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Colloqui segreti Usa-Russia con l'obiettivo di gettare le basi per potenziali negoziati con cui porre fine alla guerra in Ucraina. Lo riporta la Nbc News che, citando diverse persone a conoscenza dei fatti, riferisce di incontri tra un gruppo di ex alti funzionari della sicurezza nazionale americana con esponenti russi vicini al Cremlino e, tra questi, il più alto diplomatico del paese, Sergei Lavrov. L'incontro diplomatico di alto livello 'dietro le quinte' si è svolto ad aprile a New York e ha visto il ministro degli esteri russo impegnato in colloqui che si sono protratti per diverse ore.  

Secondo una recente indiscrezione messa in campo dalla testata americana NBC News, gli USA potrebbero essere al lavoro sulla pace in Ucraina. Sembra, infatti, che diversi funzionari ed ex funzionari governativi americani abbiano avuto, nei mesi scorsi, diversi incontri segreti con dei loro omologhi russi, e che in almeno un’occasione avrebbero coinvolto anche il massimo diplomatico del Cremlino, ovvero il ministro degli Esteri Sergey Lavrov. Complessivamente non vi sono conferme su nessun fronte dell’avvio di una possibile missione di pace in Ucraina da parte degli USA, ma la tesi risulta credibile tanto per le parole del presidente americano Biden che più volte ha chiesto l’avvio di colloqui, quanto per il fatto che come fonte, la testata, citi diverse persone coinvolte negli stessi colloqui segreti.


All'ordine del giorno della riunione alcune delle questioni più spinose della guerra in Ucraina, come il destino dei territori controllati dalla Russia che l'Ucraina potrebbe non essere in grado di liberare, e la ricerca di una formula diplomatica che potrebbe rivelarsi accettabile per entrambe le parti. Al tavolo con Lavrov Richard Haass, ex diplomatico e presidente uscente del Council on Foreign Relations, Charles Kupchan e Thomas Graham, ex funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato e membri del Council on Foreign Relations.

Tra gli obiettivi perseguiti, quello di mantenere aperti i canali di comunicazione con la Russia ove possibile e capire dove potrebbe esserci spazio per futuri negoziati, compromessi ed attività diplomatica per favorire la fine della guerra. L'amministrazione Biden era a conoscenza delle discussioni che però non si sono svolte sotto la sua direzione. Gli ex funzionari coinvolti hanno informato il Consiglio di sicurezza nazionale su ciò che è emerso dai colloqui, hanno detto due delle fonti.

Intanto secondo il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, potrebbero iniziare entro l'autunno i colloqui per la pace. "Questo è possibile. Forse non a settembre, ma un po' più tardi. Non voglio rivelare nulla, ma gli europei ne stanno già parlando: Francia, Germania", ha dichiarato durante un incontro a Minsk con giornalisti stranieri e locali.

Il presidente bielorusso ha esortato Russia e Ucraina a sedersi ora al tavolo dei negoziati "senza precondizioni", sostenendo che dopo la controffensiva di Kiev non sarà più possibile farlo. "Dobbiamo fermarci ora. Abbiamo già fatto molte cose cattive, ma potrebbe andare peggio. Pertanto dobbiamo fermarci ora, sederci al tavolo dei negoziati senza precondizioni. Dobbiamo decidere tutto al tavolo dei negoziati", ha detto.

Secondo Lukashenko, dopo la controffensiva ucraina non ci sarà più questa possibilità. "Oggi puoi parlare con l'Ucraina e raggiungere accordi di pace. Intendo la Russia. Dopo la cosiddetta controffensiva, la situazione cambierà", ha spiegato.  

