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Chi ha avuto occasione di sentirlo racconta di un Conte molto irritato, ormai convinto che Di Maio sia pronto a sacrificare anche lui pur di tirare la volata al M5s in vista delle Europee del 26 maggio.  «Luigi, non c'è alcuna alternativa dice il Premier  a meno che tu non voglia far cadere tutto per questa storia. Ma davvero vuoi sacrificare tutti noi solo per rincorrere due punti in più nei sondaggi?».

Scontro durissimo, muro contro muro ed esecutivo in bilico. È questo il quadro che è uscito dal Consiglio dei Ministri. Le urla e i dissidi non si sono fermati dietro le porte chiuse del Cdm. I leghisti di fatto ora sono in pressing su Salvini per portare il Carroccio alla rottura con il Movimento Cinque Stelle: "Non possiamo andare avanti con questi qua. Il 27 maggio, comunque vada, mettiamo fine a questa storia", avrebbero detto i fedelissimi del leader della Lega, secondo quanto riporta Repubblica. 

A innescare l'ira della Lega le resistenze da parte dei grillini sul Salva Roma. I Cinque Stelle hanno chiesto l'approvazione del piano che prevede nuovi fondi per la Capitale che vanno a ripianare il debito, Salvini invece sin da subito si è detto contrario: "I debiti di Roma se li tiene la Raggi". Ed ecco qui che si consuma la rottura. Salvini a Conte dice poche parole: "Se i grillini insistono col Salva Roma, io mi presento con i ministri della Lega al completo e voto contro". A questo punto Conte, come ricorda Il Giornale, mette nel mirino Di Maio: "Non c’è alternativa, vuoi fare cadere tutto per questa storia? Sacrifichi tutto per rincorrere due punti nei sondaggi?".

Altrimenti, è il senso del ragionamento del premier, avrebbe evitato quello che Matteo Salvini non poteva non vivere come un atto ostile. Invece è su Siri che il M5s continua a battere, nel tentativo di «sporcare» la leadership legalitaria che Salvini si è sapientemente costruito in questi anni. Non è un caso che la potente comunicazione dei Cinque stelle insista molto sui possibili legami tra l'inchiesta che coinvolge Siri e la mafia che fa infuriare il Ministro degli Interni..

Mi ha stancato questa lite permanente tra un membro del governo e il sindaco di Roma. Si chiariscano se ne hanno bisogno, io penso a lavorare». Lo afferma vicepremier Luigi Di Maio all'indomani dello scontro in Cdm sul « Salva Roma». E subito dopo risponde a distanza Matteo Salvini: «Tutta la Lega è al lavoro per aiutare concretamente i cittadini romani che non hanno bisogno di regali ma di una amministrazione cittadina concreta ed efficiente». Lo afferma in una nota il vicepremier della Lega, tornando sulla questione della norma «Salva Roma» sul debito della Capitale.

Giorgia Meloni all’ultima conferenza programmatica di Fratelli d’Italia ha urlato: «La Capitale d’Italia è Roooomaaa». Un grido diventato virale, paragonato con ironia sui social a quello cinematografico di Leonida. Ora che la norma sul debito storico del Campidoglio divide il governo gialloverde, la leader di FdI si schiera con il M5S: «Siamo pronti a votare il provvedimento in Parlamento e non capisco la posizione della Lega: su questi temi mi sembrava che avesse fatto importanti passi avanti...».

Uno scontro ormai all'arma bianca. Ultimo atto di una giornata trascorsa all'insegna di chi la spara più grossa. Divisi su come trascorrere il 25 aprile, su fronti opposti sulla gestione del debito di Roma, distanti anni luce sulla gestione della vicenda Siri e in guerra pure sull'eventualità di migliaia di sbarchi dalla Libia, tra Di Maio e Salvini ormai c'è la totale incomunicabilità. I due non si parlano neanche e Conte è costretto a tentare disperate mediazioni. 

Come ieri, quando non sono riusciti neanche a mettersi d'accordo su cosa discutere e quando tenere il Consiglio dei ministri, prima convocato per le 18, poi rimandato alle 19 e infine iniziato alle 20. Ma prolungatosi fino a tarda sera, perché Di Maio ci ripensa. Prima annuncia che non ci sarà, perché impegnato in un improrogabile impegno cioè la registrazione di Di martedì su La7, poi cambia idea e si precipita a Palazzo Chigi che sono le nove passate. In mezzo, non un dettaglio, Salvini scende in piazza Colonna e annuncia trionfante lo stralcio del cosiddetto «salva-Roma». «Decisione concordata con Conte e con chi c'era», dice ai giornalisti il ministro dell'Interno. Non a caso, in Consiglio dei ministri sono presenti tutti gli esponenti della Lega e solo Barbara Lezzi, Elisabetta Trenta e Alberto Bonisoli per il M5s.

In verità, pare che più che «concordata» la decisione sia stata «annunciata» da Salvini. Che preso atto della defezione di Di Maio come sottolinea il Giornale sarebbe letteralmente sbottato per poi lasciare il Consiglio dei ministri e andare ad incontrare i cronisti. Una decisione che Conte, allo stesso modo degli affondi di Di Maio, non avrebbe affatto gradito. «Una buffonata», si sarebbe lasciato scappare il premier.

Come tutta la giornata di ieri. Con il M5s che smentisce categoricamente Salvini, giura che il Consiglio dei ministri non ha discusso né il Decreto Crescita né il «salva Roma», e Di Maio che si presenta a Palazzo Chigi per riaprire il confronto. Un braccio di ferro permanente. E di cui oggi parleranno tutti i giornali.

A Palazzo Chigi pero per il Cdm prima previsto per le 18, poi rinviato alle 19 e infine iniziato alle 20 dei ministri grillini si presentano solo Barbara Lezzi e Andrea Bonisoli. I big del M5S non ci sono: assenti per missioni varie Toninelli e Bonafede, lontano per scelta politica Luigi Di Maio. Il vicepremier pentastellato ha preferito andare agli studi di La7 per registrare l'intervista a DiMartedì. Il forfait grillino manda su tutte le furie Salvini e ne provoca la reazione stizzita: poco prima dell'inizio del Cdm, il leghista scende nell'androne del palazzo e annuncia ai giornalisti lo stralcio del "Salva Roma" concordato "con chi c'è". Dunque con Conte. Una piccola bugia (in realtà la discussione non era neppure avviata) da vero animale politico che si rivelerà vincente.

