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Sale la tensione nel mar Egeo tra Grecia e Turchia. Le autorità di Atene hanno denunciato che la scorsa notte una pattuglia della guardia costiera di Ankara ha speronato un mezzo dei suoi guardacoste nei pressi di alcuni isolotti rocciosi contesi tra i due Paesi. Nello scontro, secondo la denuncia greca, non risultano feriti, ma danni alla nave greca, colpita a poppa dalla prua di quella turca. La collisione, riferisce Atene, è avvenuta al largo degli isolotti disabitati di Imia (Kardak in turco), sotto il controllo della Grecia ma rivendicati dalla Turchia e su cui nel 1996 si sfiorò un conflitto tra i due Paesi. Da allora, le tensioni nella zona si riaccendono periodicamente.

Una Turchia che minaccia d' anni e non rispettando i trattati internazionali mentre dal 1974 tiene con occupazione militare il 38% della isola di Cipro, creando uno stato mai riconosciuto dalla comunita internazionale dal Onu dal UE, da nessuno, ma solo dalla Turchia, cosi minaccia la Grecia pur avendo torto  : "Abbiamo espresso chiaramente" che l'Egeo dovrebbe essere un mare di "amicizia" e che "evitare le tensioni sarebbe meglio per le relazioni bilaterali" ha detto stamani il premier turco Binali Yildirim, riferendo la sua telefonata di ieri con l'omologo greco Alexis Tsipras, dopo la collisione tra le rispettive motovedette nell'Egeo meridionale.

"Ultimamente, ci sono state alcune violazioni, iniziate con gli isolotti di Kardak, a cui abbiamo risposto", ha spiegato Yildirim, assicurando di aver concordato con Tsipras di mantenere comunque aperti i canali di dialogo politico e diplomatico per ridurre la tensione. A maggio, ha poi annunciato Yildirim, i rispettivi capi di Stato maggiore degli eserciti si incontreranno "per discutere le misure necessarie a evitare ulteriori escalation".

La marina militare turca ha fermato il viaggio della Saipem 12000, la piattaforma dell'Eni, che si stava dirigendo verso Cipro per iniziare operazioni di trivellazione su licenza del governo di Nicosia. Una mossa a sorpresa, annunciata dal ministro degli esteri cipriota e confermata dal gruppo petrolifero italiano, che arriva dopo le parole del presidente turco Recyp Erdogan che, all'indomani della sua visita in Italia, si era detto contrario alle operazioni del gruppo "nel Mediterraneo orientale". "I lavori (di esplorazione) del gas naturale in quella regione rappresentano una minaccia per Cipro nord e per noi", aveva sottolineato lo stesso sultano spiegando di aver espresso, nella sua missione a Roma la scorsa settimana, le "preoccupazioni turche" al presidente Sergio Mattarella ed al premier Paolo Gentiloni.

La nave Saipem 12000, capace di perforare fondali marini da 4mila metri con scarti di soli 25 centimetri, è un gioiellino invidiatoci da tutte le grandi compagnie petrolifere. Ma i gioiellini costano. E questo spiegano all'Eni divora dai 500mila ai 600mila dollari al giorno. Così lo scherzetto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che sabato ha mandato una fregata a bloccare la nave da ricerca al largo di Cipro, è già costato all'Eni oltre due milioni di euro. E altri ne andranno in fumo visto che le diplomazie non sembrano esattamente in frenetica attività.

L'Unione Europea, in attesa del risveglio di una Federica Mogherini in altre faccende affaccendata fa parlare i suoi portavoce. «È necessario che la Turchia mantenga relazioni di buon vicinato ed eviti qualsiasi genere di azione, frizione, minaccia o azioni dirette contro uno stato membro», faceva sapere lunedì la Commissione Europea. Parole a cui un Erdogan, abituato a ben altro, ha subito risposto con nuove minacce a Nicosia e - indirettamente - all'Eni e all'Italia: «Gli opportunistici tentativi riguardo alle esplorazioni di gas al largo di Cipro - sbraita - non ci sfuggono. Chi fa male i propri calcoli e si spinge al di là del consentito è avvisato». Per il Sultano la questione è semplice. 

A sentir lui gli eventuali giacimenti di gas scoperti nella cosiddetta «Zona Economica Esclusiva» concordata da Nicosia con Onu e Ue vanno divisi con il governo fantoccio mantenuto in piedi da Ankara nel nord dell'isola. In verità quel gas servirebbe a Erdogan per soddisfare le esigenze energetiche di una Turchia costretta, vista la dipendenza dal gas russo, a subire i diktat di Vladimir Putin. E così in questo gioco di rappresaglie incrociate Italia, Eni ed Europa si ritrovano a sottostare ai ricatti del Sultano. 

