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Perché la Turchia vuole invadere le isole greche, C'è una questione in merito alla quale l'Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, al potere in Turchia, e il Partito repubblicano del popolo (Chp), il suo principale oppositore, sono pienamente d'accordo ed è la convinzione che le isole greche occupino il territorio turco e che pertanto debbano essere riconquistate, secondo Uzay Bulut, musulmana di nascita, è una giornalista turca che vive a Washington D.C. e scrive in una vecchia intervista ma molto attuale oggi sul Gatestone. Tale determinazione è così forte che i leader di entrambi i partiti hanno apertamente minacciato di inviare truppe nel Mar Egeo.

I due partiti però secondo Uzay Bulut fanno a gara per dimostrare chi è il più potente e patriottico e chi ha il coraggio di mettere in atto la minaccia contro la Grecia. Mentre il Chp accusa l'Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan di consentire alla Grecia di occupare le terre turche, l'Akp attacca il Chp, partito fondatore della Turchia, accusandolo di aver permesso alla Grecia di prendersi le isole, grazie al Trattato di Losanna nel 1924, agli accordi italo-turchi del 1932 e al Trattato di Parigi del 1947, che riconoscevano tutti alla Repubblica ellenica i diritti di sovranità sulle isole dell'Egeo.

"Circolano erronee informazioni che la Turchia sia interessata a Cipro perché lì ci sarebbe una comunità turca. (...) Anche se nessun turco vivesse a Cipro, la Turchia avrebbe comunque una questione cipriota ed è impossibile rinunciarci",  secondo Uzay Bulut

Lo stesso atteggiamento e la medesima logica valgono per le isole del Mar Egeo. Sebbene i turchi sappiano che le isole appartengono giuridicamente e storicamente alla Grecia, le autorità turche vogliono occuparle e turchificarle, presumibilmente per promuovere la campagna di annientamento dei greci, come fecero in Anatolia dal 1914 al 1923 e anche in seguito. La distruzione di tutte le vestigia della cultura greca esistenti in Asia Minore, una regione greca prima dell'invasione turca dell'XI secolo, è quasi completa. Meno di 2 mila greci vivono ancora oggi in Turchia.

Tenuto conto della brutale invasione turca di Cipro del 1974, le attuali minacce contro la Grecia – da un capo all'altro dello spettro politico turco – non dovrebbero essere sottovalutate dall'Occidente. La Grecia è la culla della civiltà occidentale. Confina con l'Unione Europea. Qualsiasi attacco contro la Grecia dovrebbe essere considerato come un attacco contro l'Occidente. È ora che l'Occidente, che è rimasto in silenzio di fronte alle atrocità turche, si opponga ad Ankara.

Secondo Money parole al veleno di Erdogan sulla già fragile relazione tra Turchia e Grecia per la questione del Mediterraneo e i diritti di esplorazione.Il sultano, ormai convinto di poter diventare il vero e unico signore del gas, ha affermato:

“La Turchia è determinata a fare tutto ciò che serve per ottenere il riconoscimento dei propri diritti nell’Egeo, il Mar Nero e il Mediterraneo. Non accettiamo compromessi su ciò che è nostro e non ci saranno concessioni.”
L'avvertimento è alla Grecia e ai suoi tentativi di opporsi alle azioni di perforazione turche.

A fine luglio,secondo Money, la nave di esplorazione turca, Oruc Reis, è partita per svolgere un’indagine di perforazione a Sud e a Est dell’isola greca di Kastellorizo, secondo un piano di perlustrazione dei fondali in corso.

La notizia aveva allarmato la Grecia, che si sta muovendo come se una guerra dovesse esplodere da un momento all’altro. L’intransigente programma di sfruttamento delle risorse marittime della Turchia si sta intensificando in uno dei momenti storici più tesi tra i due Paesi. La Grecia condanna da tempo le incursioni di Erdogan al largo delle sue coste, considerandole illecite secondo il diritto internazionale del mare.

Secondo « Nuova Rivista Storica" in un articolo Lorenzo Vita sottolinea che non deve sfuggire, infatti, un primo profilo di natura strategica. Grecia e Turchia sono entrambi partner fondamentali della Nato che per gli Stati Uniti non possono in alcun modo indebolire il fianco sud-orientale dell'Alleanza. Il presidente Donald Trump ha già fatto capire di non avere alcuna intenzione di accettare una tale escalation in quelle acque e ha telefonato sia al premier greco che al presidente turco. Per gli Stati Uniti è essenziale che le divergenze che stanno portando Atene e Ankara sull'orlo di una guerra cessino prima che sia troppo tardi. 

