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Oggi, un nuovo capitolo di quella querelle estiva. Il tribunale dei ministri di Catania ha chiesto al presidente del Senato l'autorizzazione a procedere per sequestro di persona nei confronti dell'ex ministro dell’Interno, che ha così commenta la novità ospite a Fuori dal coro, su Rete4: "Oggi mi è arrivata una denuncia: sarei colpevole di reato di sequestro di persona aggravato per aver 'privato della libertà personale 131 immigrati presenti sulla nave Gregoretti', rischio fino a quindici anni di carcere".

Dunque, il capo politico de Carroccio ha affondato il colpo: "Ritengo che sia una vergogna che un ministro che ha difeso i confini del suo Paese possa essere processato per essersi occupato della sicurezza dei suoi cittadini. Vorrei sapere quanto costerà alla collettività questo processo. Mi spiace che tribunali italiani, oggi intasati, debbano perdere tempo per indagare un ministro che ha fatto quello che gli italiani gli hanno chiesto di fare…".

Nell'atto di accusa del Tribunale, riportato dal Corriere della Sera, si legge come Matteo Salvni avrebbe "determinato consapevolmente l'illegittima privazione della libertà dei migranti, costretti a rimanere in condizioni psico-fisiche critiche a bordo".

 la richiesta di autorizzazione a procedere è stata inviata al Senato e ora dovranno essere i parlamentari a decidere se concedere il via libera.

Salvini è accusato di aver «determinato consapevolmente l’illegittima privazione della libertà dei migranti, costretti a rimanere in condizioni psico fisiche critiche a bordo». Adesso bisognerà vedere che cosa decideranno di fare i 5 Stelle che all’epoca governavano con Salvini e dunque condivisero la sua linea

Negli ultimi minuti, il diretto interessato è tornato a commentare l'indagine a suo carico, definendola "vergognosa". Queste, infatti, le sue dure parole: "Inchiesta vergognosa: quanto costa ai cittadini italiani questa caccia alle streghe in termini di uomini, spreco di tempo e utilizzo di mezzi? Indagato perché ho difeso la sicurezza, i confini e la dignità del mio Paese, incredibile…". A margine di un evento a Roma, il segretario leghista ha aggiunto: "Per me non sarebbe un problema andare in tribunale e guardare in faccia un giudice che tra un ministro e chi trasporta illegalmente immigrati irregolari, simpatizza per i secondi. Il fatto che io rischi anni di carcere per aver difeso i confini del mio Paese mi fa dire che in Italia c'è un problema, ringrazio la maggioranza della magistratura, che è obiettiva e corretta, ma c'è parte che fa politica, fa ridere che ministro venga indagato e processato per aver fatto il proprio dovere".

L'atto di accusa del Tribunale dei ministri di Catania dopo gli accertamenti sull'ex ministro degli Interni Matteo Salvini. Il documento del Tribunale dei ministri è stato pubblicato da "Il Corriere della Sera" e l'ex ministro ha già replicato alla notizia ieri sera nel corso di un'intervista a Rete4.Secondo i giudici a abusato dei suoi poteri privando della libertà personale 131 migranti a bordo dell'unità navale Gregoretti della guardia costiera italiana alle 00,35 del 27 luglio 2019".

"A firma del presidente del Tribunale dei ministri Lamantia, iscritto a Magistratura democratica, viene trasmesso al presidente del Senato che Salvini sarebbe colpevole di reato di sequestro di persona aggravato abusando dei suoi poteri. Rischio fino a 15 anni di carcere. Ritengo che sia una vergogna che un ministro venga processato per aver fatto l'interesse del suo Paese", aveva commentato l'ex ministro.

Salvini è accusato di aver "determinato consapevolmente l'illegittima privazione della libertà dei migranti, costretti a rimanere in condizioni psico fisiche critiche a bordo", scrivono i giudici. La vicenda riguarda la nave Gregoretti: il pattugliatore della Guardia Costiera era stato fermo nel porto militare di Augusta (Siracusa) dalla notte del 27 luglio con a bordo oltre 100 migranti soccorsi in mare fino al 31 luglio quando era arrivato il via libera allo sbarco.

La Procura a settembre aveva ufficializzato la richiesta di archiviazione, ma aveva comunque trasmesso gli atti al Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Catania.

"È una vergogna. Vorrei sapere quanto queste indagini costano al popolo italiano. Quanto costano gli uomini ed il tempo sottratti alle indagini vere su criminali veri". Lo dice il leader della Lega  arrivando a un evento di Confapi riferendosi all'ultima inchiesta che lo riguarda. "Il fatto che io rischi anni di carcere per aver difeso i confini del mio paese mi fa dire che in Italia c'è un problema".