Ricatti particolarmente oltraggiosi per un'Italia che solo dieci giorni fa lo ha accolto con tutti gli onori. Onori non certo ricambiati, visto che il presidente turco non ha atteso neppure il rientro ad Ankara per rivelare come il solo e unico obbiettivo del viaggio fosse quello d'intimidire il nostro governo per convincerlo a bloccare le prospezioni dell'Eni. Operazione evidentemente riuscita visto il tono - sommesso e sottomesso - mantenuto dal nostro governo anche dopo l'arrembaggio della marina di Ankara. L'auspicio di una «soluzione condivisa» è stato il massimo dell'autorevolezza espressa ieri dal ministro degli esteri Angelino Alfano nel corso di un incontro in Kuwait con il suo omologo turco Mevlut Cavusoglu.

A compensare la titubante afasia dell'esecutivo Gentiloni contribuisce in parte il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, che oltre a esprimere pieno sostegno al presidente cipriota Nicos Anastasiades chiede alla Turchia di «rispettare la legge internazionale e astenersi dal coinvolgimento in pericolose provocazioni nelle acque territoriali di Cipro». E alla voce di Tajani s'unisce quella del presidente del Partito popolare Europeo Joseph Daul, concorde nel definire inaccettabili «le provocazioni e le minacce della Turchia verso Cipro o qualsiasi altro Stato». Ma parole e dichiarazioni sono poca cosa rispetto all'«asso di migranti» nascosto nella manica di Erdogan. 

Grazie a quell'asso il presidente turco tiene sospesa sulla testa dell'Europa una spada di Damocle da tre milioni e mezzo di profughi. Una spada in grado di creare devastazioni politiche, sociali ed economiche che neppure il giacimento di gas più ricco del Mediterraneo potrebbe ripagare. Quindi non illudiamoci. Alla fine da Bruxelles a Roma nessuno muoverà un dito. E assieme ai milioni dell'Eni andranno in fumo, una volta di più, la nostra credibilità e i nostri interessi nazionali.

Cosi continua il blocco della marina militare turca nel Mediterraneo orientale nei confronti della piattaforma dell'Eni Saipem 12000, diretta a un'area di trivellazione su licenza di Cipro. L'unità, ha detto il portavoce del governo di Nicosia, resta bloccata a circa 50 km dal luogo previsto per le esplorazioni di idrocarburi, a sud-est dell'isola. Ankara si oppone alle attività di trivellazione definendole "unilaterali". Il governo di Cipro e l'Eni, assicura ancora Nicosia, sono impegnati ad assicurare lo svolgimento delle attività esplorative. 

L'Italia si aspetta una "soluzione condivisa nel rispetto del diritto internazionale e nell'interesse sia dell'Eni, sia dei Paesi della regione, sia delle due comunita' cipriote". Lo ha detto il ministro degli Esteri Angelino Alfano al collega turco Mevlut Cavusoglu, incontrato oggi in Kuwait a margine della ministeriale anti-Isis. I due - riferisce la Farnesina - hanno concordato sulla necessità di tenere conto dei rispettivi interessi nazionali e delle preoccupazioni dei rispettivi governi. Anche allo scopo di preservare il necessario clima di fiducia per possibili ulteriori progetti in campo energetico, oltre a
quelli in essere.

"Raccomandiamo alle compagnie straniere che operano al largo di Cipro di non fidarsi della parte greca e di non essere strumenti di iniziative che superano le loro forze". Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, parlando ad Ankara al gruppo parlamentare del suo Akp.

"Non ci aspettavamo che accadesse perchè siamo assolutamente molto dentro l'Economic zone di Cipro" dove l'Eni ha già scavato due pozzi senza alcun problema: lo ha detto l'amministratore delegato del gruppo energetico, Claudio Descalzi, parlando a giornalisti al Cairo e rispondendo a domande sulla piattaforma Saipem bloccata dalla Turchia.

La restituzione «obbligata», fiore all'occhiello dei parlamentari Cinquestelle che si sono impegnati (e vantati) di donarli a un Fondo per il microcredito alle imprese istituito presso il Ministero dell'Economia, è diventata la spada dell'harahiri. Complice la desolante disorganizzazione e improvvisazione che regna attorno al samurai Giggi Di Maio, ancora ieri abbarbicato a concetti così elementari da testimoniarne la modestia, l'inadeguatezza. Dopo l'annunciata espulsione di Martelli e Cecconi, i primi due parlamentari pizzicati dalla Iene a truffare su bonifici e rendicontazione, il Capo politico ieri mattina ancora pensava di poter tenere sotto controllo la situazione. 

«Questo è un Paese strano... Restituisci 23,1 milioni e la notizia è che manca lo 0,1!». Logica minimizzatrice che sembrava reggere, almeno fino a quando la cifra «mancante» dal Fondo è rimasta confinata nei 100mila euro dei due inadempienti (uno, addirittura, s'era giustificato con «gravi problemi familiari», come a scuola). Ma con il passare delle ore la cifra sembrava crescere come una variabile impazzita. 

