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L'Occidente che odia se stesso

Da qualche tempo il modello Occidentale, rappresentato dall’Europa viene messo in discussione in modo particolare dalle correnti politiche ideologiche come l’ambientalismo che vede nell’Occidente solo come il capitalismo che uccide il pianeta, o il fenomeno della “cancel culture”, che si scaglia contro le statue di personaggi storici, legati alla cultura occidentale. Quest’ultimo, un fenomeno che è arrivato anche a emarginare decine di professori universitari non considerati più degni di insegnare. Il cancel culture è nato nei campus universitari americani e ora si sta diffondendo anche in Europa.

Nel lontano 2004, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, in una lectio magistralis sulle radici spirituali dell’Europa, parlò esplicitamente di autodistruzione dell’Occidente, di odio verso se stessi. «C'è qui un odio di sé dell'Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l'Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L'Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere».

Ma come si è arrivati a questa aberrazione? A questa domanda ha provato a rispondere il professore Eugenio Capozzi con il suo ultimo saggio, “L’autodistruzione dell’Occidente. Dall’umanesimo cristiano alla dittatura del relativismo”, pubblicato da Historica/Giubilei Regnani 2021, 231 pagine, 17 euro).

Il saggio composto di sei capitoli, parte da lontano, nei primi capitoli ripercorre le origini dei valori fondativi dell’Occidente come viene inteso oggi.

Ad avviso di Capozzi la superiorità storica dell’Occidente si deve all’umanesimo, da intendersi in quella concezione dell’uomo (l’intreccio di filosofia greco-romana, religione cristiana e “libertarismo” celtico-germanico) quale essere fatto a somiglianza di Dio, posto al centro di un Universo razionalmente ordinato, libero artefice del proprio destino. Infatti, Capozzi, precisa: “Quale evento poteva indicare più eloquentemente la condizione speciale dell’uomo nel disegno della creazione, il suo essere fatto ‘a immagine e somiglianza’ di Dio?”.

Il 2° capitolo descrive (le radici profonde. Israele, Grecia, Roma). La formazione dell’umanesimo si fonda sul popolo di Israele, sull’uomo greco (il cittadino cosmico) e su quello romano (dal pater familias ai diritti soggettivi).

Il 3° capitolo (L’umanesimo cristiano e l’identità europea) affronta la nascita della più grande rivoluzione nata nella storia dell’uomo, dove si definisce che non ci sarà più “né giudeo né greco”. Un processo storico iniziato con la comparsa della figura di Gesù, la sua predicazione, la sua morte e resurrezione. “Per la prima volta – scrive Capozzi – nella storia umana si attribuisce un valore assoluto a tutti gli esseri umani, al di là di ogni distinzione biologica, geografica, culturale, sociale, economica”.

La fede in Dio fatto uomo in pochi decenni si espandeva dalla Galilea alla Giudea e dilagava nel bacino del Mediterraneo, attraverso i discepoli e i testimoni di umilissima origine. Questa fede “affermava che tutti gli esseri umani, nessuno escluso, e anzi proprio a partire dai più umili e fragili (i piccoli a cui Gesù continuamente si riferisce), sono preziosi, insostituibili, amati da Dio in maniera esclusiva, immortali, creati per l’eternità”.

Capozzi come altri osservatori di storia del pensiero cristiano si sofferma sul ruolo fondamentale di Paolo, “l’apostolo delle genti”. In meno di tre secoli, attraverso la sofferta storia di persecuzioni e martirio, il cristianesimo divenne la religione più diffusa nel mondo romanizzato. Tuttavia, per Capozzi, il carattere radicale e rivoluzionario del cristianesimo si può riassumere nel celebre passo della lettera ai Galati di San Paolo: “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati, 3, 28).

Capozzi sviluppa questi argomenti facendo riferimento a insigni studiosi di storia delle civiltà come Rodney Stark, Gonzague de Reynold. Ma anche storici, filosofi come Etienne Gilson, Eric Voegelin e altri.

Certo la schiavitù non fu abolita subito, per molto tempo è ancora presente, anche se il cambiamento di mentalità della rivoluzione cristiana è un fatto irreversibile.

