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San Josemaría Escrivá de Balaguer

«Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro»,è il titolo del primoMessaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Socialiche, il 4 marzo, Papa Francescoha pubblicato in occasione della XLVIIIedizione di questa iniziativa, istituitanel 1967 da Paolo VI per valorizzarel’impegno della Chiesa nei mass media. Fin dal 1964, fra gli altri, è stato il fondatore dell’Opus Deimons. Josemaría Escriváde Balaguer(1902-1975),a promuoveresempre maggiori attività in tale strategicocampo formando e sensibilizzando al proposito i membri dell’Opera e scegliendo quale intercessore per l’apostolato dell’opinione pubblica una santa della quale era molto devoto come Caterina da Siena (1347-1380).

In considerazione della pubblicazione sulla rivista ufficiale dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivádi un saggio che ricostruisce le circostanze cheindussero il sacerdote spagnolo,canonizzato nel 2002da Giovanni Paolo II, a sceglierela figlia di Giacomo di Benincasa come modello e patrono dell’apostolato della comunicazione (cfr. Johannes Grohe, Santa Caterina da Siena,san Josemaría Escrivá e l’“apostolato dell’opinione pubblica”, in Studia et Documenta, n. 8-2014, pp. 126-145), sembra utile presentarne i principali passaggi, anche per rispondere all’invito di Papa Bergoglio che, nel citato Messaggio per le Comunicazioni Sociali, ha invitato gli operatori dei media «a farci sentire più prossimi gliuni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa» (Francesco, Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, Città del Vaticano,24 gennaio 2014).

Santa Caterina, elevata all’onore degli altari daPio II nel1461e designata patrona d’Italia da Pio XII (è anche dottore della Chiesa e co-patrona d’Europa), rappresentò per san Josemaría un modello di apostolaanzitutto perché, con l’infaticabilededizione alla carità ed il suo carisma nella trasmissione della Fede, indussemoltissime persone, rappresentanti di tutti i ceti della società del tempo, a convertirsi nel più profondo dell’anima. E’ nota la sua consuetudine di scriverelettere –in effetti dettate -, dirette non solo a laici e religiosi delle terre a lei vicine ma anche a vescovi,abati, cardinali e papi dell’epoca il cui stile, annota il prof. Grohe, appare del tutto sorprendente perché,«pur esprimendosi congrande forza e tenacia, Caterina riesce nel contempo a condurre il destinatario dellalettera, usando parole dolci e convincenti, a ciò che ella − che “scrive nelsangue di Cristo” e termina molte delle sue lettere con l’esclamazione “Gesùdolce, Gesù amore” − ritiene essere la volontà del Signore» (art. cit., p. 127).

Don Johannes Grohe

In particolare dal suo carteggiocon i pontefici emerge come la santa riesca ad unire all’amore filiale ed obbediente per il successore di Pietro − è caratteristica la sua espressione «il dolce Cristo in terra» - l’affermazione ferma e decisa delle istanze che credenecessarie nella Chiesa dell’epoca, dall’esigenza di una vita personale esemplare da parte di tutto il clero, all’urgenza di una riforma dei costumi nella Curia, per finire con la ricerca di rapporti di pace ed armonia nel governo degli Stati Pontifici edi un comune sforzoper liberare i cristiani ed i Luoghi Santi.

Il capolavoro di Caterina è il Dialogo della divina Provvidenza, operadettata ai discepoli sulle visioni della santa negli ultimi anni della sua vita, che mons. Escrivàlesse e meditò più volte. Anche per questo san Josemaría usavachiamare Catalinas(Caterine) i suoi Appuntipersonali, nei quali metteva per iscritto delle considerazioni che meditava poi nell’orazione. In una lettera indirizzata ai membri dell’OpusDeidel 1932, egli così descriveva una regola fondamentale per santificare la comunicazione pubblica: «I santi sono sempre delle persone scomode, uomini o donne – la mia santa Caterina da Siena! −, perché con il loro esempio e laloro parola sono un continuo motivo di disagio per le coscienze che sonoimmerse nel peccato».

San Josemaría ammirava la franchezza con cui Caterina difendeva laverità, per sua indole e perché considerava questa sincerità una virtù fondamentale:«Sono sicuro − scriveva in un’altra lettera diretta nel 1957 ai suoi figli spirituali − che ci saranno alcuniche non mi perdoneranno facilmente il mio parlar chiaro, ma devo farloin coscienza e davanti a Dio, per amore verso la Chiesa, per lealtà verso la Chiesa Santa e per l’affetto che ho per voi. Nutro una particolare devozioneper Santa Caterina − quella ‘grande brontolona’! − che diceva grandi veritàper amore di Gesù Cristo, della Chiesa di Dio e del Romano Pontefice».