Fonte AdnKronos / varie agenzie

L'organizzazione, che ha sede in Lussemburgo, ha una capacità di prestito massima di € 500 miliardi. Il MES viene finanziato dai singoli Stati membri con una ripartizione percentuale in base alla rispettiva importanza economica: la Germania contribuisce per il 27 %, seguita dalla Francia con il 20,3% e dall'Italia, con il 17,8%. Le modalità d'azione del fondo sono definite dall'articolo 3 del suo trattato istitutivo: lo Stato in difficoltà avanza la richiesta di assistenza al Presidente del Consiglio dei governatori del fondo, che a sua volta chiede alla Commissione UE di valutare lo stato di salute del Paese in questione, definire il suo fabbisogno finanziario e analizzare (insieme alla Banca centrale europea) se la crisi può contagiare o meno il resto dell'eurozona. Una volta ottenuto il via libera dall'UE, il MES può aiutare il Paese a rischio default attraverso dei prestiti.

Del MES si è molto parlato in occasione della più grande operazione di salvataggio di sempre: in otto anni di assistenza finanziaria e attraverso tre distinti piani di aiuti, la Grecia ha infatti ottenuto 326 miliardi. Un aiuto concesso al costo di importanti riforme-socio economiche (aumento dell'Iva, riforma delle pensioni, nuove leggi sul lavoro e incremento delle imposte indirette) che hanno messo in grandissime difficoltà la repubblica ellenica.

La riforma del MES prevede innanzitutto che sia proprio il Meccanismo Europeo di Stabilità a fornire il backstop al Fondo di risoluzione comune delle banche, ossia a fungere da garante per questo fondo, pensato per accantonare, grazie a contributi degli istituti di credito dei Paesi membri, le risorse necessarie per salvare banche di interesse per l'intera Ue. La seconda modifica riguarda l'introduzione di alcune novità relative alle fasi da seguire per il salvataggio di interi Paesi, su tutte la clausola che imporrebbe di ristrutturare preventivamente il debito per accedere al sostegno finanziario.

La Grecia nel 2015 si trovava schiacciata da un debito di 350 miliardi di euro. Accedere ai mercati finanziari è impossibile, perché i titoli di stato sono classificati al livello di "spazzatura". Si inizia a parlare, su più fronti, di uscita dalla zona euro. Atene chiede un piano di aiuti internazionali, che le viene accordato a maggio: non era mai accaduto prima a un paese dell'Eurozona. L'Europa e il Fondo monetario internazionale concedono 110 miliardi di euro in tre anni per scongiurare l'insolvenza nei pagamenti, che avrebbe ripercussioni drammatiche per la tenuta dell'economia europea.

Il piano di aiuti è subordinato a un pesantissimo piano di austerità, che prevede tagli alle pensioni ai salari, aumenti delle tasse e riforme strutturali. In tutto il paese infuriano le proteste e gli scioperi, con episodi violenti e tragici. Uno di questi accade a maggio, quando tre persone muoiono intrappolate in una banca data alle fiamme.

Sotto il titolo «In Deutschland tabu», l'ultimo numero di German Foreign Policy racconta, unico media tedesco, una vicenda che ha dell'incredibile: le pressioni che le élites politiche e istituzionali vicine al governo di Angela Merkel hanno esercitato per impedire la realizzazione di un film sgradito sull'operato del Mes in Grecia, e poi la sua proiezione in Germania. Il film-pomo della discordia, intitolato «Adults in the room», è stato girato dal regista greco Costa-Gavras, vincitore di due Oscar con «Z» e «La rivolta invisibile». Nonostante gli inviti espliciti di Klaus Regling, direttore del Mes, perché abbandonasse il progetto, Costa-Gravras ha presentato il film in anteprima alla mostra del cinema di Venezia nell'agosto 2019, «dove è stato accolto molto bene» e venduto in diversi paesi in giro per il mondo. Totale chiusura invece da parte della Germania, dove il film è tuttora tabù, boicottato a ogni livello, e nessuno lo ha potuto vedere né in sala, né in tv. Scrive German Foreign Policy: «Alcuni importanti funzionari della Repubblica federale tedesca si sarebbero personalmente adoperati per impedire la rielaborazione cinematografica, in chiave critica, dell'operato tedesco nei confronti della Grecia durante l'eurocrisi». Il più importante di questi funzionari è Klaus Regling, direttore del Mes (il discusso fondo Salva Stati), «il quale durante una cena a Parigi con Costa-Gavras avrebbe chiesto al regista di astenersi dal portare avanti il suo progetto cinematografico, annunciato per il 2017». Già questo è un segnale di quanto Regling sapesse di avere la coda di paglia, essendo stato proprio lui, come capo del Mes, a imporre alla Grecia, dal 2012 in poi, misure di austerity devastanti, che comportarono tra l'altro un taglio di oltre il 50% degli stipendi pubblici e delle pensioni, tasse a go-go, una disoccupazione di massa, la perdita di un terzo del pil e la ristrutturazione del debito pubblico, i cui titoli scesero, come valore, al livello della spazzatura. Un salvataggio che, a conti fatti, si è rivelato fallimentare, come ha confermato uno studio recente dell'ex commissario Ue Joaquìn Almunia.

