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In questi giorni stiamo assistendo a un dibattito surreale in merito alla tragedia dei migranti a Cutro, ma poi ancora per la “scazzottata” tra gruppi di studenti davanti al liceo “Michelangiolo” di Firenze. Addirittura per quest'ultimo episodio il Pd e le altre forze di sinistra ha convocato una manifestazione di protesta antifascista, contro le destre al governo e in particolare contro il ministro Valditara, reo di aver offeso la preside di un liceo fiorentino, che ha scritto una lettera contro il nascente pericolo fascista e prendendosela contro chi “Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri”, cioè contro il Governo Meloni. A proposito dello squadrismo nelle aule, è intervenuto con un editoriale il direttore Punzi quel quotidiano online, Atlanticoquotidiano.it,Chi vive e ha vissuto le aule scolastiche e universitarie sa perfettamente come vanno le cose – con alti e bassi praticamente dagli anni ’60. Gli studenti (e a quanto pare anche presidi e rettori) di sinistra ritengono scuola e università territorio loro. Ne occupano aule e spazi a tempo indefinito con il silenzio-assenso. Guai se altri studenti, che la pensano diversamente, osano fare iniziativa politica, organizzare convegni o anche solo volantinare. La vivono come un’invasione e reagiscono di conseguenza. Subito arrivano gli squadristi a strapparti il volantino, ribaltarti il banchetto, insultarti e minacciarti, quando va bene. Ciò che è accaduto al liceo Michelangiolo di Firenze, la vera notizia, è semmai che questa volta lo squadrismo rosso ha trovato pane per i suoi denti, uscendo perdente dalla rissa: per una volta le hanno prese, l’intimidazione non è andata a segno. Fine della storia. Da qui il grande scandalo politico”. (Federico Punzi, Lo squadrismo in Italia c’è, ma è quello rosso nelle piazze e nelle aule, 7.3.23, atlanticoquotidiano.it)

Mentre invece ci sono voluti  mesi perché trovasse spazio in qualche trafiletto sui giornali o talk tv il vero pestaggio, a Bologna, ai danni di studenti di destra, che ha portato al rinvio a giudizio di otto studenti di sinistra.

In pratica la sinistra ha trasformato una zuffa tra adolescenti in una spedizione squadrista.“Una mistificazione pura e semplice su cui hanno fabbricato un caso politico – come solo loro, con l’aiuto delle note corazzate mediatiche, sanno fare – convocato il loro “popolo”, al seguito dei soliti slogan da guerra civile (no pasaran), e sancito una linea di opposizione al governo”.

Pertanto, la manifestazione di Firenze del trio della nuova sinistra radicalpopulista, Landini, Conte, Schlein, contro il fantasma del fascismo, che hanno creato loro stessi. è stata una sceneggiata indegna. Un fascismo immaginario evocato a cominciare dalla feroce campagna elettorale della scorsa estate. Dove si intravedeva un prossimo stravolgimento della Costituzione da parte delle “destre”, il pericolo di una nuova Marcia su Roma, la necessità di un nuovo Cln per evitare il pericolo antidemocratico e autoritario alle porte, sono stati solo alcuni dei tanti allarmi infondati e tuttavia urlati nelle piazze italiane, nonché rilanciati da stampa e televisioni internazionali. Ecco che i nuovi apprendisti stregoni dopo la tragedia di Cutro (io l’avevo detto a qualche amico, la sinistra aspetta che un clandestino si suicida in acqua, per poi dare la colpa alla truce Meloni) hanno riacceso i fuochi e l’inebriante violenza scaturita nelle ultime settimane.

Tuttavia la manifestazione di Firenze si collega a quella degli anarco-comunisti di Torino. Il collegamento è stato fatto da Luca Volontè su Lanuovabq.it. E’ significativo che anche a Firenze c’erano gruppi certamente legati agli anarchici di Torino, e ai centri sociali. Gruppi che imbracciavano bandiere anarchiche e quelle titine, orgogliosamente mostrate dai comunisti jugoslavi quando infoibavano gli italiani non comunisti. E che dire degli slogan pieni di violenza: “ "Il maresciallo Tito ce l’ha insegnato, uccidere un fascista non è reato".