Fonti grilline utilizzavano un'altra di quelle scuse da asilo Mariuccia che fanno temere il peggio: «Abbiamo sbagliato i calcoli, il dato visibile su tirendiconto.it non corrisponde alle tabelle del Tesoro... A occuparsi delle rendicontazioni, centinaia e centinaia, c'è un unico tecnico che ha commesso degli errori...». Giarrusso invece esultava, dopo aver verificato i propri rimborsi: «Un funzionario della banca ha fatto un errore, ma i rimborsi ci sono, puntuali e precisi!».

"Tra deputati e senatori siamo ad una doppia cifra, è un partito fatto di furbi e furbastri che tradisce la fiducia dei cittadini". Sono queste le parole con cui un ex militante, ai microfoni de Le Iene nel servizio sul M5S trasmesso via internet domenica sera, svela i mancati rimborsi che, a suo parere, coinvolgerebbero diversi esponenti del M5S. L'inchiesta de Le Iene, che il programma sceglie di mandare sul suo sito web, ha portato al ritiro, di fatto, dalla campagna elettorale dei parlamentari Andrea Cecconi e Carlo Martelli. E' l'ex militante intervistato da Le Iene, infatti, a fare i nomi dei due esponenti pentastellati, rei - è la sua accuso ai microfoni del programma Mediaset - di aver finto di restituire oltre 21mila euro, nel caso di Cecconi, e oltre 76mila nel caso di Martelli. 

La mancata restituzione, spiega l'ex militante, si concretizza pubblicando sul sito "tirendiconto.it" i bonifici fatti salvo poi revocarli entro 24 ore dalla pubblicazione. Interpellati il 2 febbraio scorso dall'inviato de Le Iene Filippo Roma, sia Cecconi sia Martelli negano. "Non è vero, ho tutti i bonifici fatti, sono caricati online", spiega Cecconi prima di andar via mentre Martelli prima nega con forza ("A me questa cosa non risulta, questa cosa qua finisce adesso, è una cosa terribile") salvo poi rilevarsi più possibilista: "farà questa verifica, se è così provvederò a sistemare tutto". A entrambi Le Iene chiedono di contattare il programma dopo la verifica ma nessuno dei due parlamentari, spiega il programma nel servizio, si fa sentire.

"Quelle persone come Cecconi e Martelli le ho già messe fuori, per gli altri stiamo facendo tutte le verifiche che servono ma siamo orgogliosi di quello che è il Movimento. Non sarà qualche mela marcia ad inficiare questa iniziativa che facciamo solo noi e come sanno gli italiani da noi le mele marce si puniscono sempre". Così a Napoli, Luigi Di Maio, in merito ai rimborsi dei cinquestelle. "La notizia in un paese normale è che M5S ha restituito 23 milioni e 100mila euro di stipendi e questo è certificato da tutti quanti e ci sono 7mila imprese in Italia che lo testimoniano perché quei soldi hanno fatto partire 7mila imprese e 14mila posti di lavoro", ha spiegato. " Se ci saranno controlli da fare li stiamo facendo - ha concluso - ringrazio chi ha fatto queste inchieste ma questo è un paese strano in cui restituisci 23,1 milioni e la notizia è che manca lo 0.1".

Andrea Cecconi e Carlo Martelli sono, probabilmente, la punta di un iceberg. Un iceberg contro cui la campagna del M5s rischia di sbattere a un passo dal rush finale. Il caso degli ammanchi nelle restituzioni dei parlamentari, si allarga a macchia d'olio, potrebbe superare il milione di euro e irrompe nella tappa elettorale di Luigi Di Maio nella sua Campania. Tappa che vede, tra l'altro, il ritorno in campo di Beppe Grillo. Il caso è preso molto seriamente dai vertici, che reagiscono in maniera durissima. "Le mele marce le trovo e le caccio, nessuno inficerà il nome del M5S", è il diktat del capo politico. La questione, secondo il servizio delle Iene andato in onda ieri sera, riguarda almeno una decina di parlamentari e non solo Cecconi e Martelli. 