Intanto oggi a Roma "I gruppi di maggioranza hanno presentato la sospensiva per non procedere all'esame del ddl (di ratifica del Mes ndr) per un periodo di 4 mesi", ha annunciato in Aula alla Camera Andrea Di Giuseppe (Fdi), intervenendo nella discussione generale sul ddl di ratifica del Mes. "La sospensiva presentata dalla maggioranza sarà votata prima dell'esame articoli del provvedimento che è rinviato alla prossima seduta".

Lo afferma il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, al termine della discussione generale sulla ratifica del Mes. "Il Mes è un tema che non mi viene posto; forse non c'è la stessa attenzione che c'è nel dibattito italiano", ha detto la premier Giorgia Meloni.

Il MES, nella sua configurazione attuale, rimane, quindi, un'organizzazione intergovernativa, dunque non rientrante negli organismi dell'Unione europea e, per questo, non soggetto al controllo democratico del Parlamento europeo né a quello tecnico della Commissione europea, e questa componente privatistica può generare conflitti con la gestione pubblica della politica economica".

"Abbiamo chiesto tutti insieme di rinviare di quattro mesi il Mes per fare una valutazione complessiva. Nessun problema con l'Europa. Non sono contrario in principio, ma ci sono troppe cose che non funzionano. Deve essere sottoposto a controllo istituzioni comunitarie. Lo dico io che sono un europeista convinto, non ci sono problemi. Non siamo contrari alla ratifica del Mes, ma ci sono cose da chiarire", le parole di Antonio Tajani, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, a margine del suo intervento a Fenix, festa di Gioventù Nazionale al Laghetto dell'Eur a Roma."I gruppi di maggioranza hanno presentato la sospensiva per non procedere all'esame del ddl (di ratifica del Mes ndr) per un periodo di 4 mesi", ha annunciato in Aula alla Camera Andrea Di Giuseppe (Fdi), intervenendo nella discussione generale sul ddl di ratifica del Mes. "La sospensiva presentata dalla maggioranza sarà votata prima dell'esame articoli del provvedimento che è rinviato alla prossima seduta".

 

 

 

 

 

Vladimir Putin cancella Evgheny Prigozhin e grazia la Wagner dopo la rivolta che si è fermata a 200 km da Mosca. Il leader dei mercenari, segnalato in Bielorussia da alcuni media, prova ad archiviare la parola golpe e parla di "marcia per la giustizia" dal suo 'esilio', con ogni probabilità a Minsk, dove è stato accolto dal presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko.

Chi è Aleksandr Grigoryevich Lukashenko, il presidente della Bielorussia dal 1994 e uno degli uomini politici più noti degli ultimi tempi.

Lukashenko nasce il 31 Agosto del 1954 nella città di Kopys, situata nel distretto di Orsha all'interno dell'Oblast di Vitebsk, ai confini con quella che oggi è la Federazione Russa. Ha conseguito due lauree: la prima, nel 1975, presso l'Università Pedagogica Statale di Mogilev e la seconda, nel 1985, presso l'Accademia Agraria Bielorussa. Ha trascorso, a partire dalla metà degli anni '70, cinque anni nell'esercito ed ha inoltre ricoperto il ruolo di istruttore nella sezione affari politici.

In epoca sovietica Lukashenko era conosciuto da tutti come "Batka", ovvero padre, termine che ben rappresenta l'immagine di sé che ha voluto proiettare, quella di un uomo apparentemente pacato, rassicurante ed in grado di garantirgli la vittoria alle elezioni presidenziali del 1994.

