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Sergio Mattarella scioglierà le Camere?  I rumors che serpeggiano a Palazzo Chigi dicono che Gentiloni non salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Dichiarerà, piuttosto, "esaurito" il proprio compito.In questo modo, Mattarella potrà chiedergli di portare a termine "gli affari correnti" lasciandolo così, formalmente, ancora in carica

Ma si sapra, soprattutto, quando si andrà a votare. Agli italiani, va da sé, interessa solo quest'ultima data. Anche perché negli ultimi anni non hanno visto tanti governi eletti. La road map prevederebbe lo scioglimento del parlamento il 27 dicembre e le elezioni politiche il 4 marzo.

Che sia tutto finito lo si sa ormai da tempo. Il punto è solo capire quando. Quando il premier Paolo Gentiloni farà un passo indietro. 

"Votare il 4 marzo? Ci va benissimo: prima si vota, meglio è". Il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha commentato così l'ipotesi di convocazione delle elezioni Politiche il 4 marzo, pubblicata su alcuni quotidiani nazionali. Contattato dalle agenzie di stampa, Salvini ha aggiunto di essere però anche "favorevole all'election day: bisogna votare lo stesso giorno anche per le Regionali, non farlo sarebbe uno spreco di denaro, una follia

Silvio Berlusconi, tassello dopo tassello, continua a comporre il mosaico del centrodestra che verrà, ma soprattutto a rimettere al centro del suo progetto politico la lotta contro l'oppressione fiscale rilanciando la riduzione delle imposte come fattore di libertà per il cittadino. Un ritorno allo spirito del '94 perseguito in maniera assidua, costante e approfondita.

L'attenzione si concentra poi sulla futura compagine parlamentare di Forza Italia. «Noi abbiamo subito diverse scissioni anche perché non ero in Parlamento perché cacciato dal Senato, siamo circa 100 e solo la metà verrà ripresentata, ovviamente con il loro consenso. Siccome ne presenteremo 600 di questi 50 hanno già fatto politica mentre 550 no. Abbiamo pensato a un governo composto ipoteticamente da 20 ministri magari qualcuno di più, in cui 12 dovranno essere protagonisti della vita vera e solo 8 posti ai politici. Ne ho parlato con Salvini che si è detto assolutamente soddisfatto. Ho incontrato in questi giorni un personaggio che sarebbe perfetto come responsabile dell'innovazione».

«Le tasse sono il modo in cui uno Stato diminuisce le libertà dei propri cittadini» dice a Tgcom24. «Evitare l'elusione e l'evasione significa per lo Stato introitare molto di più. Con la flat tax si arriva ad applicare l'equazione liberale del benessere. Stiamo subendo una oppressione fiscale. Se lo Stato ci chiede un terzo dei guadagni ci sembra giusto. Oltre no». E snocciola un po' di numeri: «C'è un 44% di pressione fiscale ed è una percentuale altissima. Per gli imprenditori si sale ancora. Io pago il 73% per quanto riguarda le mie aziende. La flat tax costituisce per noi una riforma assolutamente indispensabile. 

Abbiamo un Centro studi del pensiero liberale che la sta studiando. La flat tax è stata introdotta dagli inglesi a Hong Kong nel 1947 e ha ottenuto risultati talmente positivi che l'ha mantenuta in vita anche il successivo governo della Repubblica Popolare Cinese. Questo modello è stata introdotto in tanti paesi del mondo». Sempre sul tema tasse Berlusconi fa sapere che una volta tornato al governo intende «eliminare la tassa di successione e di donazione in vita, come fatto quando eravamo al governo, così come il bollo auto sulla prima auto». Tuttavia, puntualizza, «ci sarà un limite di esenzione», perché «non si può andare in Ferrari e pretendere di essere esentati dal bollo». Così come Berlusconi promette «detassazioni su apprendistato e assunzioni per tre anni».

Il leader di Forza Italia torna a mostrare l'albero della libertà, ovvero il programma del centrodestra in versione grafica. «È un bell'albero, che ho disegnato in una notte insonne. Affonda le solide radici nei nostri valori cristiani e liberali che ci legano al Ppe», spiega il Cavaliere. E fa sapere che a breve tutto sarà pronto con gli alleati. «Questa settimana riuniamo un tavolo di tecnici per dare l'ok definitivo a quel programma. Poi ci troveremo noi, Matteo, la Giorgia e qualcuno della quarta gamba per porre la parola fine sul programma».