Seguendo il processo storico della formazione dell’Europa, Capozzi affronta il complesso rapporto tra l’autorità politica dell’imperatore e quella della Chiesa nel Medioevo, che si rafforza sempre di più. “Il pluralismo medievale europeo superava l’idea del princeps romano come unico garante supremo dei diritti e della sicurezza dei governati, introducendo una duplice distinzione: da un lato quella tra il potere spirituale e quello temporale (necessariamente connessi, ma non confusi tra loro); dall’altro quella tra la sovranità regale o imperiale e una somma di autorità particolari, organi rappresentativi, corti giudiziarie”. In questo contesto si rafforza il criterio fiduciario, a livello personale o di gruppo, si tratta di un patto fiduciario, dove si è costruito la complessa e multiforme realtà della società feudale, con i suoi riflessi politici e giuridici.

Così l’Europa adesso veniva concepita come un’unica e grande res publica christiana. Intanto sotto la pressione dell’avanzata islamica, il baricentro della civiltà romanizzata si sposta verso l’Europa centro-settentrionale. Nasce l’impero germanico, la civiltà europea si consolida a tutti i livelli. Si sviluppano le filosofie di di Sant’Anselmo, Alberto Magno e soprattutto San Tommaso. Questi filosofi per Capozzi contribuirono attraverso un forte confronto con le tendenze culturali del tempo alla rinascita del razionalismo.

  1. Tommaso con la sua Summa contro Gentiles e la Summa Theologiae combinò un nuovo sistema di razionalismo aristotelico con il cristianesimo. Sostanzialmente, scrive Capozzi, nasce, “una visione del mondo che divenne la base del nuovo, diffuso sistema formativo del continente, fondato sulle università”.

Da questo momento si sviluppa l’idea che i poteri arbitrari e senza limiti sono contrari alla natura umana e alle leggi divine. Con queste premesse filosofiche dell’assetto giuridico-istituzionale medievale si giunge al trattato della scuola di san Tommaso, il De regimine principum, scritto intorno al 1270. L’opera si rifà alla Politica di Aristotele, che considerava l’uomo un “animale sociale e politico”. Qui san Tommaso espone le varie forme di governo, preferendo quella monarchica con un potere limitato, regolato ed ispirato al diritto, un governo di un sovrano che è affiancato da organismi rappresentativi delle parti organizzate della società. Un governo così è “inteso non come norme approvate da un sovrano, ma come principi naturali immutabili tramandati attraverso la storia, e che per questo ingloba in sé anche gli aspetti migliori del governo aristocratico e democratico”. In nome di questi principi è previsto che i sudditi sono autorizzati a ribellarsi al sovrano se egli li viola. Pertanto, Capozzi precisa che “il razionalismo tomista elabora così, in nome dell’umanesimo cristiano, la prima teorizzazione del diritto di resistenza”.

Ma questo equilibrio politico viene interrotto dall’anti-umanesimo che è incarnato ad esempio da Lutero e dalla sua visione dell’uomo come totalmente dipendente dalla grazia divina; ma vi si inquadra anche la teoria hobbesiana, che riduce la politica a delega dei diritti e della forza dall’individuo allo Stato, al fine di conservare la mera sussistenza biologica. Siamo giunti al 4° capitolo (Tra Cristo e Faust: l’ambivalenza della modernità).

Nell’antropologia negativa protestante s’annida il germe della divinizzazione della politica, che può portare tanto a predicare l’ubbidienza assoluta al sovrano (come fa Lutero) o a creare una comunità separata che controlla strettamente gli individui (come fa Calvino). In questo momento per il professor Capozzi nasce  proto-moderna si “sviluppava una corrente di cultura ‘faustiana’, fiduciosa nella possibile trasformazione del mondo a misura dell’uomo e dei suoi desideri”. E’ questa una cultura che si ricollegava al millenarismo cristiano e a eresie già emerse nel Medioevo, come il pensiero apocalittico di Gioacchino da Fiore. Ma ancora prima in riferimento allo Gnosticismo, una delle maggiori eresie del cristianesimo. Nasce così a poco a poco una visione del mondo che si pone come parallela e alternativa rispetto all’umanesimo classico-cristiano.

Che cosa predicavano gli gnostici? “una concezione secondo la quale la realtà materiale è difettosa, e il male deve essere eliminato dal mondo attraverso un perfezionamento della natura umana, promosso da un’élite illuminata”. Questa cultura esoterica introduceva nella cultura europea un’aspirazione rivoluzionaria, millenaristica e scientista che poi sarebbe stata alla base di tutte le dottrine ideologiche a partire dalla tarda modernità.