Intanto da alcuni giorni nei corridoi ovattati di Camera e Senato circola con sempre più insistenza una voce, secondo cui la Procura di Milano potrebbe tornare alla carica, già nei prossimi giorni, contro Matteo Salvini, per il presunto negoziato condotto all'hotel Metropol di Mosca tra Gianluca Savoini ed altri personaggi italiani e russi per far arrivare alla Lega un finanziamento di 65 milioni di dollari attraverso la vendita di petrolio. Un'accusa di corruzione internazionale che all'epoca era stata rilanciata, con tanto di pubblicazione di un audio, da parte del sito statunitense Buzzfeed.

Indiscrezioni degne di credibilità - come assicurano fonti parlamentari interpellate da Il Tempo - per mettere in difficoltà il leader del Carroccio. Del resto, le indiscrezioni sono state riprese dallo stesso Maurizio Belpietro che su La Verità di ieri ha scritto che la Procura meneghina "starebbe per prendere qualche clamorosa decisione", tanto che "diversi cronisti d'oltreoceano", come ad esempio quelli del New York Times, "avrebbero già piantato le tende" in città, "in attesa delle rivelazioni".

Insomma, non sono bastate le indagini di magistrati più o meno zelanti sugli sbarchi di migranti delle Organizzazioni non governative, non è stato sufficiente l'avviso di garanzia recapitato dai pubblici ministeri capitolini al segretario leghista per abuso d'ufficio per un asserito uso di voli di Stato per fini privati quando era vicepresidente del Consiglio e ministro dell'Interno, senza dimenticare naturalmente la vicenda dei presunti 49 milioni di euro di rimborsi elettorali andati al partito e la in parte annessa questione relativa ad alcuni finanziamenti che sarebbero stati ricevuti da un'associazione ritenuta vicina a Roberto Maroni all'epoca della campagna elettorale per le Regionali.

 

 

 

 

 

Il leader della Lega, proprio mentre la legge di Bilancio si appresta ad entrare nell'ultima curva prima del traguardo, prepara un ricorso alla Consulta. L'ex ministro degli Interni infatti non ha digerito il carico fiscale che è stato predisposto in manovra e così chiama in causa la Corte Costituzionale. Salvini non usa giri di parole: "Sui tempi, i contenuti e i modi di approvazione della legge di Bilancio faremo ricorso alla Corte costituzionale". Parole durissime che accendono ancora di più lo scontro tra opposizione e maggioranza. E sulle prossime mosse, Salvini non ha dubbi: "Questa è una manovra blindata. La Lega farà ricorso alla Corte Costituzionale, perché si sono fregati di tutto e di tutti...".

Ancora alta tensione sulla manovra. Il governo è intenzionato a porre la fiducia domenica 22 dicembre. Le opposzioni vanno all'attacco sui tempi d'esame del provvedimento. Fdi ha abbandonato per protesta la conferenza dei capigruppo alla Camera per l'intenzione della maggioranza di "chiudere prima di Natale" la manovra, verosimilmente il 23 dicembre, riferisce il capogruppo Francesco Lollobrigida.

"Tempi troppo brevi", lamenta Fdi, che contesta anche l'impasse sulle Commissioni banche e Forteto e sull'elezione dei membri di Authority Privacy e Agcom. Fdi ha chiesto al presidente della Camera Roberto Fico di farsi interprete della protesta presso il capo dello Stato.

"Faremo ricorso alla Consulta", dice Matteo Salvini parlando della manovra e sottolineando la "mancanza di trasparenza" e criticando "tempi e modi" dell'esame.

"Non si tratta di un problema riferibile esclusivamente a questa Legislatura, ma negli ultimi anni la questione dei tempi di esame dei disegni di legge di iniziativa governativa sta assumendo dimensioni che, come Presidente del Senato, non posso non ritenere quanto meno preoccupanti", ha detto la presidente del Senato, Maria Alberti Casellati, durante la cerimonia per gli auguri di Natale con la stampa parlamentare.

Di fatto su questo fronte si era già espresso in modo duro Borghi: "La cosa che boccio di più è il metodo- sostiene- È inaccettabile che uno dei due rami del Parlamento non possa dire la sua sulla legge di bilancio. Ci sono 630 deputati incazzati neri".

E dunque la Lega adesso è decisa ad andare in fondo per smontare la legge di Bilancio che il governo sta approvando a colpi di fiducia. E uno dei motivi che spingono il Carroccio ad affondare il colpo è la presenza nella manovra di nuove imposte come la plastic tax o la stangata in arrivo sulle auto aziendali. In queste settimane che hanno accompagnato l'iter della legge di Bilancio sono mancate all'appello le ricette per la crescita del Paese soprattutto sul lato degli investimenti. Il dibattito si è consumato solo sulle imposte che il governo ha deciso di introdurre. E parallelamente si assiste anche ad una stretta sul fronte dei controlli fiscali che diventeranno sempre più stringentoi e approfonditi.