E dalle prime verifiche i vertici del Movimento ammettono come il "buco" sulle restituzioni per il fondo per il microcredito sia "più grande" degli oltre 200mila euro preventivati dai media. Sul totale delle cifre "vediamo domani", si limitano a dire, dopo aver chiesto in via ufficiale gli atti al Ministero dell'Economia presso cui è registrato il fondo per le pmi. I calcoli, fatto salvo eventuali errori commessi dai tecnici del Movimento nel riportare i dati delle restituzioni, sembrano volgere al peggio. Alla cifra di 226 mila euro di ammanco, che ha fatto scattare l'allarme per le mancate restituzioni, va infatti aggiunta la cifra versata al fondo dagli eurodeputati del M5s, pari a 606mila euro, come certificato dallo stesso blog giorni fa. E a questa si somma il totale dei rimborsi arrivati dalle Regioni: le stime sono approssimative ma si parla di oltre 500mila euro. Il tutto fa quindi aumentare la forbice tra quanto dichiarato dai parlamentari sul sito tirendiconto.it e quanto arrivato, in concreto, dai bonifici.

Intanto Il candidato premier M5S Luigi Di Maio si è presentato stamattina negli uffici dell'Istituto di credito che è a Montecitorio. In sua compagnia, oltre allo staff M5S, c'era l'inviato de "Le Iene", Filippo Roma, tra gli autori dell'inchiesta sulle "restituzioni" dei parlamentari M5S. La presenza di Di Maio in banca mostrerebbe la volontà del leader di fare chiarezza sulla vicenda: è presumibile che abbia chiesto allo sportello bancario di fornirgli copia dei bonifici al Fondo per il microcredito del Ministero dello Sviluppo sul quale i pentastellati devolvono parte del loro stipendio

"Di Maio come Craxi"? Bobo e Stefania replicano a Renzi : La frase non è piaciuta ai molti che continuano a nutrire stima nei confronti dell'ex leader socialista, scomparso nel gennaio del 2000. I primi a insorgere sono stati i figli di Bettino, che militano su fronti politici opposti. "Renzi dice a Otto e mezzo che Di Maio gli ricorda Craxi - scrive su Facebook e Twitter Bobo Craxi -. Un paragone miserabile pronunciato dal capo della banda dello scandalo Consip ed Etruria. Un altro buon motivo per non farlo votare dai Socialisti".

Anche la figlia maggiore di Bettino, Stefania Craxi, candidata al Senato nelle liste di Forza Italia, non le manda certo a dire a Renzi. ''I sondaggi che giungono al Nazareno fanno perdere sempre più la testa alla cricca etrusco-fiorentina, ormai al collasso e prossima a una sconfitta di portata storica, tanto da confondere Craxi con un insipiente Di Maio, in un rigurgito di antisocialismo che rappresenta una nota di continuità di certa sinistra 'vecchia' e 'nuova'". "L'ormai stantia retorica renziana, intrisa del solito moralismo e della solita, quanto poco credibile, superiorità morale, cozza con la ragione e con la cronaca di questi mesi e di questi anni. Se Renzi cerca formule a effetto o 'mariuoli' per sbugiardare le menzogne pentastellate, può benissimo rovistare nella sua cerchia ristretta affetta da una passione 'sinistra' e 'morbosa' per le banche e per gli affari che, come prestò si vedrà, non ha risparmiato neanche il campo internazionale".

"Renzi farebbe quindi bene a ripassare la storia - prosegue Stefania - non solo per capire chi è stato Craxi, ma anche per comprendere che il M5S figlia proprio da quella stagione di violenza, menzogne e falsità, chiamata Mani Pulite, a cui la sua battuta vuole ammiccare e fare riferimento. Per inciso, un periodo della nostra storia che ha distrutto il sistema politico ed istituzionale italiano aprendo la strada al giustizialismo, al populismo ed all'avventura.

La rivista Cristianità insiste; anche nell'ultimo numero, ha pubblicato un interessante servizio sullo straordinario presidente americano Donald John Trump e solo per questo si merita un abbonamento. Si tratta di un discorso pronunciato il 13-10-2017, svoltosi nell'Omni Shoreham Hotel di Washington, intervenendo nel “Values Voter Summit”, (“Summit di chi vota in base ai valori”). Il titolo redazionale, ricavato dal testo, è “Per Dio e per la patria” (Cristianità, n. 388, nov-dicembre 2017)

Come sarebbe bello ritrovarsi a fare le stesse riflessioni del presidente americano, dopo il voto del 4 marzo prossimo con il nuovo presidente del governo italiano, e con la sua coalizione politica. Fantasie giornalistiche?

Da qualche tempo stiamo seguendo i discorsi e la politica del presidente americano che continua a stupirci, naturalmente non ci facciamo assolutamente influenzare dalle fake news dei vari tg italiani, che se ne guardano bene dal pubblicare o riferire dei suoi importanti discorsi. Ultimo in ordine di tempo, quello pronunciato il 19 gennaio scorso in occasione della 45a “March for life”, (Marcia per la Vita) che si svolge ogni anno a Washington. Per la prima volta un presidente americano partecipa alla marcia mettendoci la faccia. Il suoi breve discorso davanti alla folla Pro-life è da ascoltare.