In uno scritto del 1964, il fondatore dell’Opus Dei torna a trattare il tema della verità che bisogna affermare senza timore, soprattutto quando c’è in ballo il retto discernimento della coscienza: «le controversie, gli errori, gli eccessi o gli atteggiamenti esaltati sono sempreesistiti in tutte le epoche: e la voce che ha superato queste barriere è semprestata la voce della verità unta dalla carità. La voce dei sapienti, la voce del Magistero; la voce, figli miei, dei santi, che hanno saputo parlare in tutti i modi per chiarire, per esortare, per richiamare ad un autentico rinnovamento».

L’invito di san Josemaría agli “apostoli dell’opinione pubblica”, quindi, è quello ad innamorarsi come lui della fortezza di Santa Caterina che, con i mezzi di comunicazione del tempo, ha sempre detto la verità anche allepiù alte personalità con ardente amore e chiarezza senza preoccuparsi delle ricadute temporali che potevano conseguirne per lei o la sua famiglia spirituale.

Nel corso di una conversazione familiare con alcuni membri dell’Opus Dei avvenuta nel 1964, nel giorno della ricorrenza liturgica di santa Caterina, mons. Escrivà appunto notava: «Desideroche si celebri la festa di questa santa nella vita spirituale di ciascuno di noi enella vita delle nostre case o centri. Ho sempre avuto una grande devozioneper santa Caterina: per il suo amore alla Chiesa e al papa e per il coraggiodimostrato nel parlare con chiarezza quando era necessario, mossa precisamenteda quello stesso amore […]. Prima era considerato eroico tacere, e così fecero i vostri fratelli. Ma adesso è eroico parlare, per evitare che sioffenda Dio Nostro Signore. Parlare, cercando di non ferire, con carità, maanche con chiarezza».

Il 13 maggio 1964 san Josemaría decise di mettere in pratica i concetti che, da ultimo, aveva espresso nel corso di quest’ultima tertuliae, senza troppe formalità, decretò che l’apostolato che i membri dell’Opus Dei svolgono in tutto il mondo al fine d’informare rettamente l’opinione pubblica, sia raccomandato alla speciale intercessione di questa santa, «considerando conquanta chiarezza di parola e con quanta rettitudine di cuore rivelò con coraggio e senza eccezione alcuna per nessuno le vie dellaverità agli uomini del suo tempo».

Particolare dell'Estasi_di_s._Caterina_da_Siena (1743), Pompeo Batoni, Museo Nazionale Lucca

 

L’Istituto Storico San Josemaría Escrivá

La vita di san JosemaríaEscrivà e lo sviluppo dell’Opus Dei, che è una prelatura personale, in pratica una “diocesi senza territorio” istituita per attuare peculiari opere pastorali della Chiesa, stanno suscitando, negli ultimi decenni, l’interesse di sempre più storici, sociologi, giuristi e persone comuni, affascinate dalla storia e dallo spirito dell’Opera.

L’Istituto San Josemaría Escrivá (ISJE), creato il 9 gennaio 2001 daMons. Javier Echevarría, Prelato dell’Opus Dei, ha come finalità la promozione degli studi storici sul santo spagnolo e l’Opera da lui fondata in Spagna il 2 ottobre 1928, nonché l’elaborazione di pubblicazioni scientifiche, di carattere teologico, canonistico e pedagogico, sugli aspetti concernenti lo spirito, gli insegnamenti e le attività di apostolato promosse da mons. Escrivà.L’ISJE cura la pubblicazione delle opere complete del fondatore dell’Opus Dei, offrendoa studentie ricercatori la più vasta informazione documentaria e bibliografica su san Josemaría, nonché sulle attività, passate e presenti, della Prelatura dell’Opera.

Per promuovere la ricerca su questi temi, l’Istituto ha avviato nel 2007 la pubblicazione di una rivista specializzata, Studia et Documenta che, con cadenza annuale, accoglie studi storici e di attualità sui principali aspetti ed eventi culturali e scientifici riguardanti san Josemaría o l’Opus Dei.

