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Un quesito ricorrente in ambito condominiale riguarda la possibilità di vietare ad un condòmino di farsi rappresentare in assemblea.

Per rispondere, occorre premettere che la materia è regolata dal novellato art. 67 disp. att. cod. civ. – norma definita inderogabile dal successivo art. 72 – il quale in particolare, al primo comma, dispone espressamente che “ogni condòmino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante”, precisando, altresì, che, “se i condòmini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale”.

Discende da quanto precede, allora, che non si può vietare ad un condòmino di delegare qualcun altro a partecipare, in sua vece, all’assemblea. E ciò quand’anche il divieto in questione sia contenuto in un regolamento di origine contrattuale.

Va, tuttavia, evidenziato come secondo la giurisprudenza formatasi in relazione al previgente testo del citato art. 67, un regolamento di condominio (anche assembleare) ben possa limitare il numero delle deleghe di cui può essere portatore, in assemblea, un singolo condòmino (Cass. sent. n. 853 del 28.3.’73 e, più recentemente, Cass. sent. n. 5315 del 29.5.’98). E siccome si tratta di una conclusione che – per il suo carattere generale – può ritenersi valida anche dopo la riforma, conseguenza di tutto questo è che il diritto di farsi rappresentare in assemblea se non può essere escluso può ritenersi comunque oggetto di regolamentazione.

Naturalmente, ove i condòmini siano più di venti e il regolamento preveda un limite più alto rispetto a quello previsto dalla legge (non limitandosi, quindi, a disciplinare la materia entro i confini individuali dal legislatore, ma superando tali confini), si applicherà la regola secondo cui – come abbiamo visto – “il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale”.

Corrado Sforza Fogliani

Presidente Centro studi Confedilizia

 

Le aziende agricole condotte da giovani sono 4 volte più innovative di quelle condotte dai 45enni in su, con le nuove idee green per garantire cibo ed energia alla Puglia contro la crisi scatenata dalla guerra con il blocco dei rifornimenti di materie prime agricole e il ricatto russo sul gas e sul petrolio. E’ quanto afferma Coldiretti Puglia, sulla base dei dati Istat del 7° censimento generale dell’agricoltura, in occasione della finale dell’Oscar Green Puglia, il premio promosso da Coldiretti Giovani Impresa arrivato alla quattordicesima edizione che punta a valorizzare il lavoro di tanti giovani che hanno scelto per il proprio futuro l'agricoltura.

Oltre 7mila giovani in Puglia hanno scelto di costruirsi un futuro da imprenditori agricoli investendo nella terra, dalla coltivazione all’allevamento, dall’agriturismo alle vendite dirette fino alle bioenergie e all’economia green, tanto che nascono in media 18 nuove imprese giovani al giorno, sulla base del rapporto del Centro Studi Divulga.

“La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno accelerato il fenomeno del ritorno alla terra e maturato la convinzione comune che le campagne siano oggi capaci di offrire e creare opportunità occupazionali e di crescita professionale, peraltro destinate ad aumentare nel tempo” ha spiegato Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia, ma va anche sottolineato che “occorre ora sostenere il sogno imprenditoriale di una parte importante della nostra generazione che mai come adesso vuole investire il proprio futuro nelle campagne, abbattendo gli ostacoli burocratici che troppo spesso si frappongono”, ha aggiunto il direttore regionale, Pietro Piccioni.

L’incidenza degli investimenti innovativi nelle aziende con capo azienda giovane è quattro volte superiore – dice Coldiretti Puglia - rispetto a quella che si registra nel caso di capo azienda anziano, il 22,9% con capo azienda fino a 44 anni ed il 5,8% con capo azienda ultrasessantaquattrenne.

In attesa del secondo bando da 6 milioni di euro, sono 821 i giovani che potranno realizzare il sogno di lavorare in campagna con progetti smart e innovativi, con il primo bando del PSR Puglia dedicato al primo insediamento in agricoltura, a valere sulla Misura 6.1 del Psr Puglia 2014-2020, per un totale di 48,9 milioni di euro rispetto ad una dotazione complessiva di 55 milioni di euro.