Sulla manifestazione di Torino ha ragione Punzi a criticare l’operato della polizia, “Ve li ricordate i poliziotti in borghese che inseguivano uno ad uno coloro che osavano sfidare il divieto di manifestare contro il Green Pass, disposto con semplice circolare del Viminale? Ma non c’era alcun pericolo fascista, allora… E ve li ricordate i “veri liberali”, anche di centrodestra, venirci a spiegare che quei sabati pomeriggio erano la rovina dei commercianti di Milano?”. Punzi ci invita a confrontare le immagini di allora con quelle viste sabato scorso a Torino, “dove la polizia è praticamente rimasta a guardare mentre gli anarchici mettevano a ferro e fuoco mezza città, distruggendo auto e vetrine”.

Certo, ci sono le riprese e le indagini, come usa dire, faranno il loro corso. “Ma intanto i danni non sono stati impediti, si è lasciato fare, il “corteo” è stato addirittura autorizzato dalla Questura. Se per qualcosa il ministro dell’interno Piantedosi dovrebbe dimettersi, è per Torino, non per le parole – severe ma tristemente vere, se siamo onesti – sul naufragio di Cutro.

Ebbene, scrive Volontè, in merito alla lotta armata anti-Stato degli anarco-comunisti, “pochissimi quotidiani hanno dedicato un rimprovero e nessun politico di sinistra, tantomeno uno del “trio rosso” presente in piazza, ha rivolto un cenno di rimprovero. C’è una violenza giustificabile, quella che da sempre è ritenuta tale dall’informazione (anche all’interno della Rai), cultura e politica di sinistra, dagli anni ‘70 e ‘80: è giustificabile la violenza dei compagni che sbagliano per eccesso, non per i gesti di violenza in sé. Tutto già visto, insomma. Moltissimi ricordiamo quel clima. E molti editoriali di allora assomigliano a ciò che in questi mesi stanno scrivendo editorialisti di giornali come La Stampa e Repubblica ; e sull’asserita lotta antifascista “attuale” speculano anche in tanti nella televisione di Stato, ovviamente pagati dai contribuenti”. (Luca Volontè, Sinistra incendiaria. Se le violenze sono solo quelle “di destra”, 6.3.23, lanuovabq.it).

Non abbiamo notato dichiarazioni di rilievo di nessun uomo o donna di sinistra (tranne il sindaco di Torino costretto a farfugliare qualcosa per ovvi motivi) contro lo scempio e le violenze compiute dagli anarchici a Torino. Ancora, avete ascoltato per caso “la stessa foga da editorialisti e politici di sinistra nel denunciare il violento striscione e i cartelli contro il merito scolastico e le immagini a testa capovolta del primo ministro Giorgia Meloni e del ministro Valditara affissi al liceo classico Carducci di Milano, nei pressi di Piazzale Loreto?”. Naturalmente il fuoco acceso, con le violenze verbali dell’estate scorsa, sta attecchendo. La “triade rossa” e i loro sodali stanno pericolosamente gettando benzina sul fuoco della violenza e lo fanno consapevolmente, nascondendo l’incapacità di proposte con caos e urla. Tutto già visto, e per questo ancora più grave.

Una pagina della nostra storia che ha modificato radicalmente il panorama partitico e politico della fine del secolo scorso. In un momento che vedeva la fine dell’impero sovietico e il crollo del comunismo, almeno di quello europeo e con esso la fine, nominale, dei partiti comunisti, “Mani pulite” smantella i partiti che, almeno in parte, si erano opposti al comunismo. Su Il Foglio del 18 febbraio il direttore Claudio Cerasa, commentando una lettera, traccia un sintetico bilancio parlando del pool di magistrati che dettero il via a quella pagina storica e si chiede: “Chi c’era nel pool? C’era Antonio Di Pietro poi candidato col centrosinistra. C’era Gerardo D’Ambrosio, divenuto poi senatore del Pd. C’era Gherardo Colombo, indicato nel 2012 dal Pd nel cda della Rai e oggi a capo della commissione per la legalità del Comune di Milano (centrosinistra). C’era Francesco Saverio Borrelli, che nel 2017 sostenne la candidatura di Walter Veltroni alla guida del Pd. C’era Francesco Greco, che ieri un sindaco del Pd, Roberto Gualtieri, ha scelto come consulente della legalità del comune di Roma.” Queste “coincidenze” chiariscono una pagina di storia poco chiara? Lo chiediamo a Roberto Pertici,  docente di Storia contemporanea all’Università di Bergamo.