Ma ritorniamo al Values Voter Summit, Trump ringrazia per il sostegno ottenuto ed evidenzia che la riunione è tra persone unite dagli stessi valori eterni e condivisi, che credono nelle famiglie forti e in comunità sicure. Che proteggono la dignità sacra di ogni vita umana, e la libertà religiosa, considerandola come un tesoro. A questo proposito come aveva promesso in campagna elettorale, il 16 gennaio scorso, il presidente Trump ha istituito la Giornata della libertà religiosa, naturalmente, anche questo evento ignorato dalla stampa. Tra l'altro mentre scrivo apprendo che Trump è tornato a proclamare la Giornata nazionale della sacralità della vita, giusto oggi. Il primo presidente a indire tale giornata era stato Reagan nel 1984. Evento poi non rinnovato dai presidenti democratici. 

“Siamo orgogliosi della nostra storia”, sosteniamo il “diritto consuetudinario” e in particolare, Trump ha ricordato i padri fondatori degli Stati Uniti che peraltro hanno invocato il Creatore quattro volte nella dichiarazione d'indipendenza.

“Questo è il patrimonio degli Stati Uniti d'America , un Paese che non dimentica mai che siamo tutti – tutti, ognuno di noi – creati dallo stesso Dio del Cielo”.

Trump ricorda ai suoi sostenitori, che anche se non ha stilato un programma, sta dando seguito a una promessa dopo l'altra. Ha cercato di proteggere i bambini non ancora nati, ripristinando una prassi adottata per primo dal presidente Ronald Wilson Reagan, la “Mexico City Policy”, una misura politica mirante a limitare l'aborto.

Inoltre il presidente americano ricorda di aver firmato con una bella cerimonia, il “National Day of Prayer”, la “Giornata nazionale della preghiera”. Ogni primo martedì del mese di maggio, il presidente, “designerà come Giornata nazionale della preghiera durante il quale il popolo degli Stati Uniti d'America può rivolgersi a Dio in preghiera e in meditazione nelle chiese, in gruppi o individualmente”.

Ancora Trump ricorda un altro provvedimento, la cancellazione dell'orrendo“Emendamento Johnson”, che da potere al fisco di revocare l'esenzione dalla imposte alle organizzazione non-profit che sostengono o che avversino candidati politici, colpendo in modo particolare le Chiese e le associazioni religiose.

“Non permetteremo ai funzionari del governo – ha ribadito Trump – di censurare i sermoni o di prendere di mira i nostri pastori, i nostri ministri di culto o i rabbini. Sono persone che vogliamo sentir parlare e nessuno li metterà più a tacere”. Abbiamo, “[...]emesso nuove linee guida a tutte le agenzie federali per garantire che nessun gruppo religioso sia mai più preso di mira nel corso del mio mandato”. E in particolare Trump fa riferimento ai provvedimenti per proteggere “la libertà di coscienza di realtà come le Piccole Sorelle dei Poveri”. Che la famigerata “Obamacare”, la riforma sanitaria varata da Obama aveva imposto anche alle strutture religiose, la contraccezione, l'aborto e la sterilizzazione. Il presidente americano ci tiene a sottolineare “che le Piccole Sorelle dei poveri ed altre realtà religiose analoghe sono animate da una vocazione meravigliosa, e noi non permetteremo che i burocrati impediscano loro di viverla o ne conculchino i diritti”.

Inoltre Trump chiarisce: “stiamo bloccando sul nascere tutti gli attacchi ai valori giudeo-cristiani”. A questo punto il presidente, descritto dai media come “sotto attacco”, entusiasticamente porta a conoscenza dei suoi sostenitori che con lui, finalmente entra nella Casa Bianca il Santo Natale.

Trump ricorda che sta lavorando per tagliare le tasse alle famiglie con figli, “perchè noi sappiamo che la famiglia è la vera roccia su cui poggia la società statunitense”.

A questo punto Trump critica duramente la classe politica che cerca di centralizzare il potere nelle mani di un piccolo gruppo di persone. “I burocrati pensano di gestire le nostre vite, di poter eliminare i nostri valori, di potersi impicciare della nostra fede e di poterci dire come vivere, ciò che dobbiamo dire e come dobbiamo pregare. Ma noi sappiamo che sono i genitori, non i burocrati, a sapere com'è meglio crescere i figli e a sapere come creare una società prospera”. E dopo aver letto queste parole, si comprende ancora meglio, perché il presidente Trump è malvisto delle varie lobby che gestiscono il potere nel mondo.

Non dimentica nella sua analisi i problemi economici: “i posti di lavoro stanno ritornando”. Le borse sono in rialzo e “il livello di entusiasmo è il più alto di sempre mentre il tasso di disoccupazione è il più basso da diciassette anni a questa parte”. Qualche giorno fa, ascoltavo il tg nazionale che dava a Trump il più basso indice di gradimento di tutti i presidente americani.

