L'Europa ci lascia ancora soli sulla questione immigrazione

Da quando si è insediato il governo Conte II, la linea assunta dalla maggioranza giallorossa sul fronte immigrazione è stata da sempre quella diretta a chiedere una maggiore cooperazione all'Ue soprattutto con l'introduzione di un meccanismo obbligatorio dei ricollocamenti. Un sistema questo che consentirebbe di “smaltire” i migranti giunti in Italia nei Paesi membri dell'Unione Europea in base a specifiche quote. 

Ad oggi quelle richieste sono rimaste solamente parole al vento, nonostante il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese negli ultimi mesi ha più volte ribadito ai media il raggiungimento di importanti accordi capaci di garantire una svolta definitiva. Era il 23 settembre del 2019 quando il capo del Viminale annunciava un cambiamento storico in tema di ricollocamenti grazie alla sua partecipazione al vertice tenutosi a La Valletta.

Che da Roma si sia fatta acqua da tutte le parti lo dimostrano i numeri resi noti sul sito del Viminale: dall'inizio dell'anno ad oggi sono 32.542 i migranti approdati sul territorio italiano. Più del triplo rispetto al 2019. La situazione  al momento non lascia pensare ad una svolta: gli stranieri continuano ad arrivare e le difficoltà legate ai ricollocamenti e ai rimpatri mettono in affanno l’esecutivo lasciato solo dall’Europa.

Il governo italiano è rimasto escluso sia dal negoziato per rinnovare il trattato di Schengen sia dagli accordi per ripartire i migranti tra Stati europei.
L'Italia dunque in questa tornata è stata lasciata ai margini. Da Parigi hanno fatto sapere, tramite una nota dell'Eliseo, che l'intento era quello di coinvolgere inizialmente soltanto i leader di Paesi che hanno già subito attacchi terroristici. E che, dopo questa prima fase, si apriranno le vere discussioni all'interno delle sedi comunitarie. Anche perché la Francia nel 2022 assumerà la presidenza di turno dell'Ue e Macron per quella data vorrebbe arrivare con un nuovo piano di sicurezza pronto e approvato.

Ma la spiegazione fornita dai francesi è apparsa in realtà solo un modo per spegnere sul nascere possibili polemiche con altri governi non invitati. A partire proprio dal nostro. L'assenza dell'Italia potrebbe non essere stata dettata dalla volontà di Parigi di aprire soltanto in un secondo momento il dialogo in sede comunitaria. Al contrario, potrebbe essere figlia di un'esplicita scelta volta a tener fuori Roma dopo l'attentato di Nizza.

La Communauté française de renseignement (Comunità dell’intelligence francese), il nome dato a tutti i servizi segreti della Repubblica francese nel 2000, ha senza dubbio una sede a Roma sotto copertura e verosimilmente non ha mandato rapporti elogiativi al Coordinatore per l’intelligence nazionale presso l’Eliseo e al Comité interministériel du renseignement. 

Non che i nostri servizi siano un colabrodo ma mancando una politica seria dell'immigrazione, e non rispettando neanche la normativa vigente (che è ancora la legge del 30 luglio 2002, chiamata Bossi-Fini), non riescono a fare fronte alle esigenze minime di controllo dato che sono travolti dai continui sbarchi.

A questo problema di fondo si aggiunge “lo sgarbo” che, a ragione o a torto, l’Eliseo è convinto di avere subito quando nel dicembre 2019 l'attuale Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio, allora anche “capo politico” del Movimento 5 Stelle, è andato ad omaggiare i gilet gialli francesi, movimento anti-governativo inizialmente nato per protestare contro l'aumento delle tasse sul carburante e sfociato poi in manifestazioni anche molto violente.

Diffidenza è l'elemento che più sta contraddistinguendo l'atteggiamento verso l’Italia sul tema migratorio. L'attentato di Nizza è però soltanto l'ultimo episodio preso come pretesto: “In realtà il nostro Paese non è ben visto da anni e per tanti motivi – ha dichiarato ad InsideOver il sociologo ed esperto di immigrazione Maurizio Ambrosini – Nel resto d'Europa sanno che la politica non scritta di Italia e Grecia è stata sempre quella di favorire il transito di migranti verso altri Paesi”.

Finita la passerella, spenti i flash dei fotografi, di quel documento redatto dagli Stati che hanno posato davanti allo storico porto maltese non se n'è fatto più nulla: tutte le proposte elaborate in quel contesto non hanno superato l'esame nei tavoli dei governi europei. Un'altra batosta è arrivata poi da Berlino, quando fonti vicine ad Angela Merkel hanno ribadito che la questione ricollocamenti non era prevista tra le priorità del semestre di presidenza tedesco. Le ultime speranze sono state spente sia dal presidente del consiglio europeo Charles Michel, il quale a settembre ha parlato di “altre priorità”, sia dal presidente della commissione europea Ursula Von der Layen che, nel piano europeo sull'immigrazione, non ha fatto cenno ai ricollocamenti.

Con la pandemia, tutto il lavoro sulle misure per contrastare la crisi economica che sta investendo l'Italia e gli altri paesi più colpiti dal virus ha preso il sopravvento ed è diventato in qualche modo cardine della presidenza di turno tedesca, con una Angela Merkel impegnata in prima fila nel ruolo di mediazione tra i paesi Ue sui pacchetti anti-crisi. Nessuno spazio per l'immigrazione, che resta evidentemente tema complicato nei rapporti tra i paesi dell’Unione.

L’Ungheria, per dire, sta minacciando di non approvare nel proprio Parlamento nazionale la parte riservata alle risorse proprie (digital tax, carbon tax ecc) del bilancio Ue legato al recovery fund. Viktor Orban cerca così di bloccare la richiesta del Parlamento europeo di irrigidire le condizionalità che legano l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Basti questa cornice per intendere quanto sia difficile – se non impossibile – chiedere a uno come Orban di accogliere migranti arrivati in Italia.

Roma chiede agli altri paesi dell’Ue “ricollocamenti obbligatori” dei migranti salvati in mare. Ma, a dispetto della chiarezza della domanda, nemmeno questa volta ci sarà una immediatezza nella risposta: è improbabile che l'Unione Europea prenda decisioni in questo senso entro la fine dell’anno. “Non è la mission della presidenza tedesca” di turno fino a dicembre, si apprende da fonti europee.

Fonti : L'HuffPost/ Formiche.net/ IlGiornale

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