“Effettivamente ci sono aspetti ancora poco chiari in tutta questa storia, nei suoi meccanismi e nelle sue connessioni internazionali. Nessun paese occidentale ha vissuto una crisi di sistema di queste dimensioni, paragonabile solamente a quanto accaduto nei paesi comunisti dopo la caduta del Muro di Berlino.

Cosa è stato veramente “Mani pulite”?

“Un pool di magistrati che ha spazzato via il Partito Socialista, la Democrazia Cristiana, il Partito Repubblicano, quello Socialdemocratico e quello Liberale : cioè le forze che avevano innervato la vita politica della Prima Repubblica. Una serie di partiti storici, che corrispondevano alle grandi correnti ideali della storia italiana dell’ultimo secolo”.

Forse perché il sistema di finanziamento ai partiti vedeva la corruzione in primo piano.  Ma esistevano partiti veramente puliti?

“Per partiti di quel tipo i costi della politica erano molto alti: non solo nel momento delle frequenti campagne elettorali, ma nella loro vita quotidiana (stampa, strutture edilizie, iniziative pubbliche, funzionari di partito). Al tempo stesso, essi svolgevano un ruolo di raccordo fra cittadini e Stato che fu per alcuni decenni di grande importanza, tanto che nel 1974 fu votata una legge che prevedeva un finanziamento pubblico a loro favore (la cosiddetta legge Piccoli). Ma essa evidentemente non bastò, perché da parte dei partiti continuò il ricorso a finanziamenti illeciti, in buona parte ricavati da tangenti sulle commesse pubbliche.  Questa prassi era comune a tutti i partiti, anche se in misura diversa, in relazione al loro peso specifico nei meccanismi del potere. Ne era parzialmente fuori il Partito Comunista per il semplice fatto che aveva ricevuto da sempre finanziamenti cospicui da parte dell’Unione Sovietica. Il libro di Valerio Riva L’oro di Mosca pubblicato nel 1999, fornisce delle cifre piuttosto impressionanti: nel 1978 e nel 1979 si parla ancora di 4 milioni di dollari e il flusso continuò fino agli ultimi anni attraverso diversi canali. Una volta finito il comunismo, il capitalismo italiano, che aveva sempre dovuto pagare queste tangenti, insieme ad alcuni ambienti internazionali, ritenne che era l’ora di farla finita con questo sistema. Altre volte si erano aperte grandi inchieste sulla corruzione, ma sempre erano state insabbiate. Nei mesi di “Mani Pulite” si creò un legame rocambolesco tra una parte della magistratura e alcuni grandi giornali, che facevano riferimento ad alcuni settori dello Stato e a poteri economici e finanziari, per azzerare la classe politica”.

Qual era il loro progetto?

“Su questo la discussione storiografica è ancora molto aperta. Questi ambienti economici e finanziari hanno sempre avuto bisogno di un “partito regime”: il grande centro “liberale” dopo l’unità d’Italia, il fascismo per vent’anni, la Democrazia Cristiana per cinquanta. Un partito affidabile, che gestisca lo Stato e li lasci liberi di fare i loro affari senza preoccuparsi più di tanto della dialettica politica: insomma garantisca stabilità. Io credo che questa nuova forza l’avessero identificata nel partito successore del Partito Comunista, il Pds poi Ds: gli ex comunisti, che intanto si stavano convertendo con grande e disinvolta rapidità all’economia di mercato, che cercavano di dare prova di affidabilità alle istituzioni europee e agli ambienti atlantici, furono ritenuti interlocutori degni di considerazione, per il loro (si diceva) senso dello Stato e per la loro fama di buoni e onesti amministratori. Dopo la bufera giudiziaria, poi, non avevano più rivali”.

Ma qualcosa è andato storto.

Ci fu chi, come Giuliano Urbani, cominciò a chiedersi a chi si sarebbe rivolta quella parte del paese (probabilmente maggioritaria) rimasta sostanzialmente senza rappresentanza politica. Sembra che costoro si siano rivolti prima a Mario Segni, allora sulla cresta dell’onda, per proporgli di capitanare un’aggregazione di forze, fra cui inevitabilmente ci sarebbero dovute essere anche Alleanza Nazionale e la Lega di Bossi. Segni non riuscì a superare la pregiudiziale antifascista e il suo quarto d’ora inesorabilmente passò. Gianni Agnelli, a cui pure alcuni si erano rivolti, non aveva certo voglia di confondersi con la politica, ma fece il nome di Berlusconi: “Lui forse è uomo capace di farle, le cose che chiedete”. La storia successiva è fin troppo nota: Berlusconi “scese in campo” e, inaspettatamente, vinse le elezioni del ‘94.