Ma il rischio è che tanti contribuenti possano restare imbrigliati nelle maglie del Fisco anche solo per una spesa anomala. Insomma la manovra giallorossa, già ribattezzata dalle opposizioni "tassa&ammanetta", riserverà un 2020 piuttosto amaro per le tasche di milioni di italiani. E adesso la mossa della Lega che chiede l'intervento della Consulta può aprire uno scenario di scontro con esiti imprevedibili. Il governo più volte ha rischiato di saltare in aria proprio sulle imposte inserite in manovra. Uno scontro con la Consulta potrebbe essere il colpo di grazia sull'esecutivo di "Giuseppi".

Scrive il quotidiano il giornale che la scorsa settimana la Consob ha definitivamente suonato l'allarme facendo scattare la reazione del governo e il salvataggio da 900 milioni di euro scattato in un Cdm di fuoco qualche giorno fa. Ma adesso emerge quello che è accaduto proprio qualche giorno prima che esplodesse il caso. E i contorni della vicenda si vanno delineando anche grazie ad un'intercettazione pubblicata da FanPage. L'audio riguarda una riunione in cui sono presenti i vertici della banca e i manager. Questi ultimi sono molto preoccupati e ricevono rassicurazioni dai piani alti.

Al vertice partecipa anche l'amministratore delegato Vincenzo De Bustis che nel corso della riunione sbotta: "Truccavate persino i conti economici delle filiali". Poi interviene il presidente Gianvito Giannelli che rivolgendosi ai manager e ai presenti afferma: "Non c'è rischio di commissariamento. Entro Natale la banca sarà salva". Di fatto lo stesso Giannelli esclude un futuro simile a quello di Carige per l'istituto di credito pugliese. Giannelli assicura ancora una volta i manager affermando che sia palazzo Koch che il governo sono dalla parte di Pop Bari: "La Banca d'Italia ci è molto vicina, in tutti i passaggi" e che "ai vertici del governo" c'è "una grandissima attenzione".

Secondo il quotidiano il giornale : a questo punto prende la parola De Bustis che afferma: "È stato molto irresponsabile quello che è avvenuto negli ultimi tre, quattro anni. Quello che è successo è un esempio di scuola di cattivo management, irresponsabile, esaltato". A questo punto l'amministratore delegato entra nel dettaglio della vicenda: "Quando sono arrivato la prima volta c’era un signore coi capelli bianchi a capo della pianificazione e controllo, a cui chiesi di vedere i dati delle filiali. Tutti truccati. Truccavate persino i conti economici delle filiali. Taroccati. Chiesi anche di vedere la lista delle prime 50 aziende affidatarie e non me l’hanno mai portata. Quell’epoca è finita. Su queste cose i nuovi padroni vi faranno l’esame del sangue". Intanto sulla vicenda è intervenuto anche l'ex premier Romano Prodi: "Sui salvataggi bancari il discorso è serio: recentemente i tedeschi hanno provveduto al salvataggio di una grande banca, e la politica di salvare le banche non è mica una politica soltanto italiana: è di tutta Europa. Il problema è che noi dobbiamo far valere i nostri diritti, emendare le nostre colpe".

 

"Siamo dalla vostra parte, l'azione della Turchia nell'Egeo è inaccettabile, invieremo un chiaro messaggio alla Turchia". E' quanto ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leynen inviando un chiaro segnale alla Grecia sullo sfondo delle crescenti tensioni con la Turchia sulle aree marittime.

L'annuncio della presidente von der Leyen ieri al vertice dei presidenti dei gruppi parlamentari del Ppe. Lo scrive il sito Euractive ricordando che Ankara ha recentemente firmato un memorandum d'intesa con la Libia per delimitare le zone marittime della regione. Una mossa che ha scatenato forti reazioni ad Atene, Nicosia e al Cairo. L'accordo turco-libico 'ignora' l'isola di Creta e la Grecia afferma che la Turchia vuole creare un precedente legale con questo "illegale" protocollo d'intesa ai sensi del diritto internazionale.Creta sorpassa Sigonella nella scala valoriale delle basi strategiche americane nel mare nostrum? Gli Usa mollano la Turchia per sposare la Grecia, per via di una serie di dossier altamente sensibili che si intrecciano su gasdotti, terrorismo e ricostruzione in Siria.

L’Italia si trova in una posizione estremamente delicata scrive inside Over. In quelle acque opera Eni, e già l’anno scorso Erdogan ha tuonato contro le nostre attività bloccando la nave Saipem 12000, mentre in Libia ha sostenuto per anni Serraj trovandosi però sempre più marginalizzata grazie (anche) alla continua penetrazione turca nell’area sotto il fragile controllo del governo di Tripoli. La Francia, invece, ha da tempo messo gli occhi su Cipro: dapprima l’ha fatto con un accordo per una base militare per la propria flotta nell’isola: e adesso, invece, il rinnovato asse con Nicosia significa per Parigi anche inviare un avvertimento a Erdogan che, in Libia, si trova sul fronte opposto, schierandosi più o meno apertamente con Khalifa Haftar.