“In uno scenario in veloce cambiamento, in cui la complessità delinea l’orizzonte dei fenomeni, non si intravede una sola direzione per il successo delle imprese. Il punto di partenza per il nostro futuro, per una ripresa dell’agricoltura e dell’agroalimentare pugliese, è il fattore imprenditoriale o meglio il fattore umano e l’educazione alla realtà”, ha affermato Benedetta Liberace, delegata di Coldiretti Giovani Impresa Puglia, secondo cui è determinare far conoscere e valorizzare “le opportunità per la creazione di impresa ed occupazione nella filiera del cibo, dell’agricoltura multifunzionale e delle eccellenze agroalimentari ed enogastronomiche pugliesi, asset decisivi per Coldiretti Giovani Impresa Puglia che devono trovare adeguato sostegno”, ha aggiunto Liberare.

La misura è una delle più importanti del PSR – insiste Coldiretti Puglia - perché punta a favorire il ricambio generazionale e lo sviluppo delle aree rurali anche grazie al pacchetto giovani che prevede l’abbinata con varie misure dei Psr, in particolare la misura 4.1 per l’incentivo a fondo perduto degli investimenti. L’aiuto per il primo insediamento dei giovani è concesso in modo forfettario quale sostegno allo start-up e può arrivare sino a 70.000 euro.

Intanto, Coldiretti Giovani della Puglia ha attivato un servizio di consulenza e supporto e un strutturato programma formativo con l’Academy che propone una azione di on boarding, di primo avvicinamento e inserimento di nuovi giovani imprenditori in Coldiretti Giovani Impresa attraverso le cinque lezioni sul futuro, una serie di incontri sia on line che in presenza, organizzati in tutte le regioni.  Si tratterà di un tour che toccherà tutta la penisola, coinvolgendo i giovani in momenti di approfondimento guidati da testimonianze di referenti di area, tecnici da Bruxelles, testimonial del territorio, professori universitari e ricercatori per invitare giovani interessati ad avvicinarsi ad una cultura sindacale ed economica, a salire ON BOARD, a bordo della Community di Coldiretti Giovani Impresa.

Coldiretti per i giovani lancia una proposta ampia per la ripresa del settore attraverso formazione, semplificazione, strumenti flessibili di accesso al lavoro, incentivi per poter operare in velocità e promuovere investimenti in innovazione con un vero e proprio rilancio economico e sociale dell'agricoltura regionale, perché l’emergenza causata dal Covid ha fatto emergere la consapevolezza che l’agricoltura è legata non solo alla tutela della salute e dell’ambiente, ma anche alla sicurezza degli approvvigionamenti per la popolazione e alla difesa della sovranità alimentare dei Paesi.

E’ soprattutto grazie a questa svolta green che l’Italia è diventata leader in Europa per numero di giovani imprese agricole, che sono peraltro anche più brave dei colleghi Ue se si considera che il valore della produzione generato dagli under 35 nostrani è pari a 4.964 euro ad ettaro, oltre il doppio dei giovani agricoltori francesi (2.129 euro/ettaro). Ancor più marcata la differenza con la Spagna (2.008 euro/ettaro). Dietro anche i tedeschi (3.178 euro a ettaro). Nel complesso, la produzione standard generata per ettaro coltivato dai giovani in Italia è poco meno del doppio della media europea (2.592 euro a ettaro), secondo il rapporto del Centro Studi Divulga.

Il maggior appeal del lavoro in campagna si riflette anche sule scelte scolastiche. Un profondo cambiamento di cui al boom di iscrizioni degli studenti degli istituti professionali in Agricoltura, Sviluppo Rurale, Valorizzazione dei Prodotti del Territorio e Gestione delle Risorse forestali e montane – conclude Coldiretti Puglia - si aggiunge peraltro quella le presenze all’indirizzo Agraria, Agroalimentare e Agroindustria degli istituti tecnici, in aumento del 17%.