Ma il Centro destra non diventò mai il “partito regime” e Berlusconi non divenne mai un uomo dei “poteri forti”.

“Certo. Il famoso avviso di garanzia anticipato dal Corriere della Sera fece cadere dopo pochi mesi il primo governo Berlusconi. Qualche anno dopo, in un pubblico dibattito alla Versiliana a Marina di Pietrasanta, chiesi a Paolo Mieli, l’allora direttore del Corriere, se lo avrebbe rifatto. “Forse non lo rifarei più, ma a quel tempo per noi fu una scoop troppo grosso”.

Dopo trent’anni si può dire che il Pci/Pds/Ds/Pd, che non era riuscito nell’intento di bloccare la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994, si appresti ora a diventare il nuovo partito regime?

“Difficile dare una risposta precisa.  Se, nonostante l’evidente appoggio degli ambienti che contano e la poca consistenza dei suoi avversari, Il PD non è riuscito finora è diventarlo del tutto, è stato per  i suoi limiti, per le divisioni che lo percorrono, per la debolezza dei suoi leader.

 

Patrimoniale sì o patrimoniale no? Questo pare essere il problema oggi all’ordine del giorno. Il Governo dice naturalmente che non la metterà, e ha ragione: c’è già infatti, non occorre metterla, se del caso si tenta solo di aumentarla.

Il gettito dei tributi gravanti sul comparto immobiliare (dettagliatamente descritto, e documentato, sul giornale Confedilizia notizie in diffusione) ascende oggi a 51 miliardi di euro l’anno. Una somma che si è raddoppiata di punto in bianco e al cui aumento ha dato un colpo importante (mortale per molte imprese) il Governo Monti, 10 anni fa. I 51 miliardi sono così divisi: 9 di tributi reddituali (Irpef, addizionale regionale Irpef, addizionale comunale Irpef, Ires, cedolare secca); 22 di tributi patrimoniali (Imu); 9 di tributi indiretti sui trasferimenti (Iva, imposta di registro, imposta di bollo, imposte ipotecarie e catastali, imposta sulle successioni e donazioni); 1 di tributi indiretti sulle locazioni (imposta di registro, imposta di bollo); 10 di altri tributi (Tari, tributo provinciale per l’ambiente, contributi ai Consorzi di bonifica).

Come detto, un colpo decisivo a questa patrimoniale l’ha data Monti, e fra Draghi e Monti c’è solo, di differente, il cognome. Entrambi sono stati i rappresentanti di banche d’affari statunitensi, il cui unico scopo è sempre stato (ed è tutt’ora) quello di diminuire il “vizio” italiano di investire nel mattone (così, hanno trasformato la casa da aspirazione, tipica nostra, in incubo) e quello di costringere i risparmiatori del nostro Paese ad investire nei titoli finanziari. Il risultato è stato in gran parte ottenuto, le proporzioni tra i due investimenti sono state praticamente invertite, ma banche d’affari e istituti finanziari e monetari newyorchesi (considerati erroneamente terzi, ma invece partecipati – e diretti – dalle banche d’affari), non ne hanno ancora a sufficienza e – con l’appoggio dei giornaloni, sempre per la stessa ragione e sempre dagli stessi motivi condizionati – anche ora che Draghi ha fatto il suo compitino (come lo aveva fatto Monti) hanno sempre nel mirino l’Italia e gli italiani. Il gioco è, anch’esso, ben conosciuto e già ripetutamente propalato: scovare gli immobili “nascosti”, procedere ad un “corretto classamento”, scoprire i terreni edificabili (ma chi mai edifica, oggi?) risultanti al Catasto agricoli. Tutte storie che fanno solo sorridere, i competenti. Se questi fossero i veri motivi della sceneggiata catastale in corso di questi tempi, ci sono molteplici strumenti nella nostra legislazione già ben presenti, per rivedere il classamento così come i quadri di classificazione e così via. Quanto poi ai terreni edificabili (per i quali si paga un’Imu straordinaria, perfino se sono teoricamente edificabili solo ad iniziativa pubblica) i Comuni sono pieni di proprietari di fondi rustici in fila a chiedere, senza essere accontentati, di eliminare “l’edificabilità” dei loro terreni. La propaganda governativa è talmente distante dal vero (altro che l’ottocentesca distinzione, e divisione, Stato/Paese…) che fa perfino compassione!

