Il caso di Aldo Moro è ancora aperto

Quella del 16 marzo 1978 è una data incancellabile nella coscienza del popolo italiano. Lo sprezzo per la vita delle persone, nel folle delirio brigatista, lo sgomento per un attacco che puntava a destabilizzare la vita democratica italiana, rimangono una ferita e un monito per la storia della nostra comunità”. Con queste toccanti parole il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto commemorare il 43° anniversario dalla strage di via Fani, nella quale si perpetrò l'uccisione barbara, ad opera dei terroristi delle brigate rosse, di Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino per portare a compimento il rapimento di Aldo Moro

A 43 anni dal rapimento dello statista democristiano, il gip romano Francesco Patrone ha autorizzato la richiesta di prelievo del Dna (avanzata dal pm Eugenio Albamonte) per alcuni brigatisti già condannati per il sequestro del dirigente democristiano, ma anche per alcuni militanti delle Br finora considerati estranei all’agguato di via Fani. Il prelievo del Dna è avvenuto a fine febbraio 2021 nei locali della Questura di Roma, ed è stato coattivo visto che molti brigatisti non avevano voluto sottoporsi volontariamente.

il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro,scrive Huffpost, per molti aspetti, si dimostra, insomma, ancora un “cold case”, visto che quello che ne sappiamo è in gran parte frutto di una “verità concordata“ tra brigatisti ed apparati dello Stato, prima della caduta del Muro di Berlino. Una verità secondo Huffpost,“accettabile” che lasciasse fuori dai riflettori dell'opinione pubblica altre verità troppo grandi, in quel determinato contesto geopolitico. Né deve essere di ostacolo a questa ricerca il tempo che è passato. Non si tratta soltanto di permettere una affidabile ricostruzione storica. Il reato di strage (e questo avvenne in via Fani) per il nostro codice penale non si prescrive.

L'ipotesi investigativa sottolinea La Nazione, è che si potrebbero riscontrare presenze diverse da quelle finora conosciute sulla scena del rapimento e in via Gradoli. Visto che ad esempio su 38 tracce biologiche rinvenute, solo 20 sono state attribuite, e con certezza, al proprietario dell'auto (che era stata rubata dalle Br per usarla nel sequestro) e ai suoi familiari, mentre altri sette profili genetici trovati all'interno dell'abitacolo della Fiat Giardinetta, condotta da Mario Moretti e che la mattina del 16 marzo 1978 bloccò allo stop con via Stresa la Fiat 130 su cui viaggiava lo statista democristiano e l'Alfetta della scorta, sono ancora sconosciuti. In particolare si cerca di dare un volto e un nome alla presenza di un personaggio che si sarebbe trovato accanto a Moretti al momento dell’agguato, e a chi abbia avuto a che fare con la macchina (per rubarla, spostarla, nasconderla) e a chi abbia frequentato la prigione di Moro.

Cosi il caso Moro non finisce mai, e non finiscono nemmeno le sorprese sul sequestro e l'omicidio dello statista democristiano, rapito dalle Br il 16 marzo del 1978 nel cruento agguato di via Fani nel quale persero la vita i cinque uomini della sua scorta e poi ammazzato 55 giorni dopo nel bagagliaio di una Renault 4 rossa che fu poi abbandonata in via Caetani, nel centro storico di Roma, a metà strada tra le storiche sedi di Pci e Dc, via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù. 

In occasione dell'anniversario del sequestro, torna a scrivere del «cold case» Moro Maria Antonietta Calabrò, con una ricostruzione sull'Huffington Post degli ultimi sviluppi delle indagini, svolte in anni recenti dalla scientifica con mezzi che a fine anni 70 non erano disponibili. Saltano così fuori sorprese interessanti dall'analisi del Dna prelevato (coattivamente, visto che gli interessati si erano rifiutati di procedere volontariamente) il mese scorso a una serie di brigatisti coinvolti nel sequestro, ma anche ad alcuni bierre che erano considerati da sempre estranei al rapimento. I profili genetici da «svelare» erano stati raccolti nel 2016, all'interno della Fiat 128 Giardinetta che servì ai terroristi per fermare il convoglio di Moro in via Fani e nel covo di via Gradoli.

Si tratta scrive HuffPost infatti di comparare il loro profilo genetico con quello portato alla luce, nel 2016, sui mozziconi di sigaretta rinvenuti nell’abitacolo della Fiat con targa Corpo Diplomatico che servì a “bloccare” la vettura di Moro in Via Fani, e sui mozziconi repertati nel covo di via Gradoli (la centrale operativa del sequestro Moro).