La flat tax è nei suoi pensieri dal lontano 1994 quando la propose lavorandoci con Antonio Martino, massimo esperto italiano della materia nella qualità di allievo e amico del premio Nobel, Milton Friedman. 

Silvio Berlusconi questa volta è  più che mai deciso ad andare fino in fondo, intende calare questo asso sul tavolo elettorale, non vuole sentire la frase «non possiamo farlo» né vuole che sia percepita come una ipotetica dell'irrealtà o una semplice suggestione. Prova ne è che proprio in questi giorni sta analizzando un dossier redatto dai giovani studiosi del Centro Studi del Pensiero Liberale di Francesco Ferri.

Berlusconi è sempre più convinto che serva una svolta per il rilancio del sistema economico italiano e conta sul suo carisma e sui rapporti con il Ppe per avere un via libera da Bruxelles, forte dei buoni risultati che la flat tax ha ottenuto in diversi Paesi dell'Est dove si è diffusa a macchia d'olio dopo la caduta del Muro e la fine dell'Unione Sovietica, anche per attirare investimenti esteri (nell'ordine Estonia, Lettonia, Lituania, Russia, Slovacchia, fino a quella ungherese voluta da Viktor Orbán con il boom economico e l'abbattimento della disoccupazione).

Naturalmente il piano di Forza Italia non è definitivo (resta da stabilire il perimetro della no tax area - 10mila o 13mila euro - e l'aliquota, 23 o 25%). Da chiarire anche i tempi di applicazione. La flat tax potrebbe partire subito con una aliquota unica (con una compensazione sui redditi più alti e un contributo di solidarietà) oppure con un piano di implementazione progressivo. In questo secondo caso le aliquote dovrebbero essere tre per il primo e secondo anno di governo. Il terzo e quarto anno di governo diventerebbero due. 

Fino ad arrivare a pieno regime all'aliquota unica nell'ultimo anno di legislatura, con il doppio vantaggio di tasse più basse sul reddito di privati e imprese, ma anche con una radicale semplificazione dell'intero sistema tributario. Una strategia per ridurre in maniera decisa la zavorra fiscale che impedisce al nostro Paese di crescere anche in periodi di ciclo economico positivo, riducendo la convenienza stessa dell'evasione fiscale.

La flat tax è solo un tassello nel mosaico di proposte che Berlusconi sta preparando con i suoi collaboratori e con il Centro Studi del Pensiero Liberale (il presidente di Forza Italia peraltro dell'argomento ha riparlato con Giuseppe Moles, braccio destro di Antonio Martino, mentre Ferri ha invitato a Villa Gernetto a uno degli incontri del Centro Studi con Berlusconi anche Antonio Marzano). 

L'idea è quella di creare un ponte tra passato e presente utilizzando le energie migliori per un progetto ambizioso su cui - su un altro versante politico - ha lavorato molto anche l'economista di Noi con Salvini, Armando Siri. 

Il centrodestra, insomma, fa squadra per arrivare all'obiettivo finale. Gli altri dossier riguardano la moneta complementare da affiancare all'euro; gli strumenti per la facilitazione del fare azienda; le proposte per la conciliazione famiglia-lavoro; gli incentivi per l'assunzione dei giovani. Ma è chiaro che la «tassa piatta» rappresenta quell'idea forte in grado di smuovere dal torpore l'elettorato, offrendo l'opportunità di rivoluzionare il fisco ed entrare nella storia.

Gli alleati, però, al epoca non ci consentirono di realizzarla». Oggi le condizioni sono cambiate visto che Matteo Salvini è uno strenuo sostenitore della «tassa piatta», mentre Giorgia Meloni è ugualmente favorevole anche se preferirebbe un periodo di sperimentazione di due anni sul solo reddito incrementale con una aliquota del 15%.