Un moltiplicatore di business ma anche di turismo d’affari alto-spendente, di servizi specializzati e di posti di lavoro. Una industry, quella fieristica, che con i soli eventi nazionali e internazionali genera un impatto sui territori - tra servizi, trasporti e ospitalità e salari - quantificabile in 22,5 miliardi di euro l’anno di produzione, per un valore aggiunto stimato in 10,6 miliardi di euro pari allo 0,7% del Pil. Effetti macroeconomici aggiuntivi, questi, rispetto al business generato in fiera dalle imprese partecipanti. È un quadro che va oltre le aspettative quello presentato oggi a Roma da Aefi e Prometeia in occasione della 7^ giornata mondiale delle fiere. Lo studio, commissionato da Aefi - Associazione esposizioni fiere italiane - fa il punto su un settore da sempre tra i principali alleati del made in Italy a distanza di diversi anni dall’ultima rilevazione. “I numeri che emergono dallo studio Prometeia – ha detto il presidente di Aefi, Maurizio Danese - confermano in modo lampante come la 4^ industria fieristica al mondo sia prima di tutto un incubatore naturale di business per i distretti industriali italiani e poi una leva di indotto ad alto valore aggiunto in favore dei territori. Ora, per il post emergenza, il sistema punta sul rinnovamento: una fase cruciale per superare la frammentarietà attraverso alleanze strategiche fondate sui prodotti, salvaguardando i territori e il valore aggiunto prodotto sugli stessi. La strada verso nuove alleanze – ha concluso Danese – è tracciata, un percorso che vogliamo fare anche attraverso la costituzione di un tavolo con il Governo per l’attuazione di un piano fieristico nazionale condiviso”. Un b2b fieristico che ogni anno impegna decine di migliaia di imprese del made in Italy in grado di performare 7 volte meglio rispetto al totale dell’economia italiana (+2% vs +0,3% la crescita media annua del fatturato dal 2012 al 2019). Un’over performance a cui il sistema fieristico ha contribuito in modo distintivo. Per la prima volta, è stato infatti possibile stimare – grazie a un’analisi d’impatto condotta su un campione di oltre 25 mila imprese espositrici (responsabili del 13% della produzione nazionale) confrontate con un panel di realtà simili che non partecipano a manifestazioni fieristiche – il vantaggio ottenuto dalle aziende che, fra il 2012 e il 2019, hanno creduto nelle fiere: 12,6 punti di crescita cumulata in più delle vendite e 0,7 punti di marginalità lorda (Ebitda) in più, rispetto a chi non ha partecipato. L’analisi d’impatto, mai così ampia per il settore grazie alla rilevanza numerica del campione, ha poi confrontato le performance delle imprese nelle varie filiere produttive. In questo caso le aziende dell’agroalimentare che partecipano alle manifestazioni sono quelle che hanno realizzato il ‘premio’ maggiore in termini di extra-crescita dell’attività (+20,5%). Ma anche nei settori produttori di beni intermedi (come la meccanica) si registrano benefici superiori alla media (+14,4%). Secondo lo studio, il valore della produzione delle fiere italiane si attesta a 1,4 miliardi di euro, con 3.700 addetti diretti, circa 200 manifestazioni internazionali e oltre 220 nazionali organizzate ogni anno, per un totale di 12,6 milioni di visitatori (che salgono a 20 milioni con gli eventi locali, fonte: Aefi). Un sistema fieristico (secondo in Europa dietro a quello tedesco), colpito duramente dai lockdown, con una perdita del -63% di fatturato nel 2020 (un calo ancora più intenso rispetto alla media europea) ma con un ruolo imprescindibile per l’economia italiana. Il comparto attiva infatti direttamente un valore della produzione pari a 8,9 miliardi di euro a cui corrispondono 4,3 miliardi di euro di valore aggiunto e 96 mila addetti, che salgono a 22,5 miliardi di produzione, 10,6 di valore aggiunto e 203 mila occupati se si considerano anche gli impatti indiretti e indotti. In altri termini, le fiere operano con un moltiplicatore di 2,4: ogni euro di valore aggiunto generato direttamente dal sistema fieristico (da espositori, organizzatori e visitatori), ne produce ulteriori 1.4 nell’economia nazionale. Guardando all’occupazione, gli effetti sono solo leggermente inferiori (qui il moltiplicatore è infatti 2,1), con ogni posto di lavoro diretto del sistema a sostenerne altri 1.1 in Italia. Gli effetti moltiplicativi ottenuti sono in linea rispetto a quelli stimati di recente per l’industria fieristica europea, ma superiori a quelli evidenziati per i sistemi britannico e spagnolo. In considerazione della significativa, pur se parziale, ‘confrontabilità metodologica’ fra i risultati ottenuti per l’Italia e quelli ottenuti su scala europea, emerge come circa il 20% del valore complessivo generato dal sistema fieristico europeo sia verosimilmente «Made in Italy». Aefi, i cui soci hanno contribuito proattivamente alla costruzione di un database complessivo composto da 60 mila imprese che offrirà altre possibilità di analisi sugli effetti del sistema sul made in Italy, esprime quasi il 75% del fatturato del comparto. Nei 41 quartieri associati si svolge il 96% delle manifestazioni (www.aefi.it). “ Il sistema fieristico Italiano è leader a livello europeo ed è un partner fondamentale per lo sviluppo e la crescita delle nostre aziende, soprattutto per un tessuto industriale come quello italiano, caratterizzato da PMI,  che in questi due anni è stato segnato profondamente dalla pandemia. Il settore fieristico è ripartito, benché con qualche difficoltà, ma ha bisogno di essere supportato. Le parole di Giancarlo Giorgetti, Ministro dello sviluppo economico pronunciate in occasione della giornata mondiale delle Fiere a Roma danno seguito alle necessità che, insieme ai maggiori organizzatori fieristici, avevamo evidenziato durante alcuni recenti incontri. Un sistema di incentivazione, attraverso voucher, per favorire la partecipazione delle aziende alle fiere internazionali che si svolgono in Italia può essere lo strumento corretto e sono sicuro che il Ministro, a cui vanno i nostri ringraziamenti, saprà rendere concreta questa opportunità e troverà all’interno di tutto il Consiglio dei Ministri lo stesso consenso per aiutare la nostra industry e le aziende delle filiere strategiche del nostro paese”.