Lo scatto in avanti del ministro dell'Interno è l'affondo come riferisce il Giornale che manda in tilt tutti i piani pentastellati. In settimana Lega e M5S si erano colpiti a distanza sull'affaire Siri e sulla norma per la Capitale. Il Carroccio non voleva votare il "Salva Raggi" nonostante le insistenze grilline. Per forzare la mano, il Movimento aveva anche pubblicato sul blog 4 domande rivolte a Salvini con cui chiedere le dimissioni di Armando Siri. Un atto di guerra nella speranza di piegare le resistenze sul Salva Roma, che però si rivelerà inutile. Così come vana, se non dannosa, si è dimostrata la decisione di disertare in massa il Consiglio dei ministri. Per Salvini è troppo ("chi non c'è ha fatto una scelta") e così decide (prima dell'inizio del Cdm) di "annunciare" come per approvata quella che in realtà, intorno alle 20, è solo una proposta del Carroccio.

Il ministro dell'Interno e quello del Lavoro si parlano ormai a mala pena. Conte sperava di discutere in Cdm i temi caldi della settimana. Ma il confronto si è trasformato in un ring, da cui Salvini scende galvanizzato e Di Maio se ne va con un occhio emaciato. L'annuncio del leghista costringe infatti il grillino a precipitarsi subito a Palazzo Chigi. Di Maio arriva un'ora dopo l'inizio della riunione, quando la discussione sul Salva Roma e il dl Crescita non è ancora iniziata. A porte chiuse si consuma la lite. Conte se la prende con entrambi. "Per due voti fai saltare tutto", grida a Luigino come rivela ilGiornale. "Non siamo tuoi passacarte, non ti devi permettere", grida a Salvini. I nervi sono tesi, ma ormai la Lega ha messo in scacco matto il M5S. Dopo l'annuncio del ministro dell'Interno urbi e orbi ai cronisti, tornare indietro è praticamente impossibile. Anche Di Maio lo sa e alla fine deve cedere.

Il Salva Roma esce così stralciato scrive il Giornale a metà dal Consiglio dei ministri. Dei sette commi di cui era formato ne restano solo due, il primo e il settimo. Per Salvini è una vittoria: "Lega soddisfatta - esulta nella notte Salvini - I debiti della Raggi non saranno pagati da tutti gli italiani ma restano in carico al sindaco". Il M5S è nell'angolo, costretto a incassare il colpo e a provare a guardare il bicchiere mezzo pieno: "È un punto di partenza, siamo sicuri che il parlamento saprà migliorare ancora di più un provvedimento che, a costo zero, fa risparmiare soldi non solo ai romani ma a tutti gli italiani", commentano dai pentastellati a caldo. Ma sono parole che hanno la stessa valenza di una bandiera bianca. Stavolta ha vinto Salvini.

Intanto l'attacco del ministro Grillo: "Nella Lega posizioni medievali"  "Questo governo è il frutto dell’unione tra una forza politica non ideologica, il Movimento 5 Stelle, e una forza con valenza ideologica, la Lega, di destra  I conflitti ci sarebbero stati anche col Pd. Quando dobbiamo lavorare sul contratto di governo noi siamo molto affiatati, quando invece c’è da mettere i puntini sulle i diventiamo affilati". Lo ha affermato il ministro della Salute Giulia Grillo.

Intervistata dal Corriere, la Grillo ha parlato delle diversità tra il Movimento 5 Stelle e gli alleati di governo. "Non ci potrà mai e poi mai essere un accordo con la Lega se mettono in discussione l’aborto e pensano che la donna nell’interrompere la gravidanza commetta un omicidio - ha spiegato il ministro -. Non possiamo essere d’accordo con chi pensa che gli omosessuali vadano bruciati come in epoca medievale. Noi in questa epoca medievale non ci riconosciamo. Loro sono oltre il medioevo. Poi però ci ritroviamo sui programmi di buon senso".

 

Che Eurostat ieri abbia certificato che quasi un quarto del debito pubblico dell'area euro è targato Italia - 2.320 miliardi su 9.860 - finirà nascosto nelle pagine interne. Ma su questo dettaglio Di Maio e Salvini ieri non hanno proprio avuto il tempo di confrontarsi.  

L’Italia attende l’aiuto degli Stati Uniti in Libia. In questi giorni, i contatti fra il governo italiano e quello statunitense sono all’ordine del giorno. È frenetico il lavoro delle due cancellerie: soprattutto da parte di Roma, che sa che per provare a scardinare la strategia di Khalifa Haftar e dei suoi alleati può fare affidamento soltanto sull’altra sponda dell’Atlantico, che pesano (eccome) nelle scelte della Nato e delle Nazioni Unite, così come in quelle di molti partner mediorientali.

La richiesta da parte di Palazzo Chigi è chiara: “Aiutateci in Libia”. Ma la risposta degli Stati Uniti di Donald  Trump, fino a questo momento, è stata tentennante.Secondo il quotidiano il giornale nella sua rubrica "occhi alla guerra" Washington non vuole abbandonare la Libia al suo destino, almeno non totalmente. Ma è chiaro che scegliere una parte piuttosto che un’altra non è una decisione facile per un governo che, in questo caos libico, vede i suoi alleati scontrarsi fra loro.  

L’Italia secondo il giornale sta provando a convincere Trump a schierarsi apertamente nei confronti del piano di Roma, che è poi quello delle Nazioni Unite e che rappresenta di fatto la declinazione internazionale delle idee del Dipartimento di Stato. L’obiettivo del governo giallo-verde è praticamente ricordare agli Stati Uniti perché dove ribadire la stesse linea americana sulla Libia, che adesso sembra disinteressarsi del caos di Tripoli (almeno in apparenza).  

Un’emergenza continua il quotidiano è tale quando una situazione appare repentinamente variata e cambiata in un lasso di tempo talmente veloce, da richiedere decisioni e sforzi fuori dall’ordinario. Dati alla mano, non esiste un’emergenza immigrazione dalla Libia per via della guerra attualmente in corso. 

L’Italia deve ovviamente valutare tutti gli scenari futuri ed agire secondo una precauzione figlia del buon senso, ma considerare emergenza ciò che emergenza non è potrebbe risultare controproducente. Parlare oggi di necessità di contenere i flussi generati dal conflitto libico equivale a parlare di ricostruzione prima di un terremoto. Al momento non c’è alcun incremento di approdi relativi alla rotta libica: la guerra scatenata dal generale Haftar lo scorso 4 aprile su Tripoli non genera fino a queste ore la temuta ondata di profughi.

