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Viaggio contromano da Palermo a Napoli

il sole sorge al sud

L’ennesimo libro che racconta il Sud è scritto da Marina Valensise, giornalista de Il Foglio, calabrese di Polistena. “Il sole sorge a Sud”. Viaggio contromano da Palermo a Napoli via Salento”, Marsilio editori (Venezia, 2012). Un libro che prova a raccontare in modo nuovo, in maniera eccentrica e un po’ folle, il Meridione d’Italia, attraverso un viaggio in quattro stagioni per cinque regioni: Sicilia, Calabria, Basilicata o Lucania, Puglia e Campania.

Valensise affronta un viaggio nello spazio e nel tempo, non solo fra luoghi, le strade, le piazze e le mura delle città del Sud, ma soprattutto nella memoria e nelle idee. Nell’introduzione, anticipa che per cambiare il Sud, “bisogna innanzitutto cominciare a cambiare se stessi, a partire dal modo di pensare se stessi. Molti, e io fra questi, sono convinti oggi che il Sud non sia un problema, ma una risorsa”. Nonostante la criminalità, al Sud c’è molta energia vitale e soprattutto c’è tanta fame. Il Sud, forse ha bisogno di autostima, c’è una ”scarsa cura di sé che nasce dall’assenza di fiducia in se stessi e sfibra il Sud sino all’avvilimento. Un male al quale non è impossibile rimediare”.

L’estate in Sicilia, si parte dalla capitale del Regno di Sicilia, Palermo, dove la giornalista racconta qualche retroscena del governo e della vita al Comune, dentro il palazzo “delle Aquile”, quando era sindaco Diego Cammarata, votato e rivotato dai palermitani, rimasti poi delusi dal suo operato.

Anche Valensise fa riferimento al mitico “Viaggio in Italia” di Goethe del 1787, quando da Napoli sbarcò a Palermo con l’amico Kniep, trovando anche allora le strade della città piene di rifiuti. Certo non come oggi, tempo di società di massa e discariche industriali. Così anche oggi come ieri il palermitano ha poco spirito sociale e pensa alla casa propria e non alla città; infatti imbattendosi in un forestiero indignato che si lamenta per le strade sporche, replica con la frase che avrebbe detto l’editore, Enzo Sellerio: “Io a casa mia vivo, non a Palermo”.Tuttavia scrive Valensise, non è solo il palermitano e in generale il siciliano, ma anche il calabrese, forse tutti i meridionali, che hanno poco senso civico. Si fermano al proprio uscio di casa, magari sempre pulita e tirata a lucido da donne forti ed operose. Intanto le inchieste giudiziarie, gli arresti per truffe, sprechi, malversazioni, pozzi avvelenati e laghi di liquame, disastri ecologici, imperversano. Il libro racconta dell’Amia, l’azienda municipalizzata per l’igiene ambientale, e della tolleranza zero in materia di smaltimento.

A tutto questo si aggiungono i migliaia di precari, tutti “si trovano sul groppone”, il lascito dei vari assessori regionali al lavoro, i Pip, Gesip, Lsu, lavoratori socialmente utili. E poi l’Ato, che hanno moltiplicato gli organici, gonfiato le retribuzioni, con il mostruoso indebitamento.

Prima di lasciare Palermo la giornalista fa un bel quadretto sul modo di pensare del siciliano, è l’eredità di Tomasi di Lampedusa, con il suo atavico pessimismo insulare. “Ormai s’impongono - scrive la Valensise - come un luogo comune quei giudizi che lo scrittore mise in bocca al principe di Salina durante un colloquio col piemontese Chevalley, venuto a offrirgli la nomina a senatore del regno: ‘Il sole narcotizzante che annulla la volontà dei singoli e mantiene ogni cosa in un’immobilità servile, la volontà del sonno dei siciliani, che odieranno sempre chi li vorrà svegliare, la loro sensualità come desiderio di oblio, l’immobilità come desiderio di morte, e ancora la violenza del paesaggio, la crudeltà del clima, col sole a strapiombo per sei mesi l’anno, e l’estate lunga e tetra come l’inverno russo’”. In pratica ancora oggi, è questoè questo il topos, che accoglie il forestiero in Sicilia. Pertanto secondo Valensise,“i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria(…)”. La giornalista inoltre, individua nel popolo siciliano, il “vezzo dell’autodenigrazione, perverso sintomo di un complesso di superiorità”. Tutto questo sembrerebbe non lasciare speranza per Palermo, la Sicilia e in generale per tutto il Sud.

Dopo Palermo Valensise, passa all’”eccezione etnea”, a Catania, “la Milano etnea”, “la Milano del Sud”, qui,“è un’altra storia”. A cominciare dalla politica, si opera diversamente. A Catania sembra che si voglia confutare il Gattopardo, ci pensa Ivan Lo Bello, il presidente degli industriali: “Noi vogliamo abbattere il mito della Sicilia irredimibile, della terra condannata da atavico fatalismo a non cambiare, a non poter migliorare”.

Traversando lo stretto di Messina, passiamo alla “solitudine di Reggio Calabria”, al “Paradiso della Calabria”. Ma subito però Valensise si affretta a scrivere che dal paradiso naturale del territorio, peraltro elogiato dai vari viaggiatori della storia,si passa alla “desolazione civile che per molti versi avvicina questa regione all’inferno”. Una contraddizione che nasce dai tempi di Cassiodoro, il consigliere di Teodorico, che segnalò al re dei Goti, lo scarto fra la natura sublime, fertile e opulenta di questa terra e le popolazioni. La giornalista a questo punto è abbastanza critica nei confronti della città di Reggio, sottolinea la mancanza di episodi positivi, la sua popolazione spesso ama rifugiarsi nel vittimismo e fugge dalle responsabilità. “Qui alligna la ndrangheta, quella che oggi sembra essere la più potente organizzazione criminale rimasta in circolazione”. I dati riportati sono allarmanti: “Solo nella provincia di Reggio, in tutto 600 mila abitanti, gli inquirenti contano più di 10 mila affiliati alle cosche, che sarebbero ben 112, sulle circa 200 disseminate nell’intera regione e collegate con molte regioni d’Italia, a cominciare dal Nord, d’Europa e dei cinque continenti”.

In pratica, negli ultimi trent’anni, la ndrangheta ha fatto un salto di qualità,“si è passati dai sequestri di persona all’infiltrazione nei grandi appalti pubblici, e da lì alla produzione e distribuzione di cocaina, che ha permesso la metamorfosi di un gruppo di pastori trogloditi nella più pericolosa multinazionale del crimine, attiva oggi su scala planetaria”. Nicola Gratteri, parla di un fatturato annuo di 44 miliardi di euro, stime Eurispes, pari al 3 per cento del pil. Dunque Reggio continua ad essere una città difficile, i reggini spesso subiscono e girano la testa dall’altra parte, infine, prospettano ai propri figli di andarsene. In politica si è guardato a Giuseppe Scopelliti, eletto sindaco col 71 per cento, il ragazzino cresciuto nel Msi, poi in An e quindi Pdl. Ma poi si scoprono le collisioni tra mafia e politica e quindi siamo punto e accapo.

La Valensise non può che fare una spietata analisi del territorio, dove domina il fatalismo, l’indifferenza, la paralisi e la passività. Con questi modi di pensare non si va da nessuna parte.

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