Helsinki – Wärtsilä ha deciso di  dismettere l’impianto produttivo di Trieste, lasciando a casa 451 persone su 973 dipendenti. Lo ha dichiarato la multinazionale che “prevede di ridurre la produzione a Trieste, in Italia, e di centralizzare la produzione di motori a 4 tempi in Finlandia, a Vaasa. Si prevede che la fine della produzione a Trieste avrà un impatto su circa 450 dipendenti con potenziale licenziamento. Il risparmio sui costi annuali totali stimato è di circa 35 milioni di euro entro il 2025 e i costi di trasformazione associati dovrebbero essere di circa 130 milioni di euro, di cui l’impatto sul flusso di cassa è di circa 75 milioni di euro. Le discussioni tra Wärtsilä, i rappresentanti dei lavoratori e le autorità e istituzioni italiane inizieranno in linea con la legislazione italiana”. 

Secondo il produttore di motori marini “l’Italia e Trieste continueranno a essere molto importanti per Wärtsilä in molte aree, poiché miriamo a dare forma alla decarbonizzazione delle industrie marine ed energetiche. Nelle difficili circostanze degli ultimi anni, i nostri dipendenti a Trieste hanno svolto un lavoro encomiabile. Tuttavia, dobbiamo centralizzare la nostra impronta manifatturiera in Europa. L’Italia e Trieste rimarranno molto importanti per Wärtsilä. Il nostro sito a Trieste si concentrerà su attività di ricerca e sviluppo, vendite, project management, sourcing, servizi e formazione. Una parte importante dei nostri dipendenti a Trieste è oggi impegnata in queste attività”. Dura la reazione dei sindacati:

"La decisione è totalmente inaccettabile. La scelta di Wärtsilä di chiudere tutta la produzione a Trieste e delocalizzarla in Finlandia va rispedita al mittente, e dimostra ancora una volta l’inefficacia della legislazione italiana nel contrastare lo strapotere delle multinazionali ed impedire le delocalizzazioni produttive” ha commentato Luca Trevisan, segretario nazionale Fiom-Cgil, e sulla stessa linea anche gli altri responsabili sindacali. “Siamo sorpresi e molto irritati per la decisione ingiustificata e scorretta di Wartsila che improvvisamente ha comunicato la chiusura della linea produttiva a Trieste. Mi sono confrontato con il ministro finlandese Ville Skinnari, anche lui all’oscuro di tutto. Ho già disposto l’immediata convocazione dei vertici della società per spiegazioni sul loro comportamento anche alla luce del fatto che la società finlandese aveva avviato proprio con il Mise una negoziazione per chiudere un accordo di innovazione”. Così il ministro per lo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti che ricorda che già due mesi fa aveva convocato i vertici di Wärtsilä insieme al presidente Massimiliano Fedriga per monitorare la situazione. “In quella come in altre occasioni  - aggiunge il titolare del Mise -  l’azienda finlandese ha sempre smentito qualunque dismissione assicurando un rinnovato interesse anche alla luce degli strumenti che il Mise aveva messo a disposizione”

Mentre Wärtsilä lascia, il gruppo Marcegaglia ha firmato un accordo per acquisire il 100% di tutte le principali società della divisione prodotti lunghi in acciaio inossidabile di Outokumpu, multinazionale finlandese leader mondiale nella produzione di acciaio inox e tra i campioni riconosciuti di sostenibilità.

La transazione include un’acciaieria a forno elettrico per acciai speciali, un impianto di laminazione di vergelle e uno di produzione di barre a Sheffield (UK); un impianto di produzione di barre a Richburg (USA); un impianto di laminazione a caldo di vergelle e uno di produzione di fili trafilati a Fagersta (Svezia).

La divisione ha realizzato nel 2021 ricavi per 810 milioni di euro con un Ebitda di 47 milioni di euro, impiegando circa 700 persone. Il valore totale dell’operazione (enteprise value) ammonta a 228 milioni di euro. Le parti prevedono di completare l’operazione entro la fine di quest'anno, dopo il via libera da parte delle Autorità Garanti della Concorrenza.

Il gruppo Marcegaglia, per la prima volta nella sua storia, investe nella produzione primaria di acciaio. Un’operazione strategica, anche di forte valore simbolico: nel 1913, infatti, proprio a Sheffield nasceva e si sviluppava l'acciaio inossidabile.

“Grazie a questa importante acquisizione trasformativa, il nostro gruppo rafforza ulteriormente il proprio business degli acciai speciali – hanno commentato Antonio ed Emma Marcegaglia, rispettivamente presidente e vicepresidente del Gruppo omonimo – attraverso due linee strategiche. La prima riguarda i prodotti piani in acciaio inox, dove si realizza una parziale integrazione a monte della catena del valore in un’ottica di accorciamento e stabilità delle filiere e si sviluppa un’offerta di prodotti sempre più sostenibili e competitivi. La seconda, ampliando in maniera significativa la produzione di prodotti lunghi in acciaio inox e arricchendo ulteriormente la gamma di prodotti e tipologie di acciai. L’operazione, inoltre, punta a consolidare la nostra posizione sui mercati internazionali, acquisendo ulteriori quote di mercato sia in Europa che in Nord America”.
Attraverso questa operazione, grazie all'innovazione, alla diffusione di tecnologie a basse emissioni di carbonio e all'efficienza delle risorse, il gruppo Marcegaglia accelera nel suo importante percorso di riduzione del consumo di energia e di emissioni di gas serra.