Trump insiste nella sua analisi sui valori degli americani: “sappiamo che sono le famiglie e le Chiese, non i funzionari pubblici, a sapere come meglio creare comunità forti e caritatevoli. E soprattutto sappiamo questo: che negli Stati Uniti non si adora il governo, si adora Dio. Mossi da questa convinzione, stiamo ridando chiarezza morale alla nostra visione del mondo e alle molte, gravi sfide con cui ci stiamo confrontando”.

Facendo riferimento alla politica internazionale Trump ricorda che la sua “amministrazione chiama il male con il suo nome […] forgiamo nuove collaborazioni per perseguire la pace e agiamo con decisione contro coloro che minacciano di fare del male al nostro popolo. Saremo risoluti, perché siamo consapevoli che il primo dovere di un governo consiste nel servire i propri cittadini”. Proprio come fa il governo italiano.

Un anno fa era il "cattivo". Ora, però, alcune delle cose che fa iniziano a produrre risultati e lui comincia a piacere a chi prima lo disprezzava. Stiamo parlando del rapporto tra le cosiddette élite globali banchieri, grandi industriali e politici e il presidente Usa Donald Trump. 

Che il clima sia cambiato lo registra anche il New York, altra testata “nemica” di Trump. Il giornale della Grande mela conferma che Davos ha finora “riservato una calda accoglienza al presidente, che è stato uno dei suoi critici principali, che gli hanno spianato la strada della Casa Bianca. Il vero test però è oggi, prosegue il Nyt, con l’atteso discorso che il presidente pronuncia al World Economic Forum. Il presidente non dovrebbe lanciare alcun attacco frontale, ma soltanto rivendicare una politica commerciale equa e che non penalizzi, come è successo in passato, il suo Paese.

Spazio, dunque, al “mercato libero e aperto”, purché sia al contempo “giusto e reciproco”. Il presidente denuncerà tutto quello che ostacola gli scambi commerciali basati sulla “reciprocità”, in particolare l’odioso furto della proprietà intellettuale, il trasferimento forzato di tecnologie e le sovvenzioni all’industria. 

Il messaggio che vuole dare è questo: l’America è pronta a fare affari con il mondo intero, dopo la riforma fiscale appena varata, molto vantaggiosa per le aziende. Basta sventolare il vecchio slogan “America First“, anche perché in questa sede non avrebbe senso. La nuova sfida di Trump è quella di invitare gli imprenditori stranieri a investire negli Usa, ricordando loro che non c’è mai stato un momento migliore per farlo.

E vediamo cos’ha fatto di così straordinario Trump per ribaltare questo giudizio, trasformandosi da reietto, da non prendere neanche in considerazione, a commander-in-chief da rivalutare? Si tratta di soldi. Quelli che la riforma Trump fa risparmiare ai grandi potentati economico-finanziari.

"L'America - ha detto Trump a Davos - e' aperta alle imprese ed e' tornata ancora una volta competitiva. E' un privilegio stare qui tra leader della diplomazia e della politica. Sono qui per rappresentare gli interessi degli americani e per offrire un'amicizia nel costruire un mondo migliore. L'America - ha proseguito sta di nuovo vedendo una forte crescita, in Borsa si sono creati 7.000 miliardi di dollari dalla mia elezione. 

Come presidente degli Stati Uniti - ha proseguito - metterò sempre l'America al primo posto, come gli altri leader mettono il loro Paese al primo posto. Venite in America. Io credo nell'America e la metterò sempre al primo posto. Ma non significa America alone. Invitiamo gli altri leader a proteggere gli interessi dei loro cittadini come lo facciamo noi.

Ripristineremo l'integrità del sistema commerciale. Solo insistendo su un commercio giusto e reciproco possiamo creare un sistema che funziona non solo per gli Usa ma per tutti i Paesi. Gli Stati Uniti non tollereranno più pratiche scorrette nel commercio internazionale". 

"Il sistema che regola l'immigrazione negli Usa  - ha detto ancora Trump - è fermo al passato e d'ora in poi chi entra verrà selezionato in base alla sua capacità di contribuire al benessere economico del Paese".

"Gli Usa - ha proseguito Trump - sono fortemente impegnati per la massima pressione per denuclearizzare la Corea del Nord, lavoriamo con gli alleati per contrastare i terroristi e Daesh, gli Usa sono leader per assicurare la sicurezza mondiale". 

L'accoglienza al presidente USA è stata tiepida: all'inizio del discorso, solamente metà sala ha applaudito, l'altra metà no. 

