Europa senza identità: Cartesio

L’Europa, dunque, progressivamente, nel corso degli ultimi secoli, ha smarrito la sua coscienza cristiana, determinando l’attuale eclissi di Dio, magari non tanto nelle coscienze dei singoli, quanto, principalmente, nella sfera pubblica, così come auspicava il laicismo di stampo ottocentesco ed evidenziava, a suo tempo,  Papa Benedetto XVI  in un’omelia ‒ pronunciata il 2 ottobre 2005, in occasione dell’ apertura della XI assemblea generale ordinaria del  Sinodo  dei  vescovi , nella quale disse: «Vogliamo possedere il mondo e la nostra vita in modo illimitato. Dio ci è di intralcio. O si fa di Lui una semplice frase devota o Egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato». Come è avvenuto tale processo? A modesto avviso dello scrivente, sono due gli autori, che l’hanno descritto con maggiore efficacia e precisione: Plinio Correa De Oliveira (1908-1995) nel suo Rivoluzione e Controrivoluzione, e Paul Hazard (1878-1944) nel suo classico e sempre valido, La crisi della coscienza europea. Il primo autore ha preso in esame, soprattutto, l’aggressione perpetrata dal processo rivoluzionario, scandito in quattro tappe, alla civiltà cristiana occidentale, liberamente ispirata ai valori del Vangelo, senza essere teocratica,  nata ‒ secondo l’insegnamento dello storico Marco Tangheroni (1946-2004) che qui segue un’idea di sant’Agostino (354-430) ‒,  come un nuovo mondo non più inquadrato nelle plurisecolari strutture romane e imperiali, un nuovo mondo nel quale popolazioni romanizzate e popolazioni barbariche potranno fondersi grazie alla comune appartenenza al cristianesimo.  Queste, in sintesi, le tappe:1) Lutero (1483-1546) , nel 1517 rompe l’unità di fede; 2) 1789, la Rivoluzione francese scardina la sintesi fede-politica; abolisce i corpi intermedi, lasciando l’individuo solo di fronte allo strapotere dello Stato, divenuto oramai un’istituzione impersonale, a differenza del Re, persona in carne ed ossa, della quale si conoscono le generalità precise; 3) 1917, la Rivoluzione bolscevica spazza via l’ultimo potere rimasto all’individuo: la sua capacità economica, che attraverso l’uso della  proprietà privata, per quanto minima, lo proteggeva in qualche modo dall’intervento onnipervasivo dello Stato. Uno Stato, quello comunista, che requisendo tutti i suoi beni, lascia l’individuo alla completa mercé del potere centrale; 4) 1968, la Rivoluzione sessuale-culturale; attraverso la mediazione della Scuola di Francoforte, si comprende come la rivoluzione debba andare oltre il piano puramente socio-economico, riguardante il proletariato, divenendo culturale lato sensu. In questo modo, la rivoluzione travolse l’uomo stesso, fin nel suo intimo, mutandone radicalmente natura,  costumi, giudizi ed obiettivi da perseguire. In particolare, il filosofo George Lukàcs (1885-1971) teorizzò il rapporto eros-rivoluzione, individuando nel disordinato istinto sessuale dell’uomo, la forza necessaria per scardinare la famiglia cosiddetta tradizionale, a sua volta perno dell’ordinata società naturale e cristiana, vero obiettivo da abbattere per ogni forza rivoluzionaria. Già nel 1843, Karl Marx (1818-1883) nel segnalare gli ostacoli che si frapponevano al trionfo della rivoluzione proletaria, scrisse: «E di tutti questi ostacoli, i due più grandi sono Dio […] e la famiglia».  Da allora, è praticamente iniziata una lotta senza quartiere alla famiglia tradizionale ‒ tutelata, tra l’altro, anche dall’art. 29 della nostra Costituzione repubblicana ‒  la quale, più veemente che mai, continua, senza sosta, anche  ai nostri giorni. Paul Hazard, a livello di pensiero, pone la nascita della crisi a cavallo del periodo storico 1680-1715, cioè tra la fine del Rinascimento e la quasi immediata vigilia della Rivoluzione francese, quando grossi mutamenti di pensiero, avviati in primis da Cartesio (1596-1650), iniziarono a mettere in dubbio le credenze tradizionali, a tutto vantaggio della costruzione di qualcosa totalmente nuova. Il pensatore francese, fondatore della filosofia moderna ‒ con il suo Cogito, ergo sum ‒ pose le basi dell’idealismo, iniziando a dividere il pensiero dal reale. Ci troviamo, qui, dinanzi, ad una svolta epocale, giudicata tale, nientemeno che da San Giovanni Paolo II, che nel suo ultimo libro, Memoria e Identità, riflettendo sulle stesse domande oggetto di questo articolo, scrisse: «Nel corso degli anni si è venuta formando in me la convinzione che le ideologie del male sono profondamente radicate nella storia del pensiero filosofico europeo». Poi, chiedendosi come mai larga parte degli intellettuali europei reagì male alla sua enciclica sullo Spirito Santo, attribuì il fatto all’influenza esercitata dalla cultura illuminista, soprattutto quella francese; tuttavia, trovò la causa remota proprio nel pensiero di Cartesio. Queste le sue parole: «Il Cogito, ergo sum penso, dunque sono portò un capovolgimento nel modo di fare filosofia […] si abbandonava ciò che la filosofia era stata fino ad allora, ciò che era stata in particolare la filosofia di san Tommaso d’Aquino: la filosofia dell’esse. Dopo Cartesio, la filosofia diventa una scienza del puro pensiero: tutto ciò che è  sia il mondo creato che il Creatore rimane nel campo del cogito, come contenuto della coscienza umana. La filosofia si occupa degli esseri in quanto contenuti della coscienza, e non in quanto esistenti fuori di essa». Se Cartesio ‒ in cuor suo, probabilmente, un buon cattolico ‒ conserva ancora un reale dominante sul pensiero, perché fa dipendere questo direttamente da Dio, considerato come garante di esso, i suoi discepoli più radicali, tuttavia, traggono le dovute conseguenze dalla sua impostazione, esaltando la ragione a scapito dell’autorità e della tradizione. Il mondo moderno è definitivamente nato. Il discorso, ovviamente, deve proseguire.

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