Cifre e numeri destinati a creare preoccupazione soprattutto lungo la sponda italiana del Mediterraneo, allarmi volti a sensibilizzare un Paese, quale il nostro, che vive da vicino la questione legata a flussi migratori. Sono giorni in cui dalla Libia, sia dal lato di Al Sarraj che da quello di Haftar, arrivano vere e proprie allerte. L’ultima riguarda quella lanciata dal premier libico e che parla, in particolare, di 800mila migranti presenti in Libia. Un modo per spingere Roma ad adoperarsi affinché il problema venga risolto, magari dando appoggio politico (e soldi) al governo insediato a Tripoli ed impegnato in queste ore a respingere gli assalti dell’Lna. Ma quella sui migranti è reale emergenza?

Immigrazione e terrorismo sono problemi attuali, che esistono prima dello scoppio della battaglia di Tripoli e che non sembrano accentuati nei giorni successivi. Parlare di emergenza sembra forse un tentativo, nemmeno troppo sottile in effetti, di tirare in ballo l’Italia. Dal canto suo, Roma deve valutare ogni scenario e provare in ogni caso a mediare per porre fine all’instabilità libica. Ma le questioni divenute improvvisamente centrali nelle ultime ore appaiono più figlie di mere chiacchiere politiche che di preoccupanti circostanze reali

Fatte queste premesse dunque, ben si intuisce quanto importante sia la prevenzione di determinati fenomeni tenendo ben presente però l’attuale realtà dei fatti, che non parla di emergenza. Anche perché, al contrario, da alcuni giorni risulta che diversi migranti presenti in Libia tornino a gruppi in Niger in quanto preoccupati di rimanere loro malgrado invischiati nel conflitto a Tripoli. E gli stessi libici divenuti profughi per via delle case tremendamente vicine alla linea del fronte, scappano sì ma in altre zone della Libia o in Tunisia. Quando quindi il governo libico, da una parte, parla di pericolo di invasione e quando, dall’altra parte, Haftar mette in guardia dai rischi legati al terrorismo, l’impressione è quella di un’enfatizzazione dei relativi fenomeni per catturare le simpatie (con relativi appoggi politici e di natura economica) dell’Italia.

Ma secondo Il piano Usa, con l’avanzata repentina di Haftar, ha sicuramente subito uno stop importante. E questo sicuramente incide sul fatto che gli Stati Uniti non abbiano intenzione di concedere al maresciallo della Cirenaica la vittoria. Ma è chiaro che, avendo da una parte l’Italia, il Qatar, la Turchia e il governo riconosciuto e dall’altra parte Francia, Emirati, Arabia Saudita ed Egitto, scegliere non è affatto semplice. In qualunque caso, Trump dovrà per forza lanciare un segnale di avvertimento a un alleato.

Intanto sono pronti a colpire in nome del jihad. Sono convinti che sia necessario l'uso della violenza per applicare la legge di Allah. Questa mattina la polizia di Stato li ha fermati entrambi prima che potessero fare del male a qualcuno. Non potendo più andare a combattere in Siria sotto la bandiera dello Stato islamico, i due, che si sono radicalizzati in Italia, erano infatti veri e propri lupi solitari pronti al suicidio.

Frittitta e Ghafir non parlavano e basta. Erano già passati all'azione. Si legge, infatti, in una chat dal tono inquietante: "Mi sono preso troppo di collera, ho sbagliato due volte strada. Mancava poco e Yusuf faceva un casino in autostrada...". I due si stavano informando su come sabotare i servizi pubblici e si stavano allenando per raggiungere una preparazione fisica e militare idonea a combattere a fianco dei miliziani dell'Isis in Siria o in altre località. Acquisivano in continuazione video che contenevano istruzioni per combattere e studiavano le tecniche di guerriglia a cui si ispirano i jihadisti quando tentano le azioni suicide. "Tutti comportamenti finalizzati a commettere atti di terrorismo - spiegano gli inquirenti - volevano colpire più Paesi, sia mediorientali che europei".

L'obiettivo, secondo i pm, era appunto intimidire gli occidentali destabilizzando o distruggendo "le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di tali Stati". Il timore era che i due potessero passare a un gesto dimostrativo, eclatante, anche utilizzando il camion. Un'ipotesi che ha preso più corpo, secondo gl investigatori, quando lo Stato islamico è stato sconfitto in Siria e si è allontanato, per entrambi, il progetto di andare a combattere per il Califfato. Da quel momento i due avevano iniziato ad agire da veri e propri lupi solitari o anche "mujahediin virtuali". "Il martirio è il miglior modo per morire - diceva il marocchino - che Allah non ci neghi questa possibilità".  

Come sottolinea il giornale "Vorrei accarezzare le loro gole con quello". Quello è un coltello lungo 26 centimentri che Frittitta, che di mestiere faceva l'autista di camion autoarticolati per una impresa di Brescia, portava con sé. Oltre al 24enne palermitano le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal sostituto Calogero Ferrara, hanno incastrato anche Ossama Ghafir, 18enne marocchino che abita a Cerano, paesino in provincia di Novara. I pm sono convinti che i due estremisti islamici fossero pronti a "usare la violenza" ammazzando "uno ad uno, tutti i traditori mettendoli in fila". Per Frittitta anche i genitori erano "miscredenti". "Non hanno più potere su di me", diceva all'amico. I due lupi solitari avevano aderito "alla linea religiosa islamica salafita" ed erano pronti ad andare contro tutto e tutti. E a far scorrere il sangue.

Frittitta aveva iniziato a radicalizzarsi nel 2017: si era fatto crescere una folta barba nera e si era sposato con una donna di religione islamica. Questo processo è poi maturato in ambienti integralisti del Nord Italia dove si era trasferito dopo che aveva conseguito l'abilitazione alla conduzione di mezzi pesanti. È qui che ha stretto amicizia con Ghafir e altri convertiti all'islam. Via chat si scambiavano materiale di propaganda dello Stato Islamico, informazioni sui combattimenti in corso in Siria, canti di guerra e video sanguinari. Il loro proposito era addestrarsi per andare a combattere nei territori occupati dallo Stato Islamico.