Secondo Lorenzo Vita, la sopravvivenza della Nato in quel quadrante è un pilastro della strategia euro-mediterranea americana ma è soprattutto un modo per fermare sia la Cina che la Russia, che vedono dalla porta d’Oriente un modo per entrare nelle calde acque del Mediterraneo. In queste settimane, da quando Erdogan ha iniziato a muovere le sue pedine e a concretizzare le manovre della Oruc Reis e delle sue navi militari, gli Stati Uniti hanno fatto intendere di essere molto interessati a quel quadrante, facendo capire alla Turchia di non avere particolare interesse a un’ulteriore spinta turca da Est. Il rafforzamento degli accordi militari con la Grecia, in particolare nelle base di Alessandropoli, così come il ricordo di quanto avvenuto l'anno scorso con la svalutazione della lira turca e le manovre della finanza americana, hanno fatto già capire a Erdogan di non poter scherzare troppo col fuoco. L'impressione è che gli Stati Uniti, almeno fino a questo momento, abbiano scelto di far parlare altri partner europei per evitare un ingresso in campo eccessivo. Tuttavia, il fatto che la Marina americana si sia esercitata a sud di Creta con i greci e abbia svolto un Passex con la marina turca invia un segnale sull’occhio vigile di Washington nel fronte bollente dell'Egeo e del Levante. Con la cornice dello scontro sul gas e la benedizione americana al gasdotto tra Bulgaria e Grecia.

Sottolinea Lorenzo Vita sulla « Nuova Rivista Storica l’indebolimento della Nato ovviamente interessa anche la Russia, visto che i Dardanelli e l’Egeo rappresentano il passaggio naturale per la flotta di Mosca in direzione della Siria e di Suez. La Turchia per Vladimir Putin è un partner utile quanto molto difficile da gestire, mentre la Grecia, pur avendo buoni rapporti con il Cremlino, è radicata all'interno del sistema atlantico. Un’eccessiva presenza militare Nato non solo all’interno del Mar Nero, ma anche nell’Egeo e nel Levante, renderebbe molto più complicato il passaggio e le manovre della flotta russa che fa base a Tartous e che di solito entra nel Mediterraneo o passando da Gibilterra o dal Bosforo. Un esempio di quello che può significare la presenza atlantica in queste acque è dato dalle ultime mosse russe tra Siria e Cipro. I media greci riportano di un aumento della presenza navale del Cremlino con alcuni mezzi che si muovono nel totale silenzio radio. Si parla di una possibile nuova tensione dalle parti di Idlib, ma è evidente che in Russia iniziano a temere che l’escalation nell’Egeo e vicino Cipro possa portare a un rafforzamento della presenza Nato.

Lo scontro incide scrive Lorenzo Vita chiaramente anche nello scacchiere europeo. La Francia ha fatto una scelta: la Grecia. Il messaggio pubblicato da Emmanuel Macron in lingua greca di sostegno al governo ellenico rispetto alle mire di Ankara e l'arrivo delle navi di Parigi nel quadrante orientale del Mediterraneo rappresentano le mosse dell'Eliseo per ricostruire una propria presenza nella regione. Con l’accordo militare tra Francia e Cipro, l'ingresso prepotente a Beirut e le navi nell’Egeo, Macron ha mostrato i muscoli verso Erdogan ergendosi a nuovo leader di un eventuale blocco di contrapposizione alla Turchia, che passa anche per la Libia e il Medio Oriente. Questione fondamentale se unita a una Nato in crisi di identità, una Parigi in cerca di leadership militare e al desiderio di vendere i suoi sistemi d'arma a Grecia ed Egitto.

 

 

 

 

 

La caduta del Pil italiano del secondo trimestre è associata a estesi segnali di ripresa emersi, da maggio, per la produzione industriale e da giugno per i nuovi ordinativi della manifattura e per le esportazioni che hanno riportato forti incrementi sia verso i mercati Ue sia verso quelli extra-Ue, interessando tutte le principali categorie di beni. Lo scrive l'Istat nella nota mensile di agosto sull'andamento dell'economia italiana.