La sua lunga presidenza ha segnato un vero e proprio spartiacque per la politica interna e per le relazioni internazionali della Bielorussia, che solamente nel 1991 ha conquistato la propria indipendenza in seguito al crollo dell'Unione Sovietica.La Bielorussia non ha mai sperimentato una vera e propria transizione democratica. I primi anni dopo il crollo dell'Unione Sovietica, infatti si rivelarono particolarmente traumatici.

Lukashenko riuscì a rafforzarsi nel giro di solo un anno, grazie al referendum costituzionale del 1995. Vennero sottoposti all'attenzione della popolazione quattro quesiti cruciali, in grado di determinare l'orientamento dello Stato nei decenni a venire. Il popolo approvò, con percentuali oscillanti tra il 77 e l'83%, la scelta di adottare una nuova bandiera, di rendere il russo lingua ufficiale al pari del bielorusso, di sciogliere il Parlamento e di favorire l'integrazione economica con la Federazione Russa.

Nel corso degli anni Lukashenko ha definito il suo rapporto con il presidente russo dichiarando che per lui Putin è come un fratello maggiore, più volte abbracciato e sostenuto e dal quale più volte è stato aiutato. Infatti la realtà è che Lukashenko e Putin ormai sono indissolubilmente uniti per la sopravvivenza reciproca.

La mediazione con Prigozhin Grazie a Lukashenko, poche ore dopo aver evocato l'inizio di una "guerra civile", il capo della compagnia mercenaria russa "Wagner", Evgenij Prigozhin
ha fermato i suoi uomini quando erano ormai a 200 chilometri da Mosca

"Ci fermiamo e torniamo alle basi. Torniamo in Ucraina", ha annunciato Prigozhin in un messaggio audio spiegando di voler evitare un bagno di sangue" e di aver accettato la mediazione del presidente bielorusso Alexandr Lukashenko per porre fine alla crisi iniziata con l'occupazione della città di Rostov-sul-Don.

Secondo quanto riportato dall'agenzia stampa bielorussa, è stata "una soluzione accettabile, con garanzie di sicurezza per i combattenti di Wagner". I negoziati tra Lukashenko e Prigozhin sono andati avanti tutto il giorno, ha aggiunto il servizio stampa della presidenza bielorussa.

Il presidente russo Vladimir Putin è pronto a garantire, con ogni mezzo, la sopravvivenza dell'esecutivo da lui guidato. Una crepa dalle parti di Minsk rischia infatti di generare profondi riverberi anche da quelle di Mosca.

Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko ha confermato la presenza del capo della Wagner Yevgeny Prigozhin in Bielorussia. "Le garanzie di sicurezza, come promesso ieri, sono state fornite.

"L'esercito e le forze di sicurezza russe hanno di fatto impedito lo scoppio di una guerra civile". Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, parlando sulla Piazza delle Cattedrali al Cremlino a reparti dell'esercito e delle forze di sicurezza. Se non fosse stato fermato l'ammutinamento della Wagner nel fine settimana tutti i risultati ottenuti finora nel conflitto in Ucraina "sarebbero andati perduti", ha detto il presidente russo Vladimir Putin citato dall'agenzia Ria Novosti. "Non si sa cosa sarebbe stato del Paese - ha sottolineato Putin - ma tutti i risultati ottenuti nei combattimenti saranno andati perduti".

La Bielorussia non ha nulla da temere dall'arrivo dei miliziani Wagner, che anzi possono essere utili alle forze armate di Kiev per la loro esperienza. Lo ha detto il presidente Alexander Lukashenko incontrando il ministro della Difesa Viktor Khrenin. "Ci diranno cosa è importante adesso" in fatto di armi e strategia sul campo, ha affermato Lukashenko, citato dall'agenzia Ria Novosti. Lukashenko ha affermato che durante l'avanzata in Russia dei mercenari della compagnia Wagner "un'intera brigata era pronta per essere trasferita nella Federazione Russa, se necessario".
La Russia "non ha dovuto rimuovere unità militari" dalle zone di combattimento in Ucraina per affrontare l'ammutinamento della Wagner, ha aggiunto, sottolineando che la sicurezza interna è stata garantita da unità del ministero della Difesa, della Guardia Nazionale e personale del ministero dell'Interno. E infatti il comandante della Guardia Nazionale, Viktor Zolotov, ha annunciato oggi che il corpo che dirige sarà equipaggiata con armi pesanti e carri armati.

