Le strategie di Salvini e Di Maio dopo le elezioni in Sardegna

All'indomani delle elezioni regionali in Sardegna va in scena la tregua armata tra Movimento 5 stelle e Lega. Dopo la cocente sconfitta subita a metà febbraio in Abruzzo, i pentastellati incassano una nuova débâcle a livello locale. Il malumore della base è sempre più tangibile. Così il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, alza la posta per rilanciare la sua leadership, accelerando su una serie di svolte che fa sapere di volere imprimere al M5s: sul blog, nel giro di pochi giorni, gli iscritti dovrebbero votare l'istituzione dei referenti locali fulcro della nuova organizzazione, l'apertura a liste civiche e la deroga ai due mandati per i consiglieri comunali.

Anche in seno alla Lega, il voto in Sardegna induce - pur con altri umori - alla riflessione. E allora, mentre Di Maio non vuole sentire parlare di ricadute sul governo, anche Matteo Salvini predilige toni bassi: entrambi garantiscono che gli equilibri dell'esecutivo giallo-verde non cambieranno. Salvini guarda i numeri, sa che senza l'apporto dell'intera coalizione di centrodestra la Lega, al momento, potrebbe non vincere in autonomia. E forse è questa riflessione a sconsigliare fughe in avanti leghiste.

Il segretario della Lega, Matteo Salvini commenta così il voto in Sardegna. "Ma per il governo non cambia nulla", ha aggiunto. "Con Luigi Di Maio ci siamo messaggiati, e ci vedremo a breve per i prossimi passaggi economici. Non c'era bisogno che lo confortassi io".  

«Dalle politiche a oggi se c’è una cosa certa è che su sei consultazioni elettorali, la Lega vince 6 a zero sul Pd - dice Matteo Salvini al voto in Sardegna - Anche in Sardegna, dopo il Friuli, il Molise, Trento, Bolzano e l’Abruzzo i cittadini hanno scelto - aggiunge il leader della Lega, a spoglio ancora in corso - di far governare la Lega. E come in Abruzzo anche in Sardegna è la prima volta che ci presentiamo alle Regionali». «Grazie a tutti quelli che hanno deciso di darci fiducia» conclude.

le rassicurazioni pero di Salvini, sulla volontà di mantenere l'alleanza giallo verde, per il M5s potrebbero essere insufficienti, se la prospettiva resta quella di una lenta ma costante erosione del consenso tra i propri elettori. Il leader della Lega lo sa ma non può farci nulla anche perchè una parte dei consensi perduti da Di Maio se li è accaparrati proprio lui. E certo non gli è dispiaciuto. Ma Salvini ha bisogno di andare avanti con i 5 Stelle. E farà di tutto per riuscirci. 

Di tornare a mettersi d'accordo con i suoi vecchi alleati del centrodestra - con Berlusconi ma anche con giorgia Meloni -non ha alcuna voglia. Anche perchè in quel caso non ci sarebbe l'escamotage del contratto, per rinviare temi spinosi e gli toccherebbe scendere a compromessi mentre il M5s dall'opposizione gli sparerebbe addosso. Restare con Di Maio però non sarà facile. Più il leader penta stellato sarà in difficoltà e piu sarà difficile fare ulteriori concessioni alla Lega. Ecco perché la vittoria per Salvini rischia di trasformarsi in un peso destinato a gravare sulla vita del governo. 

Prima o poi si dovrà decidere sulla tav; prima o poi il verdetto sulle autonomie delle Regioni verra emesso. Improbabile che finisca pari e patta. Qualcuno perderà e rimarrà bruciato. 

La Lega si è fermata al 11,8 per cento, dietro il Pd, che ha preso il 13 per cento. Non è una battuta d'arresto, considerato che si ipotizzava di arrivare almeno al 20 per cento.  "Vi pare poca roba? Vorrei averne altri di flop così", ha risposto Salvini, guardando il bicchiere mezzo pieno, ovvero la vittoria ampia della coalizione.

Nessuna preoccupazione anche dal premier Giuseppe Conte: «Non mi pronuncio sulle valutazioni politiche» del voto in Sardegna «ma non dobbiamo enfatizzare il ruolo di elezioni regionali: sono importanti per la Sardegna e offriranno degli spunti agli eletti ma sicuramente non ritengo che dagli esiti possano derivare conseguenze sul governo nazionale», spiega a margine del vertice Ue-Lega Araba. Più sfumata la posizione di Giancarlo Giorgetti: «Noi andiamo avanti per la nostra strada, gli elettori ci premiano, se altri hanno qualche problema è giusto che decidano loro come risolverlo», afferma il sottosegretario margine di un forum con investitori e analisti della City organizzato all’ ambasciata d’Italia dallo studio legale Legance.