A luglio 2020 si stima, per le vendite al dettaglio, una diminuzione rispetto a giugno del 2,2% in valore e del 3,1% in volume. Lo rileva l'Istat spiegando che su base tendenziale si è registrata una diminuzione delle vendite del 7,2% in valore e del 10,2% in volume, determinata soprattutto dall'andamento dei beni non alimentari (-11,6% in valore e -15,8% in volume). Si è registrato in particolare un crollo delle vendite dell'abbigliamento e pellicceria, -27,9% su luglio 2019. Rispetto a luglio 2019, il valore delle vendite al dettaglio diminuisce del 3,8% per la grande distribuzione e dell'11,7% per le imprese operanti su piccole superfici. Il commercio elettronico è in crescita (+11,6%).    

Fitch ha abbassato la propria previsione di crescita del Pil italiano nel 2020 a -10%, dalla precedente stima di -9,5%. Ma ha alzato la previsione per il 2021 al 5,4%, dalla precedente stima del 4,4%. Lo si legge nel rapporto Global Economic Outlook di settembre, in cui si spiega che questo "riflette il punto più basso di partenza per le attività e l'annuncio di uno stimolo fiscale aggiuntivo a livello nazionale".

Nei primi sette mesi del 2020 le vendite al dettaglio sono diminuite nel complesso dell'8,5% rispetto allo stesso periodo del 2019 mentre il commercio online ha registrato una crescita del 28,5%. Lo rileva l'Istat sottolineando che a luglio si è avuto un calo complessivo delle vendite del 7,2% rispetto a luglio 2019 mentre per il commercio elettronico la crescita è stata dell'11,6%. Hanno sofferto soprattutto i negozi più piccoli con un calo dell'11,7% su luglio e del 14,6% nei primi sette mesi rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente mentre la grande distribuzione ha registrato un calo del 3,8% su luglio e del 3,9% nei primi sette mesi. Per le vendite al di fuori dei negozi c'è stato un calo del 7% su luglio e del 17% nei primi sette mesi.  

Crollano le vendite di abbigliamento e calzature mentre aumentano quelle degli utensili e della ferramenta in generale: a luglio, secondo i dati diffusi oggi dall'Istat sul commercio al dettaglio, si è registrato un calo complessivo delle vendite del 7,2% rispetto a luglio 2019 ma se per l'abbigliamento la riduzione è del 27,9% e per il settore delle calzature e degli articoli in cuoio e da viaggio del 17,3% per quello degli utensili per la casa e ferramenta si registra un avanzamento del 3,2%, unico dato tendenziale positivo. Nel trimestre maggio-luglio 2020, le vendite al dettaglio registrano un aumento del 12,1% in valore e dell'11,5% in volume rispetto al trimestre precedente. A determinare il segno positivo sono le vendite dei beni non alimentari (+27,4% in valore e +26,2% in volume), mentre i beni alimentari diminuiscono (-1,8% in valore e -2,5% in volume). Rispetto a luglio 2019, il valore delle vendite al dettaglio diminuisce del 3,8% per la grande distribuzione e dell'11,7% per le imprese operanti su piccole superfici. Le vendite al di fuori dei negozi calano del 7,0% mentre il commercio elettronico è in crescita (+11,6%).

Intanto Valdis Dombrovskis, parlando al Brussels Economic Forum, dice che i Recovery Fund vuole "essere una nave che ci tiene a galla in mare mosso e ci fa superare la tempesta", perciò "dobbiamo assicurarci che sia attuato correttamente" e "possa salpare il prima possibile","Molti Paesi Ue stanno uscendo lentamente e con cautela dal momento peggiore della crisi. Ma la pandemia è tutt'altro che finita. Navigheremo in acque tempestose per un po'", ha aggiunto.

"Monitoreremo che il denaro" del Recovery Fund "venga speso in linea con le raccomandazioni specifiche per Paese del semestre europeo" e le priorità Ue su "investimenti verdi, digitali e transfrontalieri". Lo ha detto il vicepresidente della Commissione Ue

"Come ripagheremo il debito generato" dal Recovery Fund? Chiederemo agli Stati membri - ha derro al Forum il commissario europeo per l'Economia Paolo Gentiloni - di ripagarlo attraverso il loro reddito nazionale lordo? O lo ripagheremo attraverso le risorse proprie Ue e la tassazione digitale e verde. Credo che il primo scenario sia un fallimento, mentre il secondo è lo scenario di successo, e lavoriamo intensamente per questo" secondo scenario

"Questo Recovery Fund non è solo un pacchetto di stimolo. E' molto di più, è un modo per trasformare il nostro modello economico e sociale. Non abbiamo soldi magici, quindi ogni singolo euro deve essere utilizzato in modo efficace". Così il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel suo intervento di chiusura al Brussels Economic Forum. "La risposta economica dell'Ue" alla crisi del coronavirus "è stata di gran lunga superiore ai pacchetti di stimolo degli Usa o della Cina" e "invia un messaggio chiaro: unita, l'Europa è una potenza mondiale", ha sottolineato Michel.