Durante il suo discorso, il presidente russo ha chiesto di onorare con un minuto di silenzio la memoria delle vittime dell'ammutinamento della Wagner il 24 giugno. Putin si è rivolto alle unità del ministero della Difesa, della Guardia Nazionale, dell'Fsb, del ministero dell'Interno e
dell'Ust, coinvolte nella repressione della ribellione del 24 giugno. In piazza c'era anche il ministro della Difesa Shoigu.

E intanto il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha detto di aver ordinato di mettere l'esercito bielorusso in stato di massima allerta durante l'ammutinamento di Wagner per essere pronto al combattimento. In un discorso il dirigente, alleato fedele di Vladimir Putin, ha sottolineato che è stato "doloroso assistere" all'ammutinamento di Wagner durante il fine settimana. "Anche molti bielorussi li hanno presi a cuore, perché la patria è una". "Le rivoluzioni 'colorate' (proteste che puntano a rovesciare i governi, ndr) non scoppiano mai se un Paese non ne ha le ragioni", ha aggiunto. Le persistenti tensioni tra il gruppo Wagner e l'esercito russo - ha spiegato - sono state gestite male, portando lo scorso fine settimana allo "scontro" tra le due parti. "La situazione ci è sfuggita di mano, poi abbiamo pensato che si sarebbe risolta, ma non è stato così", ha dichiarato Lukashenko. "Non ci sono eroi in questa storia", ha deplorato.

In conclusione, il presidente bielorusso ha detto: "È mia opinione che moriremo tutti se la Russia crollerà e saremo sepolti nelle rovine".

 

Fonti varie agenzie

 

 

La premier Giorgia Meloni 'boccia' la cura Lagarde contro l'inflazione. "L'inflazione è tornata a colpire l'economia - ha affermato la presidente del Consiglio alla Camera dei deputati nelle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 29 e 30 giugno - è un'odiosa tassa occulta che colpisce soprattutto i meno abbienti. È giusto combatterla con decisione" ma " la semplicistica ricetta dell'aumento dei tassi intrapresa dalla Bce non appare agli occhi di molti la strada più corretta. L'aumento dei prezzi non è figlio di un'economia che cresce troppo velocemente ma di fattori endogeni, primo tra tutti la crisi energetica. Non si può non considerare il rischio che l'aumento costante dei tassi sia una cura più dannosa della malattia".

"Colgo l'importanza delle sfide comuni purché siano sfide strategiche.
Quando L'Ue che nasceva come Ceca, si accorge dopo anni e anni che è esposta, che è troppo dipendente, e corre ai ripari, significa che qualcosa non ha funzionato in passato.

Mentre avevamo normato ogni singolo microbo aspetto della vita dei cittadini non ci accorgiamo delle sfide strategiche che andavano portati avanti. Noi non abbiamo cambiato idea. Abbiamo difeso negli anni il principio di sussidiarietà, ma non è quello che è stato fatto. Sono contenta di questo cambio di passo. È cambiato l'approccio". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in sede di replica alla Camera dopo il dibattito sulle comunicazioni in vista del Consiglio Ue." Non è mutata la fase che l'Europa, l'Occidente e il sistema internazionale stanno vivendo, la sicurezza in tutti gli ambiti, sociale ed economico, rimane la priorità del nostro lavoro quotidiano. La difesa della sicurezza e della libertà non può prescindere dal partenariato strategico fra Ue e Nato. In vista del vertice Nato a Vilnius, domani prima dell'avvio dei lavori del Consiglio è previsto un incontro di lavoro con il segretario generale della Nato

Alla riunione "centrale sarà il tema delle migrazioni", prima di tutto "sul punto mi unisco al cordoglio per la recente tragedia al largo delle coste greche", ha detto la premier sottolineando "l'impegno in ogni sede a stroncare il tragico traffico delle vite" che genera queste tragedie. La frase è stata sottolineata da un applauso dell'Aula.
"E' stato riconosciuto finalmente che la migrazione è una sfida europea e richiede risposte europee e si fa sempre più strada l'approccio che mira a superare la contrapposizione tra movimenti primari e secondari, Paesi di primo arrivo e di destinazione".