Il pattugliamento della Zee di Cipro insieme alla marina cipriota e a quella francese è perfettamente inserito nel quadro delle politiche di Diplomazia Navale che è uno strumento essenziale per l’Italia per rafforzare le partnership strategiche. La maggior parte delle risorse energetiche e commerciali che giungono in Italia, lo fanno attraverso il Mediterraneo. Ed è anche per questo motivo che l’Italia dà il via a queste esercitazioni: non solo per confermare la propria presenza nel Mare Nostrum, ma anche per ribadire che tramite la Marina può giocare un ruolo essenziale e, come spiegato anche dal comunicato, difendere “gli interessi nazionali”. Interessi che – è evidente – sono messi seriamente in pericolo dalle manovre turche nell’area dal momento che, con l’invio delle navi per le perforazioni petrolifere nelle acque di Cipro, con l’accordo per la Zee libica, e con una presenza sempre più massiccia a Tripoli (politica, di intelligence, ma anche, come confermato di recente, militare) sta “circondando” Roma e gli interessi strategici italiani.

Ovviamente l’esercitazione è programmata da tempo: ben prima che Erdogan decidesse di firmare l’intesa con Serraj e anche prima che le notizie dalla Libia facessero temere una penetrazione ormai costante nelle file dell’esercito di Serraj. Ma la situazione è bollente e queste manovre, svolte con la Marine nationale e con la flotta cipriota, assumono chiaramente un significato preciso: ricordare che Roma ha, come tutti i suoi partner e rivali del Mediterraneo, interessi da tutelare anche attraverso lo strumento della Marina, appunto quella Naval Diplomacy spesso dimenticata dai nostri governi. In un momento in cui la Grecia pubblica foto di caccia che puntano le fregate turche, la Francia blinda Cipro con una base navale e quando la Libia è sul punto di rovesciarsi, ricordare la presenza italiana in quelle acque e frenare le velleità turche diventa necessario. Il rischio è troppo elevato.

L’ennesima minaccia turca agli Usa (“Se ci sanzionate, vi togliamo le basi militari”) rischia di non produrre effetti di sorta scrive francesco De Palo... Il nuovo “neo ottomanesimo di Erdogan”, condotto dal leader turco tanto sul gas quanto sulla macroarea euro-mediterranea, prosegue imperterrito con l’avvertimento del ministro degli Esteri turco Cavusoglu: “Nel caso di sanzioni per l’acquisto di missili russi, in dubbio le basi strategiche di Incirlik e Kurecik”.

l lavoro avviato nell’ultimo triennio dall’ambasciatore americano ad Atene, Jeoffrey Pyatt, ha portato a infittire le relazioni ellino-americane, a costruire nuove partnership commerciali come quella tra il segretario al Commercio Ross e l’armatore greco Marinakis che prevede la nascita della terza maggiore flotta al mondo di navi da carico e a valorizzare poli industriali in Grecia fino a ieri in forte crisi (come i cantieri navali di Syros finiti sotto il controllo americano).

Uno scenario che in pochi anni, dunque, è cambiato radicalmente in quanto la possibile regia di Pechino e Mosca ad Atene è stata seguita, analizzata e ammorbidita dalle manovre americane che puntano così a rendere la Grecia un hub strategico nel Mediterraneo, sia sotto il versante militare che sotto quello energetico.

Washington inoltre ha “benedetto” il quadrumvirato del gas esistente tra i governi di Cipro, Grecia, Israele ed Egitto per dare slancio al gasdotto Eastmed, il più lungo del mondo che avrà anche un impatto geopolitico, oltre che economico e finanziario.

La Marina Militare Italiana ha reso noto che la fregata Federico Martinengo “ha effettuato una sosta nel porto di Larnaca, Cipro, dal 6 al 9 dicembre. Nave Martinengo, sta conducendo un’operazione di pattugliamento nel Mar Mediterraneo Orientale per svolgere attività di presenza e sorveglianza degli spazi marittimi, in rispetto del diritto internazionale e a tutela degli interessi nazionali”.

La nota ha aggiunto che “durante la sosta, iniziata lo scorso venerdì 6 dicembre, il comandante e una rappresentanza dell’equipaggio hanno partecipato alle celebrazioni di San Nicola, patrono della Marina -cipriota. Lasciato il porto, la fregata Martinengo condurrà attività addestrative con navi delle marine di Paesi amici dal 12 al 14 dicembre”.

“La presenza nel porto di Larnaca rientra nell’ambito delle attività di Diplomazia Navale, peculiarità della Marina Militare, svolte nel settore della cooperazione internazionale e del dialogo tra i Paesi dell’area, con cui l’Italia intrattiene importanti rapporti politico-diplomatici, economici e industriali” ha concluso il comunicato della Marina.

la missione della fregata italiana in quell’area va messa in relazione con le tensioni in atto tra Grecia e Cipro da una parte e Turchia e Libia (Governo di Accordo Nazionale – GNA – di Tripoli) dall’altra in seguito alle dispute sulle Zone Economiche Esclusive (ZEE) nel Mediterraneo Orientale