 

 

Grecia e Turchia sono a un passo dallo scontro armato nel Mediterraneo orientale. Le loro navi da guerra si confrontano con i missili pronti al lancio al largo di Cipro e presso l'isola greca contesa di Kastellorizo, a 3 km dalla costa turca. Uno scontro figlio di antiche rivalità sull'orlo della deflagrazione. Da mesi il braccio di ferro tra i due Paesi membri della Nato si fa sempre più serrato. Oggetto del contendere: la definizione dei confini delle rispettive acque territoriali e dei diritti per lo sfruttamento di giacimenti sottomarini di gas e petrolio. Ma il punto di non ritorno sta diventando una tragica realtà. E a poco paiono servire gli sforzi di mediazione europei

"Noi riteniamo le sanzioni alla Turchia assolutamente necessarie". Lo ha detto il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias,durante le giornate di lavoro del Gymnich, in corso a Berlino di qualche giorno fa. "Contiamo sulla solidarietà europea", ha aggiunto ai giornalisti prima dell'avvio della ministeriale informale dei ministri degli Esteri, che si e occupata proprio della crisi del Mediterraneo orientale.

La percezione senza precedenti della Turchia, continua il Ministro Dendias,di poter minacciare i paesi vicini con l'uso di forza quando esercitano i loro diritti legittimi è contraria alla cultura politica moderna e ai principi fondamentali del diritto internazionale. Chiediamo alla Turchia che si renda conto che il diritto internazionale e i valori su cui è costruita la moderna internazionale ordine sono vincolanti per tutti i paesi del mondo. Non possono essere applicati selettivamente e la comunità internazionale è obbligata a proteggerli, poiché la loro violazione indica gravi pericoli", si legge in un comunicato del ministero degli Esteri greco.

Atene aggiunge nella sua dichiarazione che la Turchia è obbligata a rispettare l'articolo 2 (4) della Carta delle Nazioni Unite, secondo cui tutti i membri dell'ONU devono astenersi dalle minaccie o dall'uso di forza.

Secondo gli analisti economici, la crisi economica pesa sui conti pubblici di Ankara dopo una stagione turistica disastrosa mentre la lira turca si indebolisce e la pazienza degli investitori internazionali si sta esaurendo. Così Erdogan ha deciso di alzare la posta contro la Grecia per distrarre l’opinione pubblica dalle vicende interne ed economiche.

Le bordate di Ankara hanno avuto l'effetto di far i partner di Atene in questa partita che qualcuno vorrebbe anticipare a prima delle elezioni americane: dopo Tel Aviv e Il Cairo, ecco l'accoppiata Parigi-Abu Dhabi schierarsi con la Grecia.

La Francia ha saputo dimostrare coerenza in politica estera e di Difesa ma anche amicizia nei confronti della Grecia, che altri alleati nella UE, non hanno dimostrato, mandando un forte segnale, mostrando la determinazione e la leadership di Parigi ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo.  

E così Emmanuel Macron ha fatto partire per il Mediterraneo la portaerei Charles de Gaulle, accompagnata da fregate e sottomarini, e punta anche a vendere 18 caccia Rafale ad Atene. Gli Emirati Arabi Uniti dopo l'Accordo di pace con Israele che riveste un peso specifico anche per tutti i paesi a cavallo tra l'euromediterraneo e il Medio Oriente, intende rafforzare il dialogo con Atene: lo ha confermato al telefono al primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti. Già ai tempi del lockdown Covid i due leader avevano avuto modi di interfacciarsi: gli Eau infatti avevano fornito assistenza medica alla Grecia, mentre nelle ultime settimane da Abu Dhabi sono giunti nell'Egeo i caccia F-16 per dare manforte all'Aeronautica greca contro le provocazioni turche  

Secondo Globalist, uno dei principali avversari di Ankara nel risiko del Mediterraneo orientale è senza dubbio il Cairo annota Pierluigi  Barberini in un documentato report per Affarinternazionali.it -. Nel corso degli ultimi anni le relazioni tra Turchia ed Egitto si sono progressivamente deteriorate, soprattutto da quando l'attuale presidente egiziano al Sisi prese il potere nel 2013 con un colpo di stato militare, rovesciando l’allora presidente ed esponente dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, politicamente vicino ad Ankara. La partita tra quest'ultima ed il Cairo non presenta solo caratteri ideologici, importanti ma secondari nel calcolo complessivo.