Il presidente Donald Trump nelle prossime ore riconoscerà Gerusalemme quale capitale di Israele e darà indicazione al Dipartimento di Stato di avviare l'iter per il trasferimento della ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

Le forze di sicurezza israeliane si stanno preparando a eventuali scontri con i palestinesi a Gerusalemme est e in Cisgiordania dopo l'annuncio ufficiale del presidente americano Donald Trump in cui Gerusalemme viene riconosciuta come capitale dello Stato di Israele. Un funzionario militare ha fatto sapere che l'esercito israeliano "è pronto a una possibile escalation" incluse violente proteste. Nella notte, nella città di Betlemme, sono stati dati alle fiamme i manifesti di Trump nel corso di una manifestazione iniziata dopo la conferma da parte della Casa Bianca che Trump oggi riconoscerà Gerusalemme come capitale israeliana. Il presidente americano infatti dovrebbe annunciare oggi lo spostamento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme anche se non avverrà immediatamente. Funzionari palestinesi hanno avvertito che la mossa "ucciderà" ogni possibilità di un accordo di pace tra Israele e i palestinesi, che considerano Gerusalemme Est come la capitale del loro futuro stato.

La mossa degli Stati Uniti su Gerusalemme capitale d'Israele spostando l'ambasciata ha suscitato un gran vespaio. Forti timori espressi dall'Ue, Turchia e Lega Araba.

La rottura di un equilibrio precario ma consolidato come quello della Terra Santa, rischia di dover rimodulare il Medio Oriente e rischia, in ultima analisi, di compattare il mondo musulmano come forse mai nessuno era riuscito a fare negli ultimi anni. Ma rischia anche di isolare ancora di più gli Stati Uniti e di dare il colpo di grazia alla stessa sicurezza di Israele, che può vivere in pace soltanto cercando di vivere con un compromesso più o meno chiaro con gli Stati a maggioranza musulmana che lo circondano, così come con il popolo palestinese. La scelta unilaterale di tipica matrice trumpiana può essere quindi un’arma a doppio taglio anche per lo stesso Stato di Israele, che adesso si ritroverà ancora più isolato e probabilmente senza l’appoggio dei suoi nuovi amici del Golfo.

L'ambasciata americana in Israele non sarà spostata a Gerusalemme prima di sei mesi. Lo riportano fonti dell'amministrazione Usa, sottolineando come Donald Trump firmerà una proroga che lascerà la rappresentanza diplomatica almeno per un altro semestre a Tel Aviv.

Il mio pensiero va ora a Gerusalemme. Al riguardo, non posso tacere la mia profonda preoccupazione per la situazione che si è creata negli ultimi giorni e, nello stesso tempo, rivolgere un accorato appello affinché sia impegno di tutti rispettare lo status quo della città, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite". Così il Papa in udienza generale, invitando a "saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti".  

"Gerusalemme - ha detto il Pontefice nel suo appello - è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, che in essa venerano i Luoghi Santi delle rispettive religioni, ed ha una vocazione speciale alla pace". "Prego il Signore - ha concluso Francesco - che tale identità sia preservata e rafforzata a beneficio della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero e che prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti".

La posizione britannica su Gerusalemme non cambia": lo status della Città Santa può essere definito solo "attraverso un accordo negoziato fra israeliani e palestinesi" e "in ultima analisi deve diventare capitale condivisa dello Stato d'Israele e d'uno Stato palestinese". Così la premier Tory, Theresa May, rispondendo oggi ai Comuni a una domanda di un deputato laburista critica sulla decisione del presidente Usa, Donald Trump, su Gerusalemme. May ha peraltro precisato che Trump non ha parlato con lei di tale decisione. 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invitato i 57 Paesi membri dell'Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) a riunirsi tra una settimana (il 13 dicembre) a Istanbul per un summit straordinario sull'attesa decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Lo ha reso noto il suo portavoce, Ibrahim Kalin, spiegando che Erdogan ha avuto in queste ore contatti telefonici in merito con il suo omologo palestinese Abu Mazen e i leader di Iran, Arabia Saudita, Qatar, Tunisia, Pakistan, Indonesia e Malesia. 