L’ISJE ha la sua sede a Roma, nell’edificio della biblioteca della Pontificia Università della Santa Croce (via dei Farnesi, 83), e si avvale della collaborazione del Centro di Documentazione e Studi Josemaría Escrivá (CEDEJ), sezione dell’Istituto presso l’Università di Navarra.Edita anche il sito www.isje.org/, costantemente aggiornato in lingua spagnola, portoghese ed italiana, che ne presenta le principali attività e pubblicazioni.

Omar Ebrahime

Per molti aspetti la riflessione ed il pensiero politico di Joseph de Maistre (1753-1821) su Stato e diritto più che al “reazionario” fanno pensare al recupero ed alla rielaborazione in chiave originale dei fondamenti della filosofia giuridica neoscolastica. Il conte savoiardo muove infatti da principi e da una concezionedella vita, della società e dell’uomo di cui siserve come capisaldi per formulare le critiche alla società illuminista del suo tempo che molti, dopo di lui, hanno ripreso. E', insomma, in nome di valori che de Maistre agisce, che scrive, che si impegna e ciò sarà ancorapiù chiaro quando si prenderà egli si prenderà la briga di proporre un piano sistematico per la ricostruzionedel “suo” mondo, cioè quell’ancien régime che, pure, necessitava di adeguamenti. L’Autore delle Serate di San Pietroburgo non crede, dunque, alleteorie e sta ai fatti e la sua è una semplicissima politica, èuna politica sperimentale, l’antidoto più efficace alle specioseideologie che con l’illuminismo si erano diffuse intutto il continente.

Ritornando al tema specifico del pensiero di de Maistre su Stato e diritto, va preliminarmente detto che, il conte savoiardo, come tutti i grandi pensatori della tradizione occidentale, sapeva perfettamente che, per la ricostruzione diun certo tipo di civiltà, di unordinamento politico ordinato in una certamaniera, occorre prendere in esame innanzitutto l’uomo, conoscerlo, studiarlo in tutta la sua realtà, con i suoi difettied i suoi pregi, con i suoi istintitendenti versoil basso ed i suoi slanci ideali; e poi dall'uomo passareagli aggregati sociali: la corporazione, la famiglia, la nazione con alvertice lo Stato che ordina tutte queste forze lequali, altrimenti, tenderebbero ad un moto centrifugo.

Era la lezione di Platone quella che egli aveva recepito,del Platone espressione dell'Ellade dorica e severa e ditutta l'antichità con i suoi insegnamenti perennemente validi. E' chiaro che per de Maistre sarebbe stato utopisticotendere ad uno Stato, tale quale l'aveva delineato il filosofo greco, così organizzato e così strutturato; ma ciò non toglieche i principi eterni, universali ed immutabili potevano dal conte essere utilizzati e messi in pratica anche nel “suo” mondo.

E la lezione di Platone per il Nostro fu questa: importanza preminente va data alla sfera dei valori spirituali,eroiciedideali; al di sotto, essendo di rango inferiore, vaposta la sfera di tutto ciò che sa di economia, di sociale,di materialistico. Proprio per questo de Maistre in quasi tutte le sue opere, tratta dell’uomo, della società, della nazionee dello Stato. Facendo ciò, e negando l'esistenza di uno stato di natura, egli giunge e ripete una affermazione paradossale, apparentementein contrasto con tutto il pensiero settecentesco: «Non esiste l'uomo nelmondo. Nel corso della mia vitaio ho conosciuto francesi, italiani, russi; grazie a Montesquieuso anche che si può essere persiani; ma in quanto all’uomo dichiaro di non averlo mai incontrato: se esiste, esiste senza che io lo sappia» Si rompe così quell'universalismo che aveva imperato durante l'Illuminismo. Non è possibile considerarealla stessa stregua tutti gli uomini e tutti i popoli perché le differenze esistono e pongono scottantiproblemi. De Maistre non rinnega gli uomini, ma l’uomo astratto ed irreale dell'Illuminismo. L'uomo isolato hauna esistenza inconcepibile anche da un punto di vistaesclusivamente teorico. L'uomo reale, viceversa, esiste nelgruppo e dunque nella storia; egli è inimmaginabileal di fuori della società essendo l'aristotelico animale sociale. Per cui l’uomo realizza se stesso, attua la sua libertà proprio vivendo nei corpi sociali che più gli sono naturali: la famiglia, la nazione e così via.