Il recente accordo tra Ankara e Tripoli scrive AD, firmato a Istanbul il 27 novembre, consente di fatto ai turchi di esercitare il controllo su uno specchio di mare che si incunea tra Creta e Cipro fino a incontrare a sud la ZEE libica. Un “accordo di demarcazione” contestato e ritenuto illegittimo dalla Grecia e che potrebbe impedire la realizzazione del gasdotto EastMed, destinato a portare in Europa il gas estratto nei giacimenti greci, ciprioti, israeliani ed egiziani attraverso Creta e l’Italia

L’accordo turco-libico ricopre del resto anche un importante veste militare che impatta sul conflitto in atto intorno a Tripoli dall’aprile scorso. “Siamo fiduciosi che insieme miglioreremo le condizioni di sicurezza del popolo libico. La stabilità della Libia è di importanza cruciale per la sicurezza dei libici, la stabilità regionale e la prevenzione del terrorismo internazionale”, ha commentato su Twitter il portavoce della presidenza turca, Fahrettin Altun, subito dopo la firma dell’intesa.

Secondo Altun l’accordo è “una versione più ampia” di quello precedente e riguarda “l’addestramento, struttura la cornice legale e rafforza i legami tra i nostri eserciti”.

“Se la Libia ce lo chiedesse, saremmo pronti a mandare tutte le truppe di cui ci fosse bisogno” ha annunciato ieri Erdogan in un discorso all’università Bilkent di Ankara ribadendo un’ipotesi già annunciata in un’intervista alla tv statale TRT.

 

 

 

 

 

La riforma del Mes è riuscita nell’impresa di mettere d’accordo sovranisti, europeisti convinti ed economisti vicini agli ambienti della sinistra. Ebbene sì, la modifica del Meccanismo europeo di stabilità non piace a nessuno. Pur partendo da punti di vista completamente diversi tra loro, i contrari all’upgrade del Fondo salva-Stati sono uniti da un punto in comune: l’Europa rischia di intossicarsi a causa dell’ennesimo bocconcino avvelenato messo sul piatto da Bruxelles. 

I sovranisti hanno una posizione collegabile alla loro visione del mondo; ritengono, in sostanza, che riformare il Mes eroderebbe altra sovranità agli Stati nazionali, relegando questi ultimi in secondo (o addirittura terzo) piano rispetto alle istituzioni dell’Unione Europea. Gli europeisti, che tutto sommato apprezzano il contesto attorno al quale si sta sviluppando questa Ue, concordano nel considerare la riforma “squilibrata” e “destabilizzatrice” per l’intera Eurozona; in altre parole, il Mes distruggerebbe tutto quanto costruito fino ad oggi in campo europeo. Diverso è il ragionamento degli economisti di sinistra, che ritengono il Mes uno strumento “inutile” e “pericoloso” in quanto faciliterebbe la ristrutturazione del debito.  

Giuseppe Conte arriva all’Eurosummit a Bruxelles con ben poche certezze: sia dal punto di vista interno che internazionale. Il Movimento Cinque Stelle è in piena fase di ribellione per la riforma del Mes, e i partiti d’opposizione sono sul piede di guerra, con Lega e Fratelli d’Italia che agitano lo spettro del “tradimento” e che cavalcano l’ondata di protesta verso una riforma di cui solo ora si iniziano a conoscere tutti gli ingranaggi.

Conte, nel suo intervento all'Eurosummit, ha chiesto "una modifica del punto 2 delle conclusioni in modo da dare atto che c'è ancora da lavorare per la revisione del Mes". Lo si apprende da fonti italiane. La modifica chiesta da Conte è di inserire il passaggio: "Chiediamo all'Eurogruppo di continuare a lavorare al pacchetto di riforme del'ESM...", modificando così la dichiarazione "Chiediamo all'Eurogruppo di finalizzare il lavoro tecnico riguardante il pacchetto di riforme...". Conte, sempre secondo quanto viene riferito, ha "ricordato che il Parlamento italiano, sia a giugno sia mercoledì, ha espresso una chiara opzione per la logica di pacchetto in modo da riservarsi una valutazione complessiva dei vari elementi del processo di riforma".

Intanto e stato durissimo l' intervento di Claudio Borghi nel dibattito dopo le comunicazioni del premier alla Camera, Giuseppe Conte, prima del Consiglio europeo. Ricordando l'informativa del 2 dicembre sul Mes, l'esponente del Carroccio si rivolge al premier affermando: "Dicendo di averci informato, lei ha umiliato e offeso anche Di Maio, che le sedeva accanto imbarazzato". E ancora: "Ma chi credeva di prendere in giro? Noi abbiamo seguito la trattativa e il mandato che ebbe era uno: l'italia non avrebbe mai firmato quel Trattato. Glielo dissero Salvini e Di Maio", aggiunge. "Cosa non capiva?", domanda ancora Borghi che poi conclude: "Forse noi siamo ingenui, ma cosa dobbiamo pensare se ascoltiamo che il trattato è chiuso? Che lei presidente è un traditore".