 

 

 

Con l’insediamento al ministero di Matteo Salvini, i contatti diplomatici con Tripoli rimangono molto solidi. Proprio il segretario della Lega è tra i primi ad incontrare Fathi Bishaga, il suo omologo libico, a poche settimane dal suo ingresso all’interno del governo di Al Sarraj. Come rivela il giornale negli articoli di "occhi nella guerra" una mossa favorita anche dai contatti che lo stesso Salvini stringe con il Qatar, a cui sia il premier libico che Bishaga sono ritenuti vicini: “In queste ore stiamo sondando tutti i contatti diplomatici con le parti in causa – dichiarano dal Viminale – L’obiettivo è fare fronte comune e chiede lo stop alle ostilità”. La fine immediata dei combattimenti è del resto la richiesta che viene fatta dal governo di Giuseppe Conte già dalle prime ore dall’inizio della battaglia. Lo ribadisce, nel suo discorso di questo giovedì alla Camera dove riferisce ai deputati, lo stesso Conte. Ed anche Salvini, più volte, dichiara di sostenere lo stop agli scontri: “Il Viminale sta lavorando per questo”, sottolineano dal ministero.

Ma ciò che, dagli uffici del ministero degli interni, preme maggiormente specificare in queste frenetiche ore caratterizzate dalla crisi attorno la capitale libica, riguarda indubbiamente la questione migratoria. Nei giorni scorsi sono parecchie le preoccupazioni circa una possibile ripresa delle partenze dalla Libia. Il caos all’interno della città di Tripoli e l’impiego delle milizie tripoline nelle battaglie, fanno temere un minore controllo lungo le coste del paese africano. Se martedì è lo stesso premier Al Sarraj a tranquillizzare l’Italia, affermando che la sua Guardia Costiera continua a lavorare per arginare i flussi, in questo giovedì è il Viminale a fare quadrato: ” Non si teme, al momento, un incremento delle partenze di immigrati – tagliano corto dal ministero – Stiamo però monitorando la situazione costantemente”.

Proprio nelle scorse ore un barcone in difficoltà con venti migranti a bordo viene soccorso e riportato in Libia dalla stessa Guardia Costiera di Tripoli. Per il momento dunque, la situazione sotto questo fronte sembra sotto controllo. E questo, agli stessi funzionari del Viminale, fa tirare un primo debole ma significativo sospiro di sollievo.

Non solo il volo Bengasi-Roma-Bengasi continua il Giornale di un misterioso Falcon che era presente all’aeroporto di Ciampino lunedì scorso. C’è un altro aereo, sempre dello stesso modello, che ha avuto un percorso diverso ma la stessa base di partenza: Bengasi. Ma questa volta la rotta puntava più a nord, direzione Parigi.

A rivelarlo è sempre Repubblica che, seguendo i tracciati di Flightradar, ha ricostruito un altro viaggio degli uomini di Khalifa Haftar, che in base al monitoraggio dei voli sembra siano atterrati nella capitale francese giovedì 4 aprile per poi ripartire dall’aeroporto di Orly l’alba del giorno dopo. E l’Eliseo ha confermato al quotidiano italiano che “degli emissari di Haftar sono venuti”. Anche in questo caso, c’è chi parla di Saddam Haftar, il figlio del generale, quello che secondo le indiscrezioni sarebbe stato anche a Roma per incontrare il figlio del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ma c’è un altro aereo misterioso tracciato dai radar sulla rotta Francia-Libia: un jet decollato a un aeroporto secondario di Lione ed è atterrato a Bengasi dopo aver sorvolato per lungo tempo i cieli della Cirenaica: forse in missione di ricognizione.

Scrive il Giornale le domande sorgono spontanee: dopo il sostegno malcelato dei francesi per l’uomo forte della Cirenaica, che cosa ci faceva l’alta delegazione di Haftar a Parigi? Il sospetto è che quell’incontro arrivato dopo la visita degli emissari a Roma serva per dare e ottenere garanzie. La Francia vuole vederci chiaro: ha sostenuto Haftar in ogni modo, anche bloccando la condanna Ue alle operazioni dei suoi miliziani (anche se Parigi nega qualsiasi tipo di “boicottaggio”), ma adesso potrebbe sfuggirgli di mano.

L’Eliseo infatti teme che Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti abbiano preso il sopravvento sui piani dell’Esercito nazionale libico. E adesso il generale può diventare una scheggia impazzita tanto che la francia vuole iniziare a far vedere di avere ancora il polso della situazione anche per non perdere la leadership sulla possibile futura transizione libica in cui è chiaro che Emmanuel Macron abbia giocato tutte le sue carte.

Dalla Francia continuano a negare qualsiasi sostengo diretto ad Haftar. Parlano di un sostegno a entrambe le parti in causa, di volontà di arrivare a una pacificazione, di sostegno all’operato delle Nazioni Unite e dell’inviato Ghassan Salamè. Addirittura continuano a sostenere che non esiste alcuna rivalità tra Parigi e Roma, con l’Italia che non è “rivale” ma addirittura alleata della Francia.

Parole che però inutile nasconderlo non svelano l’altra verità,come rivela "occhi della guerra"  quella fatta di un continuo lavorio diplomatico, di intelligence e politico per farsi fuori a vicenda ed evitare che uno dei due governi prenda il sopravvento sulla crisi libica. In questo senso, è chiaro che Francia e Italia debbano cooperare necessariamente in Libia: perché due Paesi Nato e Ue non possono non condividere informazioni fondamentali specialmente se confinanti e se coinvolte entrambi direttamente in un conflitto e con proprie forze sul campo. Ma la divergenza strategica è del tutto evidente: Parigi non ha alcun interesse a fare in modo che Roma si prenda un ruolo di guida della transizione. E stessa cosa può dire l’Italia, visto che a nessuno, specialmente in questo governo, interessa che Macron prenda in mano la guida del conflitto.

Sotto questo profilo, sempre come riporta Repubblica, le parole di Michel Scarbonchi, “ex deputato europeo che si presenta come una sorta di ambasciatore di Haftar nella capitale francese” sono molto più realistiche: “Nessuno vuole dirlo, ma tutti sperano che il Generale prenda Tripoli e diventi l’ uomo forte capace di stabilizzare la Libia”. Anzi, lo stesso Scarbonchi rivela come oramai anche l’Italia abbia di fatto capito che l’unico con cui si può realmente interloquire è Haftar. Ma è evidente che i suoi uomini siano andati a Parigi per chiedere l’assenso alle operazioni. Mentre in Italia è venuto per garantire che non colpirà i nostri interessi.

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Il caos in Libia non significa che qualcun non stia vincendo.E tra i possibili “vincitori” di questo conflitto, c’è sicuramente la Russia di Vladimir Putin che, nella peggiore delle ipotesi, in ogni caso riuscirebbe a mantenere più di un piede in un Paese che, con la caduta di Muhammar Gheddafi, poteva anche perdere del tutto. Perché la caduta del colonnello libico non è stata solo la fine di un governo partner dell’Italia, ma anche della Russia, considerati i contratti siglati fra Mosca e Tripoli nel corso degli anni precedenti la caduta.