E' chiaroche per de Maistre sarebbe stato inaccettabileuna vita che si esaurisse sul piano sociale: infatti ciòvorrebbe significare fermarsi alla sfera naturalistica, umana, mentre l’uomo non può e non deveperdere di vista il suo legame con la Trascendenza, con Dio, perché, altrimenti «l’uomo in rapporto con i1 suo creatore è sublime, e la sua azione è creatrice: al contrario, dacché ci si separa da Dio e opera da sé solo non cessa di essere possente perché questo è un privilegio della sua natura; mala sua azione è negativa e non tende che a distruggere» (J. De Maistre, Sul principio generatore delle costituzioni, par. XLV).

La forza dell’uomo sta nel riconoscere la sua condizione, la necessità di qualcosa di superiore che deve essereinvocato, al momento del bisogno, con le preghiere e con l’assoluta sottomissione.

De Maistre capì che la crisi del suo tempo si ponevacome crisi dell'uomo, come conseguenza dello smarrimento di quella missione, che è simile nell'uomo aristocratico, conquistatore delle più alte responsabilità, e nell'uomo semplice che sa compiere il proprio dovere al posto assegnatogli dalla Provvidenza nella società. Inoltre, comprese cheerano due concezioni dell'uomo che, innanzitutto, si scontravanoe che il mondo cosiddetto moderno aveva ingaggiatola sua lotta contro l’uomo ormai abbandonato à sestesso, atomo in una massa di atomi, sciolto dai legami chelo tenevano avvinto ai naturali corpi sociali, solo senza nemmenoil conforto della preghierae di Dio; e, quindi, sapevache la rivoluzione e le sue idee non avrebbero avutoragione dell'uomo, come egli lo intendeva, nella misura incui l'uomo stesso avesse avuto ragione di sé e della suaparte tendente verso il basso, cioè nella misura in cuiavesse riacquistato la coscienza delle sue potenzialità maanche dei suoi limiti, congiuntamente alla consapevolezzadella necessità di ripristinare e ricostruire il legame con ilCreatore.

Ed è proprio per questo morivo che de Maistre tentavadi riancorare l'uomo a Dio,

 

Della società, della nazione

Il problema centrale dell'Illuminismo era stato quellodella ricerca dell'origine della società. Dopo la rivoluzionequesto è già un problema dimenticato per cui lo stesso deMaistre lo trascura non avendo per 1ui alcun interesse lediscussioni sull’origine contrattuale o meno della società.

La società è sempre esistita o se vi è stato un periodoorecedente,questononhaalcun interesseper noi.Soprattutto non è mai esistito uno stato di natura: «Non c'è mai stato per l'uomo un periodo precedente 1a società, perché prima della formazione delle società politiche l'uomonon è realmente uomo».

La vita dell'uomo in società è comportata dalla sua stessa natura e poiché questa, al pari di tutte le cose create, deriva da Dio, anche là società è il risultato della volontà divina. Infatti la legge divina è il vero principio generatore e rigeneratore delle società. Le istituzioni politiche e sociali saranno perfette e durevoli nella misura ín cui tenderanno al vero bene.

Ora i gruppi fondamentali per 1a storia sono le nazioni, chedeMaistre intende ancora come «il sovrano el’aristocrazia». Era troppo presto, senza dubbio, perché nell'acceso clima de1la rivoluzione un contro-rivoluzionario potesse intendere per nazione la totalità dei membri di essa sia pure con compiti diversi e diversi gradi di partecipazione.

Ogni nazione ha le sue caratteristiche che si esprimonoattraverso i “pregiudizi” nazionali. Perpregiudizi de Maistre intende quel complesso di idee che formano il patrimoniospirituale di un popolo e che non può essere tradito senza snaturare le istituzioni stesse, come invece intendevafare 1'Illuminismo.

L'Illuminismo volle sostituire la ragione individuale dipochi ideologhi al patrimonio dottrinario accumulato neisecoli, che solo può, oggi come allora, dare la forza di progredire.

Proprioin questo tenere nella giusta considerazione il patrimoniospirituale di un popolo, Benedetto Croce ha visto una affinità di impostazionitra de Maistre e Giambattista Vico. Infatti, parlando dellecorrenti culturali del tempo, il filosofo napoletano ha tenuto a dire, con un insegnamento da riconsiderare a mio avviso anche ai nostri tempi, che l’«affinità di concetti, se non di tendenzepolitiche, tra vichiani e storicisti da una parte, e reazionarie romantici dall'altra, rende naturale che essi sicercassero, si istruissero e si rafforzassero a vicenda».

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