La posta in palio scrive Umberto De Giovannangeli sul globalist,consiste da un lato nella leadership del mondo musulmano a livello regionale e mediorientale, e dall’altro nell’estendere la propria influenza e nell’affermare i propri interessi sui principali dossier in gioco. Questi ultimi spaziano dalla partita sui giacimenti di idrocarburi scoperti nella Zee egiziana e di altri Stati adiacenti, fino alla guerra per procura in Libia, dove Turchia ed Egitto sostengono due schieramenti contrapposti (rispettivamente al-Sarraj la prima, Haftar il secondo). La forte condanna egiziana dell'intesa turco-libica e le minacce di un possibile intervento militare diretto nel conflitto testimoniano la centralità della posta in gioco anche per il Cairo, e in generale la grande valenza geopolitica delle dinamiche in corso nel Mediterraneo orientale”.

L'Italia non ha mosso un dito, continua globalist, forse intimidita dal “bullismo” turco in grado, ora che Erdogan ha l’egemonia in Tripolitania, di ricattare Roma minacciando di colpire gli interessi italiani in Libia. In Libia, l’Italia continua a essere visibilmente schierata (pur facendo ben poco sul campo) dalla stessa parte di Turchia, Qatar, Fratellanza Musulmana. Sul fronte opposto Francia, Egitto, Arabia Saudita e EAU, oltre alla Russia. Roma rischia di venire percepita ormai irrimediabilmente come assente e passiva su tutti i “dossier caldi” in quello in che una volta era il “Mare Nostrum”, dove oggi sembra aver abdicato a qualsiasi ruolo di rilievo.

l'atteggiamento turco allarma non solo l'UE ma anche la leadership degli Stati Uniti. All'inizio del 2019, Washington ha revocato l'embargo sulle armi a Cipro e ha inoltre concluso un trattato sullo spiegamento di basi militari, la modernizzazione degli aerei da combattimento F-16 e l'acquisto di nuovi jet F-35.

In risposta, la Turchia ha continuato ad aumentare la sua potenza militare nella regione. Ciò è dimostrato dall’adozione della nave d'assalto anfibia multiuso “Anadolu” per il servizio nel 2020 e la progettazione di sei sottomarini di tipo 214. Allo stesso tempo, Ankara ha istituito una base militare sul territorio della Repubblica turca di Cipro del Nord, dove vengono dispiegati gli ultimi UAV turchi “Bayraktar”.

Come confermano i più importanti analisti internazionali, il sogno e la determinazione turchi di appropriarsi delle acque comprese tra Creta, l’Anatolia e Cipro non svanirà quando il presidente non sarà più Erdogan. Ma se gli Stati Uniti indulgesse ulteriormente nel sostegno aprioristico ad Atene, Ankara uscirebbe definitivamente dall'orbita occidentale.

Come riferisce Globalist, annota Franco Palmas su Avvenire: “Erdogan ha gioco facile. Ha tessuto una trama circolare, quasi una tenaglia, avviluppando i potenziali nemici in una rete di basi navali, dal Corno d'Africa a Misurata, in Libia. Con il governo di Tripoli ha siglato un'intesa sulle zone economiche esclusive, dal potenziale esplosivo. L'accordo ha esteso la piattaforma turco mediterranea a 200 miglia nautiche, contro le 12 previste dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e le 6 relative al mar Egeo. Con Ankara esiste un ‘mega-problema’ a tratti irriducibile. La Turchia disconosce la Convenzione e, di conseguenza, non è possibile adire il Tribunale internazionale sul diritto del mare. La sua intesa con Tripoli è gravida di conseguenze, perché priva Atene di ampi spazi di mare, aperti a sud di Creta a promettenti ricerche energetiche; in seconda battuta, separa la Grecia da Cipro e, terzo, taglia in due il Mediterraneo, creando problemi geopolitici sulla libertà di navigazione e la posa di gasdotti fra Israele, Cipro, Grecia e l'Italia.

La tensione tra Grecia e Turchia coinvolge due partner della Nato e "questo non può lasciarci freddi". Lo ha detto Angela Merkel, affermando di aver "parlato molto intensamente" con Emmanuel Macron circa la situazione attuale. Merkel ha ricordato che la Germania "si è molto impegnata per evitare un'escalation".