"Si comincia a comprendere che se si vuole affrontare alla radice il problema della migrazione ci si deve porre il tema dello sviluppo dell'Africa. Una vasta regione che possiede risorse, a partire da quelle energetiche, cruciali per l'Europa, che tuttavia dovrebbero andare prima di tutto a beneficio dei popoli che ne sono detentori". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nelle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo. "L'obiettivo - ha aggiunto - è garantire prosperità, pace e amicizia durature con un modello di cooperazione che deve essere paritario, non predatorio".
Lungo applauso della maggioranza nell'Aula della Camera quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto di non aver accettato di essere "pagata per trasformare l'Italia nel più grande campo profughi d'Europa". Immobili, invece, i deputati di opposizione.

In altre parole Meloni teme che "L'aumento dei tassi possa finire per colpire più le nostre economie che l'inflazione". Perciò "bisogna porre fine all'austerità". Senza venir meno alla disciplina di bilancio sulla quale l'Italia ha dimostrato serietà con buona pace dei gufi".

Sulla stessa linea il ministro degli Esteri ed esponente di Fi, Antonio Tajani. "La Banca centrale europea deve essere al servizio dell'economia reale, non viceversa. Non abbiamo detto che Lagarde deve andare via ma quello che dice non è il Vangelo".

Parlando con i cronisti in Transatlantico, Tajani ha aggiunto che si rischia di fare un danno all'industria, alle imprese. "Andiamo a intervenire sulla fonte dell'inflazione, nella trattativa sull'acquisto delle materie prime per esempio. Non ci sono dogmi", ha osservato.

Sul capitolo Mes, Giorgia Meloni, sempre nelle comunicazioni alla Camera, ha precisato che si tratta di "una partita complessa sulla quale io credo che l'Italia abbia obiettivi condivisi da gran parte delle forze politiche e che sono stati oggetto di sostegno bipartisan già con i governi precedenti. Per questa ragione, lo voglio dire con serenità, ma anche con chiarezza, non reputo utile all'Italia alimentare in questa fase una polemica interna su alcuni strumenti finanziari, come ad esempio il Mes".

"L'interesse dell'Italia oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto, nel quale le nuove regole del patto di stabilità, il completamento dell'Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutono nel loro complesso nel rispetto del nostro interesse nazionale. " Prima ancora di una questione di merito - ha concluso la premier - c'e' una questione di metodo su come si faccia a difendere l'interesse nazionale".

"L'inflazione è tornata a colpire l'economia, è un'odiosa tassa occulta che colpisce soprattutto i meno abbienti. È giusto combatterla con decisione ma la semplicistica ricetta dell'aumento dei tassi intrapresa dalla Bce non appare agli occhi di molti la strada più corretta. L'aumento dei prezzi non è figlio di un'economia che cresce troppo velocemente ma di fattori endogeni, primo tra tutti la crisi energetica. Non si può non considerare il rischio che l'aumento costante dei tassi sia una cura più dannosa della malattia".

"Tenere bloccati venti Paesi per ragioni ideologiche e per non dire la verità alle italiane e agli italiani, e cioè che ratificare il Mes non vuol dire chiedere l'attivazione vuol dire essere un governo irresponsabile. E Meloni ci sta mettendo in imbarazzo anche rispetto agli altri interlocutori internazionali". Lo ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein in un punto stampa a Bruxelles.