Franco Bechis,sul Tempo parla di un "buco di bilancio del cosiddetto Fondo Salva- Stati". Peccato però che tra le tante dichiarazioni il premier bis abbia dimenticato che l'Italia si è impegnata a versare, sempre per il Meccanismo Europeo di Stabilità, ogni anno "i soldi che il fondo ha perso per colpa degli interessi negativi".

Secondo il direttore si tratta di "77 milioni di euro che vanno a coprire parzialmente il buco di bilancio, in quanto il Fondo da un paio di anni non è in grado nemmeno di salvare se stesso". Una sorpresina insomma, quella inserita nell'articolo 62 della legge di Bilancio firmata da niente di meno che Roberto Gualtieri, il nostro ministro dell'Economia, e da Conte stesso. "Entrambi - prosegue Bechis - sostengono che il costo reale non ci sarà perché per avere quei soldi il Mes depositerà 15 miliardi di euro (più o meno la quota versata dall'Italia per il suo capitale) su un conto corrente della Banca di Italia, che compenserà il Tesoro dell'esborso".

Conte intanto chiede all’Europa una riforma che sa di poter ottenere perché di fatto è senza effetti. Come scritto oggi su il Giornale, “l’impressione diffusa è che l’Italia in questa fase possa al massimo prendere tempo in attesa che possa aprirsi uno spiraglio”. Ma questo spiraglio sembra estremamente difficile che si apra. Del resto chi conta in Europa non è certo Roma che, in pochi mesi, è riuscita a perdere ogni tipo di credibilità o leva contrattuale. La Germania punta alla riforma come è stata impostata dall’Europa a trazione franco-tedesca.

La Francia ha alcune perplessità, ma Emmanuel Macron non farà certo un favore all’Italia. I Paesi del Sud Europa sono deboli, mentre a Nord sono tutti d’accordo con la necessità della rigidità sul bilancio. Conte ha strappato un cavillo: una modifica della dichiarazione che di fatto non cambia nulla né nella tabella di marcia né nella sostanza. Centeno ha parlato chiaro: non c’è possibile di modifica sostanziale. È solo una boccata d’ossigeno per un premier che ha bisogno di prolungare la sua permanenza a Palazzo Chigi e che sta sulla graticola. 

Sa perfettamente che la situazione politica è incandescente e sa anche che sul Mes e sulla sua riforma si gioca tantissimo. Il Movimento che l’ha prescelto come premier è in continua emorragia di consensi e di rappresentanti in parlamento, le opposizioni sono in crescita e marciano compatte. E Conte adesso ha solo un vero alleato sulla riforma del Mes: il Partito democratico, che, come sempre, conferma la sua linea pienamente europeista. Una condizione di difficoltà estrema in cui è chiaro che Conte si veda scivolare il trono di Palazzo Chigi proprio a causa di quelle trattative con l’Europa accusate di essere state realizzate nel pieno silenzio e senza rispettare il mandato di Carroccio e M5s.

Intanto la partita a due non piace ai giocatori esclusi: dopo la firma del patto tra Libia e Turchia, che di fatto rivede i diritti di estrazione di petrolio e gas a danno delle prerogative dell'isola greca di Kastellorizo, il premier ellenico Kyriakos Mitsotakis ha chiesto il sostegno dei leader dell'Unione europea.
"L'Europa sta innalzando muri diplomatici contro l'aggressione turca - ha dichiarato Mitsotakis - e la Grecia non è sola in tutto questo processo - ha alleati molto forti. Andiamo avanti con compostezza, fiducia in noi stessi, ma soprattutto con un piano e con la certezza che il popolo greco sostiene le nostre iniziative".

La Grecia trova nell'Italia, altro attore interessato, un alleato di risulta, che mal digerisce le esplorazioni petrolifere turche al largo di Cipro, in una zona assegnata all’Eni e alla Total francese. Lì, in uno degli specchi d'acqua più tesi del Mediterraneo, una nave della Marina Militare è stata inviata per "tutelare gli interessi nazionali", si legge in una nota ufficiale. Sul fronte libico, il Presidente della Camera dei rappresentanti eletta nel giugno del 2014 e insediata a Tobruk, Aguila Saleh, ha dichiarato che il patto con la Turchia è illegale e inammissibile.

 

 

 

 

Rispondere all'accordo sulle frontiere marittime tra Turchia e Libia che preoccupa la Grecia - è il compito dei ministri degli esteri dell'Ue riuniti a Bruxelles. Occhi puntati su Jospeh Borrell per capire quali strategie abbia in mente. Il 72enne spagnolo è il nuovo capo degli affari esteri dell'UE e presiederà questi incontri per i prossimi 5 anni secondo Euronews

"Abbiamo dovuto affrontare un protocollo d'intesa firmato tra la Libia e la Turchia. È chiaro che questo documento suscita grande preoccupazione. Abbiamo espresso la nostra solidarietà alla Grecia e a Cipro e continueremo a farlo"ha affermato Joseph Borrell.