 

 

 

 

 

 

 

La Guardia Costiera è intervenuta per almeno 3 sbarchi nelle ultime 72 ore nello Stretto di Sicilia salvando tre imbarcazioni con, complessivamente 462 migranti. Tra i migranti almeno 77 donne, di cui 7 incinte, 91 minori, e 3 persone disabili.

Nessuna tregua a Lampedusa, nel mese di luglio e anche ad agosto e stata teatro di una quindicina di sbarchi di notte e di giorno, uomini, donne, bambini, anche alcune persone affette da paralisi nella speranza di essere curate, persino un gattino... In attesa dell'esercito, 'truppe' di migranti continuano a bucare le trincee fragili dei centri di accoglienza siciliani. 

I hotspot è arrivato a fine luglio e arrivato a contenere 1.100 persone, dieci volte la capienza limite. Approdi anche nel Ragusano. Mentre nell'hotspot di Pozzallo i positivi al coronavirus sono saliti a 17 e uno è stato individuato a Lampedusa.

"L'Ue deve dare una risposta a questa crisi, soprattutto in una fase in cui c'è un rischio sanitario altissimo con la pandemia. Ci aspettiamo che la redistribuzione dei migranti riparta subito. Ci aspettiamo che Bruxelles rispetti i patti", ha scritto su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. "Ci vuole più' protagonismo dell'Europa, bisogna aprire con la stessa determinazione del Recovery Fund questo capitolo, no a una immigrazione irregolare, bisogna regolare i flussi", secondo il leader del Pd, Nicola Zingaretti, intervenuto a Sky Tg24 qualche giorno fa.

Intanto questi giorni il mare lampedusano intanto ha iniziato ad agitarsi, i “cavadduna”come vengono chiamate qui le onde più alte si sono fatti strada sia lungo le spiagge sabbiose che tra i tratti di costa frastagliati che scendono verso le “cale”. E di migranti se ne sono visti sempre meno. Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio però, il merito è tutto del governo e non della natura.

Secondo l’ex leader politico dei grillini, se Lampedusa ha avuto una tregua sul fronte migratorio non è frutto del naturale evolversi delle stagioni e di un canale di Sicilia imbizzarrito e non in grado di garantire le traversate: “È stata un’estate nella quale ci siamo occupati di immigrazione ed è da qualche giorno che abbiamo zero partenze dalla Tunisia – ha dichiarato il ministro ai microfoni di Rtl 102.5 – È ancora lontana dal risolversi la situazione perché lì c’è una crisi economica che ha portato molte persone a partire verso le coste italiane, ma l'interlocuzione con la Tunisia ha portato risultati importanti”.

Il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, a fine luglio come ha riportato l'agenzia Agi,e stato sentito dal Comitato parlamentare Schengen, ha parlato di "grave emergenza", con "una tensione sociale e una paura che crescono giorno dopo giorno", a fronte di una risposta dello Stato "che offre l'immagine di evidenti approssimazione, superficialità e impotenza".

L'arrivo di migliaia di migranti, ha argomentato Musumeci, era previsto da mesi, quindi c'era tutto il tempo per fronteggiarlo. "Invece ancora oggi si vive alla giornata". E non c'e' un protocollo "che metta insieme le competenze dello Stato e quelle della Regione. Senza il sistema sanitario regionale, pur fortemente provato dall'emergenza Covid, lo Stato non sarebbe in grado di accertare le reali condizioni di salute dei migranti al momento dello sbarco". Insomma, il fenomeno appare fuori ogni controllo".

"Il tema del salvataggio in mare è un tema europeo", ha ribadito Filippo Grandi, Alto Commissario dell'Unhcr all'agenzia Agi qualche giorno fa. Nel suo nuovo rapporto, l'agenzia Onu per i rifugiati sottolinea che ogni anno migliaia di rifugiati e migranti subiscono gravi violazioni dei diritti umani e muoiono da invisibili sia in Libia che lungo le rotte percorse dall'Africa occidentale e orientale per raggiungere le coste nordafricane del Mediterraneo.

Come riporta il tgcom24 dal primo giugno in Sicilia sono stati effettuati 6.371 tamponi ai migranti sbarcati, per una percentuale di positivi al coronavirus pari al 3,98%. Lo rendono noto fonti del ministero dell'Interno, precisando che "le persone arrivate sull'isola sono state sottoposte ad attenti screening per garantire la sicurezza sotto il profilo sanitario anche delle comunità locali. Da giugno sono 4.086 i migranti trasferiti dalla Sicilia verso altre Regioni".

Dopo aver inizialmente previsto il test sierologico per i migranti sbarcati in Sicilia, il Viminale informa che "dai primi di agosto è stato introdotto obbligatoriamente l'esame rinofaringeo, con un valutazione immediata del prelievo".