La mossa di Trump rischia di essere un errore strategico per la politica estera americana e, probabilmente, anche per lo stesso Stato di Israele. Nel caos generato dalle forze Usa in tutto il Medio Oriente, con la drammatica guerra in Iraq e la sconfitta politica in Siria, le ultime mosse dell’amministrazione Trump sembravano quantomeno orientate verso la creazione di un blocco tra Paesi arabi, Israele e  Stati Uniti che contrastasse l’avanzata dei nuovi attori mediorientali, in particolare l’Iran, e con un occhio di riguardo anche nei confronti della Turchia, Paese che ormai cerca in ogni modo di occupare una posizione di leadership all’interno della regione. Una politica estera caotica ma che aveva uno scopo, cioè dividere il fronte musulmano, imporsi come potenza leadership del blocco delle monarchie del Golfo Persico insieme a Israele e imporsi come muro nei confronti degli eventuali avversari regionali. 

Finora, le mosse Usa sono state un po "grossolane", specie in Siria, ed hanno permesso che Teheran ne prendesse vantaggio. E sono state grossolane anche con la Turchia, riuscendo a far scivolare un Paese Nato fra le braccia di Mosca dopo che con essa aveva rischiato la guerra. Tuttavia avevano sortito l’effetto di creare dei blocchi misti. Adesso, la scelta di spostare la capitale a Gerusalemme, crea problemi non irrilevanti nei rapporti degli Stati Uniti e di Israele anche con gli stessi alleati del Golfo Persico, che, pur con tutti i rapporti “amichevoli” sul fronte della sicurezza con Israele, mai potrebbero accettare lo spostamento della capitale in quella che è considerata città sacra anche per i musulmani. 

Incurante delle reazioni, Trump porta avanti con la sua politica “America first”. Ha aperto una frattura con l’Onu tirandosi fuori dal patto sui migranti, dall’Unesco per i pregiudizi contro Israele su Gerusalemme e dagli accordi di Parigi contro i cambiamenti climatici. Nello stesso tempo, si distanzia dall’Unione Europea che insiste sulla tesi dei due Stati per Israele e Palestina. Ma non romperà l’alleanza con l’Arabia Saudita anti-Iran.

Il riavvicinamento USA a Israele aveva già avuto come corollario i passi indietro di Trump sull’Iran dopo la distensione e l’accordo nucleare voluti da Obama. Israele, che teme l’Iran più dell’Isis, ha esultato. Tanto più che la sconfitta del Califfato, sunnita, ha “avvicinato” gli iraniani ai confini con Israele nel Golan e ha reso più agguerriti gli Hezbollah, filo-iraniani, in Libano. La decisione di Trump approfondisce il solco con Teheran. 

Tutto il mondo chiede a Trump di non farlo, anche i Paesi arabi moderati che con Israele hanno rapporti diplomatici. Anche la Giordania di Re Abdallah II. E in Europa, la Germania che dopo la Seconda guerra mondiale è tra i membri dell’Unione il più diplomaticamente vicino a Israele. Di fatto il trasloco consisterà in poca cosa. «Il consolato americano si trova già nel cuore di Gerusalemme», disse ai giornalisti” il Sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, prima della visita di Trump in Israele lo scorso maggio. “Basta cambiare la targa, insediare l’ambasciatore e spostare i servizi da Tel Aviv. Sbaglia chi vuol rendere complicata una cosa semplice”. Solo il tempo dirà se la situazione potrà precipitare o se ripartirà il negoziato. 

Continua a salire il bilancio dei dimostranti palestinesi feriti negli scontri odierni con reparti militari israeliani in Cisgiordania, a Gerusalemme est e lungo la linea di demarcazione con Gaza. Da fonti mediche palestinesi il quotidiano israeliano Maariv ha appreso che finora si ha notizia di 114 palestinesi che hanno necessitato soccorsi medici perché feriti da armi da fuoco, o intossicati da gas lacrimogeni o contusi da proiettili rivestiti di gomma.

Due razzi sono stati lanciati dal nord di Gaza verso Israele. Lo ha riferito il portavoce militare israeliano secondo cui entrambi sono caduti all'interno dell'enclave palestinese. Nelle zone israeliane attorno alla Striscia poco prima erano risuonate le sirene di allarme e la popolazione è corsa nei rifugi.

L’annuncio del trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, che Trump ha riconosciuto come nuova capitale di Israele, ha avuto l’effetto di una bomba. Bizzarro destino per un simbolo di pace quale è un’ambasciata. Le poteste del mondo arabo sono solo le prime avvisaglie della Tempesta in arrivo.

