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Il presidente francese Emmanuel Macron ha chiaramente deciso, di alzare la posta in gioco in una situazione di stallo con la Turchia nel Mediterraneo orientale, dove la Francia sta appoggiando Grecia e Cipro nella loro disputa con Ankara sulle riserve di gas naturale e sui confini marittimi.

La disputa energetica nel Mediterraneo orientale si inserisce poi nell’ambito della più ampia questione cipriota, ossia la disputa tra Nicosia e Ankara in merito alla sovranità sull'isola, il cui territorio risulta diviso dalla cosiddetta “linea verde” che separa l’area amministrata dalla Repubblica di Cipro e abitata prevalentemente dalla comunità greco-cipriota dall’area amministrata dalla Repubblica Turca di Cipro del Nord e abitata prevalentemente dalla comunità turco-cipriota. Tale divisione risale al 1974, quando, in seguito al tentativo di colpo di Stato da parte di nazionalisti greco-ciprioti che favorivano l’annessione dell’isola alla Grecia, il 20 luglio, Ankara inviò le sue truppe “a protezione della minoranza turco-cipriota” nella parte settentrionale dell'isola, sulla quale la Turchia ha poi stabilito il controllo. 

Oltre Cipro la Turchia minaccia regolarmente di spingere verso l’Europa milioni di profughi siriani che si trovano sul suo territorio. A febbraio il governo turco ha volutamente creato una situazione di crisi alla frontiera con la Grecia.

Oggi il motivo principale delle frizioni oltre Cipro, riguarda la guerra in Libia, dove la Turchia è intervenuta in forze nella guerra civile, trasformando l’operazione nel punto focale della strategia per rafforzare la sua influenza, con un occhio anche alle riserve di idrocarburi del Mediterraneo orientale.

Ankara ha inviato armi, droni e mercenari siriani in Libia per aiutare il governo di Tripoli. La Francia denuncia queste violazioni delle risoluzioni dell’Onu, ma Erdoğan avanza senza curarsene dopo aver convinto Donald Trump a lasciarlo agire indisturbato. 

La situazione nel Mediterraneo orientale “è molto fragile”, afferma anche Michael Roth, ministro tedesco agli Affari europei, sottolineando che la Turchia “non si sta impegnando a sufficienza per contribuire alla pace”. Si sofferma poi sul vertice che terranno i leader da cui dovrà levarsi “un messaggio di piena solidarietà a Grecia e Cipro” insieme a nuove idee per allentare le tensioni

Tuttavia la strategia europea che sarà discussa nel summit europeo del 24-25 settembre resta quella di andare verso una de-escalation delle tensioni. Tensioni Grecia-Turchia: i Paesi europei del Mediterraneo pronti a sanzioni condivise contro Erdogan 

Le misure dell'UE, intese a limitare la capacità della Turchia di continuare con le esplorazioni di gas naturale nelle acque contese, potrebbero colpire individui, navi o l'uso di porti europei, secondo Borrell. “Possiamo anche passare a misure relative ad attività settoriali”, ha sottolineato il rappresentante, “nei settori dove l'economia turca è collegata all'economia europea”, ha aggiunto. Borrell ha tenuto una conferenza stampa a seguito dell'incontro dei ministri degli esteri dell'UE a Berlino, per discutere il sostegno alla Grecia dopo che ha ratificato un accordo marittimo con l'Egitto, il 27 agosto, per contrastare le rivendicazioni della Turchia sulle risorse energetiche nella regione.

Fondamentale sarà il ruolo di mediatore della Germania dopo che anche la Russia si è offerta questa settimana di fare da intermediario dei diversi interessi presenti nel Mediterraneo orientale

Le sanzioni dell'UE richiedono l'unanimità e una volontà comune per farle rispettare, quindi una retorica dell'UE più dura non si tradurrà necessariamente in sanzioni economiche contro la Turchia. Macron sa anche che qualsiasi pressione sostenibile dell'UE su Erdogan deve passare attraverso Berlino, la principale potenza economica dell'UE. La Germania ha finora resistito alle richieste francesi di sanzioni contro la Turchia, con la Merkel che preferisce concentrarsi sulla diplomazia.

La NATO secondo Affari italiani,sta lavorando duramente per facilitare i colloqui a livello militare tra Grecia e Turchia per evitare un'escalation, mentre le Nazioni Unite cercano una soluzione diplomatica. Ma ci sono indicazioni che la campagna di Macron per respingere l'aggressività della Turchia nel Mediterraneo orientale stia iniziando a dare i suoi frutti a Bruxelles. Il 28 agosto, il capo della politica estera dell'UE, Josep Borrell, ha avvertito Ankara che potrebbe incorrere in sanzioni economiche se gli sforzi diplomatici fallissero prima del prossimo vertice dell'UE il 24 settembre. Sembra che i membri dell'UE stiano gradualmente arrivando alla visione di Macron che un'opzione coercitiva credibile è una perdita di tempo. I francesi stanno lavorando duramente dietro le quinte per mettere sul tavolo una serie di potenziali misure economiche alla fine di questo mese.

il bacino del Mediterraneo continua Affari Italiani,orientale è ancora un posto di rilievo nel pensiero geopolitico francese. Dopo un vertice con il cancelliere tedesco Angela Merkel alla fine di agosto, Macron ha ribadito che la Francia si identificherà sempre come "una potenza mediterranea". Con la sua eredità coloniale, la Francia ha ancora una significativa influenza culturale ed economica nelle regioni costiere del Nord Africa e del Levante.