Fu il capo dell'Antiterrorismo Lamberto Giannini, da pochi giorni nuovo capo della Polizia di Stato, a mettere in evidenza alla seconda Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso, presieduta da Giuseppe Fioroni, la possibilità di procedere con nuove analisi scientifiche che nel 1978 non erano possibili.

Ma la prova del DNA è stata possibile solo ora (nell’ambito delle nuove indagini avviate a fine 2018 da Piazzale Clodio dopo aver ricevuto lo stralcio dei documenti di San Macuto), visto che prima non c'era il consenso degli interessati, e si è dovuto procedere con decisione del gip.

Così ora viene fuori scrive il giornale, che almeno 7 impronte genetiche tra quelle raccolte sulla scena dell'agguato e nel covo sono ancora senza un nome, e potrebbero aiutare a gettare una luce nuova e diversa su quella terribile pagina della storia del nostro Paese, chiarendo per esempio il ruolo dei terroristi tedeschi della Raf nel blitz di via Fani, e facendo luce su una versione troppo «accomodata» per essere credibile. 

Un dettaglio, i sette «invisibili» ancora senza nome presenti sulla scena, che coincide tra l'altro quasi perfettamente con le conclusioni della Commissione Moro 2, che ha stabilito come quella mattina in via Fani vi fossero almeno 20 terroristi e non 12, come le Br hanno sempre sostenuto in interrogatori e processi. La ricostruzione dell'Huffington Post ricorda anche l'avvistamento, cinque giorni dopo il sequestro, il 21 marzo, di un furgone Hanomag-Henschel giallo e di una Mercedes marrone a Viterbo, diretti verso Nord con 7 persone a bordo, due nel furgone e 5 nella berlina. Il testimone, Roberto Lauricella, allora 15enne, appassionato di armi e storia militare, vide i due veicoli accostare, e notò tra le gambe di un passeggero del secondo veicolo una mitraglietta Mp40. 

Il ragazzo, scrive il giornale, che riuscì ad annotare la targa del furgone e parte di quella della Mercedes oggi è un maresciallo dei Carabinieri, ed è stato riascoltato nel 2015, confermando che non gli «furono mai mostrate immagini ai fini di un eventuale riconoscimento personale». La targa del furgone venne ritrovata in una tipografia a Hebertsfelden, in Germania, e il pulmino venne collegato da Interpol e autorità tedesche a due componenti della Raf. E in fondo, ricorda il pezzo dell'Huffington, fu anche Abu Bassam Sharif, ex leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, a confermare, parlando con la commissione d'inchiesta nel 2017, che difficilmente «le Brigate Rosse avrebbero avuto la possibilità di uccidere cinque guardie del corpo senza nemmeno ferire Moro».

Secondo la ricostruzione “ufficiale” del sequestro Moro,scrive Huffpost,  via Gradoli sarebbe stata la base logistica frequentata dai soli Mario Moretti e Barbara Balzerani. Le analisi delle impronte digitali ritrovate dopo quarant'anni hanno già messo in evidenza su uno stivale di gomma un'impronta riconducibile a Adriana Faranda. Mentre nessuna impronta digitale è stata ricondotta dalle analisi ad Aldo Moro. In quel covo inoltre sono state trovati i profili biologici misti di due uomini e due donne su cui sono in corso adesso gli accertamenti scientifici.

In base a successivi accertamenti dell’Interpol ricostruisce il giornale Huffpost, e della polizia tedesca, si è anche accertato che due persone, un uomo e una donna, che avevano avuto a che fare con quel pulmino, erano membri della RAF (le BR tedesche) e la donna era anche in possesso di una carta d'identità italiana falsa, appartenente ad uno stock rubato in bianco, nella disponibilità delle BR in via Gradoli, e nell’appartamento di Giuliana Conforto, figlia di “Dario”, il principale agente del Kgb in Italia già dai tempi del fascismo , in cui trovarono rifugio i due brigatisti Adriana Faranda e Valerio Morucci e fu sequestrata anche la mitraglietta Skorpion che uccise Moro, il 9 maggio 1978.

Il cosiddetto Memoriale Morucci (scritto da Morucci con la “supervisione“ del servizio segreto interno Sisde, alla base della ricostruzione giudiziaria del sequestro Moro, ritenuta insufficiente dai giudici nelle motivazioni delle sentenze di Corte d'assise) sottolinea Huffpost, ha “cancellato” dalla scena del sequestro proprio alcuni componenti del commando di via Fani, alcuni certamente di nazionalità tedesca, appartenenti alla Rote Armee Frackion, un gruppo terroristico controllato dalla Stasi (servizio segreto dell'allora Ddr, la Germania dell’Est).

 

 

Fonti Huffpost / Il giornale / La nazione

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