Nel dare l’annuncio, Trump ha parlato di un “Tributo alla pace”. Purtroppo rischia di essere un diverso tipo di Tributo: un Tributo di sangue. Infatti alto è il rischio che l’incendio dilaghi, infiammando ancora di più lo scontro di civiltà, immaginato dai neocon e alimentato anche grazie all’apporto del loro avversario necessario, il Terrore globale, ché gli opposti estremismi si alimentano.

Benyamin Netanyahu è tornato a felicitarsi con Donald Trump per il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele "Ha legato per sempre il suo nome con la storia della nostra capitale" e ha rivelato che altri Paesi potrebbero seguire il suo esempio. "Siamo in contatto con altri Paesi affinché esprimano un riconoscimento analogo - ha detto il premier in un discorso al ministero degli Esteri - e non ho alcun dubbio che quando l'ambasciata Usa passerà a Gerusalemme, e forse anche prima, molte altre ambasciate si trasferiranno. E' giunto il momento".

"In seguito ad un esame della situazione da parte dello Stato maggiore, è stato deciso che un certo numero di battaglioni saranno inviati come rinforzo in Giudea-Samaria (Cisgiordania)": lo ha reso noto il portavoce militare israeliano. Le forze armate hanno messo in stato di allerta anche altre unità, ha aggiunto, "per far fronte a possibili sviluppi" legati alle proteste palestinesi per il riconoscimento Usa di Gerusalemme come capitale di Israele

Hamas ha lanciato un appello per una nuova Intifada, mentre Netanyahu ha annunciato che altri paesi seguiranno l'esempio degli Usa, spostando le proprie sedi diplomatiche da Tel Aviv alla Città Santa. Otto paesi membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - Bolivia, Egitto, Francia, Italia, Senegal, Svezia, Gran Bretagna e Uruguay - hanno chiesto una riunione di emergenza che si dovrebbe tenere entro la fine della settimana, probabilmente venerdì. 

«Facciamo appello per una nuova intifada contro l'occupazione e contro il nemico sionista, ed agiamo di conseguenza», ha affermato il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, in un discorso pronunciato dalla propria abitazione a Gaza e trasmesso dall'emittente di Hamas 'al-Aqsa tv', mentre nelle strade della città si notano numerose manifestazioni di protesta contro gli Stati Uniti. «Il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele è una dichiarazione di guerra nei nostri confronti», ha aggiunto.

Le autorità palestinesi hanno proclamato per oggi lo sciopero generale in Cisgiordania, a Gerusalemme est e a Gaza, riporta l'agenzia Wafa che segnala uffici, negozi e scuole chiusi in molte città palestinesi. Già ieri notte, secondo la stessa fonte, ci sono state manifestazioni spontanee di protesta a Gerusalemme, Ramallah, Betlemme e anche nella Striscia. A mezzogiorno (ora locale) è prevista una manifestazione oggi presso la Porta di Damasco della Città Vecchia. I palestinesi, la notte scorsa, hanno spento le luci dell'albero di Natale posto sulla Piazza della Mangiatoia a Betlemme in segno di protesta. «L'albero di Natale - ha detto Fady Ghattas del comune di Betlemme, citato dai media - è stato spento su ordine del sindaco». 

Lo Stato islamico ha pubblicato, attraverso l'agenzia Al Khayr, un video in cui invita tutti i musulmani a "riportare il terrore su Israele attraverso esplosioni, incendi e accoltellamenti" e a "uccidere gli ebrei in ogni modo possibile". Nel video, che dura una decina di minuti, vengono mostrate scene di attacchi da parte di Israele ai danni dei palestinesi accusando gli ebrei di essere "capo della rovina e dell'uccisione di musulmani in ogni luogo". Un narratore incita, dunque, i propri seguaci a ribellarsi e reagire con la violenza. "Con loro non valgono accordi, negoziati, incontri o trattati: loro sono il male", continua la narrazione dell'esercito nero del califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Le indicazioni per la ribellione sono chiarissime: "Quale modo migliore per avvicinarsi ad Allah se non uccidendo un ebreo. Alzati e uccidilo, con l'accoltellamento, o con il veleno, oppure investendolo con l'auto. Mettete le bombe nelle loro piazze e incendiate le loro case". Il messaggio finale: "Entreremo a Gerusalemme e vi uccideremo nel peggiore dei modi".