Con la guerra in Libia, tutto sembrava perduto per Mosca. Secondo il quotidiano il Giornale ma così non è stato. E il fatto che adesso il caos imperi nel Paese nordafricano è comunque un segnale che la sfida per Tripoli e dintorni non si è conclusa e che il Cremlino non ha mai messo la parola fine alla sua strategia per la “conquista” della Libia. In questo senso, le parole rivolte ad Agenzia Nova da Lev Dengov, direttore del gruppo di contatto russo per la Libia, sono particolarmente importanti. Il funzionario russo ha infatti affermato che il suo Paese rappresenta “la piattaforma di dialogo ideale per la soluzione pacifica del conflitto” in Libia e ha citato in particolare la figura di Ramzan Kadyrov che “opera come ponte nelle relazioni tra il mondo musulmano e Mosca”.

 

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Il sottile filo rosso che lega Libia e Federazione russa è rappresentato, come sostenuto da Dengov, da Kadyrov. Il governatore della repubblica di Cecenia, musulmano e sunnita, è un elemento essenziale per comprendere la strategia del Cremlino in Medio Oriente e Nord Africa, perché, come spiegato dal funzionario russo, “ha svolto un grande lavoro nel fondare delle relazioni con la Libia ed ha buone amicizie in Medio Oriente, negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita“. Una lista di nomi che appare essenziale per comprendere su chi verte la “simpatia” di Putin visto che sia Riad che Abu Dhabi puntano sul comandate dell’Esercito nazionale libico e anche l’Egitto, sponsor fondamentale del maresciallo di Bengasi.

 

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Per la Russia, sottolinea il Giornale avere legami con tutte le parti del conflitto significa ergersi a possibile leader della transizione del Paese nordafricano dopo la guerra civile, ma soprattutto avere un nuovo avamposto nel Mediterraneo. Proprio per questo motivo, il fatto che gli Stati Uniti abbiano fisicamente abbandonato la Libia con l’immagine di Africom che comunica l’uscita dei soldati Usa dal territorio del Paese, ha un significato molto profondo.

Di fatto, gli Stati Uniti hanno già delegato alle Nazioni Unite il compito di guidare la transizione libica. E mentre Donald Trump dimostra disinteresse nei confronti del conflitto libico, anche grazie agli errori commessi dal governo italiano cher hanno abbandonato la linea più apertamente vicina al governo statunitense, la Russia può incunearsi cercando di prendere non il controllo della situazione, ma quantomeno di diventare, ancora una volta, una potenza necessaria. Ed è questa la vera vittoria di Putin.

 

 

 

 

L'assalto al Ministro degli interni arriva da più fronti. Quello politico da una parte, quello giudiziario dall'altra. Ma Matteo Salvini tiene duro e fa sapere che non farà alcun passo indietro sull'immigrazione.

Pero la questione per l’Italia è grave. E sono ore frenetiche. L’appello lanciato oggi da Sarraj è stato cristallino. Ha parlato della crisi in Libia parlando di centinaia di migliaia di libici pronti a partire dal loro Paese per raggiungere l’Europa e quindi l’Italia. La rete dei trafficanti di esseri umani è pronta a mettersi in moto per riattivare un circuito criminale che l’Italia, con un lavoro incessante con tutte le fazioni libiche, aveva cercato di frenare. I risultati ottenuto negli ultimi mesi sulla rotta del Mediterraneo centrale potrebbero essere spazzati via in un colpo. E se è un problema per la sicurezza italiana, lo è anche dal punto di vista elettorale per Lega e Cinque Stelle, che sull’immigrazione hanno costruito una grossa fetta del proprio consenso popolare.

"Fate presto", il peggioramento della situazione in Libia potrebbe spingere "800 mila migranti e libici a invadere l'Italia e l'Europa". E in questo enorme numero di migranti ci sono anche criminali e soprattutto jihadisti legati a Isis. Lo sostiene il premier libico Fayez al-Sarraj, in un'intervista all'inviato del Corriere della Sera a Tripoli, pubblicata sul sito del quotidiano.

Intanto infuria la battaglia a Tripoli. Una intera compagnia di Tarhouna delle forze di Khalifa Haftar si è arresa alle forze governative libiche sul fronte di Suani ban Adem, 25km a sudovest di Tripoli. La compagnia, composta da una trentina di militari, si è consegnata uomini e mezzi - tra i quali diversi pick-up e blindati - alla brigata 166 di Misurata, attiva nell'area. E' salito intanto a 130 morti, 560 feriti e 16mila sfollati il bilancio degli scontri in Libia.

Le forze di Khalifa Haftar hanno lanciato cinque missili Grad nel corso della notte sul quartiere di Abu Slim, a ridosso del centro di Tripoli. Lo riferiscono le autorità del municipio e numerosi residenti. Un missile ha centrato un'abitazione, causando almeno tre feriti, e distruggendo diverse auto parcheggiate nei pressi.

"Khalifa Haftar non sta compiendo un'operazione anti-terrorismo, ma un colpo di Stato": lo ha detto l'inviato speciale dell'Onu in Libia, Ghassan Salamè, al programma radiofonico R4 della Bbc.

Il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al-Sarraj, parla chiaro ai microfoni de Il Corriere della Sera: la battaglia di Tripoli rischia di far sprofondare la Libia occidentale in un abisso in cui la prima vittima potrebbe essere anche l’Italia. L’appello di Sarraj tocca nel profondo le corde del cuore del governo italiano, che sulla questione migranti sembra essersi definitivamente spaccato.

Gli Stati Uniti pero non dimenticano il Mediterraneo. E nel mentre della crisi in Libia, Washington rafforza la sua presenza navale proprio nei pressi della costa nordafricana. Lì dove volano gli aerei del generale Khalifa Haftar e dove infuria la battaglia per Tripoli. Ma soprattutto dove altre potenze stanno muovendo le loro pedine. Ed è per questo che gli Stati Uniti vogliono vederci chiaro.  

Il Movimento Cinque Stelle sostiene una linea più appiattita sul diritto internazionale e sulle aperture delle porte ai rifugiati libici. La Lega, invece, tira immediatamente il freno. E la scelta di Matteo Salvini di schierarsi contro l’avanzata di Khalifa Haftar – accusando la Francia, tessendo la sua rete con gli Stati Uniti e con il governo di Tripoli e della città-stato di Misurata – è servita a far capire che per il suo partito, l’interlocutore privilegiato resta Sarraj. E con lui Ahmed Maitig, vice premier libico e esponente della la “Sparta libica”: Misurata. Lì dove sono i nostri soldati.