 

Fonti varie agenzie

 

La prima a cercare di mediare tra Ucraina e Russia era stata la Turchia: il presidente Recep Tayyip Erdogan è stato infatti il primo a cercare di conciliare le parti, ospitando le due delegazioni su suolo turco già nel marzo 2022

Né Putin, né Zelensky possono "volere tutto". Questa pare essere la tesi del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che ha cercato anche lui di mediare tra le parti chiedendo a Mosca di lasciare il territorio ucraino a Kiev di rinunciare a rivendicare la Crimea, annessa dalla Russia nel 2014. Due tesi seccamente rifiutate dalle parti: anche per questo l’incontro tra Lula e Zelensky al G7 di Hiroshima è saltato

A febbraio 2023 è stata la volta di Pechino, che ha presentato la sua “Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina”, un documento in 12 punti con in testa il rispetto della sovranità e dell'indipendenza. Tra i punti principali c’erano dialogo e cessate il fuoco, no all'uso di armi nucleari e agli attacchi alle centrali atomiche a uso civile

Dopo aver presentato il documento, Xi Jinping ha inviato in Europa un rappresentante speciale che trattasse con entrambe le parti in conflitto, Li Hui, ma purtroppo non è stato raggiunto alcun risultato

Anche Papa Francesco ha cercato di mediare tra le parti. Prima un fermo "no grazie" da parte di Zelensky, che ha ricordato come il piano di pace può essere solo ucraino, poi una risposta simile è arrivata dal Cremlino, che ha preso atto del "sincero desiderio" della Santa Sede di facilitare una fine del conflitto ma ha ribadito le ferme posizioni sui territori occupati

Ad interessarsi ad una possibile pace sono stati anche gli svizzeri: a febbraio si sono tenuti alcuni colloqui a Ginevra per cercare una soluzione pacifica della guerra in Ucraina. Incontri tenuti nella massima discrezione, senza interessare i vertici della diplomazia dei rispettivi Paesi. Alla fine, si è giunti ancora una volta a un nulla di fatto

Dopo aver incontrato a Kiev il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, i rappresentanti di sette Paesi africani hanno parlato a San Pietroburgo anche con il presidente russo Vladimir Putin. I leader, guidati dal sudafricano Cyril Ramaphosa, hanno messo sul tavolo la loro proposta di pace, cercando di strappare un placet sul prolungamento dell'accordo sul grano, in scadenza il 18 luglio. La loro però non è stata finora l’unica proposta di pace

L’idea dei Paesi africani poggiava su quattro semplici punti: ritiro di truppe russe e di atomiche dalla Bielorussia, alleggerimento delle sanzioni e nulla osta penale per Putin. Una proposta rifiutata da Zelensky. Il nullaosta penale per Putin, che all'arrivo della delegazione africana ha sottolineato come "la Russia sia aperta al dialogo con chiunque", avrebbe salvato lo stesso Ramaphosa che a luglio dovrebbe ospitare una riunione dei Paesi Brics con lo stesso Putin, che però rischia l’arresto dalla Corte penale internazionale

siamo aperti a un dialogo costruttivo con tutti coloro che vogliono attuare la pace sulla base dei principi di giustizia e di rispetto degli interessi legittimi delle parti". Così Putin che ha incontrato a San Pietroburgo alcuni capi di Stato africani. "E' arrivato il momento di avviare negoziati e mettere fine alla guerra", ha detto il leader sudafricano, Ramaphosa. Zelensky: "Ogni posizione conquistata agli occupanti dalle nostre forze sono nuovi argomenti per il mondo che l'Ucraina può vincere"

Il presidente americano Joe Biden ha dichiarato che la minaccia del presidente russo Vladimir Putin di utilizzare armi nucleari tattiche è "reale", pochi giorni dopo dal dispiegamento di queste armi da parte della Russia in Bielorussia.

Lo riporta Reuters sul suo sito riferendo le affermazioni di Biden ad un gruppo di donatori in California.

«Kiev aveva già siglato, alla fine di marzo 2022 a Istanbul, un accordo per il cessate il fuoco con Mosca, ma dopo il ritiro delle truppe russe dalla regione di Kiev lo ha gettato «nella pattumiera della Storia». Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin a una delegazione di leader africani, rispolverando la celebre espressione di Trotsky. Lo riferisce l'agenzia Tass.