Nel frattempo, nasce lo Stato moderno che assume per Capozzi, una posizione ambivalente rispetto alla visione del mondo umanistica medievale/postmoderna. Da un lato i sovrani garantivano sicurezza contro le minacce esterne e di anarchia. Dall’altro però, questi sovrani concentravano un potere politico enorme che comprimeva quelle garanzie di libertà, i privilegi, i diritti assegnati agli individui nella tradizione giuridico-costituzionale. Si imponeva sempre più una versione monolitica della sovranità, nasce così il sovrano assoluto illuminato. Fautore di questa versione è Tommaso Hobbes nel suo il Leviatano. Pertanto, la Riforma protestante crea una frattura radicale nel cristianesimo, da questo momento la res publica christiana lascia il posto allo Stato Moderno assolutista.

Lo Stato-macchina, il Leviatano, concepito e legittimato originariamente in senso ‘tecnico’ come strumento per combattere la ‘guerra di tutti contro tutti’”, viene considerato come un idolo a cui offrire sacrifici. Capozzi individua un legame stretto tra l’antropologia negativa protestante e il Leviatano e la rivoluzione. Tra il XVII e il XVIII secolo si sviluppa una tensione “perfettista” nella vita sociale, introdotta dalla rivoluzione protestante. Insomma, l’antiumanesimo protestante sfocia per due vie diverse (Lutero e Calvino) in una divinizzazione della politica lontana dalla tradizione cristiana. Per Capozzi esiste un evidente legame tra l’antropologia protestante con l’assolutismo e quindi con le ideologie contemporanee. A tutto questo antiumanesimo, Capozzi vede una resistenza umanistica, in particolare nel costituzionalismo liberale di John Locke. Naturalmente noi in questa presentazione non possiamo attardaci molto per seguire il percorso del professore napoletano, ma possiamo scrivere che esiste una continuità, tra l’idea tomistica del potere limitato e dalla ragione naturale e quella lockiana del fondamento della società civile. “Il sovrano non può essere assoluto, perché al di sopra di esso c’è Dio, che ha creato gli uomini ugualmente dotati, senza eccezioni, di ragione e libertà morale”.

E qui oltre a Locke, il professore Capozzi si avvale di Edmund Burke con le sue Riflessioni sulla Rivoluzione francese, guardando al modello storico del costituzionalismo inglese. In questo contesto si evidenzia la differenza tra le due rivoluzioni: quella francese e quella americana. E siamo al 5° capitolo (L’ossessione dell’”uomo nuovo”: l’era delle ideologie)

Dopo il 1789 inizia una vera e propria guerra ideologica. Il professore Capozzi ci tiene a precisare che la Rivoluzione americana, “nasceva non dalla volontà di distruggere i fondamenti di un ordinamento politico per costruirne un altro, ma da una richiesta di condivisione della cittadinanza e delle garanzie costituzionali britanniche da parte dei coloni del Nuovo Mondo”. I rivoluzionari americani non volevano realizzare una comunità nuova, né tanto meno una Città di Dio in terra. Questo semmai era l’intento dei giacobini francesi, che per certi versi stavano facendo nascere una nuova tirannide ben più intransigente dell’assolutismo.

Con la frattura rivoluzionaria francese si affermava nella civiltà europea non tanto la cultura costituzionalistico-liberale, quanto la preminenza dell’ideologia.

Da questo momento il conflitto politico non era più una contrapposizione tra appartenenze etnico-culturali o religiose, ma tra “corpi dottrinari intesi come visioni complessive del mondo, interpretazioni della storia e indicazioni pratiche da attuare per eliminare il ‘male’ dalla politica, conducendo la società verso la felicità”.

Sostanzialmente la politica diventava una “guerra di religione, ma tra religioni secolarizzate, che imitavano il cristianesimo presentandosi come un corpo di testi sacri, una “Chiesa” (i partiti), messia e/o profeti (gli ideologi e i leader di partito), santi, martiri, un culto, una liturgia”. Si potrebbero fare diversi esempi, a cominciare dal nostro risorgimento.

L’ultimo capitolo il 6°, Capozzi affronta gli ultimi due secoli caratterizzate dal dominio delle ideologie. L’Europa, dopo aver toccato il fondo con i totalitarismi, con il boom economico, l’egemonia americana e la vittoria contro il comunismo sovietico, le nuove classi dirigenti e la cultura di massa assesteranno presto alla tradizione umanistica occidentale il colpo più terribile. L’avvento del progressismo “diversitario”, il relativismo radicale, condensato nei precetti del “politicamente corretto”, smantellando ciò che rimane dell’Occidente. Ma di questo ce ne occuperemo in una prossima occasione.

 

 

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