Ma i numeri danno ragione a Salvini. E questo il vicepremier lo sa bene. "Quest'anno abbiamo ridotto del 90% gli sbarchi, abbiamo ridotto di tantissimo i morti e i dispersi - ha continuato - se qualcuno ha nostalgia degli sbarchi a centinaia di migliaia, dei porti aperti, avanti c'è spazio per tutti, accogliamo tutto il resto del mondo, ha trovato il ministro sbagliato - ha poi concluso - Salvini e la Lega dicono no".  

E nella conferenza stampa in Prefettura a Monza Salvini, taglia corto: "I colleghi ministri possono dire quello che vogliono, ma finché faccio il ministro i porti in Italia rimangono chiusi". Ma sull'eventualità di una crisi di governo non è più così categorico. "Non lo so...", si limita a dire.

Intanto la giornata di Salvini è iniziata sotto il fuoco "amico" di due ministri che siedono con lui al governo. Luigi Di Maio ed Elisabetta Trenta hanno criticato duramente la misura di chiusura dei porti alle navi delle Ong. "Chiudere i porti - ha spiegato il capo politico del Movimento 5 Stelle al Corriere della Sera - è una misura occasionale, risultata efficace in alcuni casi quando abbiamo dovuto scuotere l’Ue, ma è pur sempre occasionale". Ben più dura è la titolare della Difesa che, ai microfoni di Circo Massimo su Radio Capital, ha invitato il leader leghista a rivedere la sua linea. "Se si dovesse arrivare alla guerra, non avremmo migranti ma rifugiati - ha detto - e i rifugiati devono essere accolti". Mentre veniva accerchiato politicamente, il ministro dell'Interno finiva anche indagato dalla procura di Siracusa. Il capo d'accusa è lo stesso del caso Diciotti: sequestro di persona. A questo giro i pm se la prendono con lui per la gestione dello sbarco della Sea Watch.

Davanti all'ennesimo blitz giudiziario, Salvini non può che alzare le mani e lasciare che le indagini facciano il loro corso. "Sono nuovamente indagato ma finché faccio il ministro dell'Interno, i colleghi ministri possono dire quello che vogliono, ma i porti restano e resteranno chiusi. Non cambio idea e non cambio atteggiamento". La linea, insomma, resta quella. "I porti con me sono e saranno chiusi, indisponibili e sigillati per i trafficanti di esseri umani. Se Di Maio e Trenta la pensano in maniera diversa, me lo dicano apertamente in Consiglio dei Ministri e ne faremo una sana discussione". In particolar modo al vicepremier pentastellato ha, voluto mandate un messaggio netto: "Rispetto il lavoro del collega Di Maio che si occupa di lavoro e sviluppo economico e non mi permetto di dargli lezioni sulle crisi aziendali che sono ferme sul suo tavolo, chiedo altrettanto rispetto su problemi di difesa dei confini e gestione della sicurezza - ha continuato - credo di aver fatto bene in questi dieci mesi, se a qualcuno dei miei colleghi di governo non va bene non ha che da dirlo, con la differenza che io ci metto la faccia e rischio personalmente". Infine, la stoccata conclusiva: "Ogni consiglio è benvenuto ma ognuno faccia il suo...".

Intanto come sottolinea il quotidiano il Giornale a  rivelare l'iscrizione nel registro degli indagati è lo stesso leader della Lega in conferenza stampa da Monza.  "Sono stato iscritto a giudizio per un altro reato che avrei commesso dal 24 al 30 gennaio 2019 a Siracusa - rivela - Il procuratore Zuccaro mi comunica questa cosa. Ha chiesto l'archiviazione ma anche l'altra volta era andata così". Il segretario del Carroccio ha letto "in diretta" gli articoli del codice che gli vengono contestati e la richiesta di archiviazione della Procura generale per i fatti che riguardano la Sea Watch 3. "È la nave olandese che è intervenuta in acque libiche - attacca il leghista - Se n'è fregata dell'alt e delle indicazioni del governo olandese di andare in Tunisia e ha messo a rischio la vita delle decine di migranti a bordo per arrivare in Italia con un gesto politico". E ancora: "Sono arrivati in Italia, li abbiamo curati e li abbiamo fatti sbarcare e abbiamo lavorato per redistribuirli. Il risultato è che c'è un procedimento penale nei miei confronti".

I fatti che i pm contestano, scrive il quotidiano Italiano, risalgono allo scorso gennaio. In quei giorni la nave umanitaria, battente bandiera olandese, raccoglie 47 migranti al largo della Libia. Per 12 giorni l'imbarcazione rimane in mare alla ricerca di un porto sicuro dove approdare. La decisione di non andare in Tunisia manda su tutte le furie anche il ministro Toninelli e in in primo momento "sosta in acque maltesi". Poi il cambio di direzione. L'Ong si ancora di fronte al porto di Siracusa, aprendo un duro scontro con il ministro dell'Interno. Per cinque giorni la Sea Watch galleggia in rada di fronte al comune siciliano, scatenando l'ovvia polemica politica.

Come scrive la rubrica "occhi alla guerra" del quotidiano il Giornale Il gruppo d’assalto, che comprende la portaerei Uss Abraham Lincoln, il Carrier Air Wing 7, l’incrociatore lanciamissili Uss Leyte Gulf e il cacciatorpediniere del Destroyer Squadron 2, è salpato il primo aprile dalla base di Norfolk facendo rotta verso il Mediterraneo: la sua area di operazioni dalla quella della Sesta Flotta, di base a Napoli, ed è entrata ufficialmente nel nostro mare nelle prime ore dello scorso 8 aprile. Come riporta Agenzia Nova, la rivista specializzata statunitense Stars&Stripes ha dichiarato che la Abraham Lincoln ha passato lo stretto di Gibilterra “per addestrare, pattugliare e mostrare forza nelle regioni in cui la Marina russa è diventata più attiva”.Un messaggio molto chiaro che si può declinare su tre fronti: Libia, Siria e Mar Nero.