Mosca intanto fa sapere di avere informazioni secondo cui gli ucraini vogliono impiegare lanciarazzi Himars americani e missili Storm Shadow britannici "per colpire il territorio russo, compresa la Crimea". Se ciò dovesse avvenire, per Mosca significherà "il pieno coinvolgimento degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nel conflitto" e la Russia reagirà con "attacchi immediati ai centri decisionali sul territorio ucraino". Lo ha affermato il ministro della Difesa, Serghei Shoigu, citato dall'agenzia Ria Novosti.

La Russia sfida la Nato. Il conflitto non sembra essere giunto a un punto di svolta. Le parti in causa continuano a lanciarsi il gianto di sfida. Come dimostrano le parole pronunciate dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in risposta alla presa di posizione del segretario della Nato, Jens Stoltenberg. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha accusato la Nato di voler «combattere» in Ucraina in quanto l’Alleanza ha dimostrato di non voler fermare le ostilità. Durante la sua visita ufficiale a Minsk, in Bielorussia, Lavrov ha sottolineato che «per bocca» del segretario generale della Nato, Jens Stolteberg, Mosca sa che gli alleati dell’Ucraina «sono contrari al 'congelamento, come si suol dire, del conflitto in Ucraina». 

«Quindi vogliono combattere. Bene, lasciamoli combattere. Siamo pronti per questo», ha proseguito Lavrov, che ha incontrato il presidente bielorusso Alexander Lukashenko e gli omologhi dei Paesi che compongono l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. Lavrov, citato dall’agenzia Interfax, ha assicurato che la Russia conosce gli obiettivi della Nato in Ucraina da «molto tempo» e che ora cerca di metterli in pratica. «Allo stesso tempo dichiarano che non stanno conducendo una guerra contro la Russia», ma «riconoscono che se non avessero fornito armi al regime di Kiev, tutto sarebbe finito - ha detto - Questo è un riconoscimento de facto che sono un partecipante diretto alla dichiarata guerra ibrida contro la Russia».

Intanto la decisione da parte dei partner occidentali di fornire all’Ucraina gli aerei da combattimento F-16 Fighting Falcon ha rappresentato un passo significativo verso la transizione dell’esercito ucraino verso l’impiego di un inventario occidentale compatibile con gli standard Nato. Tuttavia tale processo si rivelerà lento e tortuoso e determinerà l’arrivo di aeromobili di seconda mano.

Al fine di preparare l’esercito ucraino all’impiego degli F-16, gli Stati Uniti, dopo aver dato luce verde alla fornitura di tali velivoli da parte dei partner europei, hanno dichiarato la loro disponibilità a fornire addestramento ai piloti ucraini. Diverse nazioni europee si sono allineate agli Stati Uniti, dicendosi pronte ad addestrare i piloti di Kiev all’impiego dei nuovi velivoli, tuttavia ancora non è chiaro quali saranno le nazioni che forniranno materialmente gli aeromobili. Gli Stati Uniti dispongono di centinaia di questi velivoli stipati in Arizona, tuttavia l’affidabilità di questi ultimi risulta quantomeno discutibile e per rimetterli in funzione servirebbe un lungo processo di manutenzione. Il Regno Unito, la Polonia e il Belgio pur risultando in prima linea nella fornitura di addestramento non sono attualmente in condizione di inviare tali velivoli in Ucraina.

Allo stato attuale la possibilità di donare aeromobili F-16 dal proprio inventario è stata espressa da Paesi Bassi e Danimarca. Nel caso di Amsterdam, il Premier Mark Rutte ha detto che sta prendendo in seria considerazione l’idea, mentre Copenaghen prenderà una decisione definitiva su tale dossier solo questa estate. Tali nazioni dispongono di diverse decine di F-16 Am/Bm, tale categoria rappresenta probabilmente la miglior soluzione per l’Ucraina nel breve periodo, in quanto essi possono essere forniti senza dover affrontare lunghi processi per essere rimessi funzione e le nazioni fornitrici sono in grado di far fronte al trasferimento.

 

Fonti varie agenzie e giornali ( tg24 ansa il giornale e altri )

 

 

 

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