aveva fatto un periodo di postulato; aveva scelto un'altra strada rispetto a quella del convento, ma rimase molto legata a quelle suore presso le quali scelse anche di abitare negli ultimi anni della sua vita.   

 

Fonti Ansa / Rai / Avvenire   

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