Infine, in relazione alle maggiori esigenze di vigilanza dei centri per migranti, in Sicilia sono attualmente impiegati 979 militari dell'Operazione strade sicure", 400 inviati nel solo mese di agosto.
 

Doveva essere il futuro dell'Unione Europea, il ponte fra oriente e occidente, il primo Paese musulmano, ma laico, a entrare nel cloud di Bruxelles. E invece la Turchia si è trasformata nell’incubo peggiore non solo delle cancellerie europee, ma di mezzo Mediterraneo.

Erdogan ha minacciato la Grecia che, a differenza di Ankara agisce sotto il cappello del diritto internazionale: «Eviti errori che la porterebbero sulla strada della rovina. Se la Grecia vuole pagare un prezzo, che venga ad affrontarci. Se non ne hanno il coraggio, si tolgano di mezzo». Parole dure, di chi vuole cercare più il casus belli che un compromesso, che servono anche per solleticare l’elettorato più nazionalista, ma che rappresentano una minaccia concreta per tutti noi.

Erdogan ha messo in guardia oltre Atene anche Parigi dai tentativi di impedire alla Turchia di continuare le sue attività di rilevamento sismico per localizzare e identificare le fonti di petrolio e gas nel Mediterraneo orientale, sottolineando che Ankara è "determinata a pagare qualsiasi prezzo" per difendere i suoi interessi nazionali e sovrani. Il presidente turco ha affermato che i cittadini della Grecia e della Francia non sono pronti a pagare il prezzo pesante per le azioni dei loro governi.

Così tra Grecia e Turchia è di nuovo crisi. Oltre al nodo migranti, nelle ultime settimane le tensioni tra i due Paesi si sono fatte sentire nelle acque del Mediterraneo orientale. Alla base dell’escalation c’è soprattutto una grossa rivalità per le risorse energetiche. Ma non solo...oggetto del contendere sono i fondali di questo Egeo gran bleu e gran caos di idrocarburi e gas. Il problema sono i limiti delle acque territoriali e le EEZ - zone di commercio esclusivo fra Paesi.

A iniziare la partita è stata la Turchia: Recep Tayyip Erdogan pregava nella neo riconquistata Santa Sofia, mentre il suo governo trasmetteva un perentorio e spiccio Navtex: «Salpiamo alla ricerca di gas per salvaguardare la nostra indipendenza energetica». La Grecia non ha gradito, ha chiamato in causa l'Unione europea, consultando, prima, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, poi accettando la mediazione, per ora fallita, di Angela Merkel e minacciando, quindi, di rivolgersi al tribunale dell'Aia: «La più piccola scintilla può tramutarsi in disastro».

La Turchia ha perseguito un’azione definita aggressiva di esplorazione del gas, “scontrandosi”, metaforicamente parlando, con navi greche rivali. Un terzo paese Nato, la Francia, è stato coinvolto, schierandosi con i greci. Più recentemente è stato anche annunciato che un piccolo numero di aerei da guerra F-16 degli Emirati Arabi si sta schierando in una base aerea a Creta per esercitazioni con le controparti greche.

Erdogan mina la pace nel Mediterraneo e l'esistenza stessa della UE evocando pagine di storia, conflitti e relative sofferenze che l’Europa credeva superate. Purtroppo non è così. Per Erdogan la partita con l’Occidente non si è chiusa e nel 2023, anni in cui verrà ridiscusso il Trattato di Losanna, rivendicherà come turche isole che appartengono alla Grecia. Utilizzando chiaramente il motivo nazionalista per coprire interessi energetici e commerciali. I prossimi tre anni quindi potrebbero portare alla fine della pace nel Mediterraneo. Se non sta attenta, anche a quella dell’Unione Europea.


Le Germania di Angela Merkel, sul cui territorio vivono oltre tre milioni di turchi, è quella più spaventata all'idea di un muro contro muro con il presidente, che potrebbe anche portare a disordini interni. Ci sono poi Paesi come l'Italia che, sbagliando, pensano si possa trattare la Turchia come partner. Il problema è proprio questo: Erdogan fa il partner solo con se stesso e con il suo disegno. Tanto più ora che può contare su un'arma potentissima come quella dei migranti.

Dall'altra parte c’è un’Europa che appare debole impotente, pronta a subire i ricatti di un Erdogan che non ha alcuna intenzione di fermarsi e che si placherà solo quando avrà la certezza di potere, lui, da solo, con un Paese da media potenza, controllare una delle istituzioni più importanti nate dopo la guerra.