Recep Tayyip Erdogan ha annunciato una serie di colloqui con alcuni leader mondiali. Secondo quanto riferito dal sito del quotidiano Sabah, Il presidente turco vuole affrontare la questione con papa Francesco e i leader di Russia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna sottolineando come la modifica dello status di Gerusalemme sia una questione che allarma anche i cristiani. Quel che è certo è che tutti i Paesi arabi hanno colto l'occasione, dopo l'annuncio della Casa Bianca, di rinnovare gli attacchi ai loro nemici di sempre: gli Stati Uniti e Israele. Tanto che Hamas ha subito ricordato l'ondata di proteste che all'inizio di quest'anno erano scoppiate contro i cambiamenti dello status quo per la Moschea di al-Aqsa (il Monte del Tempio). "Serve una nuova intifada globale", ha detto Haniyeh esortando tutte le fazioni palestinesi a mettere da parte  le loro divergenze per una strategia congiunta contro Israele e gli Stati Uniti.

Israele intanto si prepara e ha ricevuto nove F-35, il primo dei quali consegnato un anno fa durante una solenne cerimonia. Ribattezzato Adir, in ebraico Il Grande, rappresenterà un tassello aggiuntivo molto importante per il mantenimento della superiorità militare di Israele nell’area del Medio Oriente, grazie alle avanzate capacità di affrontare le minacce emergenti, come missili all’avanguardia, e di assicurare la protezione dello lo spazio aereo. L’F-35 combina una tecnologia stealth avanzata che garantisce la bassa osservabilità con la velocità e l’agilità di un caccia, un sistema di sensori totalmente integrato, la capacità netcentrica nelle operazioni e il supporto avanzato. Israele contribuisce al programma F-35 con la produzione di semi-ali per l’F-35A da parte delle Israel Aerospace Industries. Elbit Systems Ltd. realizza il casco Generation III Helmet-Mounted Display, che sarà utilizzato dai piloti dell’F-35 in tutto il mondo. Componenti compositi per la parte centrale della fusoliera dell’F-35, infine, sono realizzati da di Elbit Systems-Cyclone. La piattaforma tattica F-35 è un sistema d’arma in divenire, progettata per contesti futuri per minacce oltre il raggio visivo. Israele considera l’F-35 come la migliore piattaforma tattica in inventario, tuttavia il governo ne ha riconosciuto l’elevato costo, richiedendo una “meticolosa valutazione” prima di ogni qualsiasi ordine futuro. Considerando i costi, l'IAF utilizzerà l’F-35 in operazioni classificate per la raccolta di informazioni elettroniche o per eliminare bersagli a lungo raggio protetti da sistemi integrati di difesa di ultima generazione.

Si infiamma la polemica sulla mossa degli Stati Uniti di "riconoscere" Gerusalemme come capitale di Israele anche se per ora la sede diplomatica dovrebbe restare a Tel Aviv.

I primi a reagire, stizziti, sono stati i palestinesi di Hamas, che hanno promesso una escalation della "intifada di Gerusalemme", se l'amministrazione Usa riconoscerà la città come capitale. Sarebbe, per Hamas, "una flagrante aggressione alla legge internazionale che considera Gerusalemme territorio occupato" e un modo di legittimare "i crimini della giudaizzazione della città e l'espulsione dei palestinesi". Anche l'Autorità nazionale palestinese ha messo in guardia gli Usa: "Questo passo metterà fine ad ogni possibilità di accordo di pace". E parla di un "riconoscimento inaccettabile". Abu Mazen ha rincarato la dose, ribadendo la "necessità di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est".

Tutto questo nervosismo ha indotto Donald Trump a rinviare a lunedì prossimo la decisione sul possibile spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Una decisione che, come accennato prima, potrebbe portare a una nuova escalation di tensioni in Medio Oriente.