Tre giorni dopo il passaggio dello stretto, i media spagnoli hanno poi confermato la presenza dell’Abraham Lincoln Carrier Strike Group nel porto militare di Palma di Maiorca con la contemporanea unione della fregata Alvaro de Bazan Esps Mendez Nunez alle operazioni della Us Navy.

l premier Giuseppe Conte ha riferito in Parlamento sulla crisi libica che in queste ore sta infiammando il Nord Africa.
«Gli ultimi sviluppi in Libia ed in particolare l'escalation militare sono motivo di forte preoccupazione per l'Italia, così come lo sono e devono esserlo anche per tutta l'Europa e per l'intera Comunità internazionale». Lo dice il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nell'informativa alla Camera sulla Libia

«Le evoluzioni in Libia non ci devono far deflettere dalla ricerca di una soluzione politica, l'unica davvero sostenibile», dice  Conte. «Urge dunque lavorare innanzitutto in direzione di un cessate-il-fuoco e di un'immediata interruzione della spirale di contrapposizione militare, preservando l'integrità di Tripoli e la distensione sul resto del territorio», sottolinea.

E ancora: «In questi mesi sono stato, e sono in questi stessi giorni ed ore tuttora in contatto diretto, con i due principali attori libici, il Presidente Serraj e il Generale Haftar (con quest'ultimo nelle scorse ore ho avuto un contatto attraverso un suo emissario), così come con gli altri protagonisti del panorama politico interno».

Il premier ha ribadito la linea del governo che chiede l'immediato stop alle operazioni di guerra. "In Libia c'è un concreto rischio di crisi umanitaria che va scongiurato rapidamente", ha affermato il presidente del Consiglio. Il premier ha aggiunto: "Urge lavorare per un cessate il fuoco, preservando l'integrità di Tripoli e la distensione nel resto del territorio".

L’Italia continua a muovere le sue pedine in Libia per evitare la catastrofe. E nelle ore precedenti le dichiarazioni di Giuseppe Conte alla Camera, arriva la notizia, riportata da Repubblica, di un nuovo contatto fra gli uomini di Khalifa Haftar e il governo italiano.

Come riporta il quotidiano, i servizi segreti italiani e quelli dell’Esercito nazionale libico hanno iniziato a percorrere la rotta Roma-Bengasi per far incontrare i rispettivi emissari. Lunedì pomeriggio, un aereo Falcon è partito da Ciampino e precisamente dall’hangar dei servizi segreti per raggiungere la Libia. Un aereo che però è scomparso da Flightradar prima di arrivare sulle coste libiche, e che incuriosiva soprattutto per la direzione: non puntava la Tripolitania, ma si avvicinava inevitabilmente a Bengasi. Ed ecco l’ipotesi: quel Falcon è quello che utilizza Haftar e il suo entourage. E l’idea è che gli emissari libici abbiano incontrato direttamente Conte e i vertici dell’intelligence italiana per riprendere i contatti sulla campagna militare del generale su Tripoli.
E fra quegli emissari, sembra ci fosse anche lo stesso figlio di Haftar. Come ha appreso Adnkronos da fonti libiche, nella delegazione dell’Enl che ha incontrato Conte c’era anche lui: segno evidente dell’importanza del vertice romano.

La preoccupazione per quanto sta avvenendo a Tripoli di fatto è costante: "In questi mesi sono stato, e sono in questi stessi giorni ed ore tuttora in contatto diretto, con i due principali attori libici, il Presidente Serraj e il Generale Haftar con quest'ultimo nelle scorse ore ho avuto un contatto attraverso un suo emissario, così come con gli altri protagonisti del panorama politico interno".

Secondo il quotidiano il Giornale in questo scenario internazionale sempre più coinvolto nella battaglia libica, il governo italiano ha aperto un'intensa interlocuzione con la Casa Bianca: "Sono intensamente impegnato sul piano diplomatico, anche attraverso le mie numerose missioni all’estero. In virtù anche dell’azione del mio staff diplomatico e dei competenti organismi, abbiamo ulteriormente rafforzato in questi giorni il dialogo con tutti i principali stakeholder internazionali, a partire dagli Stati Uniti, dai partner europei e dagli attori regionali più influenti in Libia.

Molto intensa è l’interlocuzione con Washington, in particolare con la Casa Bianca. Ricordo al proposito che il Segretario di Stato americano Pompeo ha rilasciato, il 7 aprile scorso, un comunicato nel quale ha espresso profonda preoccupazione per gli scontri in corso e affermato con determinazione l’opposizione degli Stati Uniti all’offensiva militare delle forze di Haftar". Infine Conte afferma: "Non ci sfugge, peraltro, che questa crisi è frutto certamente di debolezze strutturali del contesto locale ma anche di influenze esterne che non sempre sono andate nella direzione della stabilizzazione. ’instabilità protrattasi per otto anni in Libia - aggiunge il presidente del Consiglio - va del resto inserita in un contesto regionale non meno critico, si pensi all’Algeria e agli sviluppi nel quadrante mediorientale. Dobbiamo purtroppo costatare - rimarca ancora - che talvolta la Comunità internazionale non riesca a inviare segnali univoci alle forze libiche, nonostante il forte impegno delle Nazioni Unite sul terreno".

Nel corso della mattinata il vicepremier, Matteo Salvini ha avvertito Parigi sulle presunte mosse del governo francese in territorio libico: "Se ci fossero interessi economici dietro al caos in Libia, se la Francia avesse bloccato un'iniziativa europea per portare la Pace, se fosse vero, non starò a guardare. Anche perché le conseguenze le pagherebbero gli italiani. Se qualcuno per business gioca a fare la guerra, con me ha trovato il ministro sbagliato".

La questione per l’Italia è serissima. E non è un caso che l’intelligence di Roma sia operativa su tutti i fronti, dalla Cirenaica alla Tripolitania fino ai deserti del Fezzan. La strategia italiana è stata messa in crisi dall’operazione avviata la scorsa settimana dal generale libico. Ed è opportuno rimettere le cose in ordine prima che sia troppo tardi. E già adesso sembra molto complicato che l’Italia possa di nuovo provare ad assumere quella leadership politica sulla transizione libica. La nostra presenza militare a Tripoli e a Misurata conferma la nostra linea di pieno supporto nei confronti del governo di Fayez al-Sarraj. Ma è chiaro che la campagna-lampo dell’Esercito nazionale libico abbia cambiato le carte in tavola. E il sostengo ormai acclarato di Emmanuel Macron non può che aver lanciato l’allarme finale.