Come per i valori catastali. Già, un Catasto patrimoniale è in sé, a fini tributari senza senso e di per sé, sempre surrettiziamente espropriativo (nei Paesi civili, come la Germania, se il Fisco colpisce un bene oltre il reddito che esso produce – l’inizio dell’esproprio – la cosa è di per sé considerata una iniquità e una illegittimità). Erano patrimoniali, infatti, i catasti preunitari. Con lo Stato unitario, la classe politica liberale introdusse un Catasto reddituale (e in quello rustico, più annualmente si produceva, più si guadagnava e meno si pagava, perché voleva dire che si erano messi a coltivazione terreni già incolti). Questa era onestà e cura di perseguire i progressi e il bene della comunità. Oggi, pur di far cassa, siamo tornati indietro di quasi 200 anni: Draghi conferma e potenzia il sistema patrimoniale, dicendo comunque – bontà sua – che i nuovi estimi partiranno solo fra 5 anni. Certo, prima di allora il nuovo Catasto non sarà pronto…

E’ la prova stessa che il Catasto che si prepara, più per i nostri figli che per noi, è un Catasto che aumenterà le imposte. Se no, parliamoci chiaro, perché dovrebbero rifarlo? E perché patrimoniale? Perché se fosse reddituale, oltre che giusto sarebbe anche tale da non comportare l’assunzione clientelare – come certo si farà – di nuovi dipendenti dell’Agenzia delle entrate (perché è essa paradossalmente, che eliminerà le iniquità …) per fare il nuovo Catasto. Infatti, basterebbe che i proprietari di immobili fossero tenuti a dichiarare il loro reddito – come era nello storico periodo liberale –, sotto comminatoria di sanzioni penali. Il valore di un bene, invero, è sempre opinabile (come invece non è il reddito incassato) e si può quindi farlo stabilire, alla bella e meglio, da un algoritmo, magari anche non rendendo nota (come si prevederà di fare) la formula di questo strumento risalente alla Bagdad dal 500 d.C. … Ma tant’è, questo dell’algoritmo è diventato un mantra dal quale il Fisco non vuole demordere. Per la ragione detta.

C’è però una carta vincente (contro la nuova patrimoniale aggiuntiva che si vuole varare), che i tassatori infatti non accetteranno mai. Se davvero – come sostengono i giornaloni – l’attuale valore catastale è di gran lunga inferiore al valore di mercato, il Fisco ha un modo semplicissimo per dimostrare di aver ragione: si impegni ad acquistare gli immobili al valore che sarà stabilito nel nuovo Catasto! Non lo farà mai.

Ad ogni tornata elettorale che siano amministrative o politiche, spunta puntuale la domanda: come mai i cattolici non incidono, non si fanno sentire? Perché non fondano un partito? Il tema è stato affrontato in modo articolato sulla rivista bimestrale, Cristianità, dallo storico del movimento cattolico, Marco Invernizzi, che da trent’anni conduce una trasmissione, “La Voce del Magistero”, a Radio Maria.

La questione di un partito cattolico nasce, con l’intento di far “uscire da una pluriennare situazione di subalternità culturale e politica dei cattolici stessi”. (Marco Invernizzi, “Cattolici e urne. Il problema politico dei cattolici italiani”, luglio-agosto 2021, n. 410, Cristianità) Ma prima di dare una risposta a questa domanda, bisogna rispondere a un’altra: i cattolici hanno il diritto di costruire una società ispirata al Vangelo? La risposta è affermativa: i cattolici hanno il diritto-dovere di costruire una ‘società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio’. Anche se questo comporta talvolta compromettersi con il potere temporale.

Invernizzi per consolidare la sua risposta ripercorre sinteticamente la storia dei cristiani partendo da lontano, dall’Editto di Milano nel 313, voluto dall’imperatore Costantino, che ha dato la libertà religiosa ai cristiani, facendo cessare le persecuzioni. Per poi giungere alla nascita della società cristiana, (la cristianità romano-germanica) attraverso l’evangelizzazione dei popoli europei. 

È un lungo processo di inculturazione della fede, osteggiato da quegli intellettuali che sostengono che era meglio testimoniare il Vangelo, senza compromettere la purezza iniziale del cristianesimo. Un’idea che si è presentata dopo il Concilio Vaticano II.