Intanto il quotidiano Tedesco Die welt  "attacca" il nostro Paese : "L'Italia è l'assoluto fanalino di coda dell'eurozona, messo anche peggio della Grecia", si sostiene dalle pagine finanziarie del quotidiano Die Welt,nell articolo i Greci lasciano in dietro gli Italiani. E il timore degli economisti delle banche d'affari è che alle prossime elezioni, indipendentemente da chi vinca, "non c'è da aspettarsi riforme di base", dice Timo Schwietering, analista della banca Metzler. "Solo riforme radicali, come in Grecia, potrebbero cambiare qualcosa" dice il quotidiano di Berlino. "Ma cose del genere non sono nel programma elettorale di nessuno dei contendenti alle elezioni".

"L'Italia è l'unico paese dell'eurozona il cui livello di vita, dall'entrata in vigore dell'unione monetaria, è diminuito", prosegue Timo Schwietering.

"Prima l'Italia aveva un modello economico facile", dice Daniel Hartmann, capo economista della banca Bantleon, che si occupa del risparmio gestito. "Quando la congiuntura si bloccava, si svalutava la lira, che ridava benzina alle esportazioni e rianimava la congiuntura". Dall'entrata in vigore dell'unione monetaria questo modello non ha più funzionato e il paese dovrebbe abbassare i costi o aumentare la produttività. "Il passaggio al nuovo campo all'Italia non è ancora riuscito".

Sarebbe necessaria soprattutto una riforma dell'amministrazione: "le prestazioni sono scarse e per giunta care". Un permesso di costruzione costa tre volte la Germania, un procedimento giuridico in Italia è di 3 anni, in Germania di uno e mezzo. Le premesse di riforma c'erano con il governo Renzi, ma ora rischia di bloccarsi tutto, secondo Welt.

"Rispetto della regola del 3%", "sostegno" dalla cancelliera Angela Merkel e "appoggio chiarissimo dal Ppe". Silvio Berlusconi a Bruxelles rassicura l'Europa presentando il programma del centrodestra in caso di vittoria della sua coalizione alle elezioni a marzo. Una due giorni fitta di incontri con i leader del partito popolare europeo che lo accolgono a braccia aperte, con il capogruppo Manfred Weber che lo definisce un "grande statista che non ha bisogno di riabilitazione". 

E poi con il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker che parla di "eccellente" faccia a faccia. Quindi il colloquio con il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani. Il tutto per accreditarsi con i vertici delle istituzioni europee, preoccupate dall'avanzare dei populismi in vista del voto di marzo in Italia. Ma se i vertici del Ppe non danno dispiaceri all'ex premier, la sferzata arriva dall'alleato italiano, il leader leghista Matteo Salvini che a margine di un incontro elettorale a Milano attacca: "l'Italia non ha bisogno di garanti. Siamo una Repubblica libera e sovrana calpestata dagli interessi di Bruxelles e Berlino, quindi sono gli italiani a dover essere garantiti da questo".

Intervento e risposta di Matteo Salvini durante la due giorni - iniziata ieri - di Silvio Berlusconi a Bruxelles.Berlusconi ieri ha assicurato l' UE sul 3% oggi Salvini va all'attacco: 'Il numerino 3 - ha detto il leader del Carroccio - se danneggia le imprese e le famiglie italiane, per noi non esiste". 

"Se ci sono regolamenti Ue che danneggiano le famiglie italiane quei regolamenti per il governo Salvini non esistono: come la Bolkestein, la direttiva Banche", puntualizza, citando il "punto tre" del programma del centrodestra. 

E ancora: 'L'euro era e resta un esperimento sbagliato che ha danneggiato il lavoro e l'economia italiana. Noi non cambiamo idea. Ci prepariamo a difendere l'interesse nazionale come abbiamo sottoscritto nel programma del centrodestra con la prevalenza della Costituzione sull' ordinamento Ue".

Intanto, proseguendo la sua visita Berlusconi esclude la possibilità di una grande coalizione in caso di assenza di maggioranza dopo il voto del 4 marzo.  "Escludo la possibilità di una grande coalizione - ha detto - non c'è nessuna possibilità che accada, avremo la maggioranza alla Camera e al Senato". 

Un punto, sul quale, è in sintonia con la Lega: "Chi vota Lega - dice Salvini - fa una scelta chiara. Noi non siamo disponibili a sostenere governi con il centrosinistra imposti dalla Ue".

Intanto In mattinata il primo appuntamento, quello con il segretario generale del Ppe, Antonio Lopez, nella sede del Partito Popolare europeo, dove Berlusconi presenta il programma elettorale, annunciando che intenderà "rispettare la regola del 3% del deficit". Una regola, dice il leader forzista, "discutibile" e che in "caso di certe necessità di programma economico può però essere superata". In linea con Tajani che giorni fa aveva definito il tetto del 3% "un non dogma", che si può sforare in modo concordato con Bruxelles. 