La Francia continua a muovere i suoi fili sulla Libia. E il fatto che in queste ore sia arrivato il blocco, da parte di Parigi, della condanna dell’Unione europea al generale Khalifa Haftarè un segnale molto importante: la prova che tutti stavamo aspettando. Secondo i occhi della guerra del quotidiano il giornale ...Ieri notte, l’Europa voleva diramare una condanna ufficiale di ogni azione militare intrapresa dall’uomo forte della Cirenaica. E, come spiega Repubblica, “una bozza del documento era stata preparata ieri dal Servizio Esterno dell’Unione ed è stata fatta circolare fra tutti gli stati membri”. L’obiettivo era l’approvazione del documento da parte di tutti i governi entro le 21. Ma la Francia ha bloccato perché nominava esplicitamente Haftar e le sue forze armate. Di fatto, è  arrivata la conferma dei sospetti non solo di Tripoli ma anche di molti servizi d’intelligence europei e mondiali: Emmanuel Macron ha sostanzialmente avallato la campagna del generale.

La notizia è particolarmente importante. E getta un’ombra su tutta la strategia europea per la Libia. Perché è chiaro che a questo punto i giochi sono molto più complessi ma anche finalmente cristallini rispetto a prima. L’Unione europea non esiste, gli Stati giocano la loro partita singolarmente. E l’Italia, con l’avanzata di Haftar, rischia di essere messa con le spalle al muro da un asse composto da Francia, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. E con il non troppo tacito placet della Russia che, da giocatore esterno ma presente, muove i fili libici sostenendo (pur non formalmente) l’avanzata dell’Esercito nazionale libico. Per Palazzo Chigi, la caduta di Tripoli in mano ad Haftar rappresenterebbe la chiusura definitiva di una volontà di leadership della transizione nel Paese nordafricano.

E gli errori del nostro governo rispetto a tutti i possibili partner coinvolti in Libia, rischiano di pesare in maniera molto grave a adesso Roma rischia di essere rimasta isolata. In queste ore, Giuseppe Conte ha telefonato al premier libico Fayez al-Sarraj per confermare la volontà italiana di non abbandonare l’alleato libico. E la presenza delle nostre truppe a Tripoli e a Misurata dimostra la volontà da parte del governo giallo-verde di non lasciare il campo alle milizie locali, ma anche per lanciare un segnale a tutte le parti in campo. Il problema è che adesso, con la battaglia di Tripoli che infuria, la questione sembra essere molto più complicata. Non si tratta di abbandonare un alleato, si tratta di capire come gestire l’inevitabile transizione di un Paese in cui Roma poteva contare tantissimo ma che, per colpa di evidenti errori strategici e tattici, stiamo perdendo quasi definitivamente. E la mossa francese con Haftar sembra essere l’ultima dimostrazione.

Secondo il quotidiano il Messaggero : Dopo che l'allarme era stato lanciato dai migranti («Se non arriveremo in Italia moriremo tutti», aveva detto al telefono uno dei venti a bordo), dalla ong Sea Watch era partita l'accusa: «Né gli Stati né le compagnie private vogliono aiutarli». Mentre Salvini aveva risposto che la barca «è in Libia, lontanissimo dall'Italia». Oltre ai venti a bordo, sono stati segnalati otto dispersi. Dalla Libia in fiamme, dunque, continuano a partire carrette del mare dirette verso l'Europa. L'Unhcr parla di «condizioni di insicurezza» a Tripoli ed oggi ha trasferito 120 migranti da un centro di detenzione ad una struttura protetta. «Visto che la Libia non è sicura - spiega l'Agenzia dell'Onu - i migranti soccorsi non devono esser riportati lì». E il Mediterraneo centrale è un mare sempre più a rischio per la mancanza di mezzi di soccorso, dopo la chiusura della missione Ue Sophia e l'offensiva anti-ong.

L'unica nave umanitaria presente è la Alan Kurdi di Sea Eye, che si trova fuori dalle acque territoriali di Malta con a bordo 63 migranti salvati una settimana fa e respinti prima dall'Italia e poi da La Valletta. Ed i mercantili privati, anche dopo il recente caso di dirottamento subito da parte di migranti soccorsi, sono sempre più restii a intervenire. Alle sei del mattino, a quanto fa sapere Alarm Phone, la telefonata di allarme: una ventina di persone, tra cui anche donne e bambini, su un barcone che ha perso il motore e vaga nelle acque tra Tunisia e Libia. «Tutte le autorità sono state informate, ma nessuno sforzo è stato fatto. Senza dubbio, se i dispersi fossero europei e bianchi un'operazione di salvataggio sarebbe già stata effettuata».

Da un aereo della missione Sophia che ha sorvolato l'area è stata data l'indicazione di chiamare le autorità tunisine, che però non sono intervenute. Sea Watch nel pomeriggio ha chiesto all'armatore olandese Vroon, le cui navi VOS Triton e Aphrodite sono vicine all'imbarcazione alla deriva, la disponibilità a intervenire. Ma anche in questo caso non ci sono state risposte. E senza risposte, ormai da una settimana, si trova anche la Alan Kurdi, che si tiene fuori dalle acque maltesi, senza aver avuto l'autorizzazione a sbarcare i 63 salvati, tra i quali due bimbi di 11 mesi e 6 anni e due donne incinte. Ieri una giovane nigeriana che era collassata è stata trasferita a Malta, ma le autorità della Valletta non hanno finora concesso il porto sicuro alla nave umanitaria.

Sempre ieri un'imbarcazione della ong Moas ha portato rifornimenti sulla nave. La Mare Jonio, di Mediterranea saving humans, intanto, si prepara a tornare in mare dopo il sequestro e l'indagine a carico di capitano e capo-missione da parte della procura di Agrigento. A bordo ci sarà anche il senatore Gregorio De Falco, ex M5s ora al Gruppo Misto. «Non vorrei - ha spiegato - essere un passeggero zavorra, ma avere una funzione di utilità a bordo, mettendo a servizio la mia esperienza di ufficiale di Marina».

La guardia costiera libica e riportati indietro i 20 migranti che avevano lanciato l'allarme attraverso il numero di emergenza di Alarm Phone. Ne ha dato notizia, con soddisfazione, il ministro dell'Interno Matteo Salvini. «I famosi 20 che 'stavano affondandò sono stati prontamente salvati dalla Guardia Costiera libica e riportati a terra. Molto bene!», è il commento del ministro. Opposto il giudizio di Alarm Phone: «La cosiddetta Guardia costiera libica ha intercettato la barca. Le 20 persone saranno riportate in una zona di guerra da una milizia finanziata dall'Ue. È una vergogna che questo respingimento illegale e disumano avvenga nell'indifferenza generale».

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