Paesi come la Grecia e Cipro, ritengono l'accordo sia contrario al diritto internazionale.

"Ho chiesto la condanna esplicita dell'accordo, la previsione di un quadro di sanzioni eventualmente per la Turchia e il governo di Tripoli qualora non rispettassero il diritto internazionale, e, naturalmente, il sostegno dell'Ue alla Grecia e a Cipro" ha affermato Nikos Dendias, ministro degli affari esteri della Grecia.

I ministri degli esteri hanno anche discusso di un piano tedesco per trovare una soluzione sostenibile all'instabilità in Libia. Per la ONG Amnesty International, è responsabilità di Joseph Borrell porre fine alle violazioni dei diritti umani nel paese.

Per difendere Eni e Total dalle provocazioni di Erdogan Italia e Francia mandano le fregate nel blocco 7 della ZEE ha dichiarato ai giornalisti il ministro della Difesa greco Nikos Panagiotopoulos. Al momento ci sono già gli incrociatori turchi che accompagnano la perforatrice turca Yavuz, impegnata in attività illegali in blocchi che sono stati assegnati tramite regolare banco a players primari come Exxon Mobile, Eni e Total. Ma la Turchia, dopo la zampata in Siria, ne medita un’altra per il prezioso idrocarburo.  

Il memorandum d'intesa firmato tra la Turchia e il governo libico di Tripoli il mese scorso sulle frontiere marittime "è una minaccia per la stabilità regionale".
Lo ha detto il portavoce del governo greco Stelios Petsas in una conferenza stampa, secondo quanto riferisce il sito Ekathimerini. La Grecia ha inviato due lettere all'Onu per chiedere un intervento delle Nazioni Unite, delineando le obiezioni all'accordo, visto come un tentativo di espandere i diritti di trivellazione turca nel Mediterraneo orientale.

Stando a quanto riportato da al Jazeera, il governo di Kyriakos Mītsotakīs avrebbe deciso di inviare una delegazione di navi da guerra a Creta, dopo che Libia e Turchia hanno istituito una ZEE marittima (Zona economica esclusiva) senza tener conto né della presenza dell’isola greca nell’area, né del fatto che la Grecia stessa interpreta quell’area – stando alle leggi internazionali – come una propria zona economica esclusiva.  

Per quanto riguarda i rapporti con la Libia, la Grecia aveva già espulso l’ambasciatore libico da Atene lo scorso 6 dicembre, dopo che gli esponenti del governo di al-Sarraj avevano dichiarato di non voler fare passi indietro sugli accordi.

La situazione resta caratterizzata da una altissima tensione, come dimostrano le parole che giungono da Ankara: fa sapere che non “arretrerà” nella sua ricerca del gas naturale nelle acque del Mediterraneo orientale, nonostante una controversia con l’Unione Europea e con Cipro. Lo ha confermato il ministro dell’Energia Fatih Donmez, condotta che è stata anche al centro di una precisa risposta da parte del segretario di Stato americano Mike Pompeo, che l’ha definita “illegale”.

Ma Donmez non se ne è curato e ha raddoppiato: “Abbiamo già perforato due pozzi nelle acque ad est e ad ovest dell’isola di Cipro, e Yavuz perforerà il nostro terzo pozzo. Tali attività proseguiranno con determinazione”, ha detto in occasione del Summit energetico di Antalya.

Due giorni prima, durante gli incontri del vertice Nato a Londra, Mītsotakīs aveva incontrato Erdoğan «per discutere di tutte le questioni che hanno aumentato le tensioni tra i due Paesi».

Che gli accordi tra Turchia e Libia soprattutto la parte sull’esclusività commerciale avrebbero complicato gli equilibri nell’area era chiaro fin dalle prime ore della firma. Il 28 novembre, data della stipulazione dei memorandum a Istanbul, si era subito espresso il ministro dell’Interno greco, Nikos Dendias, che aveva affermato come, qualsiasi fossero i dettagli dell’accordo tra i due Paesi, questo «ignorava qualcosa di ovvio, e cioè che tra questi due Paesi c’è Creta».

I diritti di estrazione del petrolio, gas e i relativi gasdotti che solcheranno nel Mediterraneo orientale da est a ovest verso l’Europa. Ecco il vero nocciolo della questione. A scatenare la reazione greca è il recente accordo turco-libico che secondo Atene dimentica la sovranità greca di Kastellorizo, l’isola del film Mediterraneo che era parte, in precedenza, del Dodecaneso italiano di Rodi. L’accordo con il governo libico prevede la giurisdizione della Turchia in un tratto delle acque nordafricane, giurisdizione che Ankara rivendica in base all’estensione della propria costa e la posizione delle proprie isole, rigettando le pretese di Grecia e della parte greca di Cipro, basate sull’esistenza dell’isola greca di Kastellorizo, situata a pochi chilometri dalla costa turca.