Ma san Paolo VI si è pronunciato sull’argomento, denunciando certi improvvisati maestri, che considerano inautentico, superato, invalido, tutto il passato storico della Chiesa, in particolare quello Post-tridentino. “È indubbio – scrive Invernizzi – che la storia della cristianità offra tanti episodi di corruzione e di contro-testimonianza che possono non solo non edificare ma addirittura diventare occasione di scandalo e quindi di possibile allontanamento dalla fede”. A fronte di certi dubbi, però, occorre ammettere che la penetrazione del cristianesimo nella cultura ha favorito la conversione religiosa della gran parte degli abitanti dell’Europa e questo ha permesso il lento e progressivo superamento della schiavitù, della poligamia e della violenza nelle relazioni sociali. Inoltre, con il cristianesimo sono migliorate le condizioni dei poveri, la dignità della donna nella vita pubblica e familiare, il riconoscimento dell’uguaglianza in dignità di tutti gli uomini.

Tuttavia, la contestazione della cosiddetta “Chiesa costantiniana”, cioè la scelta dei cattolici di entrare nella vita politica dell’Impero e di cercare di costruire una civiltà cristiana, una “cristianità”, si è particolarmente manifestata nella metà del secolo XX, con la condanna della cosiddetta “ideologia della cristianità”, da parte di intellettuali e di teologi cattolici.

Invernizzi fa riferimento all’evento epocale del 1789, la Rivoluzione francese, che inaugurava un mondo “nuovo”, dove i cattolici diventano una parte della società e devono adeguarsi a questa nuova situazione. Non più una maggioranza come nell’epoca costantiniana. Seguono le varie tappe che hanno visto le difficili scelte dei cattolici nella politica, soprattutto in un’epoca caratterizzata dal rifiuto della religione, in particolare quella cattolica. Il Papa emerito Benedetto XVI, nell’intervista al giornalista tedesco Peter Seewald così legge gli eventi: “La scristianizzazione dell’Europa progredisce, l’elemento cristiano scompare sempre più dal tessuto della società. Di conseguenza la Chiesa deve trovare una nuova forma di presenza, deve cambiare il suo modo di presentarsi […]”.

Ora vediamo come i cattolici hanno risposto, dopo le rivoluzioni liberali e la nascita degli Stati nazionali ostili alla Chiesa in Europa, ai capovolgimenti epocali del secolo XIX. Una prima risposta è stata il “Non expedit”, i cattolici, per protesta, rifiutano di partecipare alle competizioni elettorali. “Ne eletti né elettori”, diceva il giornalista cattolico don Giacomo Margotti. Successivamente con L’Unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI) e il Patto Gentiloni (1913), i cattolici partecipano alla competizione elettorale, portando in Parlamento 228 deputati.

Con la Prima Guerra Mondiale, nasce il Partito Popolare, di don Luigi Sturzo. Quindi la Democrazia Cristiana, dopo la II Guerra Mondiale. Segue la vittoria della DC del 18 aprile 1948, grazie ai Comitati Civici di Luigi Gedda, che però vengono quasi subito “silenziati”, dall’egemonia del partito di De Gasperi.

Invernizzi conclude il “viaggio” storico dei cattolici in politica con gli anni dell’alternanza di Berlusconi-Prodi, sottolineando l’operato mirabile del presidente della Conferenza Episcopale Camillo Ruini, che è il vero protagonista della presenza pubblica, culturale e non solo politica, dei cattolici italiani. Invernizzi, sottolinea che la sua strategia ha trovato maggiore udienza nelle fila del centro-destra, molto più sensibile ad accogliere nel proprio programma politico quei principi, definiti da Papa Benedetto XVI, “principi non negoziabili”. Quantomeno a non favorire derive laicistiche in tema di vita innocente, famiglia e libertà di educazione.

Il risultato che fino a quando ha governato il Centrodestra non abbiamo avuto leggi come quella sulla cosiddetta “omofobia”, sulla legalizzazione dell’eutanasia, sull’allargamento del “diritto” d’aborto. Altro dato importante è che negli anni del cosiddetto “berlusconismo”, sono stati eletti nel centro-destra “alcuni parlamentari esplicitamente cattolici che si batteranno con successo per bloccare o rallentare leggi particolarmente ostili ai ‘principi non negoziabili’”.