Non è la prima volta che Grecia e Turchia si trovano in conflitto per il controllo del mar Mediterraneo orientale. La disputa più lunga e importante è quella per l'isola di Cipro, che ancora oggi è divisa tra la Repubblica di Cipro, di influenza greca e riconosciuto a livello internazionale, e la Repubblica turca di Cipro del Nord, che è riconosciuta soltanto dalla Turchia. Il fatto che la Turchia rivendichi l'esistenza di uno stato che non è riconosciuto da nessuno crea ulteriori complicazioni nel risolvere le dispute legali attorno allo sfruttamento delle risorse dell’area.

Per esempio lo scorso anno, il vicepresidente turco, Farou Oktay, aveva detto che la Turchia e la Repubblica di Cipro del Nord non potevano essere «escluse dall’equazione delle risorse energetiche nella regione» e che conducevano attività di ricerca ed estrazione nella legittimità del diritto internazionale.

Come ha raccontato su The Conversation Clemens Hoffmann, esperto di Medio Oriente, la Turchia sostiene che la sua posizione nel Mediterraneo orientale sia di tipo difensivo; tuttavia diversi analisti pensano che non sia così, che le politiche turche abbiano spinte espansionistiche, che si ricollegherebbero all'idea di “Mavi vatan” (Patria blu), ovvero l’ambizione della Turchia di ottenere la supremazia sul Mediterraneo orientale. In più, le zone esclusive rivendicate nell'accordo tra Turchia e Libia non tengono in considerazione gli effetti sull’isola greca di Creta, che si trova nel mezzo della zona reclamata dalla Turchia.

Come ha chiarito l’ISPI, inoltre, la Turchia ritiene che parte del territorio marittimo di Cipro, in particolare quello attorno a Cipro del Nord, sia inclusa nelle proprie zone economiche esclusive: il governo turco pertanto non riconosce i contratti siglati dal governo di Cipro con le compagnie energetiche relativamente a queste aree e starebbe anzi pensando di intensificare le proprie ispezioni per ricominciare a trivellare.

La Turchia è diventata un problema a partire almeno dal 2009, cioè da quando Ankara ha inaugurato una politica estera sempre più aggressiva, è andato in crescendo. La brutta notizia, per tutti, è che questo problema continuerà a persistere per molti anni, facendoci attraversare crisi e tensioni sempre più grosse. La Ue per il momento, complice una cordata di Paesi, fra cui l'Italia, ha deciso di non procedere con sanzioni per contenere le mire egemoniche, sempre più avide e arroganti, del Presidente Recep Tayyip Erdogan e questo è un grosso errore, per due motivi. Il primo è che la Ue sta dando un'impressione di debolezza e mancanza di coesione che per il capo di Stato di Ankara è la maggiore garanzia del suo successo. In secondo luogo, e questa è la cosa più importante, è che la Turchia non ha alcuna intenzione di accontentarsi e ingloberà voracemente tutte le posizioni che la Ue lascerà vacanti. Ne dovrebbe sapere qualcosa proprio l’Italia, vista la progressiva diminuzione della sua influenza in Libia, Albania e Somalia. Tutti luoghi dove la presenza turca è preponderante.

Il punto, è che in un futuro non troppo remoto, cercare di contenere questo Paese, che è anche membro della Nato, ma firma serenamente accordi di forniture Militari con i russi, le sole sanzioni potrebbero non bastare più. La verità è che Erdogan in testa ha un piano molto chiaro e pensa di poterlo portare avanti perché ormai considera la Ue prova di ogni credibilità e capacità di azione collettiva.

Il presidente Turco, mira a governare mari che si riveleranno sempre più chiave nel futuro. La presenza massiccia in Libia, Somalia, Sudan e Qatar serve proprio a controllare un immenso corridoio blu che dal mediterraneo, dal Mar Rosso, dal Golfo Persico sfocia nel mare Arabico. Alle sue spalle, può contare sull'appoggio economico del Qatar, con la Turchia altro Paese legato ai Fratelli Musulmani.

L’Ue rischia di trovarsi letteralmente schiacciata sotto il peso di un Paese che ha assunto una apparente consistenza in rapidissimo tempo e che viene ricattata da un presidente che vuole influenzare non solo le scelte politiche di Bruxelles a suo favore, ma anche i milioni di musulmani che abitano sul territorio della Ue e che vedono in Erdogan un leader.

 

 

 

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