L'obiettivo strategico di Macron è sfidare l'attuale equilibrio del potere navale nella regione, che, in un'epoca di ridimensionamento americano, attualmente favorisce la Turchia. Negli ultimi dieci anni, la Turchia ha investito molto nella costruzione della propria forza navale e delle proprie capacità di produzione navale. Erdogan ha anche adottato una dottrina navale più stridente e nazionalista nota come "Blue Homeland", che mira a proteggere gli interessi marittimi di Ankara nel Mediterraneo, Egeo e Mar Nero. La preoccupazione a Parigi, Atene e in altre capitali europee è che la Turchia mira a sfruttare la sua forza navale per imporre un nuovo ordine nel Mediterraneo orientale, trasformandolo in quello che alcuni funzionari chiamano un "lago turco".

Ma non mancano in tutto ciò anche le questioni economiche, ovviamente. All'inizio di quest'anno, secondo Affaritaliani  la Francia ha richiesto l'adesione al Forum del gas del Mediterraneo orientale, un gruppo formato di recente che include Egitto, Israele, Grecia, Cipro, Giordania e l'Autorità palestinese, ma non la Turchia. L'EMGF(East med gas forum) mira a sviluppare il mercato del gas della regione per soddisfare le esigenze energetiche degli Stati membri ed esportare gas a prezzi competitivi nell'UE. Naturalmente, le compagnie petrolifere e del gas francesi vogliono un pezzo della torta. 

Il colosso energetico francese Total sottolinea affari italiani,ha ottenuto i permessi congiunti di esplorazione del gas con la società italiana Eni nelle acque cipriote, oltre che nelle acque costiere greche e libanesi. Un ruolo geopolitico più assertivo potrebbe aumentare l'influenza della Francia intorno al tavolo mentre continuano i complessi negoziati per l'estrazione, il mercato e il trasporto di gas dal Mediterraneo orientale. La Francia insomma, al contrario del nostro paese, come già accaduto in Libia cerca sempre di portare acqua la suo mulino e difendere i propri interessi nella zona. Il fatto che Erdogan adesso sembra spinto dallo stesso spirito potrebbe diventare un ulteriore motivo di tensione.

Inoltre secondo affari italiani, Macron avrebbe in parte puntato la sua presidenza sulla promessa di rafforzare l'Unione europea e di rafforzare la sua "autonomia strategica". A tal fine, una presenza turca incontrollata nell'immediata periferia dell'UE convincerebbe ulteriormente il mondo, e molti euroscettici in Europa, che l'UE non può essere considerata un attore geopolitico legittimo. Macron vuole dipingere Erdogan come lo spauracchio esterno nel tentativo di rafforzare la coesione dell'UE come progetto politico e strategico distinto.

 

 

 

 

 

 

Al referendum il Sì sfiora il 70%. D'altronde era sponsorizzato anche da Lega e FdI. Però, nei partiti, le crepe erano molte. Stando all'analisi di Tecneitalia, nel centrosinistra il No avrebbe prevalso nell'elettorato del Pd col 55%, di Italia Viva (77%) e de La Sinistra (58%). Tra l'elettorato del centrodestra avrebbe prevalso il Sì (75% FdI, 76% FI, 78% Lega).Per le Regionali, secondo le proiezioni il centrosinistra è davanti sia in Toscana, con Giani al 48% e la Ceccardi al 41%, sia in Puglia, dove Emiliano è oltre il 46% e Raffaele Fitto al 38%, e pure in Campania, con De Luca al 67% e Stefano Caldoro al 18%. Il centrodestra conquista le Marche, dove Acquaroli naviga sul 47% e Maurizio Mangialardi (Pd-Iv) sul 37%, e poi mantiene il Veneto, con Luca Zaia al 77% e Arturo Lorenzoni al 16%, e la Liguria, dove Giovanni Toti è al 54% e Ferruccio Sansa al 40%. Alto il dato dell'affluenza, che sfora il 54% per il Referendum e si avvicina al 58% per le Regionali.

"Gli italiani - è il commento di Palazzo Chigi - hanno offerto una grande testimonianza di partecipazione democratica. Gli italiani hanno dimostrato un forte attaccamento alla democrazia". A voto ancora "caldo", Zingaretti "detta" la linea e "corteggia" Di Maio a distanza. Anche perché, probabilmente sulla vittoria dei candidati di centrosinistra in bilico ha pesato anche il voto disgiunto. "Se gli alleati ci avessero dato retta - ha fatto notare il segretario Pd - l'alleanza di governo avrebbe vinto quasi tutte le regioni italiane". Un assist al ministro degli Esteri, che ne ha approfittato per una critica al modo con cui il M5s si è presentato al voto: "Potevano essere organizzate diversamente e anche per il Movimento, con un'altra strategia". D'altronde nel M5s si sta giocando la partita per la leadership. E, malgrado i reciproci riconoscimenti pubblici, fra il reggente Vito Crimi e il ministro degli Esteri, la corsa è aperta. Il voto rafforza invece la segreteria di Zingaretti. Nei giorni scorsi, quando la Toscana era data in bilico, la poltrona del segretario non era apparsa particolarmente stabile. Un dato che non può dispiacere a Palazzo Chigi, con il premier Giuseppe Conte ufficialmente alle prese con il Recovery fund, ma che esce "indenne" dalla tornata elettorale.

L'esito del voto allontana anche l'ipotesi di rimpasto: "Non cadiamo in questo tranello", ha detto il segretario dem. Sia Zingaretti sia Di Maio già parlano della nuova stagione di riforme, per una legge elettorale che si adegui al taglio dei parlamentari e per quella architettura che servirà a sfruttare i miliardi in arrivo dall'Europa. Ma è il linguaggio di Zingaretti quello più deciso: "Sui decreti Salvini c'è un accordo e ora vanno assolutamente modificati". Oltre che per le Regionali e il Referendum, in ballo c'erano anche due seggi al Senato, attribuiti con le suppletive: Luca De Carlo, di centrodestra, ha vinto quella veneta, mentre in Sardegna c'è un testa a testa fra il candidato di centrosinistra, Lorenzo Corda, e quello di centrodestra, Carlo Doria.

Pericolo scampato per il governo. I risultati in Puglia, con la conferma di Michele Emiliano, e soprattutto in Toscana, con l'elezione di Eugenio Giani, allontanano il pericolo di un contraccolpo sull'Esecutivo e sul Pd. E blindano la maggioranza. A puntellarla c'è poi l'esito del Referendum, con la solida vittoria del Sì. Per le Regionali un 3 a 3, con il centrosinistra che mantiene anche la Campania di Vincenzo De Luca e perde le Marche, dove è in vantaggio Francesco Acquaroli (Fdi). Mentre il centrodestra si conferma alla guida della Liguria, con Giovanni Toti, e del Veneto, con il leghista Luca Zaia.

Servono, infatti, due mesi per ridefinire i collegi sulla scorta del nuovo assetto del parlamento. Dopo inizieranno i dolori: la sessione di Bilancio e a gennaio la Commissione Ue faranno scannare la maggioranza chiamata a decidere dove allocare i soldi del Recovery Fund. La prima finestra elettorale si aprirà soltanto tra febbraio e fine luglio, quando scatterà il semestre bianco, periodo in cui non si possono sciogliere le Camere. Per il momento, però, i big che sostengono il premier Giuseppe Conte assicurano non solo di voler tirar dritto ma addirittura di voler aprire una stagione di riforme. Una boutade che rischia soltanto di creare ulteriori divisioni. Pensare che riescano a trovare un accordo sulla legge elettorale è fantasia. Il ritorno delle preferenze e le soglie di sbarramento sono solo alcuni dei nodi da sciogliere. E poi c'è la proposta di superare il bicameralismo paritario. Insomma, più che una stagione di riforme li aspetta una stagione di litigi continui.

Partecipare senza mai essere in partita. Basta guardare le percentuali del Movimento 5 Stelle per comprendere il flop di Vito Crimi e compagni. Come sottolinea il giornale,niente di nuovo sotto il sole, per carità. Ma a questo giro nessuno dei candidati grillini è riuscito a fare la differenza: in Toscana Irene Galletti incassa appena il 6%, in Puglia Antonella Laricchia va di poco oltre il 10%, in Veneto Enrico Cappelletti si deve accontentare del 4%. E ancora: in Liguria Aristide Massardo incassa appena il 3,5%, nelle Marche Gian Mario Mercorelli supera appena il 10% così come Valeria Ciarambino. Una disfatta. Eppure, mentre lo spoglio è ancora in corso, ecco Luigi Di Maio affrettarsi ad appuntarsi sul petto "un risultato storico". "È la politica che dà un segnale ai cittadini - ha scritto su Facebook - senza di noi tutto questo non sarebbe mai successo". Non una parola, ovviamente, sul flop alle regionali. Un flop in linea con le sconfitte incassate negli ultimi tre anni alle Amministrative. Dopo il boom di Virginia Raggi e Chiara Appendino, il declino è stato pressoché inesorabile.

Chi cresce, chi scende, chi scompare. E’ il caso del Movimento Cinque Stelle scrive il giornale, che dopo aver incassato l'ennesima batosta alle amministrative, in Veneto scopre addirittura di essere stato estromesso dal Consiglio regionale. Il candidato Enrico Cappelletti non riesce a ottenere neppure il seggio per se stesso visto che il M5S non ha ottenuto il 3% dei voti necessari per superare la soglia di sbarramento.

I grillini sono andati male un po’ ovunque, e non è un caso se i vertici pentastellati (e Di Maio in particolare) da 24 ore parlano solo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Ma in Veneto il risultato è tragico. Il 2,69% raggranellato dai grillini lascerà fuori i “portavoce”, trasformando la regione in un polo a due tra centrodestra e centrosinistra. Secondo le proiezioni Zaia potrà contare su una maggioranza di 41 seggi, praticamente un regno sovrano, mentre l’opposizione dovrà accontentarsi di 8 seggi.

La vittoria del sì al referendum costituzionale scrivono le Agenzie di stampa,  è destinata a cambiare completamente il volto del parlamento, i cui inquilini passeranno dagli attuali 945 ai futuri 600. La riforma costituzionale taglia 345 parlamentari. L'approvazione definitiva è arrivata nell'ottobre del 2019, con il via libera della Camera. E con la nascita del governo giallorosso è stata appoggiata per la prima volta anche da Pd, Leu e Italia viva (nonostante nelle tre precedenti votazioni avessero votato contro). Hanno votato a favore anche le forze di opposizione, Forza Italia, FdI e Lega. La netta vittoria dei Sì al referendum conferma la riforma. Ora serviranno circa due mesi per ridisegnare i collegi.

Il taglio degli eletti complessivo è pari al 36,5% e porterà certamente dei risparmi. Il punto è quale sia l’entità degli stessi. Stando ai detrattori della riforma, la riduzione dei costi si limiterebbe allo 0,007%. Per i 5 Stelle, che della riforma hanno fatto un cavallo di battaglia, si risparmierebbero invece circa 500 milioni di euro a legislatura, ovvero 100 milioni annui

Il 20 e 21 settembre i cittadini italiani saranno chiamati a votare per il referendum popolare confermativo sul testo di legge costituzionale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 12 ottobre del 2019, che riguarda il taglio dei parlamentari. Come noto, la riforma prevede una riduzione da 630 a 400 del numero dei deputati e da 315 a 200 di quello dei senatori elettivi: a tal fine, la legge di cui si chiede la conferma modifica gli articoli 56, secondo comma, e 57, secondo comma, della Costituzione.
 
Si tratta di un referendum confermativo del testo di legge costituzionale -  approvato in via definitiva  dal Parlamento lo scorso 7 ottobre 2019 - che taglia 345 parlamentari, andando a modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Si tiene perché la proposta di legge di modifica della Costituzione nelle quattro letture parlamentari conformi non ha ottenuto la maggioranza qualificata necessaria per blindare il testo. L'Ufficio centrale per il referendum della Suprema Corte ha dichiarato conforme all'art. 138 della Costituzione la richiesta di referendum confermativo firmato da 71 senatori.“

Secondo fanpage, in una analisi molto interessante sulle ragioni del Si e di No alle modifiche della Costituzione,Il fronte del No al referendum è trasversale ai partiti e agli schieramenti politici, ma è unito nel considerare questa consultazione come “una truffa”, perché lascia intendere che il via libera alla riforma possa avere un potere taumaturgico rispetto ai tanti problemi legati al funzionamento delle nostre istituzioni. Il primo punto su cui si concentra l'attenzione degli oppositori alla Fraccaro è quello relativo ai risparmi risibili che il taglio dei parlamentari andrebbe a determinare, dal momento che la riforma non incide su stipendi, emolumenti e trattamenti pensionistici dei deputati e dei senatori, ma soprattutto non modifica l’architettura costituzionale in profondità. Le cifre sono basse in valore assoluto, parliamo dello 0,007 per cento della spesa pubblica italiana, dunque la domanda da porci è: perché tagliare proprio sui costi della democrazia?  

Nella lettura scrive fan page,dei sostenitori del No, la riforma Fraccaro compromette la rappresentanza e non tutela i cittadini italiani, in nome di un concetto controverso come quello di “governabilità”. Questo prima di tutto dal punto di vista numerico. Ad esempio, la riduzione media del tasso di rappresentanza al Senato della Repubblica è del 36,5%, con punte superiori al 50% per le piccole Regioni. Questo dato, a livello provinciale o sub-regionale, si tradurrebbe nell’esclusione dei territori meno popolosi da ogni possibilità di eleggere un proprio rappresentante, con uno scollamento maggiore fra eletti e territorio, proprio perché un deputato avrebbe una porzione molto più ampia di elettori da rappresentare. La rappresentanza, in questa lettura, dipende dal rapporto tra elettori ed eletti proprio nella misura in cui al di sotto di un certo livello “si determinerebbero squilibri nella composizione degli organi di garanzia e nei meccanismi di funzionamento delle stesse istituzioni rappresentative” (qui un'analisi di senso), oltre che in un sottodimensionamento dei referenti dei piccoli territori.

È il grande terreno di scontro tra i sostenitori del Sì e del No. Come sottolinea fanpage,meno parlamentari significa maggiore possibilità di controllo da parte dei leader politici e la messa in discussione definitiva dell’autonomia degli stessi rappresentanti dei cittadini? Per chi invita a votare No questo è lapalissiano, specie se abbinato a un meccanismo elettorale che sposta il peso della scelta nelle stanze dei partiti, eliminando preferenze e collegi uninominali che garantiscono un rapporto diretto tra eletti ed elettori. Un Parlamento composto da politici che devono la loro elezione esclusivamente alle decisioni degli organi di partito è più debole e meno autorevole, ma soprattutto più esposto a pressioni di lobby e gruppi di interesse.                                                                                                    
Questo intervento di Rino Formica, letto dal socialista Nannini del “Comitato socialista per il NO”, come riferisce l Avanti,alla manifestazione “La piazza che non ci sta”.

“Il 2 giugno del 1946 fu il giorno della Repubblica e della elezione dell'Assemblea Costituente. Io c’ero. Un giovane socialista di 19 anni. I socialisti furono in prima fila per la Repubblica. Lo slogan elettorale era:”Votare prima per la Repubblica e poi per i socialisti.” Vinse la Repubblica ed il Partito socialista fu il primo partito della sinistra italiana. Fu in quel fuoco che si saldo’ l'indissolubile legame tra difesa delle Istituzioni repubblicane, rispetto della Carta costituzionale, e partecipazione di massa alle lotte sociali. Chi oggi dice “I problemi importanti sono economici e sanitari e non quelli istituzionali” utilizza una mezza verità per coprire una impresentabile tendenza reazionaria avversa alla democrazia rappresentativa. Per 70 anni abbiamo vissuto momenti di esperienza democratica e fronteggiato tentativi di restaurazione pre-repubblicana.

Ci ha difeso una Carta costituzionale rigida cioè una Carta che prevede procedure attente e meditate per ogni modifica alla Legge delle leggi. Ci siamo difesi con una forte partecipazione popolare e di massa alla vita politica ed è stata costruita una rete di rapporti tra popolo, istituzioni, partiti, sindacati e organizzazioni rappresentative dell’immensa ricchezza del pluralismo culturale e sociale. Ci siamo difesi perché il controllo sul potere era garantito da un costante allargamento delle rappresentanze a tutti i livelli che avveniva secondo i principi generali ed indiscutibili: più si allarga la partecipazione, più si deve allargare la rappresentanza. L'efficienza è doverosa ma la praticabilità del controllo è una necessità. Da anni le nostre istituzioni sono investite da tendenze semplificatrici che denotano forme gravi di rifiuto del pensiero profondo.

Scrive l Avanti, le conseguenze della rinuncia alla riflessione è la consegna al Capo, all'uomo della Provvidenza, di ogni decisione. È proprio il contrario di ciò che fa per istinto naturale un ragazzo che leggendo e studiando chiede di appropriarsi del proprio destino. Oggi siamo ad una prova alla quale si è sottoposti ogni volta che finisce un ciclo.

Nel ’46 pensammo prima alle istituzioni e poi alle condizioni per il benessere materiale. Oggi come allora il problema è lo stesso. Senza istituzioni democratiche non c’è vita libera. La riduzione dei parlamentari è un primo passo nella direzione nella erosione delle istituzioni democratiche.

Il secondo passo sarà quello di creare un bicameralismo perfetto e inutile.
Poi si dirà: due Camere uguali sono un lusso. Sopprimiamo una e poi si dirà una Camera con 200 parlamentari fa lo stesso lavoro di quella di 400. Togliamo quella di 400 che costa di più.

Poi, con una bella legge elettorale apparentemente proporzionale, ma piena di trabocchetti per ciò che riguarda lo sbarramento all'accesso alla competizione elettorale, con qualche disposizione sulle incompatibilità: il Gioco è fatto.

Così concude Rino Formica il suo intervento alla piazza del S.S.Apostoli letto da Nannini, e riportato dal quotidiano l Avanti,una legge ordinaria elettorale distruggerà la Costituzione rigida e travolgerà con la forza di una maggioranza parlamentare artificiale tutti i quorum di garanzia.

Un bel ritorno allo Statuto Albertino! Questo voto è importante ma è ancora più importante ciò che avverrà dopo il 21 settembre. Se vince il NO come qui ci auguriamo, i perdenti ci riproveranno. Se vince il SI’ bisognerà organizzare la Resistenza Costituzionale. Buon lavoro e arrivederci al 21.
 
Le ragioni del Si

La riforma è stata fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle ed è appoggiata, oltre che dalle principali forze di maggioranza (Pd, Italia Viva e Leu), dai maggiori partiti di minoranza (Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia). La tesi principale sostenuta dalle forze politiche a favore del taglio è il risparmio - 100 milioni di euro all'anno - che la riduzione dei parlamentari porterebbe alle casse dello Stato.

Altra tesi a sostegno dei promotori della riduzione è il secondo posto a livello europeo occupato dal nostro paese in materia di numero di eletti: sono 951, considerando anche i senatori a vita. Ma l'incidenza degli eletti in rapporto alla popolazione è in realtà tra le più basse d'Europa. Se passasse la riforma l'Italia avrebbe un'incidenza dello 0,7 ogni 100.000 abitanti conquistando il "primato" di questa speciale classifica. Tuttavia non sarà immediatamente in vigore: sarà necessario ridisegnare i collegi elettorali e modificare le norme che regolano l'elezione del presidente della Repubblica, e poi sciogliere le Camere per indire nuove elezioni.“

Non c’è pace per le coste italiane prese “d’assalto” da una serie di sbarchi di migranti. Da Lampedusa alle coste siciliane in genere, fino a quelle del territorio di Sulcis in Sardegna, si sta assistendo ad un notevole flusso di arrivi agevolato anche dalle attività delle Ong.

Il nostro Paese è entrato in una spirale perversa. Aumentano gli sbarchi.Crollano le domande d’asilo accolte. Restano al palo i rimpatri. Risultato inevitabile: nonostante la recente sanatoria, cresce il popolo dei migranti invisibili.

La nuova emergenza spinge ancora una volta il governatore siciliano, Nello Musumeci, a puntare il dito contro l'inefficienza della politica migratoria dell'Unione europea. "Lampedusa di nuovo stracolma e altre Ong che pretendono di utilizzare i porti siciliani mentre stiamo scoppiando - ha detto -. Vorrei che ragionassero di questo al vertice europeo del 23 settembre. 

Vorrei che capissero che l'Europa è assente sul suo fronte più scoperto: il Mediterraneo. Lo hanno abbandonato e l'Occidente non può fare finta di niente. Il prezzo lo pagano la Sicilia e il resto d'Italia". Per il presidente della Regione c'è chiaramente "una strafottenza senza precedenti, una volgare strumentalizzazione che capovolge la realtà: quelli che difendono i diritti umani sono accusati di razzismo; quelli che se ne fregano della salute degli ultimi, sono pronti per la canonizzazione. Nessuno si deve poi lamentare se la paura genera insicurezza. E di insicurezza, si sa, si alimentano i totalitarismi, non le democrazie". La situazione sull'isola però resta drammatica, a dirlo sono i numeri. Se nell'ultima giornata si sono verificati 26 sbarchi, significa che sulle coste c'è un approdo uno ogni ora

La versione IV degli accordi di Dublino, che sarà votata dai deputati della Ue a fine anno, prevede più fondi per la Turchia, ma anche misure più severe sulla ripartizione dei migranti. I paesi dell'area Schengen che non accetteranno migranti per i ricongiungimenti famigliari o i richiedenti asilo saranno esclusi dallo spazio di libera circolazione. Un messaggio forte per il gruppo dei paesi di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia) che si oppongono all'accoglienza degli immigrati. Questi accordi prevedono anche più mezzi per i paesi in prima linea come Grecia, Spagna e Italia.

Intanto, una nuova ondata a Lampedusa, dove nell'hotspot siamo arrivati a 1200 presenze a fronte di una capienza ufficiale di appena 192 posti e sale la preoccupazione per una situazione che è diventata ingestibile. Dalle 19 di ieri sono circa 20 gli sbarchi registrati e, in poco più di 12 ore, sulla più grande delle Pelagie sono approdate almeno 400 persone. Come sottolinea il Giornale,nella sola giornata di domenica, in sole 24 ore sono stati 26 gli approdi con gli uomini della Guardia costiera e della Guardia di Finanza impegnati senza sosta nelle operazioni di soccorso. Sempre ieri al largo dell'isola è arrivata anche la Alan Kurdi con a bordo 133 migranti. Tra loro anche 62 minori, di cui un neonato di 5 mesi. "Abbiamo a bordo 62 minori - si legge sul profilo twitter di Sea-Eye - Uno ha solo 5 mesi. Queste persone sono particolarmente vulnerabili". Sempre ieri, il responsabile della nave Gordon Isler aveva lanciato un appello chiedendo lo sbarco immediato della nave. "Hanno particolarmente bisogno di protezione, devono essere evacuate rapidamente e non devono diventare oggetto di negoziazione tra i paesi dell'Ue".

Nella sola giornata di domenica, in sole 24 ore sono stati 26 gli approdi con gli uomini della Guardia costiera e della Guardia di Finanza impegnati senza sosta nelle operazioni di soccorso. Sempre ieri al largo dell'isola è arrivata anche la Alan Kurdi con a bordo 133 migranti. Tra loro anche 62 minori, di cui un neonato di 5 mesi. "Abbiamo a bordo 62 minori - si legge sul profilo twitter di Sea-Eye - Uno ha solo 5 mesi. Queste persone sono particolarmente vulnerabili". Sempre ieri, il responsabile della nave Gordon Isler aveva lanciato un appello chiedendo lo sbarco immediato della nave. "Hanno particolarmente bisogno di protezione, devono essere evacuate rapidamente e non devono diventare oggetto di negoziazione tra i paesi dell'Ue

L'inviolabilità dei confini è solo una chimera, basta verificare ciò che sta succedendo a sud, tra l'isola di Lampedusa, continuamente vessata, e la Sicilia scrive il Giornale. Solo pochi giorni fa, dopo la farsa dei tuffi in mare dei migranti, a Open Arms è stato concesso di attraccare nel porto di Palermo ma la nave era entrata nelle acque territoriali italiane già prima di aver ottenuto il via libera. Prima ancora c'era stata la Sea-Watch 4, ora sotto sequestro nel porto palermitano, e così via

Come sottolinea il Giornale, Alan Kurdi naviga a ridosso del confine italiano, a meno di 5 miglia dalle acque di Lampedusa, dopo averle violate nel corso della notte. I motori sono al minimo e l'obiettivo è quello di fare pressione per ottenere l'autorizzazione all'ingresso e avere, poi, un porto. Sono 133 i migranti a bordo della nave che, come nel caso di Sea Watch, batte bandiera tedesca. Ad alzare la voce sui social contro l'Italia è Gorden Isler, executive board di Alan Kurdi. "Hanno particolarmente bisogno di protezione, devono essere evacuate rapidamente e non devono diventare oggetto di negoziazione tra i Paesi dell'Ue", ha affermato su Twitter il responsabile della nave una volta giunto a 6 miglia da Lampedusa ieri mattina.

Come scrive il Giornale,le lamentele sono proseguite anche nel tardo pomeriggio, quando Alan Kurdi ha reso nota la risposta della Guardia Costiera italiana. A Gordon Isler non è piaciuta la mail della nostra autorità marittima che, in tre punti, ha ribattuto in punta di diritto alle pretese della nave: "1. Tutte le operazioni effettuate dalla vostra nave sono avvenute fuori dall'area SAR italiana; 2. L'autorità italiana non ha mai coordinato o effettuato alcun tipo di azione sui casi citati; 3. In tutti i casi, secondo le nostre informazioni, le operazioni sono state gestite autonomamente da Alan Kurdi, per questo motivo sono a carico del vostro Stato di bandiera". La mail della Guardia Costiera italiana, quindi, prosegue dando indicazioni alla nave su come procedere: "In base a quanto specificato, questo MRCC invita il capitano di Alan Kurdi di prendere contatto diretto con l'autorità SAR nazionale a Brema al fine di ricevere le istruzioni adeguate per il caso in oggetto".

La mail chiara e diretta dell'autorità marittima scrive il giornale ha fatto storcere il naso a Isler: "Non è così che argomenterebbe l'MRCC Roma se si trattasse di soccorsi europei. Ma provengono da 15 Paesi diversi in Asia e Africa. Immaginate che una nave italiana salvi nel Mare del Nord e Brema si riferisca a Roma. È grottesco".

Secondo Italia Oggi,una nuova ondata di migranti ha invaso le isole greche. A Lesbos si trova il più grande centro di accoglienza d'Europa, capace di ospitare 7.500 migranti, ma ora, a Moria ve ne sono stipati il doppio, quasi 15 mila in condizioni insalubri, secondo quanto ha riportato Le Figaro. La settimana scorsa tredici barconi hanno sbarcato a Lesbos più di 540 migranti in poche ore facendo rivivere l'incubo dell'estate 2015 quando all'incirca un milione di persone avevano attraversato la Grecia. Una situazione che aveva spinto l'Unione europea a concludere un accordo con la Turchia, nel marzo 2016, per gestire i flussi.


Secondo la Repubblica cresce il popolo degli invisibili a fotografare la criticità cronica del nostro “governo dell’immigrazione” è uno studio della fondazione Leone Moressa. «Nel 2020 – scrivono i ricercatori – gli sbarchi nel Mediterraneo sono tornati ad aumentare, dopo il brusco calo avviato a metà del 2017. Al 21 agosto, gli sbarchi del 2020 sono 17.264, più di quelli di tutto il 2019, ben lontani però rispetto ai picchi del 2014 (170 mila) e del 2016 (181 mila). Va ricordato, inoltre, che nel periodo 2010-2019 la Grecia ha registrato quasi il doppio degli arrivi rispetto all’Italia».



La Turchia ha "violato la sovranità della Grecia e di Cipro" nel Mediterraneo orientale e perciò "merita di essere sanzionata da parte dell'Unione europea". Ne è convinto il presidente francese Emmanuel Macron, dicendosi "completamente dalla parte di Grecia e Cipro rispetto alle violazioni turche della loro sovranità".

I leader dei sette Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo hanno dichiarato di essere pronti a sostenere sanzioni dell'UE contro la Turchia se Ankara si dimostrerà indisponibile al dialogo dopo l'inasprirsi dei contenziosi marittimi. "Riteniamo che, in assenza di progressi nell'impegno della Turchia al dialogo e a meno che non ponga fine alle sue attività unilaterali, l'Ue è pronta a elaborare una lista di ulteriori misure restrittive", che potrebbero essere discusse al Consiglio europeo il 24 e 25 settembre.

Come riferisce Eunews, parlando ai membri della Commissione Affari Esteri dell’UE a Bruxelles, il ministro greco per gli Affari europei Miltiadis Varvitsiotis ha affermato che la Grecia non sta perseguendo una risposta militare all'aggressione turca ma sta chiedendo una chiara reazione da parte dell’Europa.
“L’Unione Europea deve mostrare i denti imponendo severe sanzioni economiche contro laTurchia se questa si rifiuta di rimuovere le sue navi militari e le navi da trivellazione dalle acque del Mediterraneo orientale” ha detto giovedì 9 Settembre Varvitsiotis

Come riferisce l Ansa,"Se la Turchia non avanza sulla via del dialogo e non mette termine alle sue attività unilaterali, l'Ue è pronta a elaborare una lista di misure restrittive supplementari che potrebbero essere proposte in occasione del Consiglio europeo del 24 e 25 settembre", si legge nella dichiarazione finale del vertice di Ajaccio dei leader dei Paesi del Sud Europa. "Sosteniamo gli sforzi di mediazione" della commissione Ue e della Germania "che mirano a permettere una ripresa del dialogo" con la Turchia. "Ci rammarichiamo che la Turchia - si legge ancora - non abbia risposto agli appelli ripetuto dell'Ue a mettere fine alle sue azioni unilaterali e illegali nel Mediterraneo orientale e nell'Egeo. Riaffermiamo la determinazione a usare tutti i mezzi adeguati di risposta dell'Ue a queste azioni aggressive".

Secondo il ministro turco Mevlüt Çavuşoğlu, le dichiarazioni emerse alla fine del vertice dell’Euromed sarebbero “di parte, scollegate dalla realtà e priva di base giuridica” poichè spetterebbe alla Grecia di ritirare le sue navi militari nei pressi della nave di esplorazione di Oruç Reis sostenuta dalla NATO e di cessare la militarizzazione delle isole dell’Egeo orientale.

Le relazioni tra l'Unione Europea e la Turchia sono diventate particolarmente tese dopo che Ankara e Atene hanno avviato una serie di attività “provocatorie” nella regione rivendicando i rispettivi diritti di esplorazione energetica. Macron ha sottolineato che il MED7 è stato pensato come un incontro preparatorio, in vista delle più ampie discussioni in seno all’UE, con l'obiettivo di trovare una posizione comune sulla Turchia ed elaborare le strategie per mettere fine alle azioni di Ankara nel Mediterraneo orientale, ritenute illecite dalla maggior parte dei Paesi europei, in primo luogo Grecia, Cipro e Francia. Il premier spagnolo Pedro Sanchez crede che i leader europei del mediterraneo abbiano “mandato un messaggio chiaro per intraprendere un vero dialogo con la Turchia” e anche il premier Conte ha auspicato per il raggiungimento di “soluzioni condivise”.

Fondamentale sarà il ruolo di mediatore della Germania dopo che anche la Russia si è offerta questa settimana di fare da intermediario dei diversi interessi presenti nel Mediterraneo orientale.

Secondo il Sole 24 e possibile una svolta così severa o si tratta solo di pressioni diplomatiche? Diversi Paesi dell'Unione europea, Francia in testa, sono stanchi delle continue provocazioni e stanno vivendo forti tensioni con la Turchia, in particolare sulla questione libica, sulle questioni migratorie, sulla sicurezza e sulle riserve di gas nel Mediterraneo orientale, dove Ankara è accusata di perseguire una politica espansionista ed avventurista.

L'Eni e la francese Total hanno dovuto sospendere le attività di ricerca di idrocarburi nella zona di mare di Cipro a causa della presenza delle navi di Ankara. “Stiamo dicendo alla Turchia: da qui al Consiglio europeo, dimostrate di saper discutere prima del Mediterraneo orientale”, ha spiegato il ministro degli Esteri francese. “Spetta ai turchi garantire che questa questione (…) possa essere discussa (…). È possibile!”.  “A questo punto potremmo entrare in un circolo virtuoso su tutti i problemi posti”.

Questo è l’augurio secondo il Sole 24, della diplomazia ma la situazione è diventata particolarmente instabile nella regione dopo un mese di escalation, innescata il 10 agosto dal dispiegamento di una nave da ricerca sismica turca nelle acque rivendicate da Atene. In segno di sostegno al suo partner greco nell’UE, alla fine di agosto la Francia del presidente Emmanuel Macron ha rafforzato la sua presenza militare nel Mediterraneo orientale. E da mesi le due capitali si scambiano invettive. Il ministro Le Drian ha rifiutato di specificare la natura di queste possibili sanzioni. “C’è tutta una serie di misure che possono essere prese.

Non siamo affatto impotenti e lui (il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ndr) lo sa molto bene”, ha insistito il ministro. Le Drian ha accennato a una serie di sanzioni economiche, accusando Erdogan di aver creato “uno stato d’animo islamo-nazionalista” inteso a “nascondere la verità della situazione economica” in Turchia. Il 24 e 25 settembre si terrà il Consiglio europeo, che riunisce i capi di Stato e di governo dell’UE. E quello sarà il momento della verità dopo le schermaglie e lo scambio di accuse di questi giorni.

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