Tuttavia, nonostante questa politica di contenimento, lo straordinario magistero di San Giovanni Paolo II, di papa Benedetto XVI, l’intelligente tentativo di mons. Ruini, il processo di secolarizzazione non si è fermato. Per Invernizzi paradossalmente le cose per i cattolici, sono andate meglio negli anni successivi al 1993, quando con Tangentopoli, sparisce, la DC. Infatti, prima con il partito di ispirazione cristiana al governo, sono stati approvati con i referendum il divorzio e l’aborto. Intanto questa approvazione ha certificato che i cattolici italiani sono diventati una minoranza, oggi ancora di più, per lo studioso torinese Franco Garelli, dovremmo essere il 20 per cento della popolazione.

Pertanto, per un eventuale partito, un contenitore politico, che possa far valere il rispetto della vita, famiglia e libertà di educazione a livello politico, potrebbe raccogliere un 10 per cento della popolazione – la metà dei cattolici praticanti – e di pochi altri disponibili a difendere questi principi.

Pertanto, per Invernizzi, “una minoranza deve anzitutto preoccuparsi di sopravvivere, custodendo la memoria della propria identità, e quindi ‘uscire’ dal proprio perimetro, ‘contagiare’ gli altri, cioè essenzialmente svolgere due azioni: coltivare la propria identità e portarla in partibus infidelium […]”. Mentre sul piano politico i cattolici devono contribuire alla realizzazione del bene comune, difendendo e diffondendo i “principi non negoziabili”.

Le comunità cristiane dei primi secoli IV e V, riuscirono prima a sopravvivere, poi a “contagiare” i pagani.

In conclusione, oggi è difficile trovare il giusto atteggiamento, “sia sul piano dell’apostolato culturale, sia sul versante politico: siamo infatti di fronte a un ‘mondo in frantumi’ e composto da persone ferite, alle quali serve anzitutto qualcuno che sappia piegarsi su di esse per aiutarle a riconoscere dove stanno la verità e la salvezza. Occorre cominciare dalle persone così come sono, non come vorremmo che fossero, individuando in ciascuna un punto di partenza, un ‘coagulo’, da cui partire, proponendo loro la verità che salva in un linguaggio comprensibile e attraverso la propria testimonianza di vita”.

Enrico Michetti e Roberto Gualtieri. nelle elezioni Roma 2021 secondo i primi exit poll. Per il primo exit poll Opinio Rai, Michetti - candidato di centrodestra - è al 27-31%. Gualtieri, candidato di centrosinistra, è al 26,5-30,5%. Il leader di Azione Carlo Calenda è al 16,5-20,5% come la sindaca uscente Virginia Raggi al 16,5%-20,5%.

Matteo Salvini su Facebook questa mattina ha rivolto un appello agli elettori del Carroccio affinchè vadano a votare. "C'è tempo solo fino alle 15 - ricorda - è un'occasione per riprendere in mano il futuro. La Lega è pronta con il suo buongoverno e la concretezza - conclude - andate a votare e portate un indeciso, tutto dipende dal vostro aiuto".
Sempre nel centrodestra, ieri Silvio Berlusconi recandosi ai seggi a Milano ha rotto il silenzio elettorale (la sua prima uscita pubblica dopo otto mesi) per assicurare che la coalizione "è sicuramente unita e c'è anche affetto tra i leader". Infondate le divisioni interne, ha detto, "illazioni di parte della stampa". Ma chi sarà leader tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini?: "Saranno i voti a dirlo", risponde. E sulla scelta dei candidati "si dovrà cambiare sistema".

Chiusi alle 15 i seggi per le consultazioni elettorali svolte tra ieri e oggi: si è votato per il rinnovo di 1.192 amministrazioni comunali, per le suppletive della Camera (XII circoscrizione Toscana, collegio uninominale 12 - Siena e nella circoscrizione XV Lazio 1, collegio uninominale 11 - Roma - Quartiere Primavalle) e per le regionali in Calabria; 12.147.040 gli elettori chiamati alle urne, distribuiti in 14.505 sezioni. Ora l'accertamento del numero dei votanti definitivi per ciascuna consultazione, procedendo nell'ordine, nei comuni interessati, prima allo scrutinio per le suppletive della Camera e successivamente, senza interruzione, allo scrutinio per le amministrative.
In base al primo Instant Quorum/youTrend per SkyTg24, alle comunali a Milano il candidato Giuseppe Sala (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 51-55%. seguito da Luca Bernardo (centrodestra) con il 32-36%. Gianluigi Paragone (civiche) è al 3-7% e Layla Pavone (cinquestelle) è al 2-6%.

