L'emergenza povertà irrompe al centro dei dibattiti politici

Dopo un lungo periodo di silenzio, dentro e fuori gli schieramenti, impegnati in una guerra di proposte per fronteggiare l'indigenza e creare una rete di sostegno per coloro che sono stati esclusi dal mondo del lavoro. Un tema che si fa ancora più caldo nella settimana che vedrà approdare in Aula a palazzo Madama la legge delega sul contrasto alla povertà.

Dal “piano Marshall per le famiglie” al “lavoro di cittadinanza” ecco le proposte in campo e i costi per la loro realizzazione.

Il principio di fondo è che “Nessuno deve rimanere indietro”. Il che per i grillini si traduce nell’introduzione del reddito di cittadinanza per tutti quelli che vivono al di sotto della soglia di rischio povertà. La proposta presentata nel 2013, prevede aiuti “per un valore pari ai 6/10 del reddito medio equivalente familiare (15mila euro nel 2013), quantificato per la persona singola nell'anno 2014 in euro 9.360 annui e euro 780 mensili”, sostiene il Movimento 5 Stelle.

Il beneficio medio “è pari a 12.175 euro l'anno per le famiglie molto povere con meno del 20 per cento della linea di povertà e decresce all'aumentare del reddito fino a circa 2.500 euro per le famiglie con redditi compresi fra il 60 e l'80 per cento della linea di povertà”

Il ‘nuovo welfare' di Forza Italia punta alle fasce più deboli, ma Silvio Berlusconi parla di un aiuto ai nuclei familiari anziché alle singole persone. Da qui la definizione “Piano Marshall per le famiglie”. Attraverso lo strumento dell'Isee, ovvero l'indicatore della situazione economica, si punta - spiegano fonti parlamentari di FI - a individuare una soglia di povertà sotto la quale non è possibile andare e ad integrare il reddito di chi lavora all'interno del nucleo familiare con un assegno di 'sopravvivenza'. Per quelle famiglie che non hanno alcuna fonte di reddito è previsto un assegno e un intervento con un percorso guidato per arrivare a una occupazione. Le risorse arrivano da:

  • una riduzione delle tasse
  • una crescita dei consumi e del lavoro

·         Allo studio anche "la Negative Income Tax - o imposta negativa sul reddito - ideata dall'economista liberista Milton Friedman, che consiste in un sistema progressivo di tassazione nel quale ha redditi sotto una ceta soglia riceve una somma supplementare dallo Stato invece di pagare", si legge su il Giornale. 

Il piano, che sarà messo a punto nelle prossime settimane, costerebbe circa 10 miliardi. 

Negli ultimi mesi il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta ha illustrato una proposta di legge che garantisca lavoro per tre mesi a tutti coloro che lo richiedano. E un’indennità di disoccupazione per altri tre mesi.

Il costo preventivato si aggirera sui 10 miliardi di euro annui.

Cosi dal cilindro della sua campagna elettorale l ex Premier Renzi permanente ha tirato fuori tre proposte il cui costo complessivo potrebbe aggirarsi tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Si tratta del «lavoro di cittadinanza», della «protezione sociale» e del vecchio piano di taglio dell'Irpef.

Uno stipendio fisso senza un lavoro? Una negazione del primo articolo della Costituzione e un attacco alla dignità. Ne è convinto l’ex premier Matteo Renzi secondo cui “garantire uno stipendio a tutti non risponde all'articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione”, ha dichiarato al Messaggero al ritorno dal suo viaggio in California. La controproposta di Renzi - che sembra ricalcare quella di Brunetta - è il “lavoro di cittadinanza” per governare l’innovazione:  “fermare la tecnologia è assurdo, ma è tempo di affrontare i costi della perdita di impiego. Dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare e la risposta non è una rendita universale ma il lavoro di cittadinanza”. L’ex premier dovrebbe svelare i dettagli del suo piano all'incontro sul programma dem previsto per il 10 marzo a Torino. 