L'ENIT -Agenzia Nazionale Italiana del Turismo in collaborazione con il Ministero del Turismo, nell’ambito delle iniziative previste nel Piano Strategico del Turismo 2017-2022, ha previsto la concessione di risorse finanziarie per 9 milioni di euro a imprese e agenzie di comunicazione esperte del mondo digitale per sviluppare nuovi processi e interventi di promozione turistica. La presentazione delle domande doveva avvenire entro il 19 aprile. Le imprese interessate dovranno essere idonee a migliorare la comunicazione digitale dell’offerta turistica organizzata italiana e favorire la ripresa dei flussi turistici nazionali ed internazionali. Si punta al rafforzamento del posizionamento competitivo della destinazione “Italia” nel mercato interno, internazionale di prossimità ed extraeuropeo, ampliando i mercati di riferimento con un’offerta differenziata; allo sviluppo di iniziative integrate tra diversi ambiti tematici quali cultura, economia, ambiente e turismo; alla valorizzazione delle offerte turistiche e delle esperienze territoriali, con il sostegno alle identità locali nell’ambito di una strategia unitaria, coerente e omogenea con la destinazione “Italia”. Progetti, programmi e campagne di informazione e di promozione devono essere realizzati, coerentemente con quanto previsto dal Piano Strategico del Turismo 2017-2022 e dall’Agenda Onu 2030, nell’ambito di politiche di sviluppo sostenibile e di valorizzazione dei territori e delle comunità con il loro patrimonio culturale, in armonia con l’ambiente, in una concezione ecologica ed ecosistemica complessa. “Un nuovo concreto tassello per la crescita e il rilancio della filiera turistica, un modo per non lasciare indietro nessuno e per guardare con ottimismo al futuro” ha dichiarato il Presidente ENIT Giorgio Palmucci.

Nuova immagine

L'ENIT fa un aggiornamento della propria immagine rinnovando il logo per meglio affrontare l'impegnativo percorso di trasformazione, con una ristrutturazione profonda per della propria identità, a partire dal logo, presentato alla BIT, Borsa Italiana del Turismo di Milano, alla presenza del ministro del Turismo Massimo Garavaglia. L'importante rinnovamento del marchio è segno di un cambiamento dell'agenzia, della sua missione e visione e del suo orientamento strategico. Nel corso delle prossime settimane sarà infatti adottato un nuovo quadro promozionale che, guardando al 2030, orienterà l'azione di ENIT per ottenere progressi concreti sui fattori di competitività del sistema turistico.

“Stiamo lavorando ad un ente moderno ed al passo con le migliori agenzie nazionali dei competitor internazionali che oggi hanno un riconoscimento di apprezzamento dai propri portatori di interessi. Le donne e gli uomini di ENIT tra dieci anni potranno guardare indietro ed essere orgogliosi di avere contribuito in modo determinante a rafforzare la competitività del turismo italiano", ha dichiarato Roberta Garibaldi, amministratore delegato di ENIT.

"ENIT è in percorso espansivo di ampio respiro iniziato in questi lunghi anni insieme e ora amplificato da ulteriori metodi e standard che vanno ad affinare il lavoro. L'ampio respiro è anche quello che sentiamo di condividere con tutta la filiera turistica in un approccio partecipativo che continuerà ad infondere valore e credibilità al marchio Italia" ha commentato il presidente Palmucci. Il nuovo stilema vede il ritorno dell'acronimo "ENIT", comunicato con un carattere semplice, dal tradizionale colore azzurro della comunicazione sociale. In questo acronimo, con un gioco di forme, domina il contorno di una stella che dà lustro al 1919, anno di fondazione dell'ente e che rievoca un simbolo storicamente di conoscenza. Si tratta della stella serale che guidò Enea in Occidente. Il carattere scelto, tra l'altro, riprende filologicamente l'emblema ENIT del 1954. L'ENIT, che nel suo logo aveva inserito un simbolo di amicizia tra i popoli, assolveva quindi anche al ruolo di mediatore e approssimatore di nazioni attraverso la divulgazione della conoscenza abolendo così i pregiudizi scaturiti dall'ignoranza. La regia di questa ristilizzazione è stata affidata alla consulenza creativa di Iabicus, mentre il progetto di marchio all'agenzia PG&W, sotto la direzione creativa di Fabrizio Pato Donati e direzione artistica di Guglielmo Oselladore.

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