In base al primo Exit poll del consorzio Opinio Italia per la Rai, alle comunali a Milano il candidato Giuseppe Sala (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 54-58%. seguito da Luca Bernardo (centrodestra.) con il 32-36%. Seguono Layla Pavone e Gianluigi Paragone, entrambi con una forchetta del 2-4%.

In base al primo Intention Tecné per Mediaset, alle comunali a Milano il candidato Giuseppe Sala (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 53-57 seguito da Luca Bernardo con 33-37 e Layla Pavone (M5s) 2-6.

BOLOGNA - In base al primo Exit poll del consorzio Opinio Italia per la Rai, alle comunali a Bologna il candidato Matteo Lepore (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 61-65%. seguito da Fabio Battistini (centrodestra) con il 26,5-30,5%.

In base al primo Intention Tecné per Mediaset, alle comunali a Bologna il candidato Matteo Lepore (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 61-65 seguito da Fabio Battistini (centrodestra) con 29-33.

NAPOLI - In base al primo Intention Tecné per Mediaset, alle comunali a Napoli il candidato Gaetano Manfredi (centrodestra e M5s) raggiunge una forchetta del 57-62 con Catello Maresca 19-23 e Antonio Bassolino 9-13.

In base al primo Exit poll del consorzio Opinio Italia per la Rai, alle comunali a Napoli il candidato Gaetano Manfredi (centrosinistra e M5s) raggiunge una forchetta del 57-61%. seguito da Catello Maresca (centrodestra.) con il 19-23%. Seguono Antonio Bassolino (9-13%) e Alessandra Clemente (5,5-7,5%).

TORINO -  In base al primo Instant Quorum/youTrend per SkyTg24, alle comunali a Torino il candidato Stefano Lo Russo (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 43-47%. seguito da Paolo Damilano (centrodestra) con il 38-42%. Valentina Stanga (Cinquestelle) è al 6-10%.

In base al primo Exit poll del consorzio Opinio Italia per la Rai, alle comunali a Torino il candidato Stefano Lo Russo (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 44-48%. seguito da Paolo Damilano (centrodestra) con il 36,5-40,5%. Seguono Valentina Sganga (7-9%) e Angelo D'Orsi (1,5-3,5%).

In base al primo Intention Tecné per Mediaset, alle comunali a Torino il candidato Stefano Lo Russo (centrosinistra) raggiunge una forchetta del 43-47 seguito da Paolo Damilano (centrodestra) con 37-41 e Valentina Sganga (M5s) 6-10.

CALABRIA -  In base al primo Exit poll del consorzio Opinio Italia per la Rai, alle regionali in Calabria il candidato Roberto Occhiuto (centrodestra) raggiunge una forchetta del 46,5-50.5%, seguito da Amalia Cecilia Bruni (centrosinistra) con il 24-28%; al terzo posto Luigi de Magistris con 21-25%.

TRIESTE - In base al primo Exit poll del consorzio Opinio Italia per la Rai, alle comunali a Trieste il candidato Roberto Dipiazza (centrodestra) raggiunge una forchetta del 46-50%. seguito da Francesco Russo (centrosinistro.) con il 29-33%. Seguono Riccardo Laterza (9-13%) e Alessandra Richetti (2-4%).

In base al primo Intention Tecné per Mediaset, alle regionali in Calabria il candidato Roberto Occhiuto (centrodestra) raggiunge una forchetta del 45-49 seguito da Amalia Bruni (M5s) con 24-28 e De Magistris 22-26.

A 621 comuni campionati, su un totale di 1.153, il Viminale rende noto che la percentuale dell'affluenza alle ore 12 è pari al 59,79%. Nelle precedenti consultazioni, nel 2016, il dato era stato del 65,98% ma in quell'occasione si era andati al voto in un solo giorno.  E' in calo l'affluenza alle elezioni comunali di Milano al punto che meno di un elettore su due è andato alle urne, un dato mai verificato in città: alla chiusura dei seggi ha votato infatti il 47,6% contro il 54,6% del 2016, quando si votò in un solo giorno. Nel 2011, l'affluenza era stata molto più alta, il 67,5%.

 

Fonte ansa / varie agenzie 

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