Al Cairo si riunisce il summit di emergenza convocato dalla Lega araba, su richiesta dell'Anp, per discutere la delicata questione. Intanto il ministero degli Esteri egiziano ha fatto appello a Washington ad agire "con saggezza" rispetto a qualsiasi decisione che riguardi la Città Santa e che potrebbe "far divampare la tensione nella regione". L’università al-Azhar del Cairo, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita, ha messo in guardia le autorità di Washington. In una nota afferma che questa eventuale mossa da parte degli Stati Uniti "alimenterebbe sentimenti di rabbia tra i musulmani, minaccerebbe la pace mondiale e approfondire la tensione, la divisione e l’odio nel mondo".

Il negoziato su Gerusalemme dovrà essere portato avanti nell’ambito di negoziati che «puntino in particolare alla creazione di due stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco e in sicurezza, con Gerusalemme come capitale». Macron ha parlato a Trump anche dell’Iraq, riferendo i risultati della visita a Parigi, sabato scorso, del primo ministro del governo regionale del Kurdistan, Nechirvan Barzani, accompagnato dal vicepremier Qubad Talabani. Nella nota dell’Eliseo si legge che «la Francia e gli Stati Uniti proseguiranno i loro sforzi congiunti per preservare la stabilità e l’unità dell’Iraq e favorire il dialogo nazionale fra le autorità federali e i dirigenti curdi iracheni».

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha espresso ieri sera la sua "preoccupazione" al capo della Casa Bianca, Donald Trump, "sulla possibilità che gli Stati Uniti riconoscano unilateralmente Gerusalemme come capitale dello stato d'Israele". Lo ha reso noto un comunicato dell'Eliseo, precisando che Macron ha ricordato che la questione dello "status di Gerusalemme dovrà essere risolto nel quadro dei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi".

Non c’era bisogno di Jared Kushner, il genero-consigliere, per convincere Trump che la neutralità d’Obama in Medio Oriente si doveva orientare verso una «netanyahulità», fino a ricalcarne ogni scelta. Il suo ambasciatore David Friedman, contrario alla soluzione dei Due Stati e favorevole all’espansione dei coloni, dopo 68 anni di bunker sul lungomare di Tel Aviv ha già pronti gli scatoloni del trasloco: sarebbe stato individuato il terreno in una zona non occupata dal ’67, almeno quello, e garantito ai dipendenti arabi dei due attuali consolati la maggioranza che non saranno licenziati.

I posti di lavoro saranno l'unica cosa a salvarsi: per i palestinesi, col ritorno dei profughi e lo smantellamento delle colonie, la condivisione di Gerusalemme è uno dei punti irrinunciabili del negoziato di pace. «Il mondo pagherà un prezzo per tutto questo», dice un consigliere del presidente Abu Mazen. Avanti con la terza intifada, preannunzia Hamas. «Sostengo il diritto palestinese ad avere Gerusalemme per capitale», ha avvertito mercoledì Putin. E giù a cascata la Lega araba, il Marocco che minaccia una mobilitazione mondiale il 23 dicembre, la Giordania-sempre-amica che non dà a Israele il permesso di riaprire l'ambasciata ad Amman, ufficialmente con la scusa di problemi d'ordine pubblico. Tacciono egiziani e sauditi, ma perfino parte della destra israeliana è preoccupata non del se, perché è un regalo quasi insperato, ma del quando: con l’Iran alle soglie, il Libano instabile, i palestinesi riunificati, il Sinai sotto scacco Isis, proprio adesso bisognava mantenere la promessa elettorale?

Sulla questione dello spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, il presidente Donald Trump "è stato chiaro sin dall'inizio, non è questione di se, ma di quando". Lo ha detto il vice portavoce della Casa Bianca, Hogan Gidley, aggiungendo che "una decisione" verrà resa nota "nei prossimi giorni".  Quest'ultima potrebbe rappresentare un atto di riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico.

E il sistema di difesa israeliano si sta preparando per una "possibile violenta" rivolta palestinese in Israele, principalmente a Gerusalemme, a seguito dell'annunciata intenzione di Donald Trump. La polizia israeliana, lo Shin Bet e il comando centrale dell'esercito - riferiscono i media d'Israele - hanno tenuto in questi giorni numerose riunioni in tal senso.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito il capo della Casa Bianca, Donald Trump, che l'eventuale riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta "una linea rossa per i musulmani" e che potrebbe portare alla rottura delle relazioni

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