La satira di Cassiodoro in Novellame

#Novellame è il sesto volume satirico di Cassiodoro, questo goliardico campione della satira, che da più di 30 anni, esattamente dal 1983, imperversa nel giornalismo italiano e, soprattutto, calabrese con i suoi pepati corsivi e le sue sagaci “cassionovele”. Ed è appunto da queste ultime che il volume trae i primi contenuti, nel senso che si tratta di una antologia delle migliori narrazioni umoristiche brevi da questi ideate. Alcune di esse sono da cabaret, altre invece sono più agganciate alla politica, all’attualità.

Ma chi è Cassiodoro?

Cesare Orlando, in O.G.M., ne ha scritto in questi termini:

«Come diceva Rabelais, “una risata vi seppellirà”, ed è probabilmente questo, ancora oggi, l’escamotage più utile per uscire indenni dal bombardamento mediatico di cattive notizie cui siamo continuamente soggetti. Ma se ridere fa bene e seppellisce i piccoli grandi stress del quotidiano, fa altrettanto bene ridere riflettendo.

Ed è ciò che fa Cassiodoro, in questi gustosissimi viaggi satirici, alla ricerca di quello che più stimola la sua acuta intelligenza, pescando qua e là “dentro la notizia” con l’occhio del giornalista, permeando il tutto di un’aura di scanzonata ironia. L’autore sembra aver imparato alla perfezione la funzione scardinante e rivoluzionaria che il linguaggio può rivestire, a patto che se ne mescolino abilmente tutti gli ingredienti; il risultato è un vero e proprio pastiche linguistico, che ricorda talvolta le sperimentazioni anarchiche e geniali di Joyce e Gadda.

Il mondo circostante, per Cassiodoro, non è il migliore dei mondi possibili, come Voltaire faceva dire al suo “Candido”, ma è un microcosmo straordinariamente variegato e ricco di spunti involontariamente comici, sui quali si basa l’analisi satirica. E se è vero che è la comicità non voluta, non programmata, a strappare gli applausi più sinceri e divertiti, allora l’autore è riuscito pienamente nel suo intento.

Sfilano così davanti agli occhi del lettore eventi locali, nazionali ed internazionali, tutti trattati con lo stesso disincanto, e sempre flirtati da un lessico che si serve massicciamente di giochi di parole, citazioni “dotte” e gustosissime riflessioni tra il serio e il faceto, che zigzagano abilmente tra i territori della politica, dell’economia, della cultura, perfino del mero “gossip”, sempre con mano elegante e mai banale.

Leggendo con attenzione le escursioni satiriche di Cassiodoro, mi sono immediatamente tornate alla mente le pagine immortali di uno dei capolavori assoluti della letteratura mondiale, quel “Lupo della steppa” di Hermann Hesse tanto osannato dalla critica, che tutti conosciamo.

Gli scenari nevrotici del nostro tempo, dipinti simpaticamente dalle salaci battute di Cassiodoro, infatti, mi ricordano il “teatro magico, solo per pazzi”, nel quale il grande scrittore tedesco faceva liberare tutte le oniriche fantasie del personaggio Harry Haller (pseudonimo non troppo celato dello stesso Hesse).

Era così possibile che Mozart ballasse un minuetto con Goethe, che le guerre non si combattessero più con i carrarmati, ma restando in cima ad un albero, sparando colpi a salve sulle macchine che passavano.

In altre parole, alla satira è concesso di tutto: stravolgere gli schemi tradizionali del quieto vivere, rivoluzionare i linguaggi ed i ruoli sociali, intrufolarsi nei teatrini della politica e deridere le sue marionette, di qualsiasi colore esse siano, sia pure “geneticamente modificate”».

 

Altri, come l’insigne penalista Ernesto d’Ippolito, a proposito di Juliassik Park, ebbe a dire:

«In Italia manca una tradizione di umorismo all’inglese. L’italiano medio non ha il senso del ridicolo, è retore e bolso. Cassiodoro è un italiano anomalo. Egli ridimensiona tutto e tutti, invita al sorriso, alla saggezza, a quella tranquillità dell’animo propria del saggio. Cassiodoro gioca con le parole perché le possiede, ha un uso raffinato della lingua ed informazione, cultura per ogni espressione d’arte, di spettacolo, di gergo, di termini alla moda. E di tutto fa un “uso-cocktail” in una girandola originale, briosa, mai volgare, mai pecoreccia “alla Forattini” (grande vignettista che ha, però, sulle sue non infrequenti cadute di stile!)”.

L’esimio presentatore così continuava la sua analisi: “È fin troppo facile richiamare il precedente e la tradizione di Mario Melloni, “Fortebraccio”.

In Cassiodoro c’è però una vena satirica non solo “di sinistra”. C’è il Don Diego, al secolo Diego Calcagno, de “Il Tempo”; c’è Dino Segre, Pitigrilli. C’è il Montanelli di “Controcorrente” e degli “Incontri” delle “Stanze”; c’è il sig. Veneranda di Carletto Manzoni. I corsivi di Cassiodoro sono “imparentati” col “visto da destra” “visto da sinistra” di Guareschi e “il Gagà che aveva detto agli amici” di Attalo!».

 

Per non dire di Enzo Stancati che ne sottolineava:

«Il momento scherzoso, ammiccante, inventivo, dei giochi di parole e dei doppi sensi si incrocia in Cassiodoro con il risentimento e la vis polemica della satira più autentica. E malgrado egli tenti di identificarsi con l’uomo della strada autodefinendosi in facili versetti “cittadino. / Il pedone il tuo vicino che si guarda attorno e trova / cose strane e gente nuova” si capisce subito che il suo humor ha poco in comune con il buon senso qualunquistico delle maggioranze silenziose, ed esprime invece la coscienza morale ferita di un osservatore attento, colto, impegnato, di una società calabrese e nazionale profondamente ingiusta. Cassiodoro ha scelto di riderne senza mai dimenticare di esserne l’ingranaggio perverso perché crede nella possibilità di una ricostruzione.

Non disincanto, dunque, né evasione, nei suoi corsivi, ma speranza mascherata dal sogghigno. Nel giornalismo cosentino la satira vanta illustri precedenti in alcune testate ottocentesche citate dall’avv. Martire nella premessa al volumetto, alle quali aggiungeremmo il Frà Nicola e l’Ohè dei primi decenni del nostro secolo. Rispetto alla acrimonia provincialistica di taluni di quei fogli, i corsivi di Cassiodoro si connotano per una visuale più ampia e distaccata, per una più precisa ironia. Abbandonandosi finanche alla cadenza del “racconto breve”, come nelle inedite e talvolta poetiche cassionovele».

Su Cassiodoro c’è un aneddoto che vorrei segnalare: la lettera ricevuta in redazione, giuntavi senza sollecitudine alcuna, da tale prof. Lupo della Sila, pseudonimo, ispirato evidentemente dall’anonimato cassiodoreo, il quale ha, senza volerlo, sollevato dal compito di recensire sulle colonne del giornale il libro, avendolo praticamente fatto egli stesso con sua missiva:

 

«Carissimo Cassiodoro,

finalmente ti ho scoperto! Ho scoperto chi si nasconde all’ombra di un illustre pseudonimo calabro.

Fino a quando le sue corsive zampate corrugavano “La Sila”, è stato impossibile individuare la tua cifra e la tua impronta, sminuzzate nei labirinti tematici, sempre imprevedibili, nei cui meandri ci hai beffardamente disorientato. Ma, alla fine, ha commesso un errore! Quando hai raccolto in volume i tuoi scanzonati graffi non è stato difficile leggere in trasparenza la tua forma sotto il cubitale CASSIODORO.

Passo falso, caro il mio “anonimo” graffiatore. Hai perso il vantaggio dell’anonimato e dell’imprevedibilità, dal momento che adesso sappiamo chi sei. Ed è per svergognarti pubblicamente che ti scrivo, delineando i tratti di una tua biografia.

Da qualche anno la vita è stata resa difficile, ai tipo come te, dalla rottura dell’equilibrio biografico, dal turismo, dai gitanti e dai cercatori di funghi. I poveri lupi sono stati risospinti sulle vette sempre più alate della Sila da scalatori sempre più audaci, sempre più intraprendenti, sempre più fastidiosi.

Del lupo non è rimasto che il ricordo di leggendarie razzie, di terrificanti discese dai monti silani giù a valle a seminare paura e sgomento. Ma da quando il dipartimento di ecologia della calabra università ha deciso di chiudere in gabbia i lupi per esporli al ludibrio dei visitatori e il fastidioso esame degli studiosi, i sopraddetti lupi hanno pensato saggiamente di invertire gli itinerari della più antica tradizione e invece che scendere a valle in cerca di cibo hanno preferito una dignitosa morte sulle più alte e innevate cime del massiccio silano.

Qualcuno come te non ha, tuttavia, resistito al fascino della valle e ha tentato, come avrebbe detto proprio Cassiodoro, la “Catabasi” verso la città. Per evitare l’accademica gabbia di Arcavacata ti sei nascosto tra gli uomini, da uomo ti sei vestito e, alla fine, sei diventato quasi uomo, al punto che anche il pelo e i canini ti sono caduti.

Ma la natura di lupo è dura a morire e di tanto in tanto prende il sopravvento.

Ed eccoti, caro lupo Cassiodoro, a mordere dalle pagine della “Sila”. Dalla “raccolta” dei tuoi morsi si evince che non ti piace la società umana. Gusto certo comprensibile e giustificabile dal momento che quella dei lupi è probabilmente migliore, tanto che l’uomo la imita assai spesso come ci ricorda – te lo dico, così, tanto per farti capire che un po’ di cultura la mastico anche io – il nostro padre Hobbes: ti ricordi? “homo homini lupus”.

Saggio come sei, caro lupo Cassiodoro, hai capito subito che combattere l’uomo e la sua società è inutile, anche perché l’uomo, a differenza di te, è dispettoso; più lo combatti e lo accusi e più lui (dovrei dire egli, ma oramai, il pronome di terza persona al soggettivo è decisamente obsoleto) sembra prendere maggior gusto nell’esercizio delle sue vergognose umanità.

Meglio, come fai tu, prenderlo in giro, sbeffeggiarlo, insomma sfotterlo e ridicolizzarlo. Bravo, lupo Cassiodoro, così si fa. Continua pure a mordere e graffiare i biechi lavaggi del cervello che l’uomo si impone, a canzonare i suoi errori e le sue virtù, a giocare con le parole.

Tanto più, caro amico Cassiodoro, che il “bipede” è animale assai strano. Si diverte pure lui ad essere preso in giro. Noi lupi siamo molto più seri e compassati. Noi mordiamo ancora!

Ti rinnovo i miei complimenti per la raccolta. Conservati in salute e ricorda che apparteniamo ad una razza in via di estinzione. Essendo anche io un lupo travestito da uomo ti saluto dandoti appuntamento al solito posto da lupi che tu conosci. Ti abbraccio».

 

Brunella Eugeni, regista RAI, vi intravede:

«una garbata irriverenza di tono letterario – a metà fra la narrativa breve, il racconto umoristico, l’aforisma (E. Vaime, M. Marchesi, S. Lec.) – teatrale – fra commedia americana, avanspettacolo e goliardia (Twain, “Avanzi”, “Il Vernacoliere”) – e televisiva anzi cinematografica, (Woody Allen, Groucho Marx), non a caso il titolo di un volumetto è ispirato a un fortunato film di Spielberg.

Cassiodoro è però soprattutto giornalista la cui penna si ispira in qualche modo a Fortebraccio.

Universitario a Firenze, Cassiodoro soleva frequentare le trattorie del centro dove un omerico e canuto cantore interpretava a memoria “Ifigonia” e gli altri testi profani goliardici ma seguiva anche da vicino l’esperienza di “Cabala” a Compiobbi, satira militante, antesignana di “Il Male”, “Tango”, “Cuore”.

Ma al di là di ipotesi sui parallelismi nominali, a noi gli scritti del Cassiodoro umorista paiono ricordare le satire dell’anonimo Pasquino in quanto pregni di allusioni ed al tempo stesso di latenti messaggi di filosofia di vita.

In più la rubrica “Il corsivo” ci sembra mensilmente delle concatenazioni di concetti, di sigle, di assonanze, di elementi grotteschi in perfetta linea con le tendenze della satira d’oggi, non solo quella scritta.

Nel maggio di quest’anno, nell’ambito della rubrica “Giorno per giorno” prodotta dalla RAI regionale calabrese, questi testi sono stati “recitati” dall’attore Jerry Mussaro ottenendo un risultato radiofonico ineccepibile sul piano della spettacolarità e della godibilità all’ascolto.

Il “salto” dalle colonne di un giornale al proscenio della radio, ha dimostrato che, al loro interno, i corsivi hanno una carica umoristica che li rende, in potenza, materiali plasmabili in direzione anche diverse rispetto alla stampa.

E il fatto di scrivere per un periodico “regionale” non deve essere inteso, per lui e per i suoi lettori, come una “diminutio”.

Anzitutto perché su “La Sila” la satira è presente da tempi precedenti l’ideazione dei vari “Satirikon” (La Repubblica), “Tango” (L’Unità), “Zut”.

Ma soprattutto perché sulle colonne de “La Sila”, Cassiodoro può continuare positivamente una tradizione del giornalismo satirico calabrese che ha radici storiche risalenti, a partire da un secolo fa, a testate come “Il microscopico”, “Fanfullino”, “L’abate Gioacchino” diretto, caso storico da un altro avvocato Francesco Martire».

Il libro consta anche di vignette di uno staff di disegnatori che Cassiodoro nel tempo si è creato dando loro le didascalie di fatto cofirmando vignette e caricature.

I Bronzi (suoi) ne risaltano il punto di vista calabro/magnogreco, mentre nei dialoghi di “Dicunt” l’Autore ha riciclato vari materiali grafici e con l’uso del tablet vi ha fotografato il nuovo (si fa per dire) della politica e della nostra società.

Cassiodoro resta seduto, in una scomoda poltrona d’avanspettacolo, ad osservare ed a scrivere, narrando il suo mondo alla sua maniera

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