L’intesa turco-libica “costituisce un’aperta violazione del diritto della navigazione e dei diritti sovrani della Grecia e di altri Paesi”, ha denunciato Dendias, giudicandolo come un tentativo deliberato di creare tensioni “sia a livello bilaterale che a livello regionale”. Immediata è giunta la reazione di Ankara mai tenera con il vicino greco. Il suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha definito la decisione “oltraggiosa”.

Il memorandum d’intesa Ankara-Tripoli, siglato una settimana fa a Istanbul da Erdogan con il premier del governo di Accordo nazionale libico (Gna) riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Sarraj, attribuisce alla Turchia il controllo su un’ampia porzione del Mediterraneo orientale, rivendicata però anche da Grecia, Cipro ed Egitto. Il patto, fortemente avversato anche dal sedicente Esercito nazionale libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar, estenderebbe di circa un terzo i confini della piattaforma continentale turca, coprendo peraltro zone cruciali per le estrazioni di idrocarburi offshore in un’area che Cipro ritiene sua zona economica esclusiva (Zee).

Un ulteriore incremento dell’influenza turca in Libia rischia di versare altra benzina sul fuoco in un Paese fallito e dilaniato da una lunga guerra civile. Le dinamiche della presenza turca in Libia sono molto simili a quelle già osservate in Siria: l’utilizzo di proxy islamisti e jihadisti per raggiungere i propri obiettivi di egemonia, il rifornimento di armi, automezzi e consiglieri militari, presenza istituzionale sul territorio per coordinare le manovre.

Se in Siria per la Turchia era semplice far entrare rifornimenti via terra, in Libia Ankara fa altrettanto con spedizioni aeree e navali, consapevole del fatto che nessuno si metterà di traverso, esattamente come già accaduto durante il conflitto siriano, con la Turchia presa più volte in castagna mentre riforniva di armi i jihadisti  e li curava nei propri ospedali, ma senza alcuna conseguenza.

Per Erdogan, legato all’area della Fratellanza,  il sostegno agli islamisti nella Libia occidentale è una priorità in quanto conta sempre meno alleati in un Medio Oriente che vede i Fratelli musulmani messi al bando in Egitto, Siria, Arabia Saudita ed Emirati e con il Qatar che era stato isolato dai suoi “vicini” del Golfo proprio per il supporto ai Fratelli musulmani e a milizie jihadiste in Siria.

Non bisogna poi dimenticare che Erdogan è acerrimo nemico del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, fautore del contrasto all’islamismo radicale della Fratellanza e colui che ha militarmente sostenuto la rivolta del popolo egiziano contro l’ex presidente islamista Mohamed Morsi. Non è certo un caso che, proprio in seguito al decesso di Morsi, Erdogan abbia puntato il dito contro il Cairo, definendo Morsi “un martire”.

L’Egitto di Al Sisi, assieme a Emirati e Arabia Saudita, svolge un ruolo fondamentale nel sostegno all’esercito di Khalifa Haftar e la Libia diventa dunque teatro di scontro tra islamisti e jihadisti da una parte e il blocco anti Fratellanza dall’altra.

C’è poi un ulteriore aspetto da tenere bene in considerazione, quello migratorio: un controllo turco sulle coste della Libia occidentale porterebbe infatti l’Europa in una pericolosa morsa in quanto Ankara potrebbe replicare nel Paese nordafricano quanto già fatto sulla rotta orientale e cioè minacciare un esodo di immigrati, pressando così l’Europa sia da sud che da est. In tutto ciò è lecito chiedersi da che parte stia l’Italia.

«Se la Libia ce lo chiedesse, saremmo pronti a mandare» tutte le truppe «necessarie». Dopo l'intervento in Siria contro le milizie curde, Recep Tayyip Erdogan minaccia di gettarsi nella mischia del conflitto libico. «Dopo la firma dell'accordo di sicurezza» con il governo di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj, «non ci sono più ostacoli», ha avvertito il presidente turco, aprendo un nuovo fronte che rischia di metterlo in rotta di collisione anche con «l'amico» Vladimir Putin. «C'è una compagnia di sicurezza russa chiamata Wagner.

Questa compagnia ha mandato il suo staff» in Libia a sostegno del generale Khalifa Haftar, ha accusato Erdogan, riferendosi alle notizie di circa 200 mercenari giunti nell'area, smentite da Mosca. I due leader ne parleranno in una telefonata nei prossimi giorni. Un possibile intervento turco rischia di accrescere le tensioni in Libia, dove da mesi proseguono gli scontri tra le forze fedeli a Tripoli e il sedicente Esercito nazionale libico (Lna) del generale Haftar, sostenuto soprattutto da Emirati Arabi Uniti, Egitto e Russia. Anche l'Italia segue da vicino la situazione e monitora gli sviluppi. Un nuovo vertice si è tenuto oggi a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte e i ministri degli Esteri Luigi di Maio, della Difesa Lorenzo Guerini e dell'Interno Luciana Lamorgese. Una riunione in cui appare scontato si sia parlato anche delle parole di Erdogan.

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