"Il deficit annuale di ogni stato deve essere adattato alle esigenze di sviluppo del singolo Paese", prosegue l'ex premier, tornando poi sulla "rivoluzione fiscale della Flat tax", che - sostiene - produrrà "un aumento del Pil", e porterà a "ridurre la percentuale del debito pubblico italiano per portarla a quel 125%, almeno come era al momento del colpo di stato del 2011, quando fui costretto alle dimissioni". Poi il tema Europa, "imprescindibile", aggiunge Berlusconi, ma con la speranza che "torni ad essere quella dei padri fondatori". Però occorre che si "rafforzi e che si dia una politica estera e della difesa comune". Obiettivo questo, spiega il leader del Centrodestra, che "ci farebbe risparmiare miliardi di euro" e renderebbe l'Europa una "potenza mondiale". Il Cavaliere parla anche della Germania, che dopo l'ok della Spd ad una Grosse Koalition si avvia "verso la sicurezza di avere un governo". E ciò "comporterà anche per la signora Merkel la possibilità di essere ancora autorevole in Europa", spiega. Con la cancelliera - aggiunge Berlusconi - i "rapporti sono stati sempre positivi" e la signora "ci sostiene con determinazione", sebbene "qualcuno abbia cercato di mettere zizzania".

I colleghi dell'Ecofin "sono al corrente che è previsto uno scenario d'incertezza" nelle elezioni italiane, "e siccome associano questo al fatto che in quattro anni di stabilità l'Italia ha fatto tanto, c'è preoccupazione che ci possa essere una interruzione verso la stabilità e la crescita": lo ha detto il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan al termine dell'Ecofin, rispondendo a chi gli chiedeva se i ministri europei fossero preoccupati delle prospettive elettorali in Italia.

Il ministro ironizza poi sulla flat tax.  "Quando si abbassa una tassa ci vuole una copertura e quindi si deve mettere sul piatto", la flat tax che propone Berlusconi "fa parte delle proposte che chiamo bacchette magiche o fatine blu, perché sono miracolose, spesso divertenti da ascoltare"

L'ex premier Berlusconi ha anche avuto un incontro con il negoziatore capo Ue per la Brexit Michel Barnier, dal quale riceve "rassicurazioni" sugli italiani che vivono nel Regno Unito: "godranno della stessa situazione che hanno ora, dopo che saranno scattati i patti con l'Europa", riferisce il cav. In mattinata Matteo Renzi aveva replicato al leader di Forza Italia sulla 'flat tax', definendola una "proposta ingiusta e senza coperture", "un ritorno al passato". Sul tetto del 3% è intervenuto invece il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan all'Eurogruppo sostenendo che "si può e bisogna ridurlo, quindi consolidare la finanza pubblica e sostenere la crescita". Domani si chiude la due giorni di Berlusconi a Bruxelles con gli ultimi incontri, tra cui tra quello con il presidente del partito popolare europeo, Joseph Daul.

Subito dopo l'incontro con il leader del Ppe, Berlusconi ha parlato degli scenari per il voto del prossimo 4 marzo alle politiche. "L'ipotesi di una grande coalizione che ancora oggi molti giornali insinuano, non è reale". Il centrodestra, assicura il leader di Forza Italia "vincerà le elezioni sia alla Camera che al Senato".

Poi Berlusconi ha parlato del suo programma che ha al centro una vera e propria riforma fiscale con la flat-tax con una aliquota progressiva: "Della Corte Costituzionale nessuno può essere sicuro in partenza, ma la Costituzione parla di progressività dell'imposizione fiscale. E la flat tax ha una certa progressività. L'articolo 53 della Costituzione stabilisce che in Italia "il sistema tributario è informato a criteri di progressività". Nell'incontro di ieri con il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, Berlusconi ha tracciato un profilo dell'Ue che verrà anche sul fronte della gestione dell'emregnza immigrazione: "Abbiamo parlato dei temi importanti per noi prima tra tutti l'immigrazione. Ho constatato che da parte sua c'è la stessa volontà nostra di aiutare gli Stati africani a darsi delle economie che possano far sì che i nativi non debbano, per raggiungere il benessere, trasferirsi in Occidente. 

Abbiamo anche parlato del numero di guardie di frontiera che può essere aumentato, in modo che ci siano degli hotspot, anche in Italia, di guardie che vengano dagli altri paesi europei". E sempre sull'emergenza immigrazione, nel colloquio con Daul, il Cav ha affermato: "Dobbiamo assolutamente snellire le procedure di indentificazione dei migranti, e dovremmo forse rinunciare alla possibilità di un appello presso i nostri Tribunali di chi riceve il foglio di via, e trasformare il foglio di via in un foglio di via definitivo. L?Europa deve fare accordi con paesi di provenienza affinchè accettino la restituzione dei migranti

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