 

Il primo progetto è stato definito una «rivoluzione del welfare». In pratica, è una controproposta al reddito di cittadinanza dei grillini con una differenza. L'obiettivo M5S è erogare una sorta di indennità di sussistenza di 780 euro mensili a coloro che sono sotto la soglia di povertà e viene revocato dopo il rifiuto di tre proposte di lavoro. Il costo stimato è di 15 miliardi. Il «lavoro di cittadinanza», invece, non si sa ancora cosa sia ma l'ha sperimentato Nichi Vendola nella sua ultima fase di governo della Puglia: cercare di ricollocare all'interno delle pubbliche amministrazioni o del terzo settore che svolge servizi per conto della pa coloro che percepiscono sussidi di disoccupazione così da garantire un reddito minimo di 500 euro mensili a coloro che svolgono queste mansioni. In Italia a fine dicembre i disoccupati, secondo l'Istat, erano 3,1 milioni. Garantire loro almeno 6mila euro l'anno tramite un'occupazione pubblica o parapubblica costerebbe come minimo 18,6 miliardi.

 

Il secondo punto è la «protezione sociale», un omologo della protezione civile che dovrebbe occuparsi dell'assistenza degli esclusi dal mondo del lavoro. Un decreto attuativo del ddl povertà (varato sotto il governo Renzi e concluso da Gentiloni) prevedrà la distribuzione di una card da 400 euro mensili a 1,7 milioni di famiglie a basso reddito di giovani con figli minori e di ultra 55ennni che hanno erso il lavoro. Costo stimato circa 2 miliardi da recuperare tramite la webtax sul fatturato dei colossi digitali. Quando la propose Enrico Letta, Renzi la bocciò. Oggi torna utile. Il catalogo si arricchisce, poi, con una vecchia promessa ribadita ieri sera a Che tempo che fa. «Stiamo lavorando al piano del taglio dell'Irpef per i prossimi cinque anni», ha dichiarato. Tanto per ricordare: una lieve smussatura dell'imposta vale già 3,5 miliardi.

Di tutte queste ipotesi, per ora campate per aria, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, non ha tempo per occuparsi. La sua insofferenza, denunciata dal quotidiano il Giornale, qualche giorno fa comincia a ingigantirsi visto che le proposte di manovra correttiva fondate su incremento delle accise tabacchi e/o benzina sono state fermate dallo stesso Renzi. Mentre lo split payment, cioè l'inversione dei versamenti Iva, sebbene efficace potrebbe non avere l'ok dell'Europa che non si accontenterebbe nemmeno di una generica lotta all'evasione. Certo, il titolare del dicastero di Via XX Settembre smentisce seccamente l'intenzione di gettare la spugna, ma l'irritazione è molto forte. «In tre anni mai avute procedure di infrazione europea. Sono convinto che non ci sarà una infrazione, è giusto che Padoan abbia tutte le rassicurazioni ma l'Europa dovrebbe avere un'anima», ha detto ieri sera Renzi per svelenire il clima dando la colpa, ancora una volta, all'Europa.

E secondo quanto emerge dalla ricerca condotta in collaborazione con Swg rileva, il 77% degli italiani il 64% degli europei ritiene che l'appartenenza all'Ue non abbia portato alcun vantaggio particolare. Una bocciatura su tutta la linea. Certo, nel rapporto si legge anche che per il 57% degli italiani e per il 53% degli europei fuori dall'Ue si starebbe peggio, ma non sono certo percentuali di cui andare fieri. Il 57% è la maggioranza, certo. Ma non è sinonimo di amore tra cittadini e istituzioni Ue.

I cittadini europei, e in particolare gli italiani, sono infatti largamente insoddisfatti dell'Unione europea e chiedono che Bruxelles cambi passo su temi chiave come la gestione dell'immigrazione, lo sviluppo dell'occupazione e la lotta al terrorismo. Lo rileva l'indagine demoscopica illustrata alla Camera in occasione del quarto "Strategy council Deloitte", dedicato al tema "Unione europea oggi: ancora un'opportunità?"

 

 

 

 

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI