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Il cavaliere nonsi oppone a una candidatura di Renzi

Il presidente del Consiglio vuole andare avanti, "non voglio galleggiare, anzi...", assicura, "aggredire i problemi con forza"  altrimenti "i problemi non si risolvono". Un confronto che non soddisfa affatto la minoranza del partito. "Non possiamo fare finta di nulla, del Renzi I parlano tutti i giornali. Il tema è o la ripartenza di Letta o si discuta, Renzi prenda posizione e troverà piena responsabilità da tutte le componenti del Pd in una collaborazione stretta". Nel Pd, tranne l'area vicina a Letta, che sta con il premier, e una piccola fetta, come Pippo Civati, Stefano Fassina e Goffredo Bettini, che chiedono il ritorno alle elezioni, la gran parte vuole un governo "nuovo", dove per nuovo in molti ormai pensano a Renzi più che all'attuale premier. Ma la decisione per il Pd sulle sorti del governo spetta al segretario che in replica apre ad ogni scenario. "Vogliamo cambiare schema? Disponibilità totale a discutere. Se vogliamo giocare un altro schema, confermare quello attuale o dire che si va alle elezioni, facciamolo il 20 febbraio". La resa dei conti è solo rinviata. Ma...

A questo punto, dopo settimane di gelo e di incomprensioni reciproche, la staffetta tra Enrico Letta e Matteo Renzi è ufficialmente sul piatto. Il segretario Pd, accogliendo la richiesta della minoranza di fare chiarezza, fissa ad una direzione del 20 febbraio lo show down nel Pd sulle sorti del governo. "E' inaccettabile dire che il problema del governo è il Pd, sul governo la chiarezza spetta al governo", è la sfida che il rottamatore lancia in direzione a Letta, chiedendogli di "giocare a carte scoperte" ma ricevendo un impegno del premier a "non galleggiare" e a fare "gioco di squadra" sulle riforme e sull'esecutivo. L'intenzione di Renzi, almeno fino alla richiesta di Gianni Cuperlo e della minoranza a mettere fine al "gioco delle parti" tra lui e il premier, era in realtà di stanare il presidente del consiglio sulle sue intenzioni. Nè in questa direzione, dedicata alla riforma del Senato e del Titolo V, nè negli appuntamenti di partito indicati dal sindaco per le prossime settimane, il leader dem aveva messo in agenda il rapporto con il governo.

Nè tantomeno il programma di governo, chiesto con insistenza dal premier ma derubricato da Renzi. I due si parlano per una decina di minuti prima della direzione del partito ma, tranne la condivisione dell'analisi sul caos di M5S e la determinazione comune a "fare presto sulla legge elettorale", i due discorsi davanti al Parlamentino del Pd sembrano andare in direzione opposte. Già nell'accenno al silenzio, anche della politica, sulle scelte della Fiat si capisce che il segretario Pd non ha alcuna intenzione di fare sconti al governo, dopo che in mattinata aveva definito "scaduto il tempo di accarezzare le riforme". D'altra parte, per il segretario Pd solo la riuscita delle riforme, messe da lui in cantiere, è "l'unico modo per dare il senso di una rinascita possibile" nel rapporto tra cittadini e politica.

Riserve che però il leader Pd evita di trasformare in un giudizio sul governo: "Se per Enrico va tutto bene, vada avanti, se ritiene che ci siano modifiche da fare, affronti il problema nelle sedi istituzionali e giochiamo a carte scoperte", è la linea di Renzi che sul rimpasto, rito "da Prima Repubblica" e sul rilancio continua a non volerci metterci bocca. Preferendo, invece, concentrarsi sulle riforme e parlando per la prima volta di alleanze "con moderati e parte della sinistra", che a tanti nella sala suona come una minaccia di elezioni. Il premier, che prende la parola poco dopo e lascerà la direzione prima della fine, continua a ritenere che riforme e impegno del governo sul fronte sociale ed economico possono continuare a convivere. "Abbiamo la grande opportunità - è l'appello di Letta - di portare a soluzione le riforme, che vedono la mia convinzione profonda, e le risposte al paese, le prime a maggioranza più larga e le seconde affidate alla responsabilità di governo che ci compete tutti insieme".

Del tutto inaspettata, invece, è la riflessione che il Cavaliere apre sull'ipotesi di un esecutivo guidato da Matteo Renzi. Un po' perché è il termometro del fatto che lo scenario non è più solo di scuola, un po' perché quando Berlusconi testa i suoi in modo così diretto solitamente vuol dire che un'idea di massima già se l'è fatta e che sta cercando di capire come la prenderebbe il partito. Che, come sempre più spesso accade di questi tempi, pare essere piuttosto diviso anche sull'ipotesi Renzi. Se di massima l'idea è che un sostegno diretto sarebbe <<deleterio>>, c'è infatti chi argomenta come la strada di un governo Pd-Forza Italia guidato dal sindaco di Firenze potrebbe avere un suo perché (i più possibilisti sono Brunetta e Tajani). L'ex premier ascolta tutti, un po' affaticato dalla caduta dei giorni scorsi che gli ha procurato qualche livido. Ma nel merito non si esprime.

Certo, l'impressione della maggior parte dei presenti è che non abbia poi molta voglia di impelagarsi in un governo Renzi che gli porterebbe solo problemi. Senza considerare - è la riflessione fatta ieri in privato - che il Cavaliere non è per nulla convinto che il segretario del Pd voglia fare il novello Massimo D'Alema e arrivare a Palazzo Chigi senza un mandato popolare. Comunque, anche fosse così, l'idea è quella di avere un atteggiamento non ostile. <<Valuteremo volta per volta - è il senso dei suoi ragionamenti - avendo come bussola il via libera alla riforma della legge elettorale e del Senato>>. Su questi due punti, infatti, Berlusconi non vuole perdere colpi, convinto anche che un successo sia fondamentale anche ad arginare il grillismo. D'altra parte, l'obiettivo che si pone il leader di Forza Italia è quello di portare a casa un buon risultato alle Europee di fine maggio nelle quali potrebbero restare sotto lo sbarramento del 4% praticamente tutti i partiti all'infuori di Pd, Fi e M5S (compreso il Ncd dato per il momento al 3,5%). Sarebbe un segnale forte ai cosiddetti <<piccoli>> in vista delle prossime Politiche, soprattutto se si dovessero tenere con la legge elettorale uscita fuori dall'accordo tra Berlusconi e Renzi. Nel frattempo, però, a Palazzo Grazioli si continua a discutere dell'organigramma interno con un lungo faccia a faccia tra Verdini e Berlusconi. Sul tavolo c'è il via libera all'Ufficio di presidenza di Forza Italia composto da circa 35-40 membri tra capigruppo, presidenti di commissioni parlamentari ed ex ministri. Se ne discute a lungo e alle dieci di sera la riunione è ancora in corso senza che si arrivata nessuna ufficializzazione. Una tornata di nomine, però, c'è. Con la fedelissima Mariarosaria Rossi
che diventa il nuovo capo dello staff della Presidenza, mentre Altero Matteoli guiderà una commissione ad hoc sulle alleanze elettorali. Nel
faranno parte Fitto, il giovane sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, Osvaldo Napoli e Saverio Romano.

A me conviene votare, ma all'Italia no": scrive Mateo Renzi su twitter. "Siamo a un passo da una riforma storica - scrive il segretario del Pd - Senato, province, legge elettorale, titolo V".
"Non rischiamo né voto, né saluto allora". Così il segretario del Pd Matteo Renzi, su titter, risponde al giornalista Giovanni Valentini che, sempre su twitter, aveva scritto: "Voglio dirlo subito: se Matteo Renzi fa un governo con Berlusconi, gli tolgo il voto e anche il... saluto!".

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