Siria, Di Maio: 'Turchia responsabile dell'escalation, si fermi'

La Turchia è il solo responsabile dell'escalation" in Siria e "deve sospendere immediatamente le operazioni militari". Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un'informativa in aula alla Camera, aggiungendo che la soluzione alla crisi siriana non può essere militare, e che l'offensiva turca sta avendo "effetti devastanti sul piano umanitario". L'Italia quindi, oltre alla sospensione delle esportazioni future di armi alla Turchia, avvierà "un'istruttoria dei contratti in essere" con Ankara.

"Voglio sentire anche io il presidente Erdogan - annuncia il premier Giuseppe Conte, spiegando che "non si tratta solo di fermare le forniture militari, tutte le iniziative vanno messe in campo. L'esercito turco deve tornare indietro".

Trump intanto ha dato il via libera alle sanzioni Usa alla Turchia, che colpiscono tre ministri in carica. Si tratta del ministro della Difesa, Hulusi Akar, del ministro dell'Interno, Suleyman Soylu, e del ministro dell'Energia, Fatih Donmez, oltre ai ministeri della Difesa e dell'Energia nel loro insieme.

"Abbiamo salvato dall'occupazione dei terroristi mille chilometri quadrati di territorio" nel nord-est della Siria. "Presto metteremo in sicurezza" l'intero confine turco-siriano "da Manbij al confine con l'Iraq", ha aggiunto Erdogan alle agenzie stampa, confermando così l'intenzione di estendere l'offensiva anche ai centri strategici ancora sotto il controllo delle milizie curde, come Kobane e la 'capitale' del Rojava, Qamishli. "Ci assicureremo che i rifugiati tornino a casa", ha aggiunto il leader turco parlando da Baku, dove si trova per un vertice regionale.

Secondo le Piccole Note l’accordo tra curdi e Assad e la visita di Putin in Arabia Saudita segnalano un punto di svolta in Medio oriente, che rompe il precario, quanto pericoloso, stallo. Una svolta favorita dal ritiro delle truppe americane dalla Siria, ordinato da Trump e stavolta non vanificato.

Ma andiamo per ordine e iniziamo dall’accordo tra curdi e Assad. Un accordo difficile, accennavamo in altra nota, quasi impossibile. Eppure l’impossibile è avvenuto. E i curdi, lasciati soli contro l’avanzata dei turchi nel Nord-Est della Siria, hanno chiesto aiuto a Damasco.

Le forze di Damasco sono entrate nel Rojava curdo, attestandosi in alcuni villaggi, in un posizionamento dinamico che deve tener conto anche delle mosse degli avversari: non cercano lo scontro con i turchi, per evitare una guerra diretta con Ankara.

Secondo le Piccole Note l accordo curdi-Assad e Putin in Arabia Saudita potrebbe cambiare il mondo.Supporteranno i curdi e faranno argine, dovrebbe bastare. Ciò vuol dire che le forze turche hanno uno spazio di manovra limitato, che Erdogan tenterà di sfruttare al massimo, per arrivare a negoziati successivi, ai quali si arriverà, con in mano il massimo possibile.

In questo modo Assad ha fatto un passo per il ripristino dell’integrità territoriale siriana, anche se l’accordo con i curdi ad oggi è solo militare e tradurlo in chiave politica sarà complesso.

La mossa salverà la regione dal mattatoio annunciato, che in fondo andava bene a tanti. La macelleria dei curdi avrebbe permesso ai nemici di Trump di affossarlo.

Certo, di sangue ne scorrerà, ma è da tempo che ciò accade nel silenzio dei media. Infatti, da tempo jet turchi martellano i curdi, mentre l’aviazione americana faceva strame nella Siria meridionale contro l’Isis (es raid turco nel marzo 2018, 30 civili morti; raid Usa del febbraio 2019, 50 civili morti, ma il catalogo è lungo…).

Così, se la crisi è a rischio, potrebbe però favorire la stabilizzazione della regione, ponendo fine allo stillicidio. Ma la vigilanza è d’obbligo.

Il governo turco secondo il giornale ha mediato in questi ultimi anni assieme ai russi, determinando l’avanzata dell’esercito siriano in punti precedentemente occupati dai jihadisti. Migliaia di combattenti, tramite Ankara, hanno deciso di ammassarsi ad Idlib, ultima provincia siriana fuori dal controllo di Assad, e lasciare campo libero alle truppe di Damasco. In cambio, Erdogan ha potuto coltivare il suo progetto per la creazione di una fascia di sicurezza anti curda nel nord della Siria. Un intento che dal leader turco è stato portato avanti prima con l’operazione su Al Bab e poi su Afrin. Ma adesso, con il lancio della nuova missione nel nord della Siria, si potrebbe arrivare ad un nuovo rischio di confronto diretto tra i due Paesi.

Il presidente turco in un editoriale sul Wall Street Journal chiede alla comunità internazionale di sostenere l'operazione di Ankara "o cominciare ad accettare i rifugiati" dalla Siria sottolinea l ansa. "La comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o cominciare ad accettare i rifugiati" dalla Siria. Lo scrive il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal per sostenere le sue ragioni sull'offensiva militare contro i curdi nel nord-est della Siria. "La Turchia sta intervenendo dove altri hanno mancato di agire", è il titolo scelto dal leader di Ankara per il suo intervento sul quotidiano americano. "I flussi di rifugiati siriani, la violenza e l'instabilità ci hanno spinto ai limiti della nostra tolleranza", scrive Erdogan, che ricorda l'impegno del suo Paese nell'ospitare 3,6 milioni di rifugiati siriani e rivendica di aver speso "40 miliardi di dollari per offrire loro educazione, assistenza sanitaria e alloggio". Tuttavia, insiste, "senza supporto finanziario internazionale non possiamo impedire ai rifugiati di andare in Occidente". Erdogan spiega quindi di aver deciso l'offensiva in Siria dopo aver "concluso che la comunità internazionale non avrebbe compiuto i passi necessari" ad affrontare la situazione. "Ci assicureremo che nessun combattente dell'Isis lasci il nord-est della Siria".

"Presto metteremo in sicurezza" l'intero confine turco-siriano "da Manbij al confine con l'Iraq", ha aggiunto Erdogan, confermando così l'intenzione di estendere l'offensiva anche ai centri strategici ancora sotto il controllo delle milizie curde, come Kobane e la 'capitale' del Rojava, Qamishli.
"Ci assicureremo che i rifugiati tornino a casa", ha aggiunto il leader turco parlando da Baku, dove si trova per un vertice regionale.

In meno di una settimana, l'offensiva turca in Siria sembra aver messo in cassaforte un primo risultato: l'allontanamento degli americani, che finora avevano protetto e armato i curdi.Una svolta tanto clamorosa quanto immediata. Così immediata, anzi, da far pensare che non fosse in effetti imprevista."Resteremmo intrappolati tra due eserciti che avanzano, una situazione insostenibile", ha detto il capo del Pentagono Mark Esper per giustificare la ritirata.

A trarne vantaggio secondo l analisi di ansa sono gli altri contendenti nella complicata partita siriana, che ora potrebbe diventarlo un po' meno. Perché la spartizione del Paese in zone d'influenza resta essenzialmente una questione a due tra Erdogan e Putin, mediatore interessato con gli interessi di Assad e dell'Iran. Al punto che alcuni analisti, citando alti funzionari sul terreno, ipotizzano che proprio un accordo di massima tra i leader di Ankara e Mosca sia stato all'origine dell'operazione turca, sulla scia di un obiettivo comune: liberarsi di Trump, a sua volta contento di liberarsi della "guerra infinita" di Siria - anche se un po' meno sembrano esserlo gli apparati militari e di intelligence americani.

Secondo Hassan Hassan, esperto del Center for Global Policies, il do ut des di questa intesa è la possibilità per Erdogan di colpire al cuore i curdi e creare una parziale zona cuscinetto in cui trasferire parte dei rifugiati siriani in cambio del via libera all'affondo finale dei lealisti su Idlib, i cui profughi si riverserebbero nel nuovo 'protettorato' turco. In attesa di capire fino a che punto potrà esserci - se ci sarà - un confronto militare tra le truppe di Erdogan e quelle di Assad, la riduzione del numero (e del peso) dei fattori coinvolti potrebbe essere cruciale per risolvere la complessa equazione siriana, proprio mentre il caos sembra prevalere.

Tra due settimane, come il Cremlino ricorda a ogni piè sospinto, è prevista a Ginevra con la mediazione Onu la prima riunione della Costituente siriana, attesa da anni. Tra i suoi 150 membri erano già stati esclusi i rappresentanti del Rojava, che pure copriva circa un terzo del territorio siriano.

Quasi un preludio alla marginalizzazione manu militari. Cooptati ora nel rinnovato "abbraccio della patria siriana", i curdi potrebbero salvarsi, sacrificando però il loro ambizioso progetto autonomista. Con la benedizione di Trump.

 

 

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI