Timori di un attacco”, chiusi ambasciata e consolato tedeschi in Turchia

L'ambasciata tedesca ad Ankara e il consolato tedesco a Istanbul sono rimasti chiusi oggi per una possibile minaccia di sicurezza. Lo conferma il ministero degli Esteri di Berlino, aggiungendo che per gli stessi motivi è stata chiusa anche la scuola tedesca a Istanbul. Secondo un messaggio inviato ai residenti, la decisione è giunta a seguito di una minaccia "non verificabile in modo definitivo".

Secondo indiscrezioni, le chiusure precauzionali sarebbero legate a una minaccia specifica diretta alle rappresentanze diplomatiche e agli interessi tedeschi in Turchia. Non è esclusa tuttavia la chiusura di sedi diplomatiche di altri Paesi. L'ambasciata di Berlino ad Ankara è confinante con quella italiana. Sempre ad Ankara risulta chiusa anche la vicina scuola tedesca, dove ieri pomeriggio gli artificieri turchi avevano fatto brillare uno zaino sospetto abbandonato nel cortile. Nella borsa era poi risultato esserci solo del cibo. A Istanbul, la scuola e il consolato tedeschi si trovano entrambi in una zona molto centrale, nei pressi di piazza Taksim e viale Istiklal. Già martedì l'ambasciata tedesca ad Ankara aveva messo in guardia i propri concittadini su possibili nuovi imminenti attentati nella capitale turca, dopo quello che domenica ha provocato 37 vittime a una fermata dell'autobus in pieno centro.

Intanto il gruppo estremista curdo Tak (Falconi per la liberazione del Kurdistan) ha rivendicato l’attacco compiuto domenica con un’autobomba nel centro di Ankara, che ha ucciso 37 persone. Il Tak la definisce una «azione di vendetta» per le operazioni militari in corso da luglio nel sud-est a maggioranza curda del Paese. Si tratta dello stesso gruppo che aveva rivendicato l’attentato del mese scorso contro i militari sempre ad Ankara, che aveva provocato 29 vittime.

Il Tak si definisce indipendente dal Pkk, da cui comunque provengono i suoi membri. Secondo il governo turco l’autobomba di domenica è stata fatta esplodere dalla kamikaze 24enne Seher Cagla Demir, in probabile collaborazione con un altro attentatore suicida non ancora identificato. Per le autorità la donna si era unità al Pkk curdo nel 2013 e avrebbe anche ricevuto un addestramento militare in Siria dalle milizie curde legate al Pyd. Ankara aveva attribuito una responsabilità congiunta al Pkk e al Pyd anche per l’attacco del 17 febbraio vicino al quartiere generale dell’esercito nella capitale turca. I due attentati si sono svolti con modalità simili e, secondo gli investigatori, anche il tipo di esplosivo utilizzato - un mix di tritolo, ciclonite e nitrato di ammonio - è risultato molto simile.

"Abbiamo avuto indicazioni concrete di un possibile attacco alle rappresentanze tedesche in Turchia". Lo ha detto il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier a Berlino incontrando la stampa per uno statement. "Per questo - ha spiegato - nella notte ho deciso la chiusura" delle sedi diplomatiche. "Si tratta di una misura comunque precauzionale", ha aggiunto.

Intanto e il giorno del vertice europeo sui migranti, ma dopo le condizioni poste dalla Turchia c’è molto lavoro da fare per trovare un’intesa con l’Europa. Sull’intesa Ue-Turchia «sono cautamente ottimista, ma francamente, più cauto che ottimista», ha spiegato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. «Solo se lavoriamo tutti assieme in modo coordinato e restiamo calmi, raggiungeremo il successo», avverte a poche ore dall’inizio del vertice dei leader dei 28.

Stando alla bozza di intesa con Ankara circolata ieri sera l’offerta europea è più magra delle richieste avanzata dai messi di Erdogan il 7 marzo. L’Europa non s’impegna per l’accelerazione dell’apertura dei capitoli per l’adesione (Cipro non vuole) e non si sbilancia sui 3 miliardi extra, né sull’anticipazione della liberalizzazione dei visti. Il vento è cambiato in dieci giorni, «l’offensiva ha generato una controffensiva», concede un diplomatico.

Il piano intavolato dall’ex Sublime Porta - e accettato in principio nel primo vertice di marzo - prevede che per ogni siriano rispedito in Turchia dalla Grecia l’Europa debba accogliere un profugo ospitato dai campi profughi anatolici. Il problema è che i margini di ridistribuzione europea si formano a quota 72 mila. Oltre questa soglia, in apparenza insufficiente, siamo in terra incognita.

Il regolamento Dublino III «consente agli Stati membri di inviare un richiedente protezione internazionale in un paese terzo sicuro, indipendentemente dal fatto che si tratti dello Stato membro competente per l’esame della domanda o di un altro Stato membro». Lo ha stabilito oggi la Corte di giustizia Ue esaminando d’urgenza il caso di un migrante pakistano richiedente asilo fermato in Repubblica ceca e rimandato in Ungheria, Paese di primo ingresso in Ue, che a sua volta ha deciso di rimandarlo in Serbia da cui era arrivato.

Il cittadino pakistano Shiraz Baig Mirza, seguendo la prima rotta balcanica dei migranti, è entrato illegalmente in Ungheria attraversando la frontiera con la Serbia lo scorso agosto. Dopo aver presentato domanda di protezione internazionale in Ungheria ha però lasciato il Paese, quindi le autorità hanno chiuso l’esame della domanda. L’uomo, mentre stava cercando di raggiungere l’Austria, è stato bloccato in Repubblica ceca, che ha chiesto all’Ungheria di riprendersi il migrante. Questa ha accettato, e Mirza, riportato in Ungheria, ha ripresentato domanda di asilo. Budapest ha però deciso di non esaminare la richiesta nel merito, in quanto ritiene che la Serbia, da cui è arrivato il pakistano, sia un Paese terzo sicuro. L’uomo, ora in un centro chiuso, ha allora presentato ricorso.

Secondo la Corte Ue, il diritto di inviare un richiedente protezione internazionale in un paese terzo sicuro «può essere esercitato» da uno Stato membro che si dichiari competente per l’esame della domanda anche se la persona ha lasciato il Paese prima che questa sia stata esaminata. Inoltre, secondo le regole di Dublino III, l’Ungheria non è obbligata a informare la Repubblica ceca sulle sue norme nazionali che prevedono il rinvio del migrante in un Paese terzo sicuro. Allo stesso tempo viene garantito il diritto al migrante di fare ricorso contro la decisione di trasferimento e contro la decisione sulla domanda di protezione internazionale. Lussemburgo precisa, però, che il diritto dell’aspirante rifugiato a ottenere una decisione definitiva sulla sua domanda di protezione, «non comporta né che lo Stato membro competente sia privato della possibilità di dichiarare la domanda irricevibile» e né che gli venga «imposto di riprendere l’esame della domanda a una fase particolare della procedura».

 

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