Il tonfo dei Cinque Stelle in Sardegna, dopo quello in Abruzzo, dimostra che gli italiani stanno rinsavendo, stanno riaprendo gli occhi. E che il futuro è del centrodestra unito. Così Silvio Berlusconi, convinto che il voto di domenica abbia ridimensionato la Lega di Salvini, che non sarebbe autosufficiente.

"Gli italiani vogliono cambiare", diceva Antonio Tajani a poche ore dalle prime notizie sul voto sardo riferendosi ad una alleanza di governo giallo-verde piuttosto atipica rispetto ai risultati elettorali regionali. Ma Salvini, per ora, non sembra intenzionato a cambiare né idea né partner di governo. "Io col vecchio centrodestra non tornerò mai, questo deve essere chiaro", declina oggi il ministro dell'Interno in un'intervista a Repubblica. La dichiarazione sembra senza appelli né ripensamenti. "Governiamo insieme nelle regioni, nei comuni - spiega - Ma finisce lì".

Le difficoltà ci sono e il governo trema. Salvini, però, prova a tendere una mano al collega grillino. "È stato un voto locale, che non incide affatto sulle scelte nazionali", sostiene. "Io non mi sento più forte e Luigi non deve sentirsi più debole". In politica però non si regala nulla in cambio di niente. È evidente che oggi il leghista ha più vigore del grillino ed è improbabile che non lo faccia pesare sui temi che contano, come la Tav: "Farò di tutto - avverte - perché l'opera si realizzi".

Da ieri Salvini ripete come un matra che "va tutto bene, andremo avanti" e resta sordo ai richiami (giustificati) del centrodestra. A livello locale funziona, ma su quello nazionale per il ministro "giochiamo con altri schemi". Lui intende "rispettare" l'alleanza di governo e "l'impegno preso con i cittadini". Intanto, però, il centrodestra continua a volare e il M5S a cadere senza sosta. E dopo le Europee? "Ho dato la mia parola e la mia parola vale 5 anni e non cinque mesi".

Il tema, a suo giudizio, non è tanto pensare alla crisi, quanto lavorare sulla Basilicata, dove il candidato del centrodestra alle regionali di fine marzo è di Forza Italia. "Il centro-sinistra ha confermato di essere in crisi di idee, di uomini, di consenso. I Cinque Stelle hanno finalmente imboccato la strada di un declino irreversibile che si aggrava man mano che il Paese si rende conto della loro totale inettitudine".

Di Maio annuncia novità in arrivo: "Andremo avanti con la riorganizzazione e tra domani e dopodomani ci saranno novità importanti per il Movimento". E precisa: "Questa riorganizzazione non è una cosa per il M5s: servirà agli italiani perche noi siamo al governo ed abbiamo decine di istanze che arrivano dal territorio nazionale. La riorganizzazione ci aiuterà ad essere più capillare a rispondere alle esigenze dei cittadini". Tra le proposte al vaglio anche l'apertura alle liste civiche. Di Maio però avverte: "Bisognerà iniziare in maniera sperimentale. La cosa importante è che se ne discuta prima di tutto con i nostri iscritti", alludendo al referendum in preparazione su Rousseau.

"È inutile che si confronti il dato delle amministrative con le politiche: noi a livello amministrativo abbiamo sempre avuto risultati diversi da quello nazionale ed anche il questo caso la Sardegna non fa eccezione. Se si guarda agli altri partiti il M5s è in linea con tutte le altre forze politiche", conclude il leader dei cinquestelle.

Il prossimo appuntamento è a fine marzo, con le elezioni in Basilicata. Nonostante il M5s abbia cominciato a puntarci con decisione, il voto potrebbe veder trionfare una volta in più il centrodestra e la Lega, a due mesi dalla sfida cruciale delle elezioni europee. Una sfida per la quale, nel M5s, l'obiettvo principale è raggiungere il 25% che, secondo i sondaggi, i cinque stelle ancora non raccolgono in tutto il Paese. In seno al Movimento prevale il realismo. 

Anche perché, a taccuini chiusi, la definizione del voto sardo non ha mezze misure: anche se secondo alcuni era nell'aria, «è stata una débâcle». Il tema che affiora, in queste ore, è un cambio della comunicazione della linea movimentista. La sindrome di schiacciamento filo-leghista vede concordare un numero via via maggiore di parlamentari e l'esigenza, anche dalle parti dei vertici, è ora recuperare i toni moderati che permisero a Di Maio il salto oltre la soglia del 30% alle elezioni politiche.

 

 

 

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